6)
Inuyasha
Quel mattino il
sole splendeva
alto nel cielo e poche nuvole vaganti non riuscivano ad oscurare la sua
luce.
Era una splendida giornata e Inuyasha aveva sperato che fosse un segno
che il
pozzo mangia ossa avrebbe riportato Kagome da lui. Si recò
in quel luogo
speciale pieno di speranza, e attese.
Attese per ore.
Attese
finché il sole alto a
picco nel cielo, iniziò a fargli male.
E poi, a
malincuore, quando
l’astro diurno prese il suo percorso discendente, Inuyasha si
arrese.
Anche quella
volta le sue
speranze non sarebbero state esaudite.
Erano ormai tre
anni che si
recava al pozzo, ogni tre giorni, per cercare un segno che il passaggio
temporale tra le due epoche si fosse riaperto. Ma, purtroppo, dal pozzo
emergeva solo una spietata oscurità.
Innumerevoli
volte era saltato
dentro quel tunnel oscuro, con la speranza di ritrovarsi in un Giappone
lontano
cinquecento anni in avanti e ogni volta, invece, si era ritrovato sulla
nuda
terra del Sengoku, intento a guardare un cielo che dal pozzo di casa
Higurashi
non poteva essere visibile.
Si
allontanò, frustrato, con le
ossa doloranti per l’eccessiva immobilità.
«Be’,
tanto meglio, così ho il
tempo di sistemarmi i capelli.»
L’hanyou
cercava di farsi
coraggio, nonostante quelle continue delusioni gli togliessero sempre
un
pizzico di speranza. Ma lui aveva fiducia in Kagome e nei sentimenti
che li
legavano. Quando si era ritrovato nel Meido, aveva affermato, sicuro,
che loro
due erano destinati a incontrarsi, e lo credeva ancora: tra loro non
era ancora
finita, nonostante quella separazione di tre anni, nonostante quella
separazione temporale di cinquecento anni.
E proprio
perché sapeva che
sarebbe tornata, e non voleva ricevere i rimproveri di Kagome, aveva
tenuto
fede alla sua promessa di prendersi cura dei propri capelli.
Per fortuna la
signora Higurashi
gli aveva dato quel foglio con le istruzioni per prepararsi un impacco,
così
anche in assenza dei prodotti moderni della ragazza, avrebbe potuto
mantenere i
suoi capelli morbidi e districati.
Lo zaino di
Kagome era stato
messo nella capanna di Kaede e l’hanyou sapeva che
lì dentro c’erano tutti i
prodotti che la ragazza portava con sé per prendersi cura
del corpo e dei
capelli: avrebbe potuto usufruire sia della spazzola che della crema.
Ma si era
detto che l’unica ad aprire quello zaino sarebbe stata la sua
proprietaria, e
così sarebbe stato: aprire quello zaino personalmente
avrebbe significato darsi
per vinto e quella era una possibilità inammissibile.
Sapeva che anche
Sango e Rin
usavano delle erbe per i loro capelli, ma non si era mai unito a loro
in quel
momento di cura personale: era qualcosa che aveva condiviso solo con
Kagome e
voleva che restasse una faccenda privata tra loro due.
L’unico a cui ne aveva
fatto parola era stato Jinenji, perché aveva bisogno di un
esperto che
l’aiutasse a trovare e riconoscere le erbe.
Sorrise,
pensando alla signora
Higurashi: era stata davvero gentile con lui, l’aveva fatto
sentire parte della
famiglia sin dal primo giorno in cui si erano incontrati. Non aveva
urlato
spaventata nel vedere un mezzo demone nella sua cucina, né
si era dimostrata
ostile al pensiero che sua figlia passasse tanto tempo con lui in
un’altra
epoca. Era stata accogliente e gentile, era facile capire da chi avesse
preso
Kagome.
Un po’
gli mancava la famiglia
Higurashi, persino il nonno strampalato, che credeva di essere un
sacerdote.
«Ah,
maledizione, perché ci
mette tanto tempo?» lanciò un sasso tra
l’erba, frustrato, e iniziò a cercare
le erbe per l’impacco.
In
realtà, non era solo per
Kagome che si dedicava ai suoi capelli. Dopo aver parlato con la
signora
Higurashi si era reso conto di una verità scontata quanto
importante: sua madre
l’amava e voleva che lui fosse sempre curato
perché doveva volersi bene a sua
volta.
Nei pochi anni
in cui erano
stati insieme, Izayoi aveva fatto del suo meglio per proteggerlo,
dargli amore
e sicurezza, perché voleva che lui crescesse forte e sicuro
di sé. Ma, col
tempo, quell’amore materno era diventato un ricordo sempre
più doloroso e il
senso di quel sentimento si era perso nell’amarezza di una
vita di solitudine e
di rabbia.
E quando la
mamma di Kagome
aveva condiviso con lui i suoi sentimenti di madre, qualcosa si era
risvegliato
dentro la sua anima, come se le parole della donna fossero state dette
per lui
da sua madre attraverso la voce di un’altra madre.
L’amarezza
si era messa da parte
per far spazio all’affetto, al calore di un abbraccio e di
una parola dolce: la
piccola attenzione che a lui sembrava solo tortura era un gesto
d’amore, una
coccola che doveva curare anche la sua anima. Non se n’era
mai reso conto prima
perché non aveva ancora imparato ad accettarsi.
Perché il pensiero che lui
fosse degno d’amore si era perso nel tempo, coperto da strati
di sofferenza.
Kikyo era
riuscita a scalfire la
corazza con cui si proteggeva dal dolore, dandogli la speranza che
anche lui,
forse, sarebbe potuto essere amato. Ma il tempo a loro concesso non era
bastato
a dargli fiducia in se stesso, soprattutto dopo il tragico finale del
loro
amore.
E poi era
arrivata Kagome, che gli
aveva insegnato la forza della gentilezza, la generosità, la
compassione e gli
aveva fatto vedere cosa c’era di buono in lui così
com’era, senza dover
diventare interamente umano o demone. Che gli aveva fatto ricordare che
lui era
meritevole di amore come ogni essere vivente.
Per questo non
fuggiva sugli
alberi, per questo motivo continuava a lavorare con Miroku, a far
visita a lui
e Sango e sopportava le loro gemelline che gli si arrampicavano
addosso. Per
questo motivo ora sapeva di essere accettato e benvoluto dalla gente
del
villaggio, che anni prima fuggiva terrorizzata alla sua vista.
Lui era
meritevole di amore e
doveva prendersi cura di sé.
Perciò,
ora che si accettava e
si piaceva così com’era, le attenzioni verso i
suoi capelli non erano più un
problema.
Lo doveva a sua
madre, a Kikyo e
a Kagome, che gli avevano donato amore, ma, soprattutto, lo doveva a se
stesso.
E poi non poteva
di certo
sfigurare di fronte a Sesshomaru!
Erano figli di
Toga, il Generale
Cane, e dovevano esserne entrambi degni, sia nella forza che
nell’aspetto.
«Vedrai Kagome, quando tornerai sarai fiera di me per aver mantenuto i miei capelli in ottimo stato.» sorrise e, rinvigorito dall’orgoglio e dalla speranza, decise di combattere l’immobilità della giornata con una corsa tra gli alberi.
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E
con questa One Shot si chiude la mia raccolta.
Sono
un po' triste perché non avrò un appuntamento con
la pubblicazione la settimana prossima, ma sono contenta di essere
riuscita a scrivere qualcosa in questo fandom, e averlo fatto dopo
anni di inattività.
Spero
che la mia musa mi sorrida e mi lasci produrre ancora qualcosa, ma nel
frattempo vi ringrazio per avermi accompagnato in questa pubblicazione,
soprattutto Sunnydafne,
Solandia e Lady__94,
sempre puntuali nel lasciare i propri pensieri relativi ai
singoli capitoli.
Spero
che questa ultima OS vi sia piaciuta e che sia un degno finale di
questa raccolta.
Io
ho adorato scriverla e mi auguro sia stata una lettura altrettanto
piacevole.
A
presto, spero. ^^