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Autore: OrnyWinchester    29/01/2024    2 recensioni
Pochi giorni prima di Natale, Dean viene rapito da alcuni esseri magici davanti agli occhi increduli di Sam. Nel frattempo, a Camelot, subiscono la stessa sorte re Artù e i Cavalieri della Tavola Rotonda. Toccherà a Sam e Merlino andarli a salvare, in un’avventura al limite dell’incredibile in una terra sconosciuta.
La storia è ispirata alle serie tv "Merlin" e "Supernatural" e si colloca tra gli episodi 4.7 e 4.8 di Merlin e dopo la stagione 15 di Supernatural.
Il titolo è un riferimento all’episodio 3.8 di Supernatural “A Very Supernatural Christmas”.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: I Cavalieri della Tavola Rotonda, Merlino, Principe Artù
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione
Capitoli:
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Il viaggio degli eroi

 
«Come facciamo a liberarci di tutte queste fate?» urlò Elyan, dopo averne eliminata una.
«Continua a colpirle!» gli intimò Artù, anch’egli alle prese con una dozzina di piccoli esseri.
Lo scontro era una danza frenetica tra guerrieri e fate. I fendenti si scontravano con le ali delle creature, risuonando come una dolce melodia di guerra. Il clangore delle spade si opponeva ai sibili degli incantesimi fatati, con Merlino che cercava di annientarne quante più possibile con il bastone degli Sidhe, ancora sotto l’effetto dell’incantesimo di trasfigurazione. Mentre il rumore metallico delle armi si univa al canto del vento, l'aria bruciava di energia mistica. Tuttavia, l'equilibrio di quel luogo era stato spezzato e la magia stessa sembrava ribellarsi. Molti sortilegi ad opera dell’una o dell’altra fazione si perdevano in quello scenario senza andare a segno o senza produrre alcun effetto.
I combattenti si avventavano sulle fate, cercando di avere la meglio con la loro abilità e la loro destrezza. Ma le fate non erano avversarie semplici: con velocità e agilità sovrannaturali, riuscivano spesso a schivare gli attacchi con grazia e leggerezza, lasciando solo una brezza fresca ad accarezzare le lame delle armi. I loro sguardi sfidanti, poi, rivaleggiavano vigorosamente con l'ardore dei cavalieri.
Ogni colpo era un'esplosione di luce e potenza.
«Dobbiamo essere più rapidi!» convenne Sam, facendo dissolvere una fata in tanti piccoli frammenti luminosi, dopo averla trafitta con il pugnale angelico.
L’arma non funzionava come al solito perché quelle creature, seppur mosse da cattive intenzioni, non rappresentavano una minaccia di tipo demoniaco. Tuttavia, i fratelli Winchester riuscivano ad usarla come una qualunque altra lama che era in grado di eliminare esseri così piccoli.
«Sono troppe!» osservò sir Galvano. «Sembra che ogni volta che ne uccidiamo una, ne spuntino fuori altre dieci!»
Mentre il cavaliere parlava, Merlino notò che Clíona ed Aingil si stavano gustando la scena con trepidazione e si soffermò a riflettere sul loro ambiguo comportamento. Fu allora che comprese i motivi di tanta teatralità e di tanto accanimento. Più esseri magici venivano uccisi, più le anime avrebbero acquistato valore ai loro occhi e al loro scopo.
«Se rimaniamo fermi qui, non ne usciremo più!» urlò il mago. «Dobbiamo arrivare alla regina al più presto!»
«Come pensi di fare?» gli chiese Elyan, sfinito. «Non stiamo guadagnando nemmeno un passo verso la sua dimora. E se abbassiamo le armi, ci schiacceranno in un solo istante. Sarà la nostra fine!»
«Dobbiamo dividerci!» intimò re Artù agli altri.
Sir Leon alzò la testa e osservò le posizioni di tutti in quel momento.
«Sire, sarà meglio che andiate insieme a Sam e Dean. Siete quelli più vicini e con più possibilità di farcela.» disse, facendosi strada tra le scie luminose delle creature con la propria spada.
«E voi? Pensate di riuscire a tenere a bada tutte queste fate?»
«Non temete. Non ci faremo sorprendere!»
«Ci vuole molto di più di uno stormo di esserini luccicanti per riuscire a fermarci!» confermò Parsifal, convinto, continuando ad annuire.
«Sbrigatevi prima che vi siano addosso!» consigliò Galvano.
«Ci pensiamo noi a finire qui.» aggiunse Elyan con tono rassicurante.
«Va bene. Ma fate attenzione. Non voglio dover dire addio ad un altro di voi!» disse il re, ripensando alla prematura fine di sir Lancillotto, avvenuta solo pochi mesi prima, in una situazione del tutto analoga a quella.
«State tranquillo! Appena ci saremo liberati di queste fate, vi raggiungeremo.» concluse sir Leon.
«Merlino!» urlò allora il sovrano. «Tu vieni con me!»
Il mago, che di nascosto stava sprigionando dal bastone magico una luce bluastra in cui danzavano piccoli fulmini per eliminare le fate che gli erano intorno, sussultò all’ordine del re.
«Io? Siete sicuro?» domandò senza troppa enfasi, poiché, come al solito, avrebbe seguito Artù in ogni caso.
«Che domande! Certo che sono sicuro!» rispose questo con ovvietà. «In caso contrario, rischieresti di fare una brutta fine in mano a quelle creaturine. Non voglio averti sulla coscienza!»
Merlino fece un mezzo sorriso e scosse la testa, colpendo le ultime fate che gli si erano poste davanti, prima di avere la strada libera verso la magione di Clíona.
 
***
 
L'entrata principale della dimora si profilava maestosa davanti a chiunque si avvicinasse e difficilmente non si restava stupiti dalla sua magnificenza. Le porte d'avorio, finemente intagliate con motivi che ricordavano foglie delicate, si aprivano con un semplice tocco, rivelando un atrio luminoso ornato da mosaici dai colori vivaci e scintillanti. Una volta varcato l'ingresso, si veniva accolti da un vortice di profumi delicati di fiori rari. Tutto l’interno di quella residenza incantata sembrava fatto di cristallo e argento che riflettevano la magia che la avvolgeva. Appena superato l'ingresso, una scala di legno di quercia intarsiato con incisioni di piante rampicanti conduceva al piano superiore e alla sala del trono in cui si trovava la Regina delle fate insieme ad Aingil.
Se Artù e Merlino potevano non trovare troppo strano quello scenario, Sam e Dean ebbero quasi la sensazione di trovarsi intrappolati in una fiaba, in cui dovevano scovare la strega malvagia o il cattivo di turno.
«Non avrei mai immaginato di ritrovarmi a camminare nella casa di Barbie!» ironizzò Dean, mentre percorrevano cautamente la scalinata.
«Di cosa?» gli chiese Artù, perplesso.
«Di… una bambola, sire.» aggiustò il colpo il cacciatore. «Non sembra anche a voi di essere in una casa delle bambole?!»
«Non hai tutti i torti!» concordò il re. «Merlino, tu per sicurezza rimani dietro di noi!»
«Certo, maestà!» rispose il servitore, strabuzzando gli occhi e lanciando uno sguardo complice a Sam.
Alla fine delle scale, una luce quasi innaturale sembrava diffondersi da una delle stanze, così decisero di iniziare la ricerca della fata proprio da quel punto.
Varcata la soglia, si ritrovarono nella sala del trono di Clíona, con la regina che attendeva trepidante il loro arrivo, seduta sul suo seggio di cristallo, mentre la fidata Aingil era in piedi al suo fianco con un’espressione guardinga.
«Ben arrivati! Era ora che ci degnaste della vostra presenza!» li schernì Clíona, alzandosi e allargando le braccia esili con leggiadria.
«Siamo qui per la resa dei conti, non per diventare la tua cena!» le disse Dean, furente.
La regina sorrise, quasi incurante di quelle parole, mentre Aingil esplose di rabbia.
«Come osi insultare così la mia Regina, stupido, inutile umano?!»
«Beh, tanto inutile non direi, altrimenti non mi avreste portato qui, no?» rispose il cacciatore, scuotendo la testa.
«Siete qui, tutti voi, perché non siete altro che misero nutrimento!» inveì Aingil. «Tutti gli esseri umani non sono altro che cibo per le creature superiori! Non ci si può aspettare qualcosa di diverso da una feccia come voi!»
«Ora che ci hai spiegato il tuo punto di vista, si può sapere perché ce l’hai tanto con noi?» le urlò contro Dean.
«Ancora non l’hai capito?!»
«Che ci conosciamo già?! Non ci voleva molto! E poi dici che siamo noi umani quelli inutili!» tuonò, fiondandosi contro Aingil con il pugnale angelico ben teso nella sua direzione. «Parla una buona volta!»
Le ultime parole di Dean, però, si fecero faticose. Il ragazzo annaspò con la sensazione di non riuscire più a respirare. Il suo volto divenne contratto, i lineamenti tesi e gli occhi spalancati, come se fosse tormentato da un'entità invisibile che stringeva la sua trachea con un'inesorabile presa. Clíona aveva appena sollevato due dita in maniera del tutto impercettibile e con un lieve colpo era riuscita a chiudere la gola del cacciatore, mostrando il dolore e la sofferenza che era in grado di infliggere a coloro che osavano sfidarne l'autorità. Le spalle di Dean, intanto, si piegavano sotto il peso dell'agonia, mentre le sue mani si aggrappavano disperate al petto, cercando un frammento di sollievo che sembrava non arrivare mai.
Sam, Merlino e Artù si mossero all’unisono per aiutarlo, ma ogni respiro era un tormento, un richiamo alla libertà che sembrava sempre più lontana.
«Finiscila!» gridò Sam all’indirizzo della Regina delle fate, mentre tentava di sostenere il fratello. «Smettila di fargli del male!»
Dopo quelli che parvero infiniti, interminabili attimi, finalmente Dean tornò a respirare, boccheggiando a fatica con il volto paonazzo.
«Stai bene?» gli chiese Merlino, ancora in apprensione, andandogli vicino.
«Sì!» rispose lui con difficoltà.
Mentre cercava di riaversi, nella sua mente cominciarono a riaffiorare dei nitidi ricordi di un’altra circostanza in cui aveva provato la stessa sensazione. Era stato quando Zaccaria l’aveva torturato tra mille atrocità con il suo potere della biocinesi, affinché diventasse il tramite dell’arcangelo Michele. Un pensiero, allora, balenò nella sua mente.
«Sei un angelo!» esclamò, non appena riuscì a parlare.
«Cosa?» domandò Artù, incredulo.
Sam guardò stranito, prima verso Dean, poi verso Clíona e non gli sfuggì un ghigno compiaciuto che si scambiarono, a quel punto, la regina e Aingil. Questo voleva dire che…
«Bravissimo, Dean!» disse Aingil, lasciando partire un applauso sarcastico. «Complimenti per essere arrivato alla soluzione!»
«Ma che significa tutto questo…?» continuò a chiedere il re di Camelot.
«Aspettate, sire. Lasciamoli parlare prima di giungere a conclusioni affrettate.» lo esortò Merlino, che seguiva con particolare interesse l’evolversi della situazione.
Artù rimase in silenzio, ma non abbassò la spada, limitandosi a lanciare occhiate torve a destra e a manca.
«E’ incredibile, Dean, quanto tu possa sembrare fragile e indifeso in questo momento!» continuò Aingil, mentre il maggiore dei Winchester la fissava sconvolto.
«Chi diavolo sei? Chi diavolo siete, tutte e due?»
«Noi non abbiamo mai avuto il piacere di conoscerci, ma Aingil mi ha raccontato molte cose interessanti su di te!» precisò Clíona, prendendo la parola per ristabilire la gerarchia con l’altra fata.
«Dicci chi sei e facciamola finita!» intervenne Sam, rivolto alla fata dai capelli color menta.
«Davvero non vi ricordate di me, esseri patetici? Stupidi scimmioni buoni a nulla!»
Un lampo di odio balenò nei suoi occhi color smeraldo, lasciando intravedere tutto il risentimento e l’astio che nutriva per i due cacciatori.
«Uriel!» disse Dean, all’improvviso.
Aingil sorrise compiaciuta ed annuì.
«Vedo che ti ricordi di me!»
«I complimenti sono sempre stati il tuo forte!» ribatté Dean con una smorfia.
«Quindi, quello che si dice è vero!» domandò Sam, agitato. «Le fate non sono altro che angeli caduti!»
A rispondere alla sua domanda fu Clíona.
«Non tutte le fate, solo la maggior parte di noi.» spiegò, mettendosi a passeggiare con grazia e facendo oscillare la sua veste. «Io sono tra le prime a cui è toccata questa sorte. Avevo un ruolo di rilievo tra le schiere angeliche, ma avevo le mie idee e la mia visione su come dovesse andare il mondo e su quello che noi angeli dovevamo reclamare.»
«E così hai seguito la discesa negli inferi del tuo capo con un viaggio di sola andata!» la interruppe Dean.
«Io non ho capi!» disse la fata, furente, pur cercando di darsi un ritegno. «Ma fui esiliata come molti altri della mia specie, anche se i miei peccati non vennero considerati così gravi da meritare l’inferno. Fu così che mi ritrovai su quest’isola, con questo corpo e con questa nuova essenza e pian piano riorganizzai la mia esistenza in virtù di questo, potendo ancora contare su molti dei miei vecchi poteri.»
«Ma la “Fata madrina” di fianco a te non può aver avuto la tua stessa sorte perché abbiamo avuto a che fare con lei solo pochi anni fa.» constatò Dean, con una punta di sarcasmo.
«No, infatti. Io sono divenuta una fata solo dopo che tu mi hai ucciso, Dean. All’inizio ero smarrita e senza sapere cosa fare.» raccontò Aingil. «Poi, ho incontrato Clíona con cui avevo stretto una forte sintonia già quando entrambe eravamo nella nostra forma originale. Lei mi ha aiutato, mi ha spiegato come affrontare questa nuova occasione e…»
«…e sei diventata la sua puttana.» concluse Dean, arrabbiato, prendendosi tutti i rischi del caso.
«Così, ho potuto contare su Aingil Anúabhair, un angelo orgoglioso, come dice il nome stesso.» affermò Clíona, tenendo dietro di sé con un braccio l’altra fata. «E’ stata un’alleata importante e mi ha permesso di mettere le mani su di voi, maledetti Winchester.»
«Ma che significa tutto questo?» domandò Artù, arrabbiato e incredulo, non potendo più trattenersi. «Fate, angeli, magia… Spiegatemi che sta succedendo perché proprio non lo capisco!»
«Che state per diventare tutti, o quasi, inutili corpi vuoti, privati delle vostre misere anime. Anime che, tuttavia, contengono qualcosa di estremamente importante per me, oserei dire vitale!»
Il “quasi”, usato dalla Regina delle fate, era un chiaro riferimento a Merlino, o Emrys, come era conosciuto da quelle parti. Clíona sapeva perfettamente di non potersi opporre ai suoi poteri; ciononostante, non aveva la minima intenzione di consentirgli di frapporsi tra lei e le sue “prede”.
«E’ per via delle creature magiche che hanno ucciso, non è vero?» domandò Merlino, torvo, quasi urlandole contro. «La magia di cui si sono caricate le loro anime per questa ragione ti serve come nutrimento per sopravvivere!»
«E tu che ne sai, Merlino?» chiese Artù, trovando strano il comportamento del suo servitore.
«Gaius!» si limitò a rispondergli il mago, rimanendo fisso sulla fata e attendendo una sua risposta.
«Aspetta un attimo. Sono quasi sicuro che le fate siano immortali. Come può avere bisogno di “energia” per sopravvivere?» domandò, allora, Sam.
«Qualcosa deve avere interferito con la sua situazione perpetua e… ora le serve altro carburante.» ipotizzò Dean, guardando a turno gli altri. «E per intenderci, il carburante siamo tutti noi!»
«Come osi?» lo minacciò ancora Aingil/Uriel. «E’ solo la vostra anima, piena delle malefatte che avete compiuto contro gli esseri magici, ad essere utile alla Regina. Mai degli sporchi esseri umani potranno servirla.»
«Intanto non vi siete fatti remore quando si trattava di farci uccidere altri vostri simili per “arricchire” le nostre anime della magia di cui avete bisogno!» esclamò Artù, che ormai aveva compreso l’espediente che le due fate avevano utilizzato.
Dean lo fissò e fece un ghigno compiaciuto all’indirizzo del sovrano.
«Beh, quelle fate sanno di essere servite a qualcosa di più grande!» ribadì Clíona, senza scomporsi.
«La tua vita conta più della loro: è questo che pensi?!» insistette Artù.
«Cosa c’è di così diverso da quello che lega te e i tuoi cavalieri? Forse per te non è lo stesso? Forse non sono rimasti a combattere contro il mio esercito fatato, mentre tu sei potuto giungere indisturbato fin qui?»
«Ti sbagli!» proferì il re. «La mia vita non vale più della loro, anche se è opinione comune pensare questo quando c’è un sovrano di mezzo. E io non ho mai mentito loro, gettandoli in mezzo a battaglie che non potevano vincere o a situazioni che li avrebbero messi in pericolo. Sono sempre stato onesto e, quando mi hanno seguito, l’hanno fatto per loro libera scelta, consapevoli dei rischi che stavano correndo!»
«E, soprattutto, non ci ha mai obbligato a fare niente!» confermò sir Galvano, sopraggiungendo nella stanza, seguito dagli altri tre cavalieri.
Merlino notò come, in tutto quel trambusto, non si fossero resi conto che i clangori metallici delle spade erano cessati da un pezzo e che la battaglia con le fate inviate da Clíona doveva essere finita, in un modo o nell’altro.
«Se sono le nostre anime quelle che vuoi, perché non vieni a prenderle?» la sfidò sir Elyan.
I volti di ciascuno erano più determinati che mai a combattere, anche se la fatica e la stanchezza erano ormai sopraggiunte. Il loro petto si gonfiò d'orgoglio, sprigionando un coraggio indomabile, e l'adrenalina che scorreva nelle vene faceva fremere i loro corpi. L'aria era carica di tensione, permeata dell'antica magia che pervadeva la terra di Avalon.
Clíona rappresentava l'essenza stessa della superbia, risplendendo di una bellezza radiante. La Regina delle fate, allora, schioccò le dita e richiamò a sé i due cluricauni Heinze e Crocker, ultimo baluardo della sua difesa. Anche lei ed Aingil erano pronte ad iniziare quell’ultima battaglia senza esclusione di colpi. E il suo gesto gli diede il via.
 
***
 
I cluricauni erano stati incaricati dell’arduo compito di tenere Emrys lontano dagli altri, mentre Clíona avrebbe assorbito le loro anime poco alla volta, man mano che le sarebbero stati sotto tiro. Aingil/Uriel, invece, aveva preteso che la regina le concedesse l’occasione di eliminare i Winchester e di consegnarglieli per gustarsi appieno la sofferenza che avrebbero provato nel momento in cui questa avrebbe strappato loro l’anima, lasciandoli morire come due gusci vuoti. Altre fate, tra quelle che servivano Clíona nella sua dimora, si unirono alla battaglia nella loro forma più umana, sparpagliandosi tra i cavalieri e ingaggiando duelli con loro.
Artù, mentre era sul punto di colpirne una, si ritrovò spalla a spalla con Sam.
«Toglimi una curiosità!» gli disse, ansimando per lo sforzo. «Anche tu e tuo fratello combattete la magia?»
Sam rimase spiazzato dalla domanda, senza sapere come replicare.
«Andiamo, Sam! Se siete qui anche voi, deve essere per il nostro stesso motivo. Allora?» insistette ancora, sferrando un fendente dritto contro il busto di una fata, che cadde a terra morta.
«Beh, in un certo senso…» ammise il cacciatore.
«Bene!» aggiunse semplicemente il sovrano, compiaciuto dall’avere simili alleati dalla sua parte.
La battaglia intanto infuriava con i cavalieri impegnati a fronteggiare la dozzina di fate che erano giunte a protezione della regina e la stessa che usava la sua magia per ostacolare Merlino e i fratelli Winchester, i quali puntavano a terminare in fretta quel duello, eliminando lei ed Aingil.
Clíona, allora, chiuse gli occhi e, con una mano sollevata, iniziò ad intonare un incantesimo antico, mentre le sue parole fluivano con una grazia senza pari. Un vortice d'aria cominciò a formarsi nel centro della sala, avvolgendola in una mistica danza eterea. Il vento le rispondeva con una sinfonia melodiosa, dimostrando una profonda connessione tra la fata e gli elementi stessi. Mentre il turbine intorno a lei si faceva più forte e tumultuoso, le sue mani si illuminavano di un bagliore verde incantato. Una corrente potente materializzò e sollevò dal suolo foglie, petali e polvere. Ben presto tutta la stanza fu travolta dalle raffiche, con le fate che, in questo modo, si trovarono in una posizione di vantaggio in quanto, per la loro stessa natura, non risentivano della magia elementale. Nonostante ciò, i colpi metallici delle armi non cessarono nemmeno per un istante e nessuno si tirò indietro all’incedere della battaglia.
Nel tentativo di raggiungere Aingil/Uriel, Dean venne sbalzato all’indietro da una folata particolarmente vigorosa e, dopo aver battuto violentemente la testa, svenne a terra, privo di sensi.
 
Si ridestò di colpo, ma intorno a lui non c’era più niente e più nessuno. Per un istante ebbe la sensazione di trovarsi nuovamente nel Vuoto, ma subito si rese conto che lo scenario era diverso, confuso e nebuloso. Man mano che si voltava da una parte all’altra, la nebbia si infittiva attorno a lui, avvolgendolo in un abbraccio umido, e i suoi passi risuonavano su un terreno invisibile.
«Ciao, Dean!» si sentì chiamare in una sorta di eco, senza vedere da dove provenisse quella voce, una voce che aveva udito molte volte e che conosceva alla perfezione ormai.
«Castiel?!» domandò, perplesso.
«Sì, sono proprio io.» rispose l’angelo, facendosi avanti in quell’atmosfera etera e comparendo davanti a lui, seppur con delle fattezze alquanto sfumate.
«Castiel, dove mi trovo?» gli chiese il cacciatore, non appena lo vide in piedi di fronte a lui. «Sono morto?»
«No, Dean, non temere. Siamo in una dimensione che in realtà non esiste, ma che Jack è riuscito a creare provvisoriamente in ragione del luogo in cui ti trovi in questo momento.» spiegò Castiel, sorridendo.
«Jack?»
«Sì, lui vi osserva spesso perché sente la vostra mancanza e, quando ha visto che tu e Sam eravate in pericolo, ha cercato un modo per aiutarvi. E’ per questo che sono qui!»
«Ti ha mandato Jack? Ma come potete aiutarci nella situazione in cui siamo?»
«Non possiamo combattere al vostro fianco, ma non dimenticare che Clíona e Uriel sono pur sempre angeli caduti.» osservò Castiel.
«E quindi, cosa può fermarli?»
«Questa!» disse l’angelo.
Nelle sue mani apparve, all’improvviso, avvolta in una luce divina, una meravigliosa spada, la cui lama, lunga e affilata, brillava di un bagliore argentato, emettendo un riverbero che incantava chiunque si fermasse a fissarlo. L’elsa, un’impugnatura avvolta in radici d'argento intessute con fili dorati, si fondeva armoniosamente con la lama, come se l'essenza della Terra si unisse a quella del Cielo. Al centro, un gioiello splendente emanava una luce pura e penetrante.
«Una spada!» convenne Dean.
«Non una semplice spada, Dean. Questa è una Spada Celeste, forgiata personalmente da Jack. E’ un’arma molto più potente dei pugnali angelici di cui disponete tu e Sam. La sua punta è in grado di penetrare ogni cosa, mentre la sua energia fa sì che ogni colpo sia inarrestabile e letale contro le creature che state combattendo.» illustrò con precisione Castiel, porgendogliela.
«Grazie!» disse Dean, prendendola in mano con timore e percependo subito il suo immenso potere.
«Quando avrete sconfitto Clíona e le sue fate, la spada tornerà al suo posto da sola: tu e Sam non dovrete fare nulla.»
«Ho capito!»
«Ora è giunto il momento di salutarci. Buona fortuna, Dean!» si congedò l’angelo.
Si girò e fece per andarsene, quando la voce di Dean lo richiamò.
«Castiel!»
«Sì, Dean?» domandò, voltandosi verso di lui e facendo oscillare il suo trench beige.
«Tu e Jack state bene?» gli chiese il cacciatore, pensieroso.
«Ma certo, Dean. Non potrebbe essere diversamente. Non preoccuparti per noi.» cercò di tranquillizzarlo l’angelo, mentre continuava a sorridergli con pacatezza.
«Anche voi ci mancate!» esclamò il ragazzo.
«Lo so, Dean. E anche Jack lo sa.» rispose Castiel, annuendo con voce calma e rilassata. «Buon Natale, Dean!»
Prima che il cacciatore potesse rispondere, la figura dell’angelo si sfumò ulteriormente e si dissolse nei contorni nebulosi di quella dimensione celeste.
 
Dean riprese conoscenza e stavolta si trovava nuovamente nella sala del trono di Clíona, dove la battaglia tra le due fazioni ancora infuriava prepotente. Non avrebbe saputo dire quanto tempo era trascorso da quando era svenuto, dopo il colpo alla testa, ma da una rapida occhiata gli parve che, nel frattempo, né Sam, né Merlino e i cavalieri avessero riportato gravi ripercussioni.
Improvvisamente, prima ancora che potesse rendersi conto di quello che era accaduto nella dimensione celeste durante l’incontro con Castiel, nella sua mano destra apparve, come per magia, la Spada Celeste che l’angelo gli aveva mostrato. Nell’impugnare quell’arma divina, percepì un calore rassicurante infondersi attraverso l’elsa, che gli donò una sensazione di eterna protezione. Al contrario, il suo peso era sorprendentemente leggero, quasi come se la mano non dovesse essere gravata dal suo potere immenso.
Senza pensarci due volte, il cacciatore si diresse direttamente verso Aingil, intento a chiudere una volta per tutte i conti con quella che era stata l’angelo Uriel in passato e che ora aveva trascinato nuovamente lui e Sam in un altro dei suoi deliri. La fata dai capelli color menta usò i suoi poteri per richiamare contro Dean un vortice di sabbia violento e dirompente. Tuttavia, l’arma che questo impugnava lo rese immune anche a quel tipo di magia e, in men che non si dica, i due si trovarono faccia a faccia.
«E’ arrivata la tua fine, Uriel! Spero tanto di non rivedere mai più il tuo brutto muso, qualunque sembianza esso assuma!»
«Credi di potermi uccidere così, come se niente fosse? Io non sono uno di quegli esserini che vi siete divertiti a schiacciare in giardino…» gracchiò Aingil/Uriel.
«No, è vero, per te sarà peggio!» gli promise Dean, furente.
Poi, senza pensarci ulteriormente, infilzò il busto della fata con la Spada Celeste e questa strabuzzò gli occhi per l’incredulità di quello che stava avvenendo. Un forte dolore attraversò tutto il suo corpo mentre la lama la trapassava da parte a parte come un raggio di energia ardente. Non ebbe nemmeno il tempo di replicare che esplose in tanti minuscoli granelli di polvere dorata.
«Dean, stai bene?» gli domandò Sam, che lo aveva raggiunto dopo averlo visto discutere con Aingil.
«Sì, è tutto a posto, Sam.» lo tranquillizzò. «Uriel ha finito di darci fastidio!»
«E quella spada?»
«Un regalo di Jack e Castiel.»
«Non capisco.» disse Sam, voltandosi in giro per la sala del trono. «Anche Jack e Castiel sono qui? Com’è possibile?»
«No, ti spiegherò tutto più tardi. Adesso diamo una mano agli altri e mettiamo fine a questa follia!» replicò il maggiore dei Winchester.
 
La morte di Aingil creò molta preoccupazione in Clíona, che ora si vedeva privata della sua spalla più solida.
Oltre a poche fate, che ancora stavano duellando freneticamente contro i cavalieri di Artù, sul campo restavano solo i due cluricauni. La regina, allora, decise di affrettare le cose e si fiondò contro il sovrano, nel momento esatto in cui questo trafisse Heinze con la sua spada e il folletto cadde a terra inerme, con gli occhi vitrei persi nel vuoto e un pallido sorriso ancora impresso sul volto.
Clíona usò uno dei suoi potenti incantesimi e dalle sue mani si sprigionò un raggio di colore viola, che, come un’intricata spirale, avanzò furioso e colpì Artù in pieno petto, gettandolo a terra. Sir Galvano, che stava duellando con Crocker, notò la situazione di difficoltà del re e con un paio di rapidi e potenti fendenti si sbarazzò dell’altro cluricauno e si affrettò a raggiungerlo per aiutarlo. Un altro raggio impetuoso di Clíona lo travolse e lo scaraventò addosso ad Artù.
Con due rapidi balzi la regina fu di fianco a loro e, prima che qualcuno la ostacolasse, si precipitò ad assorbire le loro anime, che brillavano di un'intensità unica e irripetibile. Un flusso di tante minuscole particelle argentate iniziò a levarsi dai due cavalieri e a dirigersi verso Clíona, che con le mani distese convogliava dentro di sé la loro energia vitale. Merlino si accorse immediatamente di quello che stava accadendo e, dopo aver eliminato l’ennesima fata fulminandola con il bastone degli Sidhe, attraversò la grande stanza per fermarla. Per paura di non riuscire a salvare Artù e Galvano, si frappose immediatamente tra i due e Clíona, facendo loro da scudo. L’incantesimo della fata, allora, cambiò bersaglio e si concentrò su di lui, iniziando ad assorbire la sua anima. L'energia magica si fece sempre più palpabile nell'aria, pronta a sprigionarsi in una potente esplosione. La Regina delle fate voleva evitare a tutti i costi lo scontro con Emrys, preoccupata di non poter reggere il confronto con lui. Tuttavia, si ritrovò inebriata dal grande potere che scaturiva dal mago e decise di proseguire quanto iniziato. Se fosse riuscita ad ottenere anche la sua anima, avrebbe avuto accesso ad ogni tipo di energia di cui poteva avere bisogno. La magia di Merlino, però, reagì spontaneamente a quell’aggressione, senza che il ragazzo usasse alcun incantesimo. Il potere che emanava sembrava fluire attraverso ogni poro della sua pelle e i suoi occhi iniziarono a brillare di una conoscenza millenaria. Le energie arcane si materializzarono intorno a loro, creando un vortice di pura magia che avvolse entrambi nelle sue spirali. In quel flusso Clíona, la Regina delle fate, divenne sempre più brillante. Non riuscendo ad opporre alcuna resistenza alla forza del mago, esplose in tanti minuscoli granelli di polvere fatata. La luce travolse ogni cosa nella sala del trono e tutti ne furono accecati. Quando la luminescenza si placò, in quello che era stato il teatro di un’epica battaglia erano rimasti solo Sam, Dean, Merlino, Artù e i cavalieri della Tavola Rotonda. Non c’era più alcuna traccia di Clíona o di quello che era stata, né tantomeno delle fate al suo comando. Anche la Spada Celeste era scomparsa.
Tutti si ritrovarono in un crescendo di emozioni, travolti dalla gioia e dall'euforia di un combattimento glorioso. Era l'ora dei festeggiamenti, con i cuori dei cavalieri colmi di trionfo ed entusiasmo. Elyan guidò la prima di tante grida di gioia che si propagarono tra di loro, continuando a risuonare e ad amplificarsi come un’eco; Galvano e Parsifal si strinsero con enfasi l’avambraccio, in perfetto stile cavalleresco, orgogliosi e sfiancati dai loro sforzi; Leon sorrise sollevato; Sam e Dean risero a loro volta, dandosi a vicenda una pacca sulla spalla.
«E’ stato incredibile!» esclamò Artù, dopo aver alzato la sua spada in aria in segno di vittoria, come era solito fare dopo i duelli più ardui. «Iniziavo a perdere le speranze di uscire illesi da questo posto!»
«Già!» concordò Merlino, guardandolo di sottecchi. «Soprattutto perché voi e Galvano stavate per diventare mangime per fate!»
Il mago tirò un sospiro di sollievo per essere riuscito a fronteggiare ancora una volta un’insidia tanto temibile. Poi, si aprì in un immenso sorriso che coinvolse anche gli altri, che nel frattempo si abbracciavano l’un l’altro in una calma surreale.
«A proposito di cibo…» intervenne proprio Galvano. «Sono talmente affamato che mangerei un bue intero. Avete notato che da quando siamo finiti su quest’isola non abbiamo ancora messo niente sotto i denti?»
«Credevo che il Wilddeoren avesse fatto passare la fame anche a te!» disse Elyan con una smorfia disgustata, mentre ripensava all’essere che avevano dovuto fronteggiare.
«Tutto sommato, a noi non è andata così male se avete dovuto vedervela davvero con un Wilddeoren gigante!» notò Parsifal, quasi confortato. «Avrei preferito camminare per altre ore piuttosto che essere attaccato da quel coso!»
«Cosa credevi?» lo incalzò Artù. «Che in questo posto si venisse rincorsi da torte di mele giganti, eh Parsifal?»
«No, sire. Perché in quel caso Galvano le avrebbe mangiate tutte prima!» replicò il cavaliere, suscitando tante risate nei suoi compagni d’avventura.
«In realtà, una bella torta non sarebbe dispiaciuta nemmeno a me!» disse Dean, cominciando a sentire i morsi della fame. «O un hamburger succulento…»
«Questo perché sei un ingordo, Dean.» gli sorrise sarcastico Sam, dandogli una piccola gomitata su un fianco.
«Un ham… cosa?» domandò Artù, interrogandosi sulla parola appena pronunciata dal maggiore dei Winchester.
«Un panino morbido con tanta ottima carne succosa e fumante insieme a salse appetitose che stuzzicano il palato.» puntualizzò il ragazzo, ricevendo tante occhiate torve di rimando.
«Così non vale, Dean.» lo redarguì Merlino, allargando le braccia. «Stai facendo venire l’acquolina in bocca a tutti!»
Dean sorrise, compiaciuto.
«Mi dispiace.» disse Sam, mortificato. «Quando c’è di mezzo il cibo, mio fratello non sa comportarsi come dovrebbe.»
«Non ti preoccupare, Sam.» lo tranquillizzò Artù. «Come puoi vedere, anche tra noi cavalieri non manca di certo chi non sa privarsi dei piaceri della tavola.»
«Mi stanno fischiando le orecchie, sire.» lo prese in giro Galvano.
«Già.» rispose Artù, lanciandogli un’occhiataccia in risposta. «Comunque mi ha fatto molto piacere rivedervi, Sam e Dean. E spero che la prossima volta, se mai ce ne sarà una, la situazione non sia così pericolosa.»
«E’ stato un piacere anche per noi, sire.» annuì Sam.
«Magari la prossima volta sarete voi a finire dalle nostre parti!» aggiunse Dean.
«E perché no?!» disse il re. «A questo punto potrebbe accadere di tutto.»
«Anch’io sono convinto che in un modo o in un altro ci rivedremo.» concluse Merlino, mentre ormai stavano lasciando la magione delle fate.
 
***
 
Il sole d'inverno splendeva alto nel cielo blu sopra Camelot, cospargendo la terra di un manto di purezza immacolata. Lo scenario era avvolto da una magnifica coltre di neve scintillante appena caduta, mentre l'aria era tersa e frizzante.
L’intero regno di Albione sembrava addormentato sotto il bianco abbraccio invernale con i soffici fiocchi di neve che ricoprivano ogni cosa e in alcuni punti formavano piccoli cumuli candidi, come cuscini morbidi adagiati sul paesaggio sospeso nel tempo.
«Merlino, ancora una volta sono molto fiero di te!» si complimentò Gaius, dopo aver appreso dell’avventura sull’isola di Avalon.
«Vi ringrazio, Gaius! Ma stavolta ho temuto di non farcela. Quel posto era saturo di magia e i miei poteri potevano non bastare a sistemare le cose con quelle fate.»
«Ma di nuovo le tue immense abilità hanno fatto la differenza!» obiettò il medico di corte.
Merlino, seduto di fronte a lui, annuì, poi portò indietro la testa, come per riposare dalle tante fatiche. All’improvviso, si sentì bussare alla porta e re Artù varcò la soglia dello studio del medico di corte.
«Sire!» esclamò Merlino, preoccupato, mettendosi subito in piedi. «Siete già sveglio? Non mi sembrava di essere in ritardo!»
«No, non lo sei!» confermò il re. «Sono io che mi sono alzato presto questa mattina. E, visto che la neve è scesa per tutta la notte, non posso che annullare ogni esercitazione. Fa troppo freddo per l’addestramento.»
«Volete che vi faccia preparare qualcosa di caldo nelle cucine?»
«No, lascia stare. Sono solo venuto ad informarti che ho indetto un banchetto per stasera.»
«Un banchetto? E per quale ricorrenza?» chiese il servitore.
«Oh, nessuna in particolare, in realtà. Ma con questo freddo non c’è molto che si possa fare, così ho pensato che un banchetto avrebbe intrattenuto tutti.» spiegò Artù.
«Capisco, sire. Beh, mi metto subito al lavoro, in questo caso.»
«Va bene, ma mi farebbe piacere se questa sera partecipaste anche tu e Gaius come invitati. E lo stesso vale anche per Ginevra, naturalmente.»
«Ma certo, sire. Contate pure sulla nostra presenza!» rispose Gaius, contento, sfoggiando un grande sorriso.
«Bene! A stasera, allora!» annuì il sovrano, congedandosi da loro.
 
I grandi tavoli di legno si estendevano lungo tutto il vasto salone, risplendendo sotto la luce calda delle fiammelle che bruciavano nei bracieri appesi alle pareti di pietra. I candelabri d'argento emanavano una luce soffusa, creando un'atmosfera magica e incantata. Le pareti erano tappezzate da pesanti tendaggi dalla calda tonalità cremisi, mentre un fuoco scoppiettante ardeva nel camino. L'aria era pervasa dai profumi di erbe aromatiche e cibi appetitosi, provenienti dalle cucine, che si mescolavano alle essenze avvolgenti dei gigli e delle rose con cui era stato decorato il salone.
«Artù ha fatto le cose in grande!» esclamò Gaius, varcando la soglia insieme a Merlino, vestiti entrambi di tutto punto.
«Già! E’ costato un gran lavoro a tutta la servitù, credetemi!» osservò il mago.
«Peccato che non ricordi nulla di quello che è successo ad Avalon!» constatò il medico. «Sarebbe stato un buon modo per festeggiare la vittoria.»
«E’ vero, ma forse è meglio così!» disse Merlino, deciso. «Nessuno mi ha visto usare la magia, ma ci sarebbero state troppe cose da spiegare in ogni caso. E’ un bene che l’isola si preservi da sola, cancellando i ricordi degli esseri umani. Dev’essere per questo che nessuno sa cosa si celi al suo interno.»
«Di sicuro è così.» annuì Gaius. «Comunque, se Artù ha deciso di festeggiare, forse un piccolo barlume di quello che è accaduto lì è rimasto dentro di lui.»
«E’ possibile, sì.» rispose, lanciando un’occhiata ai gigli e alle rose, gli stessi fiori che avevano trovato nella magione delle fate.
«E quei due ragazzi? Nemmeno loro ricorderanno niente?» domandò l’anziano medico.
«No, Gaius, temo di no.»
L’arrivo dei servi con vassoi colmi di fragranti pietanze e arrosti profumati invitò gli ospiti a sedersi e ad assaporare tutte quelle prelibatezze, insieme a stufati gustosi e pane appena sfornato. I commensali si radunarono intorno alla tavola, chiacchierando animatamente e brindando alle occasioni di festa. Anche Gaius, Merlino e Gwen presero posto tra gli altri invitati. Cavalieri e dame poterono godere di una serata di allegria e divertimento, con musica e risate che si diffusero nell'aria in un clima elettrizzante.
 
***
 
Le strade di Lebanon erano illuminate da luci scintillanti, le vetrine dei negozi brillavano con splendidi decori e un delicato profumo di dolci e spezie si diffondeva ovunque. Nel bunker degli Uomini di Lettere, Sam e Dean si preparavano a trascorrere il Natale, immersi nel delizioso odore di un tacchino arrosto che abbracciava ogni angolo.
I due fratelli erano seduti sul divano e cercavano di fare mente locale su quello che era accaduto negli ultimi giorni.
«Sei sicuro di avermi visto brillare e scomparire all’improvviso?» chiese per l’ennesima volta Dean.
«Certo. Su questo non mi sbaglio, Dean. Purtroppo, il resto diventa confuso e non ho ricordi di quello che è successo dopo che ho parlato con Bobby.»
«E, secondo voi, sarei stato rapito dalle fate?»
Sam annuì, quasi in imbarazzo.
«Beh, se ora sono qui, devi essere venuto a cercarmi. E devi anche avermi trovato, Sammy!»
«E, se davvero le storie sulle fate sono vere, è per questo motivo che non ricordiamo nulla!» concluse Sam. «Alla fine, tutto è bene quel che finisce bene!»
Dean annuì incerto, facendo spallucce. Poi, si voltò e prese una busta rossa per regali e la porse a Sam.
«Buon Natale, Sam!» esclamò, sorridente.
Sam lo fissò incuriosito e stranito al tempo stesso.
«Non credevo ti andasse di scambiarci i regali e fare… cose natalizie.»
«Beh, ho cambiato idea. Avanti, prendila!»
Sam prese la busta, la aprì e tirò fuori un libro piuttosto malconcio con la copertina sbiadita che riportava disegni illustrati di cavalieri.
«E questo dove l’hai trovato, Dean?» domandò, entusiasta, con gli occhi che gli brillavano per l’emozione.
«Ricordi quel box che papà aveva affittato? Quello in cui aveva riposto tutte le nostre cose? Il libro sulle storie dei cavalieri della Tavola Rotonda che ci leggeva da piccoli era proprio lì, in uno dei tanti scatoloni. E ho pensato che ti facesse piacere riaverlo!»
«Grazie! Sono anni che non lo vedevo!» disse Sam, contento, rigirandoselo tra le mani. «Ah, aspetta, Dean! Anch’io ho qualcosa per te!»
Corse in camera sua e tornò dopo pochi minuti con un pacchettino di carta blu, che mise direttamente nelle mani di suo fratello.
«Grazie, Sam!» disse Dean, scartando con sorpresa il suo dono.
Avvolto nella carta da regalo, c’era un cordoncino di cuoio nero da cui spiccava un ciondolo argentato a forma di spada, uguale in tutto e per tutto alla Spada Celeste che Jack e Castiel avevano donato a Dean per sconfiggere le fate di Avalon.
«Un nuovo amuleto!» sorrise Dean, indossandolo.
«Ho pensato che fosse ora di cambiare!»
«Hai pensato bene! Grazie, Sammy!» «Oh, e non dimentichiamoci queste!»
Da dietro il divano tirò fuori delle birre e ne porse una a Sam.
«Non dimentichiamoci nemmeno del tacchino!» disse il ragazzo, mentre “brindavano”.
«Non l’hai cucinato tu, vero Sam?» chiese Dean riluttante con una smorfia.
«No, tranquillo. L’ho solo riscaldato!» rise Sam.
«Bene! Allora andiamo a mangiare!»
A quel punto, si alzarono all’unisono per raggiungere la cucina.
«Buon Natale, Dean!»
«Buon Natale, Sammy!»


 

Angolo autrice

Un saluto a tutti e un sentito grazie a chi sta leggendo questa storia e a chi la leggerà in futuro. Grazie anche a chi l’ha messa nelle preferite, nelle ricordate o nelle seguite.
Sono contenta che finora siate stati in tanti a seguirla.
Un ringraziamento particolare ad AndyWin24, Swan Song e Dramon20 per aver condiviso con me il loro punto di vista sulla storia.
Grazie ancora a tutti!
Tanti saluti!!!

 
   
 
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