Note dell’autrice: Non torno a questa serie dopo tempo perché ho smesso di sognare. Tutt’altro.
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Apro gli occhi, un battito di ciglia preceduto da infiniti altri e seguito da chissà quanti ancora. Per quanto la mia coscienza possa percepire, li ho fatti tutti in quella stanza
Era l’unica sala che conoscevo di una casa che percepivo come infinita, labirintica, contorta. E buia. L’unica luce era lì con me, un abat-jour dal paralume vecchio stampo che spandeva un alone giallognolo sul verde della carta da parati. Era l’unica sala che conoscevo ed era l’unico posto sicuro. Addentrarsi in quella casa, spalancare la porta socchiusa che lasciava intravedere il groviglio intestino di quei corridoi, significava perdersi.
Ci ho passato una vita in quella casa, un’esistenza perennemente uguale. Finché un giorno, un battito di ciglia ed ecco un gatto nero, accoccolato sul divano. La bestiola mi fissava coi suoi occhi gialli, furbi come possono esserlo solo quelli di chi sa un segreto che non vuole rivelarti. E iniziò a parlare.
“Non ha alcun senso per te muoverti, dopotutto. Cercare un’uscita è folle e addentrarsi nella casa lo è ancora di più; ti troverà, se lo fai.”
Forse ho risposto alle sue provocazioni, non tanto con le parole ma con lo sguardo, perché con tutta calma il felino parlò ancora.
“Faresti meglio a prepararti, sai? Indossare il tuo vestito buono. Tanto arriverà e ti porterà nella casa e nessuno ne esce mai.”
La mia espressione, qualunque possa essere stata, deve averlo divertito parecchio. Forse ero turbata, indignata, incuriosita, infuriata. Forse ero tutte queste cose insieme e continuavo a fissare il gatto e il gatto continuava a fissare me, poggiato mollemente su quel divano verde con la porta socchiusa alle spalle, come un occhio sul punto di aprirsi. Mi voleva tenere lì, buona, incagliata con un indovinello senza tempo e senza soluzione, invischiata nel nero di corridoi inesplorati dal sapore di paura.
“Lo farò, mettermi il vestito buono. Posso prepararmi in fretta, sai, se ti giri e inizi a contare ti assicuro che finisco prima di te.”
Mi domando se qualcuno avesse mai sfidato quell’animale che pensava di avere la verità in tasca. Chissà se sapeva davvero qualcosa che io non so e che non potrò mai sapere, custodita nelle viscere di quella casa. Non ho aspettato di scoprirlo. Ho preso la rincorsa mentre il gatto, girato verso la porta, iniziava a contare miagolio dopo miagolio.
Quella casa non aveva un’uscita, nessuno l’aveva mai trovata. Ma io non l’avrei cercata. Ho saltato. Con un guizzo della mano ho cancellato la parete della stanza e l’ho inondata di luce. Che il gatto urlasse indignato quanto voleva che nessuno aveva mai lasciato quella casa. Io me n’ero andata e non avrei smesso di volare per questo.