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Autore: Zobeyde    30/01/2024    3 recensioni
Solomon Blake si è sempre considerato ben lontano dall’essere un eroe, e i motivi che lo hanno portato, nell’autunno del 1888, nel cuore fumoso della Londra vittoriana, non sono certo dei più altruistici. Ma qualcosa di oscuro si aggira tra i vicoli nebbiosi dell’East End, qualcosa che continua a mietere vittime e che niente sembra in grado di contrastare, persino la magia; cinque morti agghiaccianti, culminate con il rapimento della giovane e facoltosa Arabella, spingeranno l’Arcistregone dell’Ovest a mettersi sulle tracce di uno dei più spietati serial killer della storia, grazie all’aiuto di due improbabili alleati: un demone chiacchierone e combinaguai, e un umile pittore con un pericoloso segreto…
Genere: Comico, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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III.
UN BAGNO DI LUNA

 

 
«Io lo sapevo!» brontolò Solomon, mentre procedeva a passo spedito lungo Wentworth Road. «Me lo sentivo che quel tipo nascondeva qualcosa! “Il giovane squattrinato che si strugge d’amore per la ricca ereditiera?” Ah! Sul serio sperava di darcela a bere?»
«Forse lo stai giudicando un po’ troppo precipitosamente» provò a farlo ragionare Azaele, sforzandosi di tenere il passo. Niente da fare, si disse, quell’uomo era peggio di un segugio addestrato: quando puntava un obiettivo non c’era nessuna forza, né in cielo e né in terra, in grado di farlo desistere. «Potrebbe aver avuto un milione di ragioni per piantarci in asso: ti ricordo che siamo sulle tracce di un serial killer! Gli umani non hanno mai avuto un buon rapporto con la Morte.»
Solomon non si degnò nemmeno di rispondergli, e inchiodò bruscamente. «Il posto deve essere questo.»
Malgrado il volantino promettesse spettacoli teatrali, il Pozzo delle Fate era, a tutti gli effetti, una casa di piacere, e alcune prostitute erano appostate all’ingresso a fumare, invitando i passanti alla trasgressione.
«Non hanno paura dell’assassino?» sussurrò Azaele.
«Sicuramente» rispose Solomon, accigliato. «Ma forse hanno più paura di morire di fame.»
Entrarono. Era evidente che i proprietari volessero richiamare alla mente il voluttuoso fasto dei bordelli parigini, con le pareti tinte di rosso e la sovrabbondanza di arredi, ma la visione d’insieme trasudava cattivo gusto e decadenza. Un palcoscenico tuttavia c’era, in fondo alla sala principale, illuminato dagli sprazzi di luce delle candele.
Dietro il bancone di legno del bar, una donna fumava una sigaretta leggendo il Times. Era praticamente una gigantessa, con spalle da lottatrice e una folta chioma argentea raccolta in una treccia. Stregone e demone si avvicinarono.
«Le tariffe sono indicate qui dietro.» Il donnone indicò pigramente un cartello alle sue spalle, senza staccare gli occhi dal giornale. «Non facciamo sconti, se siete in due pagate doppio. Al momento le stanze sono tutte occupate. Bevete qualcosa, nell’attesa?»
Solomon, a dirla tutta, un whisky lo avrebbe bevuto volentieri, ma c’erano questioni più urgenti: «In verità, stiamo cercando una persona.»
«Un ragazzo» disse Azaele. «Alto, capelli biondi, sui diciassette anni…»
«Oh» fece la donna, alzando gli occhi per un brevissimo istante. «Avete gusti molto specifici. D’accordo, forse ve lo riesco a procurare…»
«Non per quello!» s’indignò Azaele. «Il suo nome è Paul Everett. Lo conosce? È stato qui?»
Finalmente, lei abbassò il giornale, e ai due saltò all’occhio la profonda scollatura del suo abito, che metteva strategicamente in risalto tre abbondanti seni coperti da tatuaggi. Una Dimenticata, intuì Solomon. Una mezzosangue: in parte umana, ma discendente da antiche creature magiche, ormai relegate ai confini della società mancante e di Arcanta…
«Non lo conosco» rispose il donnone seccamente, scrutandoli ora con diffidenza. «E qui di solito il tempo si paga. Se non avete intenzione di consumare, vi invito ad andarvene. E subito.»
Vista la sua stazza, sarebbe riuscita a sbattere fuori qualsiasi piantagrane da sola, ma a un suo cenno, Solomon vide comparire due energumeni dalla pelle grigio-verde, le cui mani squadrate terminavano con unghie nere ad artiglio.
Azaele però non voleva saperne di mollare l’osso: «Se ci lascia spiegare la situazione, sono sicuro che capirà quanto sia importante…»
«Molto bene» disse invece Solomon, battendogli una mano sulla spalla. «Togliamo il disturbo, grazie per la collaborazione. Andiamo, Aza.»
E lo trascinò fuori dal locale.
«Sapeva qualcosa» disse il demone. «Avremmo dovuto insistere! Forse Paul è nei guai.»
«Non sarebbe servito a niente» replicò lo stregone. «Ci saremmo solo messi contro la comunità di Dimenticati di Londra. E poi, hai visto quanto era enorme quella donna? Scommetto che è mezza orchessa.»
«E allora cosa facciamo? Come scopriamo dov’è Paul?»
Solomon si accarezzò il pizzetto, riflettendo qualche istante. Poi, all’improvviso, disse: «Ho un’idea.»
Azaele se ne rallegrò. «Uh, menomale!»
 «Ma tu dovrai tirarmi un pugno.»
«Cosa!? E perché?»
«Perché sarebbe poco credibile che un gentleman picchiasse un rude lupo di mare in mezzo alla strada, no? Cerca solo di non rompermi il naso.»
Visto che però il demone esitava, Solomon sbuffò: «Andiamo, lo so che non vedevi l’ora di farlo!»
«Solomon, fatti venire un’altra idea, perché io non ti prenderò a pugni!»
«E allora non troveremo mai Paul» replicò lo stregone, asciutto. «O Arabella. Il Dannato continuerà a seminare morte, e sarà ancora una volta solo colpa tua! Ma tanto ormai ci sei abituato, no? Per te i fallimenti sono all’ordine del giorno.»
Azaele si fece scuro in viso. «Smettila, non sei divertente.»
«Non fai che combinare pasticci» continuò Solomon, in tono severo. «Ti fai sfuggire le anime infernali, condanni giovani donne alla dannazione eterna per un capriccio. Non mi meraviglia che i tuoi genitori si siano sbarazzati di te: come demone fai pena, figuriamoci come saresti stato da angelo…!»
Il cazzotto che arrivò subito dopo non lo colse di sorpresa, ma l’impatto fu più violento di quanto avesse premeditato e lo mandò dritto a terra.
Azaele afferrò Solomon per la giacca, gli occhi accesi da un feroce bagliore rosso e i canini affilati in mostra. «Rimangiati tutto, immediatamente!»
«Mi creda, signore, le sto dicendo la verità!» esclamò Solomon, infondendo nella voce la giusta dose di terrore. «Non conosco questo Paul Everett! Non so dove sia, né cosa abbia fatto per farla arrabbiare! Ma non mi faccia del male, la prego!»
Malgrado la furia omicida, Azaele lo fissò sbalordito. «Ma che stai dicendo?!»
Nel frattempo, come Solomon aveva previsto, molte teste si erano affacciate alle finestre, e una piccola folla si era riunita in strada per assistere al loro show. Con la coda dell’occhio, lo stregone vide una ragazza uscire dal Pozzo delle Fate e poi sgattaiolare furtiva tra i passanti.
«Ha funzionato» mormorò, soddisfatto. «Ora puoi lasciarmi.»
«E credi di potertela cavare così?»
«Azaele, vuoi trovate Paul o no? Dobbiamo seguire quella ragazza. Ci condurrà dritti da lui.»
Con una smorfia, il demone mollò la presa, e Solomon poté rialzarsi. Sentiva lo zigomo destro in fiamme, ma bastò passarvi sopra la mano perché livido e dolore svanissero. «Ottima performance, comunque. Molto convincente.»
«Sei un pezzo di merda.»
«Ferisce più la spada. Ora muoviamoci, prima che faccia perdere anche lei le sue tracce.»
 
Grazie al legame telepatico con Wiglaf, che Solomon aveva lasciato a svolazzare nei paraggi, fu semplice raggiungere la giovane prostituta; lui e Azaele si acquattarono dietro un angolo, e la videro entrare in un caseggiato affacciato su una deserta George Yard.
Dopo aver aperto la porta con la magia, stregone e demone percorsero un corridoio buio e fatiscente. Fecero in tempo a vedere l’ultima porta sulla destra chiudersi e seppero che era quella giusta. Si appostarono ai lati dell’entrata, in allerta, dopodiché si scambiarono uno sguardo d’intesa e fecero irruzione.
L’appartamento era umido e freddo, e una muffa lanuginosa incorniciava le finestre, da cui entrava la luce bigia dei lampioni. La stanza principale era disadorna, fatta eccezione per un tavolo su cui erano visibili chiazze scure.
«Guarda» bisbigliò Azaele, indicando qualcosa che pendeva dal soffitto: ceppi di metallo arrugginito, attaccati a spesse catene.
Un brivido gelido corse lungo la spina dorsale di Solomon. Ne aveva viste tante di cose terribili nella sua vita, ma il pensiero di cosa potessero servire lo fece inorridire. «Pare che abbiamo trovato l’antro del mostro.»
«Aspetta, non saltiamo a conclusioni affrettate…»
«Per la barba di Merlino, Azaele, di quante altre prove hai bisogno? È esattamente il genere di posto dove porterei le mie vittime, se fossi Jack Lo Squartatore! Isolato, vicino ai luoghi degli omicidi…»
«Va bene, ma…»
Solomon prese a far su e giù per la stanza. «E la ragazza? Quella del Pozzo delle Fate? È la sua complice, quella che ha acquistato gli oboli dal rigattiere! Una Dimenticata, che forse ha ereditato qualche talento magico…»
Azaele fece saettare lo sguardo dietro di lui. «Ehm, Solomon…»
«Il nostro Paul le ha offerto qualcosa in cambio del suo aiuto» andò avanti Solomon, tutto preso dalle sue deduzioni. «Denaro, un qualche tipo di riscatto sociale…oppure, è bastato fare leva sul suo fascino da ragazzo della porta accanto…»
«Solomon.» Azaele lo afferrò per la spalla e lo costrinse a fermarsi. «Forse dovremmo chiederlo direttamente a lei
Nella stanza era apparsa una giovane donna, e malgrado gli stracci che aveva indosso, era quasi sicuramente la più bella che Solomon avesse mai visto: aveva una criniera di riccioli viola e grandi iridi dorate, la pelle color bronzo e zigomi così perfetti da sembrare scolpiti. Distratto com’era dalla sua avvenenza, Solomon non aveva quasi fatto caso alla sinuosa coda nera da gatto che sbucava sotto la sua gonna.
«E voi due chi cazzo siete?» sbottò lei, portandosi le mani ai fianchi.
«Non ha importanza» rispose Solomon. «Siamo qui per Paul Everett. Sappiamo che lo stai nascondendo.»
Gli occhi dorati della ragazza si strinsero. «Non so di cosa parliate.»
«Ti abbiamo seguita. Sei corsa qui non appena hai sentito che qualcuno stava cercando Paul, per avvertirlo. Ma puoi smetterla di fingere: abbiamo capito chi è realmente, e intendiamo riportarlo da dove è venuto, prima che faccia del male a qualcun altro.»
«Ma che stronzate vai dicendo?!» esclamò la ragazza. «Paul non ha mai fatto del male a una mosca!»
«Le cinque donne che ha brutalmente ucciso la penserebbero diversamente» ribatté Solomon. «E chissà quante altre ne ha portate qui per torturarle, appese a quelle catene!»
La ragazza-gatto lo fissò, sbigottita. E poi, completamente senza alcuna logica, scoppiò a ridere.
Solomon si risentì. «Vorrei proprio sapere che ho detto di divertente!»
«Oh, per le corna di Oberon» esalò la ragazza. «Siete degli idioti!»
«Prego!?»
«Non avete capito un cazzo di niente. Paul non è Jack Lo Squartatore!»
Azaele e Solomon si scambiarono un’occhiata interdetta, poi il demone chiese: «E allora, quelle catene a cosa servono?»
Il viso della ragazza si rattristò. «Servono a lui.»
In quell’istante, si udì un suono lungo e lamentoso, da far accapponare la pelle. Solomon, Azaele e la ragazza-gatto si guardarono.
«Ha bisogno di me» mormorò lei, con voce tesa. «Sentite, qualsiasi cosa vogliate da Paul, non è un buon momento per…»
Il lamento si fece sentire di nuovo, e subito dopo il suono di qualcosa che cadeva, che andava in frantumi, che colpiva il pavimento…
«Santo cielo!» esclamò la ragazza-gatto, e si precipitò nella stanza da cui era venuta. Senza avere la più pallida idea di cosa stesse succedendo, Solomon e Azaele decisero di seguirla.
Si ritrovarono in una camera da letto a soqquadro: il vetro della finestra in pezzi, il pavimento invaso da cuscini sventrati e piume che danzavano leggere nel freddo. La carta da parati era ridotta a brandelli, come lacerata a colpi di coltello.
Paul Everett si contorceva in un angolo, le braccia immobilizzate da una camicia di forza, e ragliava come un animale agonizzante. La ragazza-gatto era accucciata vicino a lui.
«Oh, tesoro» sussurrava, accarezzandogli i capelli fradici di sudore. «Lo so che fa male, ma ci vuole qualche ora perché faccia effetto.»
In risposta, Paul batté con forza la fronte contro il muro.
«Ma che cosa gli prende?» chiese Azaele, angosciato. «Perché fa così?»
La ragazza-gatto scagliò su di loro un’occhiata torva. «Fa così ogni volta che c’è la luna piena! Potrebbe trasformarsi e basta, ma non vuole rischiare di fare del male a qualcuno, e si condanna a una sofferenza atroce!»
La verità colpì in pieno Solomon, come uno schiaffo. «È un licantropo.»
La ragazza-gatto sbuffò. «Bravo, genio. Ci sei arrivato!»
«Come riesce a contenere la metamorfosi?» domandò lo stregone, avvicinandosi con prudenza. Non credeva di aver mai visto qualcosa di simile: dalle gengive snudate del ragazzo fuoriuscivano zanne affilate e viscide di bava, serrate in un ringhio sofferente. I suoi occhi erano iniettati di sangue, e una leggera peluria bruna gli copriva le guance.
«Grazie alla mia pozione» spiegò la donna-gatto. «L’ho trovata su delle pagine di grimorio, comprate da uno stracciaiolo al Mercato Nero dell’Occulto: un half-gobelin del cazzo, me le ha fatte pagare un occhio della testa!»
Intanto, Paul continuava a dimenarsi e a gemere. «Melina! Ti prego, fallo smettere!»
«Sono qui, tesoro» disse la gatta. «Resisti, tra poco starai meglio.»
Solomon si impose di rimanere sul razionale. «È impossibile che sia riuscito a tirare avanti così da solo: chi ci garantisce che non sia stato lui ad aggredire quelle donne? Il tavolo nell’altra stanza è macchiato di sangue…»
«È macchiato di vernice!» soffiò Melina. «Paul è un pittore! Tu, marinaio, tira giù quel panno!» 
Azaele si avvicinò a un ammasso informe poggiato contro il muro e tirò via il lenzuolo che lo copriva. «Oh!»
Tele. Dozzine di tele dipinte, incisioni, ciascuna con un soggetto diverso: un tramonto infuocato su Westminster, i Giardini di Kensington avvolti nella bruma del mattino, barconi che galleggiavano malinconici lungo il Tamigi. Molti raffiguravano figure umane, proletari, fioraie, prostitute…diversi schizzi a carboncino ritraevano Arabella, cogliendo ogni sfumatura del suo umore…
«Sono splendidi» commentò il demone. «Paul, sei praticamente il nuovo William Turner!»
Il ragazzo rispose con un grugnito, e si accasciò stremato sul pavimento.
«Bene» concluse bruscamente Melina. «Ora che abbiamo appurato che siete due incompetenti, che ne dite di aiutarmi a rimetterlo a letto?»
Issarono Paul e lo fecero stendere sul giaciglio. Solomon gettò su di lui un incantesimo per aiutarlo a dormire e, lentamente, il poveretto scivolò in un sonno agitato.
«Non può continuare così» disse lo stregone. «Quella pozione che gli somministri, fammi dare un’occhiata alla ricetta.»
Con reticenza, la ragazza-gatto infilò una mano nella scollatura ne tirò fuori dei fogli ripiegati. «Gliela devo somministrare ogni mezzora.»
Solomon esaminò le pagine, ingiallite e rovinate, e scosse la testa. «Come pensavo: è una ricetta vecchia di almeno quattro secoli. Non mi stupisce che ci metta tanto ad agire.»
Melina lo guardò truce. «Questo è quello che passa il convento! Tu sei in grado di fare di meglio, cervellone?»
«Ovviamente» replicò Solomon, con sussiego. «Il Cerchio d’Oro ha perfezionato la Lozione Versipellis tempo fa, in modo da eliminare totalmente il dolore e ridurre il dosaggio a sole due volte al giorno.»
A quelle parole, lo sguardo della ragazza divenne di ghiaccio. «Capisco» sibilò, facendo ondeggiare pericolosamente la coda. «Sei uno di quegli spocchiosi bacchetta magica-nel-culo di Arcanta!»
«Ti consiglierei di moderare il linguaggio, non si addice a una signorina. E poi, i maghi non usano più le bacchette…»
«Fanculo!» sputò Melina, furiosa. «Se Paul è in queste condizioni da quando è nato, la colpa è solo dei vostri Decani! Voi maghi ad Arcanta a godervi i benefici della magia…e noi altri costretti a racimolare quel poco che avete lasciato!»
Azaele inclinò il capo. «Non ha mica tutti i torti, sai?»
Melina si fermò a un palmo da Solomon, e puntò gli occhi felini nei suoi «Dimmi un po’, stregone, ti sei mai chiesto cosa significa vivere nel mondo reale? Essere considerati rifiuti della società, costretti a tirare fuori gli artigli per sopravvivere? Ogni sera mi esibisco al Pozzo delle Fate, per un branco di porci bavosi, credi sia divertente? Che alle ragazze morte piacesse vendersi per la strada? Ma a voi di Arcanta cosa ve ne frega dei problemi che quelli come noi affrontano ogni giorno? Della fame, delle malattie, degli abusi!»
Con le spalle al muro, lui cercò argomenti validi con cui controbattere, ma non ne trovò. Tutto ciò che riuscì a borbottare fu: «Non faccio io le regole ad Arcanta.»
«Già. E perché mai alzare un dito per cambiarle, eh?»
«Sentite» intervenne Azaele, mettendosi in mezzo. «Perché non ci calmiamo e proviamo a collaborare? Vi ricordo che abbiamo ancora un paio di cosette da risolvere: tipo un Dannato pazzo e assassino, una ragazza rapita, un licantropo in crisi da luna piena…»
«Hai ragione» disse Solomon, rigidamente. «Direi che siamo di nuovo in un vicolo cieco. Bisogna farsi venire in mente qualcosa, ma prima, pensiamo a Paul. Gli preparerò una Versipellis come si deve. Puoi procurarmi gli ingredienti che mi servono?»
Melina annuì, senza tuttavia abbandonare il cipiglio scontroso.
«Ottimo!» esclamò Azaele, vivace. «Visto? Alla fine, basta poco per andare d’accordo!»
 
Circa un’oretta più tardi, Solomon era chino su un paiolo sospeso sopra un focolare incrostato di fuliggine, intendo a mescolare spezie, sali e radici triturate. Una volta pronta, la Versipellis aveva assunto un color oro pallido e rilasciava corpose volute di vapore.
«Ecco» disse lo stregone tornando da Melina, che vegliava su Paul seduta sul bordo del letto come una sfinge. «Con questa riuscirà a sopportare gli effetti della luna piena senza doversi ammanettare. Ti ho scritto la nuova ricetta, cerca di non smarrirla.»
La gatta prese la tazza e il taccuino che lui le porgeva, restando sulla difensiva. «Perché ci stai aiutando, stregone?»
«Non lo so» ammise lui, con franchezza. «Forse perché sono un iperattivo, e il mio cervello ha bisogno di essere sempre al lavoro. Oppure, perché neppure io sopporto quello che la Cittadella ha fatto alla magia.»
«Non mi dire» fece lei, scettica. «Sì, deve essere proprio terribile avere tutto ciò che si vuole con uno schiocco di dita.»
«Non ha senso avere tutto se vivi da prigioniero» obiettò lo stregone. «Sono dell’idea che tenere la magia sottochiave sia un crimine. Così come lo è disprezzare chi è diverso.»
Gli occhi dorati della gatta lo sondarono in profondità, come se fosse indecisa se credergli o meno. In quell’istante, Paul si mosse sotto le coperte, e mugugnò: «Ara..bella…»
«Avevi ragione» osservò la gatta. «Sembra che stia meglio. Sogna, addirittura.»
Solomon si guardò attorno. «Dov’è finito Azaele?»
«È volato sul tetto» rispose Melina. «Credo volesse restare un po’ da solo.»
E adesso che diamine gli piglia a quell’altro?
«Vado a sentire che cos’ha.»
Uscì dalla finestra e usò un incantesimo di levitazione per librarsi fino al tetto. Azaele era seduto sullo spiovente, coi gomiti poggiati sulle ginocchia, le ali nere piegate sulla schiena e lo sguardo che vagava lontano. Solomon gli si fermò accanto. «Si può sapere che succede?»
Il demone sospirò. «Succede che avevi ragione, prima.»
Lo stregone inarcò un sopracciglio, perplesso. Poi, capì. «Oh. Ti riferisci a quando ti ho provocato per indurti a colpirmi. Ammetto di esserci andato giù pesante, ma tu non ti decidevi…»
«Be’, hai toccato le corde giuste» disse Azaele. «E non sai quanto ti odio per questo.»
Solomon si sedette accanto a lui. «Per quel che può valere, ti conosco troppo poco per pensare davvero quelle cose. E non è colpa tua se ci troviamo in questa situazione.»
«Ma ho comunque le mie colpe» mormorò Azaele. «Le ho verso Alba.»
Lo stregone tacque, a disagio. Quella aveva tutta l’aria di essere una conversazione cuore a cuore, e lui non era sicuro di volerla gestire. Quasi rimpiangeva di non essere rimasto di sotto…
Azaele trasse un altro sospiro triste. «Per colpa mia, la sua anima non potrà mai accedere al Paradiso, e sarà condannata a reincarnarsi in eterno, senza possibilità di perdono. Sono passati secoli da allora, ma ancora non riesco a darmi pace per questo.»
«Be’, ti sei innamorato» borbottò Solomon. «Persino a una creatura millenaria è concesso avere delle debolezze, di tanto in tanto.»
Azaele lo guardò. «Quindi, ne sei ancora convinto.»
«Di cosa?»
«Che i sentimenti umani siano debolezze. È per questo che in tutti questi anni non hai mai cercato una compagna?»
«Non era di questo che stavamo parlando.»
«Ma ne stiamo parlando adesso.»
«Ho cose più importanti a cui pensare» tagliò corto lo stregone. «Accumulare più conoscenze, diventare più potente, spodestare i Decani…»
«Ti stai condannando a un’esistenza molto infelice, lo sai? Voglio dire, non sarete millenari, ma anche voi maghi vivete a lungo.»
«Non sarebbe la prima cosa che ho dovuto sacrificare» replicò Solomon, con voce spenta. «E poi, niente dura per sempre. Soprattutto l’amore.»
«Il mio amore per Alba sì!» replicò Azaele, con fervore. «So di aver commesso un errore, ma i pochi momenti che ho trascorso insieme a lei sono stati i più felici della mia intera esistenza. E sono disposto ad attraversare gli oceani del tempo pur di ritrovarla!»
«Bella frase. Qualcuno dovrebbe metterla in un romanzo.»
«Un giorno, riuscirò a salvare la sua anima» disse il demone e, nei suoi occhi, Solomon scorse ancora una volta quel bagliore infuocato. Ma era un fuoco diverso, stavolta: non ardeva di rabbia, ma di determinazione. «Anche a costo di dover rinunciare a lei per sempre. Ma espierò i miei peccati, e le donerò il Paradiso.»
Solomon restò in silenzio per un momento, osservando la città sotto il tenue chiarore argenteo della luna. Non era d’accordo con la maggior parte delle sue affermazioni, ma una parte di lui iniziava a nutrire un sincero rispetto per quella strana creatura. Era la parte di sé che aveva sempre fatto di tutto per soffocare, sotto strati di presunzione e cinismo; eppure, anche a distanza di anni, quel frammento stropicciato di anima continuava a soffrire la mancanza di Jonathan, a custodirne gelosamente il ricordo, in un vecchio orologio da cui non riusciva a separarsi...  
«Di sicuro ci riuscirai.»
Il demone sorrise con riconoscenza, ma ad un tratto, un bagliore nel cielo richiamò l’attenzione di entrambi: qualcosa di splendente era appena sfrecciato sopra i tetti di Londra, perdendosi in pochi attimi tra i cordoni di fumo delle ciminiere.
«E quello cos’era?»
Azaele scattò in piedi. «Una cometa! Deve essere il segnale di Michele!»
«Di che accidenti stai parlando?»
Azaele si voltò a guardarlo, con un sorriso raggiante. «Ti ricordi del mio amico, quello ai Piani Alti? Gli ho chiesto di rintracciare le anime delle donne assassinate: deve averci parlato, e forse è riuscito a scoprire qualcosa sull’assassino!»
Lo stregone ci rimase di sale. «E me lo vieni a dire solo adesso!?»
«Be’, ecco, non ero sicuro che ci sarebbe riuscito…Lassù sono molto più efficienti di noi all’inferno, però sanno essere parecchio rigidi sulle procedure…»
Solomon ormai aveva perso le speranze. «Almeno finalmente ci troveremo per le mani qualcosa di utile!»
Raggiunsero Melina per aggiornarla sulle novità.
«Quindi, un angelo, un vero angelo, ci rivelerà l’identità di Jack Lo Squartatore?» concluse alla fine, esterrefatta.
«Cosa che avrebbe potuto fare sin da subito» polemizzò Solomon. «Ci saremmo risparmiati un bel po’ di figuracce!»
«Dovrò incontrarlo fuori Londra, lontano dal controllo del suo supervisore» spiegò Azaele. «Quel vecchiaccio di Ysrafael sa essere una vera palla al piede. Posso lasciare voi due soli un’oretta senza che proviate ad accoltellarvi?»
Lo stregone e la gatta si lanciarono uno sguardo bieco. «Ci proveremo.»
«Bene, meglio di niente.»
Mentre il demone spiegava le ali e si apprestava a partire, Melina gli si avvicinò. «Sai, il tuo amico potrebbe anche essere carino, se non si impegnasse tanto per fare lo stronzo.»
Azaele alzò gli occhi al cielo. «Scommetto che glielo dicono tutte!»
Rimasti soli, Solomon e Melina andarono a controllare Paul, ma una volta appurato che stesse dormendo beatamente, si ritrovarono seduti sul letto di lei, in silenzio e senza sapere come impiegare il tempo. Così, come era prevedibile in situazioni del genere, in cui un uomo si trova in una camera da letto con una bella donna, a Solomon venne in mente di proporre: «Ti andrebbe una partita a scacchi?»
Dopo un’iniziale confusione, lei alzò le spalle. «Perché no. Ma non abbiamo una scacchiera.»
Solomon rovistò sotto la giacca e ne estrasse una scatolina di legno. La aprì come fosse un foglio di carta ripiegato e, in men che non si dica, ebbe tra le mani un set di scacchi al completo.
«Fammi capire» disse Melina, mentre lui disponeva con cura le pedine sulla tavola. «Te ne vai giro con una scacchiera in tasca?»
«Te l’ho detto: ho un cervello iperattivo. Io prendo i Neri, tu i Bianchi. Prego, a te la mossa.»
Per un po’ rimasero concentrati sulla partita, ma poi, spinto dalla curiosità, Solomon chiese: «Perché ti prendi cura di Paul? Che tipo di relazione avete? Siete amanti?»
Melina gli riservò un’occhiataccia, mentre mangiava il suo pedone. «È praticamente mio fratello! Siamo tutt’e due orfani, cresciuti insieme da un’amica di mia madre. Era una strega decaduta.»
«Questo spiega la tua predisposizione per le arti magiche.»
«La vecchia Babette aveva vissuto per anni a Parigi» raccontò la gatta. «È stato lì che ha conosciuto mia madre: lei era una Bastit, una delle ultime donne-gatto d’Egitto. S’innamorò di un soldato e decise di seguirlo in Europa, dove però lui aveva già una moglie e dei figli. Scelta molto stupida.»
Con un paio di mosse, gli diede scacco matto. «Perciò, sto molto attenta a non innamorarmi: gli uomini sono tutti bugiardi. E soprattutto, mi rifiuto di andare coi soldati.»
Dal suo giaciglio, Paul emise una serie di borbottii e pronunciò un altro paio di volte il nome di Arabella. Melina sospirò.
«Paul non potrebbe essere più diverso da me» disse. «È maledettamente romantico, uno di quelli che per amore commetterebbero follie. Gliel’ho sempre detto che così facendo si sarebbe messo nei guai, ma non mi ha mai dato retta. Deve essere per questo che non mi ha detto niente di questa ragazza misteriosa di cui si è invaghito.»
«Probabilmente perché sa che hai ragione» convenne Solomon. «Azaele può anche schierarsi dalla loro parte, ma resta il fatto che Paul, malgrado il talento, è un ragazzo dei bassi fondi, e che lady Waldegrave ha già pensato a sistemare la figlia…»
«Cosa!?» Melina strabuzzò gli occhi e fece cadere alcune pedine. «Waldegrave hai detto? Arabella è la figlia del comandante Charles Waldegrave!?»
«Be’, figliastra» rispose Solomon, confuso. «Perché, lo conosci?»
Melina fece una smorfia di puro disgusto. «Quel vecchio maiale passa più tempo al Pozzo delle Fate che a servire il suo Paese! Si vanta di essere un buon cristiano, e poi gli piace seviziare Pixie, Fauni e Sirene! Ci ha provato pure con me, ma gli ho dato il ben servito!» Scoprì i canini appuntiti in un ghigno ferino. «Scommetto che dice a tutti che quella cicatrice sull’occhio se l’è fatta in guerra!»
Solomon però stava ascoltando solo in parte, colto da una folgorazione.
«Una delle possibili armi usate dall’assassino era una baionetta» sussurrò, tra sé. «Avevo scartato l’ipotesi che potesse trattarsi di un soldato ma…»
Scattò in piedi, come se avesse preso la scossa. «Devo andare!»
Melina lo fissò a bocca aperta. «Ma Azaele ha detto di aspettarlo qui. Potrebbe tornare da un momento all’altro con l’identità dell’assassino…»
«Non c’è tempo!» esclamò Solomon, afferrando in fretta bastone e soprabito. «Se ho ragione, Arabella potrebbe morire questa notte stessa!»
«Cosa!?»
«Il rituale! Quello per cui occorrono gli organi di cinque persone diverse: sapevo di averne già sentito parlare, ma non riuscivo a ricordare dove… poi, grazie a te, mi è tornato in mente! È un’antica liturgia egizia, legata alla reincarnazione! E veniva effettuata l’ultima notte di luna piena!»
Melina scosse la testa, orripilata. «Il Dannato, quello di cui parlava Aza…vuole riottenere il suo corpo, non è così?»
«Gli mancano solo due pezzi» rispose Solomon, ragionando in fretta. «Occhi e cuore. E se questo è l’ultimo plenilunio, vuol dire che intende estrarli stanotte.»
«Ma cosa c’entra Waldegrave in tutto questo?»
«Waldegrave ha portato dall’Egitto il Libro dei Morti» spiegò Solomon. «Sono stato un idiota a non esserci arrivato prima! E adesso, il Dannato ha tutti gli strumenti per poter tornare in vita. Sono certo che la storia degli oboli celtici era un modo per depistarci.»
Melina lo guardò dritto negli occhi. «Vuoi andare ad affrontare Waldegrave da solo?»
«Non posso aspettare il ritorno di Azaele» rispose Solomon, deciso. «Potrebbe essere già troppo tardi. Te la senti di rimanere qui da sola? Paul per ora è troppo debole per difenderti.»
Melina assunse un’espressione dura, e aprì la mano di scatto, mostrando un ventaglio di artigli affilati. «Me la caverò.»
Solomon annuì, dopodiché si affrettò a raggiungere la porta.
«Stregone» disse Melina, prima che uscisse. «Sii prudente.»
Lui le offrì un sorrisetto scaltro e si dileguò nella notte.


 


Lo so, lo so, lo so!
Ci ho messo un'era geologica ad aggiornare.
E lo so, avevo detto che questa mini-long sarebbe stata di soli tre capitoli.
Ma io sono un po' come Solomon Blake: fate male a fidarvi di me! ;)
Scherzi a parte, il 2024 è iniziato con una sfiga dopo l'altra, che mi hanno portato via non solo un sacco di tempo ma anche di energie. 
Ho deciso di aggiungere un ulteriore capitolo perché altrimenti questo rischiava di diventare chilometrico, e nel finale succederanno un sacco di cose a cui voglio dare il giusto spazio!


Spero davvero di riuscire a dare una degna conclusione a quest'avventura in tempi brevi.

Un caro saluto a tutti e un grazie speciale a chi ha letto e soprattutto commentato! <3

 
  
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