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Autore: Little Firestar84    06/02/2024    2 recensioni
Robert e Georgia: due amici che hanno sempre condiviso tutto, complici nella vita tanto quanto nel lavoro. Fino a che l'equilibrio mentale di Bobby viene sconvolto dalla scoperta che Georgia aspetta un bambino - ed è stato lui a presentarle il futuro padre, che di essere messo in mezzo non ne vuole proprio sapere.
Come cambierà il rapporto tra i due storici amici, ora che un terzo fattore si è messo in mezzo?
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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“Allora, cos’hai per me, Doc?” Georgie indossò i guanti chirurgici mente, il completo coperto da un camice monouso, si avvicinava alla sacca da cadavere che il medico legale si apprestava ad aprire; il dottor Yates - Robert - era suo amico da quando aveva smesso di fare l’agente di pattuglia ed era diventata investigatore.

Erano passati pochi anni, eppure, a volte sembrava che si conoscessero da una vita, ed avevano un rapporto così saldo che spesso e volentieri chi non li conosceva bene li scambiava per una coppietta di innamorati. 

“Oh, gli ho dato una sbirciatina prima e posso dirti che è davvero interessante. Non c’è nulla da fare per me ma i tuoi amici della Scientifica andranno a nozze con questo. Guarda qui.” Con estenuante lentezza, Bobby aprì la zip della sacca, da cui uscì un odore nauseabondo; i lati della sacca si afflosciarono, lasciando colare sulla barella un liquido marrognolo su cui galleggiavano ciuffi rossi, grumi giallognoli imputriditi e quelle che sembravano essere le estremità di ossa. 

Georgia dovette voltarsi e tapparsi il naso, nauseata a dismisura dalla vista ma soprattutto dall’odore, che sembrava entrarle dentro: non era mai stata una troppo delicata, ma forse questa era stato troppo anche per lei. 

“Cos’è, ieri sera ci siamo scolati un Martini di troppo, dolcezza?” Bobby ridacchiò, ma smise subito quando, la mano a coppa sulla bocca, Georgie corse verso il più vicino cestino dei rifiuti, e si chinò su di esso, inginocchiata a terra, e vomitò rumorosamente. 

“Cazzo,” La donna borbottò, passandosi una mano sulla fronte imperlata di sudore. Andò al piccolo lavandino nell’angolo, fece scorrere l’acqua e si lavò viso e bocca, tamponando la pelle con un pezzo di carta. “Scusa. Ieri devo aver mangiato qualcosa che non va molto d'accordo coi cadaveri in avanzato stato di putrefazione, e sono a pezzi e con un malditesta che mi smebra mi stiano trapanando la testa…”

Georgie provò a ridere, ma appena gli occhi le acdderso sul borsone ebbe un altro attacco di nausea, e senza aspettare che lei gli chiedesse nulla, Bobby sporse verso di lei una bacinella di acciaio e vomitò di nuovo. 

“Scusa,” si morse il labbro, imbarazzata, incapace di guardare Bobby negli occhi. “Sto male da quando mi sono svegliata. Speravo che mi passasse ma forse mi sono presa un qualche virus…” 

“Vuoi qualcosa di caldo?” Bobby le domandò, abbassando la mascherina chirurgica e togliendosi rumorosamente i guanti. “Il caffè è ancora bollente, lo ha fatto Loretta solo qualche minuto fa e…”

Solo a sentire quella parola, Georgie divenne verde palude e dovette coprirsi la bocca; improvvisamente, la testa le girò, e si appoggiò al muro, lasciandosi scivolare a terra. 

Bobby fu immediatamente al suo fianco; le toccò la fronte, ma era fredda, non certo calda, ma aveva un pessimo aspetto.  

“Esci ancora con Derek?” Le domandò. Solo alcune settimane prima, aveva scoperto casualmente che uno dei suoi colleghi di Medicina Legale aveva iniziato a frequentare la sua migliore amica, e la cosa non lo entusiasmava di certo - Derek era un ottimo elemento, capace ed intelligente e con una mente a dir poco brillante, ma un coglione, bravo a sedurre le donne e convincerle della sua buona fede, ma sempre un coglione. “Da quanto stai così?”

“Cosa?” Gli domandò, boccheggiando. 

“Quando hai avuto le ultime mestruazioni?” Rincarò la dose, mentre le arrotolava la manica della camicetta ed afferrava una siringa che aveva messo da parte per prelevare dei campioni. 

“Ma che….” Lei gli chiese, sentendo ancora il sapore di bile, acido e cibo andato a male in bocca. 

“Sei stanca, hai mal di testa, nausea, non sopporti la vista di un cadavere, cosa che non ti ha mai traumatizzato, e solo sentire nominare il caffè ti sconquassa lo stomaco. E no, non ho sentito di virus intestinali in giro.”

“No,” La donna negò, occhi sbarrati. “No, io… Derek ed io ci siamo lasciati da settimane, da, tipo, un mese e prima ho sempre avuto il ciclo e…!”

“E quindi potresti essere incinta di un mese circa, il che sarebbe consono ai sintomi che stai dimostrando.” Bobby le sorrise, dolce, ma Georgie poteva vedere un’ombra di preoccupazione sul suo volto- o forse, qualcos’altro, ma non capiva cosa potesse essere.

“Bobby, prendo la pillola!” La donna sibilò, a voce bassa, guardandosi intorno. “Non posso essere incinta!”

“Guarda che basta aver dimenticato di prenderla una sera, o prenderla dopo, o aver preso anche solo uno sciroppo per la tosse per…”

“SCIROPPO?” La donna gridò, la voce acuta e strillante, balzando in piedi e tremando come una foglia. 

“Sì, non tutti i tipi ma alcuni contengono sostanze che potrebbero influenzare il corretto funzionamento di alcuni tipi di pillole anticoncezionali, soprattutto quelle più vecchie e…” Georgie scivolò di nuovo a terra, piagnucolando. “E qualcosa mi dice che tu prendi lo stesso tipo di pillola da tanti anni e hai preso dello sciroppo per la tosse.” 

Georgie si limitò a fare cenno di sì col capo.

 “Tesoro, ascolta, stasera analizzo questo campione e così vedremo cosa c’è che non va, ma.” Bobby sospirò, mettendosi accanto a georgie e lasciandole appoggiare il capo sulla sua spalla. “Ma se sarà positivo, promettimi che non avrai crisi isteriche e che affronteremo questa cosa insieme, va bene?”

“Promettimi che non lo dirai a nessuno,” Georgie emise un suono - quasi un rantolo- e serrò gli occhi. “Solo… solo per un po’. Fino a che non saranno passati i primi mesi.”

“va bene,” le disse, baciandole la fronte. “Come vuoi.”

 

    Bobby corse in ospedale non appena aveva visto il messaggio sul cellulare; era arrivato ore prima, ma era stato nel bel mezzo di un’autopsia e non lo aveva minimamente notato. Poche righe, poche parole, anzi,  eppure aveva capito fin troppo bene cosa fosse successo. 

Nel bel mezzo di un’operazione, Georgie era stata colpita in pieno petto da un proiettile. 

Si presentò in pronto soccorso, mostrando il suo tesserino, mentendo però sul fatto di essere il medico della giovane detective; una giovane infermiera lo aveva fatto parlare con il medico di turno in pronto soccorso, che grazie al cielo lo conosceva, che gli aveva spiegato l’accaduto e perché stessero tenendo la giovane donna in osservazione, in via del tutto eccezionale.

“La tua amica è stata fortunata, Robert.” Lo consolò, mostrandogli un’ecografia. “Il giubbotto antiproiettile ha assorbito l’impatto, ha incrinato leggermente una costola è starà male, ma per il resto sembra tutto a posto.” 

“Quello è il minimo,” Bobby scherzò, scrollando le spalle, allungando le dita per sfiorare la stampa, quasi la cosa potesse rassicurarlo ulteriormente sulla salute della sua amica. “Non è il primo proiettile che si becca. piuttosto, mi chiedevo se…”

“Stanza quattrocentosei, Bobby,” La donna lo rassicurò, sfiorandolo dolcemente con fare materno. “Perchè non vai a chiederglielo tu stesso?”

L’uomo fece cenno di sì col capo; si avvicinò alla porta, i piedi pesanti come pezzi di metallo fuso al terreno, quasi faticava ad andare avanti; il comportamento della sua mentore lo incoraggiava, ma poteva essere davvero certo di aver letto bene tra le righe?

Ingoiò a vuoto, e bussò alla porta, solo per entrare senza essere minimamente invitato. 

Lei era lì, piccola e fragile, pallida- sommersa dalle lenzuola. 

“Ehy,” le si avvicinò, esitante, ed allungò la mano verso di lei, stringendo quella piccola e liscia di Georgie nella sua. “Come va?”

“Sai che sono già di dieci settimane?” Gli domandò, sorridente, arrossendo lievemente, ma Bobby potè sentire una certa nota di preoccupazione nella sua voce- quasi non fosse stata la poliziotta tutta d’un pezzo che aveva sempre conosciuto, ma solo una ragazza, fragile  e sola.  “Il giubbotto ha assorbito l’impatto, ma mi rimarrà un bel livido, e la piccola sta bene. La dottoressa mi ha detto che se avevo dei dubbi, ho fatto bene a venire.”

“Georgie…” Si sedette al suo fianco, e le strinse la mano con quanta più forza aveva in corpo. “Georgie,  devi dirlo al tuo capo, non puoi continuare a lavorare sul campo.” 

“Lo so, ma voglio aspettare il secondo trimestre, nel caso…”

“No!” Bobby balzò in piedi, era furibondo, e a malapena riusciva a controllarsi. La sedia cadde a terra, e la giovane infermiera si affacciò alla porta, per vedere cosa stesse accadendo, ma le sembrò solo di vedere una coppietta che stava avendo un litigio- uno forse dettato dagli ormoni- e se ne andò, chiudendosi la porta alle spalle. “Avresti potuto perdere il bambino, e lo sai anche tu! O lo dici al tuo capo, o sarà il tuo medico a comunicarlo!”

“Non lo faresti mai…” La donna sibilò. “Non hai il diritto di farlo, Robert.” Sibilò l’ultima parola - il suo nome, per intero, che usava solo quando era furibonda con lui per qualcosa o lo voleva prendere in giro.

“Stai a vedere.” Bobby si scrollò la mano di lei di dosso, e si voltò. Uscì dalla stanza, sbattendo la porta alle sue spalle, odiando tanti, tutti. 

Georgina, che non era sua, e aspettava un figlio da un altro. 

Trevor, che l’aveva messa incinta, l’aveva illusa, solo per tornarsene poi dalla sua ex. 

Il mondo. 

La vita. 

La sua incapacità di ammettere con chiunque - sé stesso in primis - che forse lei era sempre stata qualcosa di più per lui. 

E che ora era troppo tardi per farsi avanti. 

 

Georgie era seduta alla sua scrivania quando, due settimane dopo, Bobby la raggiunse; si sistemò sulla sedia davanti a lei, le caviglie incrociate, e le allungò un bicchiere termico, che lei prontamente rifiutò. 

“Se è quella schifezza con latte di soia e decaffeinato che mi fai trovare tutte le mattina davanti casa, evitalo. Mi ha fatto tornare le nausee mattutine.”

“Scusa,” Bobby ammise, cercando di apparire colpevole, e fallendo miseramente. “Intendo, per tutto quanto, non dovevo…”

“L’ho detto al capo, ed ai miei colleghi. Avevi ragione.” La donna ammise. “Tra parentesi, il capitano ti fa i complimenti e dice che era ora che ci mettessimo insieme. A quanto pare, l’intero universo pensa che sia tu il papino della Bestia di Satana.”

“Quello è il peggior nomignolo che abbia mai sentito per un feto.” Bobby ridacchiò. “Sai che lo manderai in terapia a vita, vero?”

“Hai solo da tenere il becco chiuso, vecchio mio.” Lei lo ammonì. Aprì una bottiglia d’acqua, e ne bevve un sorso. “Comunque ho fatto sapere in giro che non sei tu il papà e che io sono felice nonostante non me lo aspettassi e che sarò la migliore madre single che abbiano mai visto. E se il tuo amico si fa vivo, mandalo a quel paese e raccontagli qualche balla. Meno ho a che fare con lui, meglio è.”

“Questo è poco ma sicuro,” La rincuorò, con un sorriso sincero e luminoso, che avrebbe potuto illuminare stanze intere. “E comunque, non devi preoccuparti, hai un intero villaggio a prenderti cura di te.”

“E ho te,” lei aggiunse, occhi bassi, sguardo incerto, mentre cercava il tocco di Bobby. “Vero?”

“Sempre e comunque, bambolina, sempre e comunque.” Confermò la sua promessa portandosi le nocche di Georgie alle labbra, e baciandole, e lei, in quel momento, tremò, e volse lo sguardo altrove. 

Bobby non ne era mai stato più felice. 

Forse, si disse, Georgie non era poi così immune al suo fascino come aveva sempre pensato. 

 

    Georgie era a letto quando sentì dei rumori provenire dalla cucina; con il pilota automatico, afferrò la pistola che teneva nel cassetto del comodino e, il più furtivamente possibile, uscì dalla sua stanza, pronta ad affrontare l'intruso; stranamente, molte luci erano state accese, anche se non si aspettava che i ladri agissero secondo un senso logico…

“Polizia”, fermo!" Urlò, puntando la pistola contro la figura inginocchiata tra il frigorifero e il tavolo della cucina; un paio di mani si alzarono e, lentamente, una figura maschile si alzò e la affrontò. "Ehm... non spararmi?".

"Bobby, ma che cazzo!” Sibilò il suo nome mentre lasciava la pistola sul bancone; un'occhiata all'orologio nella stanza le rivelò la terribile verità e improvvisamente sentì il desiderio di afferrare di nuovo la sua arma e usarla contro quell'idiota. "Bobby, non sono nemmeno  le sei. Che diavolo ci fai qui?".

Lui la guardò come se le fosse cresciuta un'altra testa. "Ti ho solo portato del cibo. Non è che non l'abbia mai fatto prima!".

Lei sospirò, pizzicandosi il naso. "Sì, ma di solito sono io ad aprirti la porta. Questa si chiama effrazione. E l'ultima volta che ho controllato, era un reato. In più, io sono armata e parecchio nervosa perchè sono giorni che non dormo perchè qualsiasi posizione è scomoda. Ti rendi conto che hai rischiato di beccarti un proiettile?".

Bobby ridacchiò, mettendo in bella mostra i suoi denti perfetti  e le mostrò il piccolo portachiavi ornato da una riproduzione del distintivo. "Georgie, guarda che ho una copia delle chiavi!"

Georgie ispezionò il distintivo. Era perfetto e riportava anche il suo grado e il suo numero di distintivo. 

"Sai che questo tuo comportamento è vagamente inquietante, vero?" Sospirò, si sedette al tavolo e, con le mani sotto il mento, ridacchiò. "Non mi prenderò la briga di chiederti perché hai le mie chiavi, tanto per cominciare, e ti perdonerò perché mi hai portato da mangiare. Comunque, cosa c'è per colazione?".

Bobby rise mentre le offriva un'omelette di verdure, ancora calda, e un bicchiere con quello che sembrava un frullato verdastro. "Tu, Georgina LaSalle, sei una donna strana, strana".

Lei diede un morso e scosse la testa, ridacchiando ancora. "No. Sono ormonale. Una bella differenza. Il che significa anche che posso farla franca, e che tu mi perdonerai qualsiasi comportamento assurdo che potrei avere da qui alla fine della gravidanza.” 

Bobby sospirò,volutamente esagerato, ma dai suoi occhi lei capì chiaramente che la stava semplicemente assecondando.

"Ho messo in freezer dei tacos per la colazione e dei muffin per i prossimi giorni. Ti ho preso anche dell'insalata di quinoa, degli hamburger di tacchino e vegetariani, dei broccoli, dei gamberetti arrostiti..." Con la cannuccia in bocca, lei lo guardò con un sopracciglio alzato senza dire una parola. "E adesso cosa c’è?"

"Mi stai coccolando...". Canticchiò, ridendo come se fosse una bambina. "In realtà è la cosa più bella che qualcuno abbia mai fatto per me. E poi..." Si fermò a metà frase, sussultando; la sua mano andò alla pancia, dimenticando completamente il pasto. Senza aspettare che lei dicesse nulla, Bobby le fu accanto, mettendole una mano sul braccio, come per cercare di rassicurarla.

"Georgie?" Chiese, preoccupato.

Lei scosse la testa, concentrata. "È solo che... ho questa... leggera sensazione di fluttuazione nello stomaco, come le farfalle, solo che non proprio...". Fece una pausa, lo guardò un po' in preda al panico. "Pensi che dovrei chiamare un’ambulanza? O forse il mio medico. Sai cosa? Dovrei assolutamente chiamare il mio ginecologo".

Stava quasi piangendo, spaventata; non voleva che accadesse nulla al suo bambino, voleva avere tutto ciò che le era stato promesso, tutto ciò che aveva sempre sperato. E ora stava succedendo questo? Era perché aveva osato essere troppo felice?

Bobby la guardava, concentrato; poi, senza chiederle il consenso, spostò la mano destra sotto la stoffa del setoso top del pigiama e, prendendole la pancia, sentì la pelle tesa e calda dell'addome; lei sussultò al contatto, come se l'elettricità le scorresse nelle vene.

"È dove l'hai sentita? La sensazione di sfarfallamento?" Lei annuì, continuò a tenere la mano di lui sul suo corpo e quando la sentì di nuovo, lì, nel punto in cui lui toccava il suo corpo, sussultò e lui sorrise. In un modo che lei non aveva mai visto sorridere prima, Bobby era così felice in quel momento che Georgie ne era quasi commossa.

"Non credo che tu debba chiamare il tuo medico, tesoro". Il soprannome gli uscì sulla lingua da solo, e suonava così giusto, così perfetto, che nessuno dei due se ne accorse, né se ne preoccupò. "Sei alla ventesima settimana di gravidanza, ormai"

"Cosa?" Chiese lei, e Bobby sollevò il tessuto della sua camicia grigia, scoprendo la sua pancia gravida; lì, dove Bobby teneva la mano, dove lei aveva sentito la strana sensazione, la pelle era... diversa? Non sapeva come spiegarlo.

"È a tua bambina, tesoro". Disse lui, inginocchiandosi sul pavimento in modo che i suoi occhi fossero all'altezza della mano sulla pancia di lei. "La tua bambina  si è appena mossa per la prima volta".

Lei sorrise e mise la sua mano su quella di lui; le loro dita si intrecciarono e rimasero lì finché la bambina non smise di muoversi nel ventre della madre.

 

    "Mi serve un grosso favore…” Bobby alzò lo sguardo dal microscopio e si trovò davanti Georgie; era pallida, e stava tremando come un foglia, e avrebbe giurato che gli occhi erano lucidi, come se fosse stata sul punto di piangere. “ Devo andare dal mio ginecologo e ho paura a farlo da sola.”

Bobby sollevò gli occhiali da vista e la guardò, interrogativo. “E te lo sei ricordata adesso che hai un appuntamento?" La prese in giro, ma lei scosse il capo, e dalla sua espressione Bobby capì che era sul punto di avere un crollo nervoso, e che qualunque cosa fosse, non si trattava assolutamente di un controllo programmato. 

Qualcosa non andava. 

Qualcosa, la terrorizzava. 

Georgie gli offrì le chiavi della sua Renegade rossa fiammante e, mentre le afferrava, Bobby notò non solo il colorito spento, ma avvertì la freddezza, quasi glaciale e marmorea, della pelle della sua migliore amica. 

Era in stato di shock. 

"Georgie?" Il suo nome gli uscì di bocca come un sussurro, mentre lui stringeva le mani di lei nelle sue, e la guardava, occhi quasi fuori dalle orbite.

"Kate, lei non si muove da ieri". Gli disse tra i singhiozzi. "Ho chiamato la mia dottoressa e mi sta aspettando, ma non posso andare da sola. Ho troppa paura. Ti prego, Bobby…"

Lui annuì. "Sì, certo… vengo con te, ok? Non ti lascio sola. Non hai nemmeno da chiederlo." Georgie annuì, e Bobby la strinse tra le sue braccia, circondando con tutta la forza che aveva le spalle della donna, che non gli era mai sembrata più fragile che in quel momento. 

Le sussurrò che tutto sarebbe andato bene, e che le sarebbe rimasto accanto: si chiese se avrebbe potuto mantenere quella promessa.

Una volta nel garage sotterraneo della centrale, Bobby aiutò Georgie a salire in macchina, e per tutto il viaggio verso l’ospedale le strinse la mano. Nessuno dei due aveva il coraggio di dire una sola parola, Bobby non voleva rischiare di mentirle, e lei era troppo terrorizzata, e si limitava a massaggiare il ventre, stringendo i denti. 

Voleva piangere, voleva urlare: Bobby lo aveva capito, ma si stava mostrando forte. Per chi, nemmeno lui lo sapeva.

Dopo un viaggio di nemmeno mezz’ora, ma che a lui parve interminabile, arrivarono davanti alla clinica ospedaliera; Bobby la scaricò davanti all’entrata, ed andò a cercare posteggio. Una volta liberatosi del problema, si incamminò verso il reparto di ostetricia e ginecologia. Camminava, lento, pesante, desideroso di arrivare da lei, ma allo stesso tempo voleva ritardare il più possibile l’inevitabile, quasi fosse stato certo che potessero solo esserci brutte notizie ad attenderli. 

“Robert?” Sentendosi chiamare col suo nome di battesimo, Bobby alzò lo sguardo, e vide davanti alla porta d’ingresso del reparto la sua vecchia amica e mentore - la stessa dottoressa che già la volta precedente si era occupata di Georgie. Si avvicinò alla collega, il passo rapido, e più si avvicinava, più poteva scorgere ombre sul viso della donna, ed indizi della preoccupazione. “Ti vuole con sé, ha troppa paura ad affrontare l’esame da sola.”

Bobby non attese che gli dicesse di seguirla; spalancò la porta del reparto ed iniziò a vagare per i corridoi, a guardare dentro le camere, alla ricerca della donna che gli era così cara. Quando la trovò, Georgie era coricata su una barella, attaccata a macchine,  con il ventre nudo, la pelle tesa, spalmata di un gel azzurrognolo. Appena lo vide gli tese la mano, e Bobby si sedette al suo fianco, su uno sgabello, e le baciò la fronte mentre passava la mano libera tra le ciocche scure, il dottore già impegnato nell'ecografia.

Andrà tutto bene. Non preoccuparti. Io sono qui. Non me ne andrò. Qualunque cosa accada, sarò al tuo fianco. Andrà tutto bene. Andrà tutto bene. Continuò a ripetere, parole dolci, promesse, senza tuttavia crederci del tutto lui stesso.

E poi sentirono un rumore, sembrava quasi qualcuno che parlottava sott’acqua, come in quei vecchi film di guerra, e lui le strinse la mano con una tale forza che le fece male, e scoppiò a ridere.

Anche se aveva scelto la branca della medicina legale, Bobby rimaneva pur sempre un dottore, e c’erano alcuni suoni che erano inconfondibili.

Quel suono, era il battito del cuore della bambina della sua Georgie.

"È..." Fece per chiedere, ma le parole faticavano ad uscire di gola,  Georgie non osava ancora parlare, era troppo spaventata e temeva di illudersi inutilmente.

Bobby annuì, sorridendo. "È il battito del tuo bambino, tesoro.”

La dottoressa annuì, ed indicò loro lo schermo dell’ecografo. “L'unico motivo per cui non lo hai sentito più muovere è che tu sei parecchio minuta di bacino, mentre la bambina abbastanza grandicella, a tuo confronto.Non si muove perché non può più muoversi, semplicemente, non perchè ci sia qualcosa che non va. E, vedi?" Indicò l'immagine lucida e scura sullo schermo. "La natura ci ha già pensato. Manca ancora un mese e si sta già posizionando. È una fortuna, altrimenti avremmo dovuto fare un cesareo per forza."

Georgie tirò un respiro di sollievo mentre si alzava, aiutata da Bobby, e si puliva meglio che poteva con dei fazzoletti di carta. "Dio, mi dispiace tanto. Mi sento una stupida. Voglio dire, avrei dovuto saperlo e invece sono corsa qui spaventata e...".

La dottoressa scosse la testa. "No. Sei stata brava, hai avvertito i segnali del tuo corpo e hai voluto indagare, ed in certe situazione è meglio essere prudenti.”

“Tu, tesoro mio, sarai una meravigliosa mamma estremamente apprensiva,” Bobby la prese in giro, baciandole i capelli. 

"Oh sì, mi vedo già tra qualche anno; sarò il tipo di mamma che passa il tempo a coprire il suo bambino con la crema solare ogni cinque minuti in estate e con strati di lana in inverno". Georgie ridacchiò, eppure, mentre uscivano dall’ambulatorio, Bobby le prese la mano quando vide che il colore sulle sue guance non era tornato e che i suoi occhi non brillavano della stessa gioia del giorno in cui avevano sentito il bambino muoversi per la prima volta.

Mano nella mano, si incamminarono verso l'auto di lei, con Georgie troppo stanca dopo la scarica di adrenalina per opporsi al fatto che lui guidasse di nuovo o per dirgli dove doveva andare; non si rese nemmeno conto che stavano andando a casa sua finché non si fermarono proprio lì, davanti al suo palazzo.

Rimasero in macchina, immobili, con la donna che guardava fuori dal finestrino, persa nei suoi pensieri. Nei ricordi. Le parole, le promesse che le aveva sussurrato lui mentre temeva di ricevere un aggiornamento infausto sullo stato della sua gravidanza le tornavano perennemente in mente, come in un loop.

Andrà tutto bene. Non preoccuparti. Io sono qui. Non me ne andrò. Qualunque cosa accada, sarò al tuo fianco. Andrà tutto bene. Andrà tutto bene. 

“Quelle cose che mi hai detto mentre ero sulla barella… dicevi davvero?”

“Sempre e comunque,” le confermò lui, sorridendole e prendendo la mano di lei nella sua, e si portò la mano alle labbra, lasciandovi un caldo bacio sopra, delicato, eppure terribilmente eortico, più di certi atti spinti.

“Starai con me?” Gli domandò, e lui annuì, guardandola negli occhi. 

“Starai con me… stanotte?” Specificò, e Bobby le sorrise, malandrino. Si allungò verso di lei, annullando la distanza tra di loro, e gettandole le mani nei capelli, le sue labbra cercarono quelle di lei, fameliche assetate, desiderose.

 

    Bobby tornò a casa - o meglio, all'appartamento di Georgie, dove passava quasi tutto il suo tempo libero dopo che si erano lasciati andare alla passione dopo aver scoperto che tutto stava procedendo per il meglio con la gravidanza, e trovò la sua ragazza -  titolo ancora ufficioso - seduta sul divano, che si massaggiava la schiena. Dal suo sguardo, era chiaro che stesse soffrendo, e che fosse sul punto di scoppiare a piangere. 

“Tutto bene?” Le domandò, gettando il suo mazzo di chiavi sul tavolino dell’ingresso e raggiungendola. Georgie fece cenno di sì col capo, ma a Bobby non la poteva dare a bere: la conosceva troppo bene, e la medicina era il suo campo.  “Tesoro, hai le contrazioni?”

Una scossa la percosse da capo a piedi, partendo dal basso ventre, e Georgie ricordò la volta in cui un pazzo l’aveva pugnalata alle spalle, e scosse il capo. 

“False contrazioni,” cercò di rassicurarlo. “Le ho da stamattina.”

“Da stamattina?” Bobby controllò l’orologio che aveva al polso, quando la vide stringere di nuovo i denti. “Le contrazioni di Braxton-Hicks non durano così a lungo, non sono regolari, e soprattutto non sono così regolari.”

“Non  lo puoi sapere,” La donna sibilò, quasi furibonda. “Sei un medico legale, mica un ginecologo!”

“I medici legali fanno formazione all’interno degli ospedali, prima di specializzarsi. E io ho fatto parecchi turni in ostetricia prima do decidere che preferivo occuparmi dei morti.” Bobby le spiegò. Si sedette sul tavolino da caffè davanti al divano, e le prese la mano mentre controllava lo scorrere del tempo dal cronografo che aveva al polso. “Stringimi la mano quando hai la prossima contrazione.”

Georgie annuì, singhiozzando. “Non è troppo presto, la trentacinquesima settimana?” Gli domandò, le parole che le uscivano di bocca accavallate, ma Bobby le comprese comunque. 

“La trentasettesima sarebbe meglio, ma a questo punto la sopravvivenza della bambina è comunque certa. Solo non potrai tenerla subito con te, avrà bisogno della culla termica o dell’incubatrice ma solo per qualche giorno.”

“Dici davvero?” Cercò di essere rassicurata, singhiozzando, e Bobby le sorrise; le afferrò la nuca con la mano libera, grande e calda, e le lasciò un bacio sui capelli. 

Sapevano di fragola.

All’improvviso, la donna fu colpita da un altro spasmo. 

Un’altra contrazione.

"Georgie, le contrazioni sono troppo ravvicinate. Sei in travaglio.”  Le spiegò, tenendola accoccolata contro il proprio petto, senza mai volerla lasciare andare. “Se non chiamiamo un’ambulanza partorirai nel tuo salotto.”

Lei annuì; Bobby fece per andare a prendere il telefono, ma lei lo fermò, afferrandolo per la camicia. 

“Dicevi davvero?” Gli domandò, non certo per la prima volta, e Bobby comprese cosa volesse dirgli. 

“Sempre e comunque,” le rispose, come faceva sempre. Come avrebbe fatto fino alla fine dei suoi giorni, se necessario, e lei fece cenno di sì col capo. 

Se Bobby diceva che tutto sarebbe andato bene… gli credeva. 

Lui non le avrebbe mai mentito.

 

    Ancora dolorante e senza forze, Georgie, con indosso una vestaglia di almeno un paio di taglie di troppo, la schiena appoggiata al petto di Bobby, guardava dal vetro l’incubatrice dove c’era su figlia: Kate era arrivata con un leggero anticipo, ed i medici avevano deciso di tenerla in osservazione nell’incubatrice per qualche giorno, ma, l’avevano rassicurata, quando Georgie fosse tornata a casa, lo avrebbe fatto con sua figlia tra le braccia. 

“Dicevi davvero?” Gli domandò per l'ennesima volta, mentre Bobby la abbracciava da dietro,  e stringeva le mani sul ventre di Georgie - si era così abituato a vederla incinta, a viverla in stato di gravidanza, che adesso gli sembrava quasi… strano. 

“Bambolina, non potevi liberarti di me quando eri solo mia amica, ma adesso che mi sono innamorato anche di quella bestia di satana e che so quanto sei brava a letto, fidati, da casa tua, non mi scollo più.”

“Non la puoi chiamare così!” Lei scoppiò a ridere, appoggiando il capo sulla scapola di Bobby. “Kitty, se proprio devi darle un nomignolo. Non voglio che finisca in terapia per tutta la vita!”

“Allora stai dicendo che avevo ragione?” Le domandò, stringendola a sé.

“Tu hai sempre ragione, vecchio mio.” Georgie sospirò, e Bobby la sentì sempre più fragile e debole nelle sue braccia: era ancora provata dal travaglio, dal parto, dalla gravidanza, e aveva bisogno di riposare. 

La riaccompagnò in camera, e la mise a letto, sedendosi poi al suo fianco. 

Dal posto che non avrebbe lasciato mai più, se lei glielo avesse permesso.

 
   
 
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