Serie TV > Il Commissario Ricciardi
Segui la storia  |       
Autore: _Lightning_    09/02/2024    3 recensioni
Napoli, 1934.
Il commissario Ricciardi è alle prese con un delitto come tanti, almeno per lui che è abituato a vedere i fantasmi delle vittime con i propri occhi. Una rapina finita male, con dei dettagli che, però, non tornano. Non tornano né a lui né al dottor Bruno Modo, collega medico legale e amico in pubblico, ma segretamente unito a lui da sentimenti più profondi, in un'epoca in cui a dare troppo nell'occhio si rischia la vita.
Ricciardi, però, quasi si dimentica del tutto del caso e dei pericoli che corre quando alla sua porta, nel cuore della notte, bussa un evento inspiegabile. Uno di quelli di cui non può parlare a nessuno, nemmeno a Bruno, pena l'essere preso per folle, e che lo fa sentire sempre più lontano dalla vita e sempre più vicino alle schiere di fantasmi che la attorniano.
Cosa si nasconde nel sottosuolo di Napoli?
[Leggibile come originale // Giallo // Ricciardi/Modo // S2 Alternativa]
Genere: Mistero, Noir, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'In quel di Napoli'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


XI. Apriti cielo (e manda un po' di sole) - Parte 2

          INTERCETTA Maione davanti alla gradinata della Casa del Mutilato, dal lato opposto della piazza rispetto al perimetro curvo delle Regie Poste, ancora assediate da impalcature. Il cielo si è finalmente aperto un poco all’azzurro, lasciando che una lama di sole più caldo illumini gli edifici marmorei di un bianco sporco.

«Commissa, la prossima volta che mi mandate uno scugnizzo, assicuratevi che sia pure a modo. Gli avrei dato una bella tirata dorecchi, a quel mariolo.»

Ricciardi sorride in silenzio a quelle rimostranze, affatto pentito daver incaricato il ragazzino dellAnnunziata che, di primo acchito, pareva avere la faccia più discola e da scavezzacollo, di andare a recuperare il brigadiere in Questura per avvisarlo di presentarsi là prima di mezzogiorno.

A quella reazione, il brigadiere alza gli occhi al cielo.

«Tiene ragione il dottor Modo: voi vi divertite davvero un mondo,» borbotta, salendo le scale avanti a lui.

Il sorriso di Ricciardi sincrina appena. Lancia uno sguardo fugace alla sua destra, verso la traversa che conduce a casa di Bruno. Dovrebbe esservi rientrato, ormai.

Dopo la nottata non preventivata in ospedale, gli ha detto che sè preso un giorno di riposo. Non sa se sperare che rimanga ben chiuso là  dentro o che decida di andarsene a spasso; o, ancor meglio, al bordello, dove può sperare di avere un minimo di copertura dalle ragazze o da Mamma Clara, se le camicie nere dovessero andare a prelevarlo. La verità è che, al momento, non esiste un vero luogo sicuro per nessuno di loro due.

Resiste limpulso di guardarsi le spalle: se davvero lOVRA lo sta sorvegliando, non vuole dare loro la soddisfazione di mostrarsi in allarme. Si affretta a tornare presente a se stesso quando si accorge che il brigadiere è già in cima alle scale. Rituffa la testa nel caso, prima di farsi distogliere nuovamente dalle preoccupazioni che la inondano.

«Maione, hai convocato Caterina Gigliolo?»

«Ah, ecco,» gli fa lui, fermandosi con una mano sulla porta incastonata tra i dentelli dei sottili pilastri in piperno. «I funerali del marito sono oggi, giusto a mezzogiorno. Capisco lurgenza, ma mi pareva importuno seccarla. Oltre che troppo vistoso.»

Ricciardi incrocia le braccia dietro la schiena senza esprimersi su quel fatto, di cui era ben a conoscenza. Aveva sperato che Maione si facesse meno problemi, ma ha ragione sul fatto del dare troppo nellocchio. Si astiene dunque dallesternare critiche su quella scelta.

«Dove si terrà la funzione?» chiede invece.

«Provate a indovinare.»

«Alla Basilica della Santissima Annunziata?»

In tutta risposta, Maione rilascia un respiro secco, annuendo con stizza. Ricciardi non ne è sorpreso, né si cura di mostrarsi tale.

«Vorrà dire che andremo a porgere le nostre condoglianze di persona, più tardi.»

Laltro si lascia quasi scappare di mano la porta e sembra sul punto di protestare, ma si rimangia visibilmente ogni commento, anche se la sua occhiata sbieca è più eloquente di mille parole. Ricciardi lo ignora e si ravvia i capelli, un gesto più nervoso che utile. Ringrazia il brigadiere con un cenno del capo mentre oltrepassa la porta, entrando infine nellatrio monumentale della struttura.

Latmosfera, là dentro, è opprimente a dispetto degli alti soffitti e della luce soffusa che filtra dalle ampie finestre. Vi è un accalcarsi di iconografie fasciste in ogni angolo, dalle aquile ad ali spiegate in cima alle false colonne, ai fasci littori sul cornicione del soffitto, ai gessi classici atteggiati in saluti romani che sembrano sbucare dal nulla, alle teche ingombre di emblemi militari commemorativi.

Alle loro spalle, una targa dedicata a Mussolini troneggia sopra la porta dingresso, a sormontare due lastre marmoree decorate con bassorilievi che ripercorrono la fondazione di Roma. La statua alata della Vittoria si erge fiera in fondo alla scala centrale che conduce ai piani superiori, quasi a intimare loro il dietrofront. Maione inclina la bocca allingiù in un moto di malcelato fastidio, lo stesso che riserva al nuovo murale futurista del Duce quando vi passa accanto in Questura.

«Gli saranno avanzate due lire da spendere, per sti mutilati?» commenta a mezza voce, fissando il pavimento bianco e nero dai motivi geometrici tirato a lucido.

«Maio,» lo redarguisce, «non siamo qui per fare dibattito.»

«Embè, tanto mica si può,» bofonchia il brigadiere, per poi seguirlo su per lo scalone, verso gli uffici.

Ricciardi si ritrova a faticare più di quanto previsto, per farsi avallare il permesso di consultare i documenti di cui necessitano. A quanto pare, dice laddetto, servirebbe una richiesta formale controfirmata dal vicequestore; cosa che sarebbe complesso richiedere anche normalmente, figurarsi con lOVRA pronta a tirare le fila di Garzo dallombra.

Alla fine riesce a convincerlo, con un po di moine e gettando in mezzo il suo titolo di barone, di essere lì per conto del vicequestore in persona, e che un contrattempo risulterebbe in un grave imbarazzo per lAssociazione Mutilati e Invalidi di Guerra di fronte alle forze militari, di cui Gigliolo era un esponente di spicco, e magari pure di fronte al generale Baistrocchi, se la voce dovesse disgraziatamente arrivare fino a Roma.

Alla menzione del Capo di Stato Maggiore, il paffuto addetto sgrana gli occhi dietro le lenti rotonde e, colto da sudorazione improvvisa, si adopera per lasciar loro accesso alle stanze dellarchivio, sebbene solo per un limitato periodo di tempo.

Forse temendo ritorsioni, decide anche di non segnare i loro nominativi nel registro delle entrate; e Ricciardi pensa che dovrà andare con Don Pierino ad accendere un cero a Santa Rita poiché, una volta tanto, la fortuna lo assiste in quel caso impossibile.

Limpiegato scatta poi in piedi come una molla, per quanto gli consenta la protesi al piede destro. Fa loro strada fino alla stanza dellarchivio: un ambiente ovale, decorato sopra lingresso con un affresco patriottico dellincoronazione di Vittorio Emanuele II.

Mette poi loro davanti dei faldoni incartapecoriti, con la documentazione di leva e i ruoli matricolari dellanno 1915 e successivi, aggiungendo che sono stati fortunati, visto che sono tornati da poco da Roma dopo essere stati battuti a macchina per lArchivio Nazionale.

Non fornisce loro il registro dei donatori, forse contando di farla passare come una svista, ma Ricciardi non sarrischia a tirar troppo la corda: non vuole né far passare dei guai a quel poveraccio, né dare altri possibili motivi a quelli dellOVRA per arrestarlo.

Limpiegato si profonde in un brevissimo inchino, per poi esitare, chiaramente in difficoltà su come rivolgersi a lui.

«Se vi dovesse servire assistenza, mi trovate in guardiola, signor barone.»

Ricciardi ringrazia con un cenno del capo, in lieve imbarazzo. Mentre luomo chiude le doppie porte, nota che Maione gli sta indirizzando unocchiata di sottecchi, con un sorrisetto oltremodo divertito che stride con la sua apparenza impettita e composta.

«“Signor barone,» ripete poi, allungando un poco le vocali in modo affettato.

«Taci, Maio,» sbuffa lui, senza durezza. «Vediamo di capirci qualcosa, piuttosto.»

Maione non se lo fa ripetere. Toltosi il berretto, apre il primo faldone, 1915, lo sistema su un leggio e prende a scorrere i numeri di matricola. Ricciardi libera un respiro lievemente più rilassato.

Il brigadiere, col suo atteggiamento flemmatico ma affatto remissivo e tinto da una punta dironia, riesce sempre a infondergli calma; la sorta di calma di una diga robusta messa ad arginare un oceano di acque e che solo una falla può far scoppiare in potenza. La sua posatezza è ciò che gli serve per tenere i piedi ben piantati per terra, visto che i suoi pensieri volubili tendono a voler schizzare verso lalto come elio in un aerostato imbizzarrito.

Il caso. Deve pensare al caso, ad Annina, a Gigliolo, e a nientaltro.

Si accosta al secondo faldone, 1916, trovando solo dopo molti minuti il nome di Fernando Gigliolo. Assieme a Maione, ne ricostruiscono la carriera militare con un confronto incrociato dei registri, traendone l’immagine del perfetto patriota che tanto aggrada al Partito.

Arruolatosi volontario nel 1896, combattente nella Campagna di Libia nel 1912, poi assegnato già come tenente alla 2ª Armata allinizio della Grande Guerra; combattente sul campo sin dalla Prima battaglia dellIsonzo, distintosi a Gorizia sotto il generale Capello e promosso sul campo a capitano... un rifulgere di successi, almeno fino alla disfatta di Caporetto, unica macchia evidente.

La 2ª Armata sparisce di fatto dai registri, annichilita, cancellata dalla memoria. Dopo un breve permesso, durante il quale presume abbia incontrato e sposato Caterina, il nome di Gigliolo riappare assegnato alla 3ª Armata, in precipitosa ignobile ritirata dal Cadore, per poi proseguire il servizio nella 4ª, fino alla gloriosa Battaglia del Solstizio.

Qui vinse la prima medaglia dargento al valor militare; quella che, a detta della vedova Gigliolo, forse custodiva nella cassaforte. Nulla di nuovo o di utile alla loro causa, se non a confermare la sua condotta impeccabile, almeno agli occhi del regime.

«Maione,» chiama sottovoce dopo un po, puntando lindice sugli svolazzi dinchiostro sbiaditi dal tempo. «Ho trovato Renato Vinciguerra. Iannello ricordava bene, hanno servito nella stessa armata subito dopo Caporetto.»

Maione molla il faldone del 1916 e passa al suo, del 1917, scorrendo insieme a lui le pagine in cerca degli altri commilitoni, col rischio di farseli sfuggire nel fitto intersecarsi di matricole, innumerevoli croci ai caduti e macchie dumidità e inchiostro.

«Onofrio Pascale, qua,» Maione, dopo molti minuti, piazza un dito tozzo sotto quel nome semi cancellato. «Uscito vivo dalla guerra, letà mi pare coincidere e pure loccupazione sua e del padre. Sono orefici, no?»

«Sì, mancavano pure molti monili allappello nel suo inventario. Lui sè ritirato dalla carriera militare col grado di tenente colonnello.»

Mettono una matita nel libro, a segnare la pagina.

«E Antonio DAngelo,» conclude Ricciardi, dopo altri, lenti minuti di ricerca e occhi strizzati per decifrare le differenti grafie degli archivisti. «Uscito vivo anche lui, attualmente maggiore, età plausibile, mercante di tessuti. Sono nomi e professioni comuni a Napoli, ma stanno tutti e quattro assieme a Gigliolo e tutti e quattro nella stessa divisione.»

«Diamo per buono che siano loro, commissa, altrimenti non ne usciamo più,» suggerisce pragmaticamente Maione, stropicciandosi le palpebre. «Abbiamo conferma del fatto che abbiano davvero prestato servizio insieme... cosa che nessuno di loro ha ritenuto rilevante menzionare.»

Ricciardi annuisce in silenzio, rimuginando su quel fatto. Può essere stata una loro svista innocente, ma anche un modo per evitare collegamenti spiacevoli con Gigliolo, se le sue inclinazioni erano note. Non gli torna, però: un sospetto del genere sarebbe saltato fuori già negli interrogatori preliminari, non certo tramite minaccia dellOVRA. Non era un qualcosa di noto ai più; o, come si sta convincendo sempre più, lOVRA ha semplicemente tratto conclusioni affrettate. Non tanto circa la colpevolezza o meno di Gigliolo, quanto alle circostanze precise.

«E tutti e quattro sono stati rapinati...» contina a mezza voce, tamburellando sulle pagine con un crepitio sordo. Si arresta di scatto. «Le medaglie.»

«Scusate?»

«Le medaglie,» ripete Ricciardi, con più convinzione. «Caterina Gigliolo ha detto di esser quasi certa che il marito, in quella cassaforte, custodisse una medaglia vinta durante... cos’era? La Battaglia del Solstizio

«Sì, sì... come piace tanto chiamarla al Vate e agli archivisti, qua,» commenta Maione sovrappensiero, grattandosi la tempia con un dito, per poi allargare gli occhi. «Scusate, ma Iannello non ha detto che...»

«Che a Vinciguerra, tra le altre cose, era sparita una medaglia al valore. Intendevo questo.» Ricciardi tende le labbra, concentrato. «Dobbiamo ricontrollare linventario, ma sono quasi certo che pure Pascale e DAngelo avessero denunciato la scomparsa di alcune medaglie. Tu te ne ricordi?»

«Non cho fatto molto caso, perdonatemi. Non hanno mica rubato solo quelle. Pochi oggetti piccoli, di gran valore, facilmente trasportabili... sensato, se hanno davvero usato i cunicoli sotterranei.»

«Non sono di facile accesso, no, soprattutto se cerchiamo un uomo di stazza considerevole,» concorda Ricciardi, ricordando con quanta difficoltà era sceso nella cisterna. «E, se rimaniamo sullipotesi dei bambini complici, non potevano comunque trasportare chissà quanto peso.»

«Immagino volessero pure far ricadere la colpa sulla servitù, mascherandoli come furtarelli che non dessero nellocchio.»

«Sì, ma con tutti gli oggetti preziosi che puoi trovare in unabitazione, perché rubare proprio delle medaglie? Sono placcate, ma non valgono chissà cosa e non sono nemmeno facilmente rivendibili.»

«Perché si ha in odio lesercito o perché si vuol fare uno sfregio a qualcuno, commissa

«O, magari, entrambe le cose,» mormora Ricciardi, oscillando appena sul posto, i palmi piantati ai lati del faldone a sostenersi. «Un disertore che è stato tradito, forse?»

«E perché non ammazzare anche gli altri tre, oltre a Gigliolo? E perché ora, poi, dopo più di quindici anni?» ribatte Maione, con una vena desasperazione. «A me pare che stiamo cercando un pazzo, qua, non un ladro.»

Ricciardi scuote appena il capo, non escludendo in cuor suo lipotesi: se prima ci stava capendo poco, di quellomicidio, adesso gli pare di capirci ancora meno, soprattutto se nellequazione deve incastrarci anche Annina e il Munaciello.

Il punto è proprio questo: Annina e Gigliolo sono collegati ai furti, in qualche modo, ma viaggiano su un sistema diverso e parallelo, messo in correlazione al resto dal Munaciello. Come, però? Perché il furto a casa Gigliolo è stato diverso dagli altri ed è finito in tragedia?

Non crede di potersi dare risposta certa adesso; per ora, sarebbe un passo avanti anche solo capire il nodo comune tra DAngelo, Pascale e Vinciguerra.

Ripensa allo studio di Gigliolo e gli si para davanti limmagine di Bruno che, poggiato insofferente allo stipite, posava gli occhi su un busto romano nellangolo e, poi, su una teca ricolma di medaglie al valore. Le rivede sfavillare al sole sul loro velluto rosso: il vetro era chiuso, non ne mancava nessuna. La cassaforte, invece, era spalancata; aperta con una chiave che Gigliolo si portava probabilmente addosso.

Gira il capo verso Maione, con un lieve sussulto.

«No, Maio. La domanda non è perché rubare delle medaglie; ma perché rubare proprio quelle medaglie.»

Il brigadiere si acciglia, interdetto, ma Ricciardi non vi fa caso e riprende a sfogliare rapido le pagine del registro, tornando a dove hanno messo delle matite a segnare i nomi di Vinciguerra, Pascale e DAngelo. Un fremito vittorioso lo attraversa nel constatare ciò che sospettava. Ticchetta la mina sul foglio, lasciandovi leggeri granelli di grafite.

«Leggi qua: tutti e quattro si erano guadagnati una medaglia dargento al valor militare sul Piave, nella stessa giornata e nella stessa azione bellica. Hanno fatto saltare un deposito di munizioni austriaco in unincursione notturna, il 23 giugno 1918.»

Maione annuisce lentamente, ma lo squadra dubbioso.

«Daccordo, e questo che ci dice sul ladro e presunto omicida?» Al suo silenzio, Maione scrolla appena le spalle. «Commissario, datemi retta: qua ci stiamo a ’mbriglià

Ricciardi scuote la testa con decisione.

«No, no, deve... deve essere questo, il dettaglio chiave,» ripete, scollando gli occhi dal registro e puntandoli verso la vetrata, da cui si scorge laffaccendato viavai davanti alle Poste in costruzione. «È questo, che ci sta sfuggendo dallinizio, è...»

Si interrompe nel riabbassare lo sguardo sul registro. Non ci aveva fatto molto caso, finora, ma vi è una piccola croce in inchiostro rosso, diversa da quella ai caduti, a segnare alcuni nomi. A un rapido esame, conclude che stia a segnalare i feriti in battaglia, come riportato nel breve riepilogo sotto ogni nome e matricola.

«È alto, commissa’, chhiù alto ’e vuje, pure si sta tutto sgarrupato.»

La voce di Cristiano riemerge squillante, ancora freschissima nella sua memoria.

«È sciancato, uno zoppo.»

«Raffaele,» lo prende per la spalla distinto, colto da un fremito incontenibile, «ricontrolla i registri e vedi se qualcun altro, oltre ai nostri quattro, ha preso parte a questa precisa azione bellica il 23 giugno 1918, al Passo del Tonale. E vedi se è rimasto ferito.»

Laltro lo squadra interrogativo, ma con quel sottile strato daspettativa di quando sa che lui è arrivato a una conclusione ancora troppo fumosa per essere tradotta in parole. Annuisce secco.

«Subito, commissario.»

«Io vado a richiedere i registri degli invalidi e mutilati dellanno 1918, poi torno ad aiutarti,» conclude, congedandosi con una breve pacca e sfrecciando subito verso luscita.

Scende le scale quasi saltando i gradini e, pochi minuti di manfrine e salamelecchi più tardi, torna a passo di carica nella stanza dellarchivio, portando sottobraccio un pesante tomo che limpiegato gli ha prelevato da una teca sottochiave, raccomandandogli la massima premura.

Lo posa sul leggio accanto a Maione, ancora curvo a consultare i ruoli matricolari, e gli si fa poi di nuovo accanto. Scorrono assieme le pagine, lui quella a sinistra e laltro quella a destra, gomito a gomito, in un ritmo di lettura che ben presto diviene metodico e sincronizzato.

È Maione il primo a esalare un sospiro soddisfatto, mandandolo quasi in fibrillazione.

«Ecco, ecco... Cesare Lionetti. Stessa giornata, stessa azione, medaglia dargento pure lui... ah,» storce poi la bocca. «Alla memoria. È caduto in battaglia.»

«Non importa, Maio, continuiamo,» lo incita Ricciardi, domando il moto di delusione in mezzo al petto e rituffandosi tra le fitte righe dinchiostro.

Ne trovano altri tre deceduti, prima che Ricciardi freni il dito su un nome, il polpastrello che quasi trema contro la carta sottile.

«Arturo Esposito,» pronuncia, con le palpebre che sfarfallano per mettere a fuoco il resto. «È ancora vivo. Medaglia dargento al valor militare. Segnato come ferito nellazione sul Passo del Tonale.»

Maione è svelto a leggere il numero di matricola per poi aprire il registro degli invalidi, sfogliandolo il più rapidamente che può senza strappare le pagine. Ricciardi stringe le mani sui margini dellaltro libro, gli occhi inchiodati su quel nome. Un fremito gli attraversa la schiena.

«Commissario, eccolo,» annuncia Maione, picchiettando lunghia sulla pagina. «Arturo Esposito, ferito gravemente alla gamba sinistra e congedato con onore dopo la Battaglia del Solstizio. Ha percepito una pensione sino a gennaio del 1925, quando...» sinterrompe brevemente, poi la sua voce assume una sfumatura più intensa, «...ha preso i voti ed è stata revocata.»

Ricciardi si sente il suo sguardo addosso, ma non lo ricambia, ancora impuntato sul nome dinanzi a sé, quasi potesse farlo uscire dalla pagina. Gli salta allocchio tutto, adesso, del breve specchietto identificativo che lo accompagna.

Nessun familiare. Allevato all’Annunziata. Un metro e ottantasette d’altezza per novantadue chili di peso. Addetto idraulico ai lavori fognari in Napoli centro del 1913.

A ogni dettaglio che si incastra nella ruota dentata di quel meccanismo, Ricciardi sente montare in sé la cupa euforia che lo accompagna quando si avvicina un passo alla volta al colpevole. Fissa quel nome, vergato con eguale precisione e non dissimile da tutti gli altri che lo attorniano, e sente le labbra inclinarsi impercettibilmente, in una smorfia a mezza via tra il vittorioso e la repulsione.

Un unico pensiero emerge dal magma caotico degli altri, uneco urlata che si sovrappone al richiamo di Annina; un pensiero che gli sfugge infine ad alta voce, in unimpennata trionfante:

«Tho trovato, Munaciello.»

 


Note dell'Autrice:
Cari Lettori,
c'è voluto un bel po' di tempo, ma finalmente il nostro Munaciello ha un nome! Non un volto, ancora, ma per quello ci sarà tempo.
Se non vi torna qualcosa... beh, tranquilli: non torna nemmeno a Ricciardi, ma nei prossimi capitoli tutti i nodi verranno al pettine ;)
Giusto per chiarezza: io non ci potevo credere e mi sembrava fin troppo conveniente, ma la documentazione di leva all'epoca della Prima guerra mondiale riportava tutte le informazioni che trovate nel capitolo. Nome dell'arruolato, nome e mestiere del padre, eventuale mestiere dell'arruolato, data e luogo di nascita... una manna per gli investigatori, insomma! (e per me, il cero a santa Rita lo accendo io).
Invece, i registri matricolari documentavano la carriera strettamente militare, incluse onorificenze e ferimenti, con qualche dato anagrafico più scarno.
Quisquilie a parte, spero che il capitolo vi sia piaciuto <3
Grazie a tutti coloro che continuano a leggere, commentare e votare questa storia!

-Light-

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Il Commissario Ricciardi / Vai alla pagina dell'autore: _Lightning_