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Autore: TheOlderBear    09/02/2024    0 recensioni
Un gruppo di ragazzi deve rinunciare alle proprie vocazioni e prepararsi ad affrontare un terrore sconosciuto. Ognuno di loro accetterà questo Dovere con determinazione, pronto a sacrificare sé stesso per un bene più grande.
Per Ryan, l’involontario capo, sarà un viaggio nel profondo, anche di sé stesso.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il mostro

Fu in quel momento che, per la prima volta, la videro.
Finalmente, in un modo o nell’altro, sarebbe finita.
Quella circostanza, quell’istante nello spazio e nel tempo, non era arrivato per caso, non li aveva colti di sorpresa.
Al contrario, avevano avuto lunghi anni per prepararsi ad esso.
Giorni infiniti trascorsi a correre in boschi selvaggi, scalare montagne ghiacciate, nuotare in fiumi vorticosi o sopravvivendo nelle desolazioni incandescenti, luoghi in cui l’unico comportamento naturale sarebbe stato arrendersi e morire.
Eppure, ci sarebbe stata bellezza in ognuno di quei luoghi.
A volte, le foglie traslucide degli alberi di albe-spume ondeggiavano leggere nel vento, proiettando mosaici di luci sul terreno, un paradiso di colori mai visti prima.
Raramente, fra la lava incandescente dei monti-esplosi, una roccia affiorava abbastanza da esporre al cielo un pugno di terra, sufficiente per far nascere un fiore del tramonto. Bellissimo, azzurro ed estremamente magico, fioriva soltanto nel calore estremo. Dopo solo alcuni secondi di splendore, liberava le proprie spore brillanti nell’aria, per appassire subito dopo.
Fra gli altissimi picchi innevati, le gigantesche mante lunari veleggiavano leggere e trasparenti, praticamente invisibili, le stelle, risplendevano di più, quando le guardavi attraverso di esse.
Eppure, le memorie che rimanevano loro di tutta quella meraviglia, non erano che incubi. Tutto ciò che ricordavano era essere sfiniti, senza fiato, senza tregua, con il cuore che esplodeva nel petto, le gambe che cedevano sotto il peso dell’equipaggiamento. Giorno dopo giorno, fino a essere completamente stremati da stanchezza e terrore.
Terrore per le imboscate che potevano subire ad ogni passo. Ogni albero o cespuglio poteva nascondere un nemico. Ogni squadra, compreso la loro, pianificava costantemente aggressioni alla altre. Ogni gruppo, pensava disperatamente soltanto a sé stesso, una lotta poteva significare la fine. Non importava se tu fossi ferito, esausto, affamato o disperato, quando intravedevi un'altra banda, avevi appena il tempo di gettare tutto a terra, afferrare un'arma e iniziare a combattere. Le azioni di ogni singolo membro potevano portare i suoi alla vittoria o causarne la sconfitta, era sempre tutti o nessuno. 
Sebbene, per squalificare un avversario dalla battaglia, fosse sufficiente il primo sangue, amputazioni, ferite mortali e decessi, erano all’ordine del giorno. Solo qualche settimana prima, un apprendista mago impaurito aveva biascicato malamente un incantesimo, utilizzando come fonte petali rosa smeraldo, qualcosa era andato storto e i rovi uncinati emersi dal terreno, gli si erano avvolti addosso, poi lo avevano scuoiato vivo e fatto a pezzi, mentre lui urlava come un neonato.
Un colpo sfortunato di un’ascia aveva colpito una guaritrice sul viso, spaccandole naso e mascella, lasciandola svenuta a terra per lo shock, come una maschera spezzata in una pozza di sangue.
Sopportare tutto ciò, giorno dopo giorno, poteva consumarti lentamente fino a svuotarti di ogni motivazione.
E tutto sommato era poca cosa.
Non erano pieni di questo, gli incubi che riempivano le notti, quando ti ritrovavi a tremare di paura, nella solitudine della tua branda, non erano spade, frecce o incantesimi ad allontanare il sonno, ma artigli, tentacoli uncinati e secrezioni acide, gentilmente offerte dalle bestie che venivano liberate in quei luoghi.
Dai grandi predatori che ti aggredivano in pieno giorno, ai piccoli striscianti che divoravano lentamente nella notte, dai divora-gambe sepolti appena sotto il terreno, agli spruzza-acido-alati. Era orribilmente folle studiare, chiusi nelle gigantesche biblioteche della fortezza di RocciaInamovibile, ciò che quelle bestie erano in grado di farti. Analizzarne i minimi dettagli su immagini di enormi tomi centenari, per poi, il giorno dopo, addentrarti nei luoghi dove quelle creature si aggiravano, in quello che ara diventato il loro territorio, dove tu eri un intruso, nutrimento per loro e per i loro cuccioli, larve, germogli o qualunque altra dannata forma usassero per perpetuare la loro maledetta specie.
Ma dopo tutto, imparare ad affrontare e sconfiggere quelle bestie, era la loro missione. Se volevi diventare un cacciatore, dovevi imparare a superare il terrore ed essere pronto a tutto. Quelle giornate estenuanti, ti spingevano in un luogo fisico e mentale nel quale ogni pensiero logico scompariva, ogni motivazione evaporava, ogni obiettivo diveniva un’illusione, come bruma all’arrivo del primo sole del mattino. Tutto quello che rimaneva, era soltanto l’istinto di svenire a terra e vomitare, di abbandonarsi a quella quiete estrema in cui si rinunciava a tutto e si accettava tutto: il gelo, la fame, il dolore, la vergogna, la morte.
Avrebbero dovuto imparare a gioire di quei momenti, a esaltarsi, a combattere e vincere.
Ryan si sentiva di nuovo al limite.
Quando si sentiva così, gli tornava sempre nella mente di Ryan quella notte sulla torre a Roccia Inamovibile. Mentre sotto di lui le fronde degli alberi ondeggiavano al vento e le fiamme delle torce arancio danzavano come sacerdotesse del tempio di Nyalhut nel giorno della rinascita, dentro di lui qualcosa stava morendo.
L’ennesimo giorno di disperazione, dopo tutte le prove estreme alle quali da mesi era sottoposto, avevano spezzato il suo spirito e il suo corpo. Lo avevano reso consapevole, che non era adeguato per quel compito, non sarebbe mai stato l’eroe che si aspettavano che lui divenisse.
Non gli importava più di nulla, né dell’onore, né del Dovere. Avrebbe abbandonato tutto e sarebbe tornato al villaggio nella vergogna. Meglio diventare un senza-scopo e passare la vita nell’ignavia, sopportando il disprezzo di tutti, vivendo degli scarti e delle occupazioni più umilianti, piuttosto che dover affrontare un altro di quei giorni di follia. 
Non ne poteva più.
Aveva provato, ci aveva messo tutto se steso. Aveva creduto, era diventato un cavaliere dell’assalto, dopo aver affrontato le sue paure e superato terrori di cui ignorava perfino l’esistenza, aveva accettato lo scudo della difesa e la spada del sacrificio. Si era lanciato sempre davanti a tutti gli altri, sempre lui fra l’orrore e i suoi compagni, aveva perso qualcuno e salvato molti. A volte era ritornato alla base inebetito, coperto di sangue multicolore e interiora, era stato ferito, avvelenato, bruciato e infettato.
Alla fine, era stato spezzato.
Proprio quando la sua angoscia aveva raggiunto il culmine, dei passi risuonarono sulle scale di pietra e dalla botola era comparso Davion.
Sembrava avesse calcolato il suo arrivo proprio al momento opportuno. Il sorriso che aveva sul volto non conteneva né gioia, né derisione. Fra tutti coloro che avevano lasciato mesi fa il villaggio, era il più esperto, tutti guardavano a lui come una guida. Aveva un volto forte, con occhi gentili, in quegli ultimi mesi aveva lasciato crescere della peluria sul volto, forse per concedersi un briciolo di trascuratezza nella disciplina assoluta che il loro Dovere richiedeva.
Anche se quel viso poteva essere considerato ancora giovane, del bianco iniziava a intravedersi nei i capelli e nella barba. Quei fili bianchi, risplendevano alla tenue luce della luna, mentre saliva gli ultimi gradini e si appoggiava alle merlature, a fianco a Ryan.
Altri si sarebbero schiariti la gola e avrebbero iniziato a parlare del Dovere, di ciò che una persona dovesse fare, essere sempre forti e coraggiosi, cose così. Ma non era quello lo stile di Davion. Rimase a lungo silenzioso, condividendo la tranquilla veduta del bosco, animato dal vento.
Quel silenzio non fu pieno di imbarazzo e tensione, ma di compassione e comprensione, nella quale lentamente la disperazione di Ryan si affievolì.
«Ho deciso di abbandonare il Dovere e di tornare al villaggio» disse Ryan dopo un poco.
Altri si sarebbero scandalizzati, avrebbero sgranato gli occhi dallo sdegno, spalancato la bocca dal disgusto e iniziato ad urlargli contro. Ma nulla di tutto ciò accadde, l’altro rimase quieto, comprensivo, come se si aspettasse quelle parole.
«Anche io ho preso quella stessa decisione, più di una volta»
Ryan si girò a guardarlo stupefatto, non poteva crederci, sembrava una menzogna, una strategia preparata soltanto per manipolarlo. Ma non aveva mai sentito Davion mentire, neanche per le piccole cose. Ammetteva fallimenti e mancanze con sincerità, senza nascondere nulla, non vedeva nessuna utilità nel risolvere un problema con la menzogna, anche se ti salvavi in quel momento, condannavi il te stesso del futuro.
Nonostante questo, non riusciva veramente a credere che Davion avesse mai, anche solo per un istante, pensato di arrendersi. Era sempre calmo, perfino nelle situazioni più frenetiche e snervanti. Anche quando la sua Claymore si abbatteva ferocemente sui nemici, riusciva a conservare un’aurea di tranquillità. Non si poteva spiegare a parole, era una sensazione che avvertivi attorno a lui. Forse era dovuta alla determinazione che emanava in quei momenti, non prendeva neanche in considerazione una condotta differente, come se ogni tentennamento o dubbio fosse soltanto un ostacolo fra lui e il suo Dovere.
«Non ci credo disse alla fine. Non è possibile»
«È vero» rispose Davion serio «L’ultima volta è successo quando abbiamo perso Syrin, avevo anche preparato tutte le mie cose di nascosto, per sparire durante la notte»
Syrin, ne sentiva ancora la mancanza, possedeva la forza di una montagna, una fede incrollabile, non c’era nulla che potesse metterla di cattivo umore, ostentava una tale sicurezza, con quel sorriso sempre sulle labbra. Tutti pensavano che avrebbe potuto compiere il Dovere da sola, lei e i suoi miracoli.
Era bastato un solo sputo di una lumaca-vermiglia, per liquefarla dalla testa ai piedi, lasciando di lei soltanto un rosso scheletro urlante, appiccicoso e contorto. Se Ryan avesse potuto esprimere un desiderio, avrebbe chiesto di non dover mai più sentire un urlo come quello.
«E cosa è successo? Come fai ad essere ancora qui?» in quelle parole, lasciò trasparire più disperazione di quanto Ryan avesse desiderato mostrare all’amico, ma l’altro non diede segno di notarlo.
«Non saprei spiegarlo» gli rispose «A volte la sofferenza e la paura mi assalgono, più che altro di notte, spesso nelle prime ore del mattino. Forse siamo maggiormente fragili e indifesi in quelle ore. In ogni caso, quando quelle sensazioni mi assalgono e ottengono il completo controllo di tutto me stesso, intraprendere qualunque azione mi sembra impossibile. Mi sento come se non fossi più capace neanche di alzarmi dalla branda, figurarsi affrontare un’altra giornata là fuori»
Ryan lo guardava stupefatto. Come era possibile che anche il suo amico conoscesse quelle difficoltà? Avevano vissuto spalla a spalla per anni ormai, se qualcuno glielo avesse chiesto, avrebbe dato una descrizione completamente diversa di lui. Chiunque avesse anche soltanto insinuato che Davion fosse un codardo, sarebbe stato sfidato da Ryan e la verità dimostrata. Codardo? Aveva proprio usato quella parola per descrivere il suo compagno? Forse doveva sfidare sé stesso a duello. Ma era proprio codardia quella? Com’era possibile che un uomo che tremava nella sua branda nella notte, fosse lo stesso che guidava e infondeva coraggio a tutti, come una fortezza in mezzo a una tempesta di fulmini violetti? Lui non era scappato, era rimasto. 
Ryan non doveva far altro che dargli tempo per conoscere la risposta.
«In quei momenti, vorrei soltanto scomparire e non dover fare né dimostrare più nulla. All’inizio quando questi sentimenti iniziavano a rivoltarsi dentro di me, io cercavo di combatterli, come se fossero dei nuovi nemici, ma per quanto li respingessi, essi tornavano sempre più forti, invincibili. Non so come sia successo, ma in una di quelle notti ho smesso di opporre resistenza, gli ho permesso di infuriare come un tornado, li ho accettati senza vergogna o rimorso. Sono scivolati su di me come pioggia, diventando un calmo fiume che li trasportava lontano. Quando, alla fine, mi sono svegliato completamente, tutti quei sentimenti non c’erano più, c’ero soltanto io. Dentro di me rimaneva soltanto la idea di ciò che sono, di come voglio vivere, del Dovere, di tutto ciò che abbiamo perso e di ciò che abbiamo ancora» si volto a guardare Ryan e continuò «Syrin non c’è più e anche Ali e Trond non sono più con noi. Ma tu sei ancora qui, come Tarv, Dros e tutti gli altri. Finché ne sarò capace, farò tutto quello che posso perché tutti, me compreso, possiamo divenire la versione migliore di noi stessi, il nostro Dovere sia compiuto e il villaggio sia salvo»
Ryan rimase come confuso, aveva ascoltato attentamente ogni parola, ma il loro significato era molto di più che la loro somma, comprese istintivamente che sarebbe stato necessario sperimentarle sulla propria pelle, viverle, per poterle comprendere veramente.
«Ma questo è il mio modo di superare quei momenti» continuò Davion «Non è detto che funzioni allo stesso modo per te» A queste parole Ryan sentì nuovamente la disperazione prende il sopravvento, ma il suo compagno riprese a parlare.
«Immagino che tu abbia riflettuto sulla vita che ti aspetta se lasciassi il Dovere, e deciso che preferisci anni di vergogna tra i rifiuti, piuttosto che quello che ti può capitare domani con un altro giorno di addestramento. Ma io ti conosco, so che cosa stai provando in questo momento, ma la verità è che tu sei nato per questo. Ti sei sentito per la prima volta veramente vivo, quando hai combattuto come cavaliere dell’assalto. L’ho letto nei tuoi occhi, il modo in cui ti rivolgevi agli altri, il tuo portamento era cambiato, avevi compreso chi volevi diventare: uno scudo piantato nel terreno a protezione di ciò è importante, una spada pronta ad abbatte tutto ciò che lo vuole distruggere.
Se rinunci a questa strada, se volti le spalle a quello che ti infiamma il sangue nelle vene e ti fa sentire vivo, quale sarà l’alternativa? Forse resterai per molti più anni su questa terra, ma saresti già morto. Ti trascineresti in una serie di azioni ripetute, giorno dopo giorno, anno dopo anno, che sarebbero prive di significato. Svegliarsi, sgobbare in qualche posto infimo, magiare scarti, maledire la tua sfortuna, dormire. Ancora e ancora. Questo è il vero incubo, questa è il vero orrore, vivere una vita priva di valore, spesa cercando di distrarsi continuamente dal ricordo di ciò che saresti potuto diventare. 
Se lo chiedessi a me, io preferirei vivere veramente soltanto un altro giorno, piuttosto che trascinarmi nel rimpianto per secoli» detto questo, gli posò una mano sulla spalla sorridendo e senza aggiungere nient’altro se ne andò.
Ryan non riuscì a chiudere occhio quella notte, ma comprese che Davion aveva detto il vero, era proprio lì che voleva essere, per continuare ad impegnarsi a diventare ciò che lo rendeva vivo. Era puerile agognare qualcosa, desiderando di poterlo ottenere senza sforzo, senza sacrificio. Se amavi soltanto il risultato, detestando il processo per ottenerlo, non ce l’avresti mai fatta, per te ci sarebbe stato soltanto il fallimento. Avrebbe imparato ad amare il sangue, gli assalti, le bestie, la morte e la sconfitta.
Se questa era pazzia, allora sarebbe diventato un folle.
Quella notte si incise quelle parole nell’anima e se le ripeté tutte le successive volte che fu sul punto di cedere.
Qualche mese dopo Davion morì.
Accadde durante il secondo tentativo di discesa, la grotta era stata ispezionata, ma un divoratore-contorto sbucò all’improvviso da una fessura nella roccia, la conformazione della parete e la scarsa luce l’avevano resa praticamente invisibile, un colpo di sfortuna.
Gli era schizzato addosso serrandogli sul busto quelle mascelle simili a forbici e con uno schiocco l’aveva praticamente spezzato in due parti. Quella bestia disgustosa aveva iniziato a divoragli le interiora, mentre Davion ancora gridava dal dolore e per la sorpresa. Subito una moltitudine di quelle creature si riversò dalla parete, probabilmente per prendere parte al banchetto. Ryan era più avanti, si guardò di scatto alle spalle e vedendo quello che era successo, sembrò impazzire, trasfigurandosi. Con un urlo rabbioso si lancio indietro contro quei millepiedi assassini, piantò lo scudo a terra facendo volare in aria quelle creature con un colpo del suo potere, poi, incurante di ogni altra cosa, iniziò a farli a pezzi. Si proteggeva con lo scudo, vibrando la spada a sinistra e a destra, macellandoli con una furia folle che nessuno gli aveva mai visto prima addosso. Pezzi di quelle bestie volavano in aria imbrattando tutto, e appiccicandosi ovunque, perfino sul soffitto. Un tanfo nauseante si diffuse nell’aria, accompagnato da una cacofonia di suoni disgustosi e scricchiolanti, corpi chitinosi che venivano frantumati, squittii di frustrazione delle creature e le urla selvagge di Ryan, che con la determinazione di un uragano cercava di avanzare per raggiungere Davion.
Per il resto del gruppo lo shock era stato troppo dirompente ed improvviso, per diversi istanti non riuscirono a fare altro che rimanere impietriti, cercano di razionalizzare quello che era appena accaduto davanti ai loro occhi. Poi l’addestramento prese il sopravvento, ognuno si risvegliò, ritornando fare la sua parte.
Radia iniziò a cantare sommessamente, mentre le sue mani sfioravano le corde del suo Tytren, ne uscì una melodia lenta e precisa. Quella musica risuonò in Ryan e tutto per lui iniziò a scorrere più calmo, le creature gli sembravano ora lentissime, come se a malapena si muovessero, le poteva così uccidere con precisione e schivare i loro attacchi con estrema facilità.
Tarv appoggiò entrambe le mani sul pavimento, cercando concentrazione con gli occhi chiusi, dopo pochi istanti la roccia gli disse che dal corridoio di fronte a loro stava arrivando una moltitudine di quelle bestie striscianti, ci doveva essere un nido nelle vicinanze. Quando lo comunicò ad alta voce, fu chiaro a tutti che dovevano ritirarsi, certo, forse sarebbero potuti riuscire a sterminarle, ma il costo sarebbe stato troppo alto.
Le creature intorno a Ryan retrocedevano, probabilmente avvertivano lo sciame in avvicinamento e d’istinto preferivano aspettarlo per attaccare in massa. Lui sfrutto quel momento per riprendere fiato, ma quell’aurea di pazzia non lo aveva abbandonato, si stava soltanto preparando ad attaccare di nuovo.
Radia interruppe la sua canzone e gli corse a fianco prendendolo per un braccio.
«Ryan! Fermati!» gli grido «non puoi fare più niente è morto!»
«No!» le urlò contro lui con gli occhi accesi di follia, scrollandosi dalla sua presa «No! Devono morire tutte, tutte! Poi troverò il loro nido e le sterminerò fino all’ultima, compresa, la loro schifosa regina!»
«Non puoi farlo Ryan! Ci farai uccidere tutti! Dobbiamo ritirarci»
Mai! Si disse lui nella testa. Qualcosa gli era esploso dentro e desiderava solo la vendetta. Era come se qualunque altra cosa fosse scappata da lui e al suo posto fosse rimasto soltanto odio. Non si era mai sentito così, era sconcertante, come se il corpo cercasse di contenere qualcosa di enorme, straripante, come se fosse sul punto di scoppiare. In un certo qual modo era piacevole. Niente più dubbi, niente più responsabilità, nessuna scelta da ponderare, soltanto sangue e morte. Ma le parole di Radia fecero pian piano breccia e lentamente lo fecero ritornare, almeno un poco, sé stesso.
Guardò i suoi amici, erano scossi ma stavano mantenendo la posizione, ognuno avrebbe fatto il suo dovere per i proprio compagni. I suoi compagni, non era quello il Dovere di un Cavaliere dell’assalto? Essere sempre davanti a tutti per proteggerli, proteggere. Non avrebbe permesso che perdessero la vita. Tutti stavano come aspettando, Davion era stato la loro guida, ma ciò che ne rimaneva non li avrebbe portati da nessuna parte.
Qualcuno doveva portarli fuori.
«Indietro!» gridò «Tarv trovaci una via percorribile per la superfice. Dros, crea un muro di fuoco blu che blocchi quegli schifosi divoratori contorti, Radia» sussurro in modo che soltanto lei potesse sentire «cantaci ‘Le lacrime di Yasmy’»
Lei rimase sorpresa da quella richiesta, ma accetto la richiesta con un cenno della testa.
Quella canzone poteva donare lucidità e concentrazione, scacciando per diverso tempo ogni altra sensazione, ma dopo avrebbero percepito ogni sentimento, inclusa la tristezza per la loro perdita, decuplicato. Ma non avevano molta scelta, necessitavano di tutto l’aiuto possibile, prima dovevano tornare all’aria aperta e poi si sarebbero preoccupati del resto.
Le fiamme blu illuminarono la grotta, un istante dopo lo sciame fu ovunque. Era composto da un numero incalcolabile di elementi, si muovevano strisciando gli uni sugli altri, come fossero un solo enorme essere, in un groviglio ipnotizzante. L’impossibilità di raggiungere le loro prede le fece stridere di furia.
Il muro ardente tra quella mostruosità e loro permise a Ryan di abbandonare la sua posizione e di mettersi in testa al gruppo, per iniziare a ripercorrere a ritroso la strada che li aveva condotti fino a lì.
Procedettero più velocemente possibile, ma non potevano ignorare gli altri pericoli che si potevano celare in quelle gallerie buie. Incontrarono diverse altre bestie, durante la risalita, ma fortunatamente si stavano già nutrendo dei cadaveri delle creature che loro stessi avevano ucciso durante la discesa. Ricevettero ringhi e bramosi sguardi carichi di odio, ma riuscirono a risalire in superfice combattendo soltanto alcune volte.
Quando infine uscirono all’aria aperta e il cielo apparve sopra le loro teste, assaporarono alcuni istanti di sollievo, prima che il ricordo di colui che non era più con loro si riaccendesse nelle loro menti.
Nell’aria iniziò a risuonare una canzone decisa. Radia, in ginocchio sull’erba, con voce salda, cantava e piangeva. Le parole raccontavano di speranza e coraggio, forse stava cercando di infonderli prima di tutto in sé stessa. Latio, spostandosi da un compagno all’altro, usava i suoi poteri taumaturgici, curava ferite e verificava che nessuno avesse contratto infezioni o parassiti. Nascondeva il suo dolore, curando quello degli altri.
Distante dal gruppo, in piedi, con lo scudo e la spada ancora stretti nelle mani, Ryan dava le spalle a tutti. Proteggere era il suo Dovere e il suo amico era morto.
Cercava di capire che cosa avesse sbagliato, quale sua mancanza avesse causato la morte di Davion. Ripercorreva i ricordi nella sua mente, era entrato in quella maledetta grotta, Tarv aveva già eseguito una prima ispezione, era passato proprio a fianco a quella parete, che poco dopo si era rivelata fatale. Luce e ombra danzavano su quel muro di roccia frastagliata e avevano reso completamente invisibile la fessura. Tutto sembrava sicuro e gli altri avevano preso posizione.
Per quanto si sforzasse, non riusciva a vedere uno scenario in cui le cose sarebbero potute andare diversamente. Era stato soltanto un caso, soltanto sfortuna.
Questa visione, però, non gli diede conforto, al contrario, fu un colpo terribile che incrinò la sua fiducia in sé stesso. L’aveva costruita duramente, con dedizione, durante i mesi di all’addestramento. Ma se la loro sconfitta poteva dipendere da un qualche evento fortuito, tutto sembrava perdere di significato. Come avrebbero potuto avventurarsi di nuovo in quell’inferno? Non erano ancora pronti e avevano perso la loro guida. Quella missione era un suicidio, era tutto inutile e lui non avrebbe più potuto….
Riconobbe il vortice di pensieri che stava nascendo dentro di lui. Lasciato incontrollato lo avrebbe trascinato in un luogo oscuro, lontano dalla realtà. Sarebbe stato catturato da una trance, dove, solo e avviluppato nelle sue paure, ogni pensiero coerente sarebbe stato spazzato via, ogni ragionamento logico impossibile. Qualunque soluzione avesse trovato in quel luogo, sarebbe stata ingannevole ed effimera, qualunque decisione avesse preso, falsa e fallace.
Si voltò a guardare i suoi compagni concentrandosi su qualcosa al di fuori di sé stesso. Vide la verità in loro, nelle loro ferite, nelle loro armature ammaccate, sulle loro armi sporche, ricordò chi erano e cosa avevano vissuto insieme.
Lascio che i pensieri nel vortice continuassero a scorrere liberi, accettandoli, né buoni ne cattivi, soltanto pensieri.
Mentre li osservava uno ad uno, quel vortice collassò su sé stesso, lasciando Ryan di nuovo vigile, con chiarezza dentro di lui.
Non aveva colpa, né ne avevano loro.
Si erano comportati con coraggio, avevano combattuto con efficienza, non avevano ceduto al panico e si erano spinti notevolmente in profondità, avvicinandosi per la prima volta, al livello dove ritenevano vi fosse il loro obbiettivo. La morte di Davion era stata devastante, ma ognuno di loro sapeva che la morte era sempre una possibilità.
Davion non era stato il primo, e non sarebbe stato l’ultimo. Nel profondo, nessuno di loro riusciva ancora ad accettare completamente questa consapevolezza, ma il Dovere lo richiedeva.
L’unico momento in cui avrebbe voluto comportarsi diversamente, era stato quando si la collera l’aveva sopraffatto. Ma era veramente plausibile chiedergli di restare calmo e concentrato, quando un amico veniva fatto a pezzi e divorato sotto i suoi occhi?
Si, era una richiesta legittima. Avrebbe imparato a restare lucido difronte a qualsiasi cosa. Oggi quella rabbia folle l’aveva catturato per la prima volta, anche se alla fine non aveva causato problemi, sarebbe potuto accaduto ancora e qualcuno avrebbe potuto pagarne le conseguenze, magari lui stesso, magari Radia.
Radia.
Era stata lei a straparlo da quella furia ceca.
Una parte di lui desiderò di fuggire lontano, con lei, di trovare un posto dove avrebbero potuto condurre una vita semplice, ma lei non lo avrebbe seguito, non avrebbe abbandonato il dovere e neanche Ryan.
Doveva chiedere aiuto ai maestri di RocciaInamovibile, non aveva idea di come avrebbe fatto, ma si sarebbe dovuto allenare in modo da imparare a gestire il furore, trattenerlo. A pensarci poteva diventare utile. Se fosse riuscito ad avere maggior controllo di sé stesso, avrebbe potuto rilasciare la furia in caso di necessità, quando fossero stati circondati dai nemici, o se avessero dovuto sfondarne una linea che bloccava il loro percorso. Si aveva senso, avrebbe trasformato quel pericolo in un vantaggio, una nuova capacità.
Mentre ragionava su queste cose, si accorse che gli effetti di ‘Le lacrime di Yasmy’, stavano terminando.
Rivide Davion morire sentendo la sofferenza esplodere come un lampo dentro di lui, il dolore fu praticamente fisico, lo sentiva scorreva su tutti i suoi nervi, come se bruciassero. Si sentì lacerare, strinse i pugni, sbiancando le nocche, mentre le lacrime chiedevano disperatamente di scorrere. Desiderava soltanto crollare a terra e disperarsi. Avrebbero avuto tempo per quello. Ma non ora.
«In piedi» disse, cercando di scacciare lontano tutte quelle sensazioni. «Dobbiamo muoverci, rattoppatevi, rimuovete tutte le schifezze schizzate su armi e armature, verificate di non portare a casa qualche parassita, e poi si torna indietro»
Non è che ci fosse una vera urgenza di mettersi in cammino, ma fare qualcosa avrebbe lasciato meno spazio per pensare. All’inizio rimasero sbalorditi dalle sue parole, dalla rudezza in esse, non era possibile che pretendesse si comportassero come se non fosse successo nulla.
Non era neanche il capo.
Ma poi ognuno comprese la ragione dietro di esse, il vero motivo per cui le aveva dette. Stava cercando di aiutarli, di spronarli, stare lì seduti a piangersi addosso non avrebbe aiutato per niente.
Radia fu la prima ad alzarsi. Quindici minuti dopo erano in marcia.
Le ore che seguirono furono come un sogno, camminarono, arrivarono alla fortezza, fecero rapporto, controllo medico, liberi.
Il lamento per Davion avrebbe avuto luogo quella stessa sera.
Ryan avrebbe voluto che quel momento non arrivasse mai, ne aveva timore. Allo stesso tempo lo agognava, come se in esso lui potesse essere liberato da quel dolore che provava.
Quando, dentro la sua cella, si ritrovò solo, non sapeva bene come comportarsi. Avrebbe dovuto disperarsi? Piangere in silenzio? Distruggere ogni cosa?
Tutto ciò che fece fu stare immobile con lo sguardo nel vuoto.
La sua mente completamente svuotata, ogni pensiero sfuggito chissà dove.
Chiuse gli occhi.
In quell’assenza di azione, suoni e luce, si sentì come trasportato lontano, in un luogo in cui esisteva soltanto il nulla. Nessun Dovere da compiere, nessuno da piangere, nessuno da combattere, nessuno da amare. Qualche minuto prima tutto Intorno a lui aveva avuto un significato, ma non riusciva più a ricordarlo. Ogni cosa stava svanendo nel vuoto, sentiva il suo stesso corpo perdere consistenza e divenire sempre più leggero, da lì a poco sarebbe svanito in quel mare di mancanza in cui era immerso.
Forse fu proprio quella sensazione di non esistenza a riscuoterlo. Ricercò gesti familiari, in maniera automatica, che sapeva di dover eseguire.
Si tolse di dosso l’equipaggiamento, inizio a controllare tutti gli strumenti che portava con sé, li esaminò uno ad uno con attenzione, li pulì verificandone il corretto funzionamento, per poi riporli al loro posto. Finito quel processo, si spoglio e si diresse ai bagni.
Qualche ora più tardi, lavato e con indosso la divisa in uso all’interno della fortezza, era in piedi difronte alla stanza dei lamenti, senza accorgersene aveva cercato di arrivare poco prima dell’inizio. Poteva sentire persone all’interno, alcuni evocatori avevano di sicuro ricreato l’immagine di Davion, come avveniva quando il corpo di un compagno era perduto.
Lo avevano probabilmente riprodotto in piedi, con l’armatura addosso e lo sguardo sicuro, fisso verso l’orizzonte. Il suo amico era conosciuto da molti, si poteva quindi sperare che la riproduzione fosse accurata. Era surreale quando qualcuno veniva riprodotto diversamente da come era stato in vita o con atteggiamenti che non aveva mai avuto.
Si accorse in quel momento di aver qualcuno vicino, voltandosi vide Radia. Sembrava avere la sua stessa espressione, i suoi stessi pensieri. Lei guardava fisso davanti a sé, evitando di incrociare gli occhi di Ryan, forse per contenere le proprie emozioni. Lui si senti felice di averla a fianco e fece il primo passo per entrare nella sala.
La stanza era affollata, tutti i suoi compagni erano presenti, insieme a molti altri provenienti da ogni gruppo della fortezza. Fra loro Ryan vide perfino alcuni maestri, segno questo, del valore e del rispetto che Davion inspirava in tutte le persone intorno a lui.
Non c’erano praticamente più posti, tranne due che erano stati lasciati liberi nella prima fila.
Quel gesto di riguardo, riservato a Radia e a lui stesso, lo riempi di riconoscenza e gratitudine, senza titubare avanzarono occupandoli.
Davion sembrava essere proprio li con loro, in piedi su un basso piedistallo, soltanto a pochi passi, fronteggiava la folla con serenità e fierezza. Guardandolo, avresti potuto credere che fosse reale come ogni altra persona presente.
L’immagine era veramente perfetta, proprio come Ryan aveva immaginato. Mentre la osservava, quella si voltò, guardandolo direttamente negli occhi, dopodiché accennò con la testa un gesto di assenso per poi tornare a guardare lontano.
Nessuno sapeva quale fosse la ragione per la quale le immagini si muovessero, si pensava che inconsciamente gli evocatori infondessero in quelle forme effimere gli atteggiamenti che avevano percepito nella persona mentre era in vita.
Altri credevano che, durante il lamento, lo spirito si fondesse a quell’essenza, per poi scomparire definitivamente insieme ad essa.
Nessuno poteva dire con certezza quale fosse la verità, ma Ryan volle credere che con quel gesto Davion gli accordasse fiducia e appoggio nel proseguire la missione che avevano iniziato insieme.
Tutti stavano fermi in piedi, nel silenzio assoluto, con espressioni serie e composte sui volti, nessuno avrebbe potuto intuire cosa stessero provando.
Il primo gong echeggiò nell’aria, causando un’eco di suoni e movimenti nella sala.
Ryan chiuse gli occhi.
Poco dopo, il secondo colpo causò gemiti e singhiozzi.
Lui sentì le lacrime scorrergli in fine sul volto, Radia nascondeva il viso nelle mani.
Quando il terzo vibrò nell’aria, fu accompagnato da persone che gridavano. Alcuni si accasciarono alle pareti, altri colpivano gli oggetti o li gettavano a terra con rabbia. C’era chi invocava in nome di Davion o urlando ricordava eventi importanti della sua vita.
Ryan cadde in ginocchio, con le braccia abbandonate ai lati del corpo, piangeva, senza emettere alcun rumore.
Nel lamento, ognuno poteva esprimere i propri sentimenti come preferiva. C’era chi rimaneva immobile guardando avanti o con il capo chinato, alcuni si disperavano in maniera forsennata, senza nessuna inibizione, altri parlavano a voce alta, condividendo ricordi o ciò che stavano provando.
Non ci sarebbero stati valutazioni per nessuno di quei comportamenti, non veniva commentato se alcuni avessero mostrato più sofferenza di altri per quella perdita o se non ne avessero mostrata affatto.
In quella celebrazione comune, ogni comportamento veniva accettato senza giudizio, insieme comprendevano tutte le manifestazioni del dolore. Così, terminato il lamento, non ci sarebbe stato più niente che potesse essere espresso.
Ognuno dedicava al lamento il tempo che riteneva necessario, alcuni se ne andavano poco dopo, altri rimanevano per ore.
Quando Ryan si accorse di non aver più lacrime, era ormai rimasto solo nella stanza, con l’immagine di Davion. Si alzò sistemandosi i vestiti e riacquistando sensibilità nel corpo. Prima che decidesse di girarsi per uscire, quella lo guardò ancora una volta negli occhi, ripetendo quel gesto di assenso, prima di sparire per sempre. Lui attese che nulla ne fosse più visibile, poi, lentamente, uscì.
Nel silenzio del corridoio trovò Radia ad aspettarlo, non aveva più lacrime né sofferenza sul volto.
Qualche ora più tardi, Ryan era steso sul letto della sua cella, con Radia distesa a fianco. Lui sentiva il calore della sua pelle, lo percepiva sulla propria, mentre il corpo di lei si muoveva lentamente al ritmo dei suoi respiri leggeri e regolari. Ultimamente i loro incontri erano sempre più regolari. Non avevano ancora l’età per dedicarsi l’uno all’altro, se quella cerimonia fosse avvenuta, avrebbe dovuto attendere ancora qualche anno. I giovani erano incoraggiati a frequentare più compagni contemporaneamente, a sperimentare e scoprire cosa desideravano e apprezzavano in un partner, così che, quando avessero deciso di dedicarsi, sarebbe avvenuto con la consapevolezza necessaria a renderlo significativo.
Radia e Ryan avevano dimenticato, negli ultimi tempi, di frequentare altre persone, ritrovandosi sempre più spesso insieme, come in quel momento. Lei le piaceva, era forte, coraggiosa, sembrava leggergli nella mente e fare sempre ciò che anche lui riteneva giusto. Forse quando ne avessero avuto la possibilità, si sarebbero veramente dedicati l’un l’altro.
Ma non era così importante rifletterci ora, avevano ancora tempo.
Lei dormiva tranquilla, ma Ryan non riusciva a fare lo stesso. La morte del suo amico aveva risvegliato in lui memorie dagli anni passati. Ognuno di quei ricordi portava con sé le sensazioni che aveva provato, spossatezza, terrore, eccitazione, imbarazzo, confidenza sempre maggiore. Ma tra l’assegnazione del Dovere, gli attacchi al villaggio, i morti, le notti passate nell’ospedale, i lamenti per i compagni, emergeva qualcosa. Non vedeva errore in tutto quello che aveva fatto, ogni azione era quella giusta, i successi come i fallimenti, ogni morte aveva importanza. Prima nella vita si era sentito insicuro, perduto, come se gli mancasse qualcosa. Quella sensazione diveniva a volte quasi fisica, come se al suo corpo mancasse un pezzo, come se non fosse completo.
Ma non più.
Era integro ora, orgoglioso di come spendeva le ore delle sue giornate, del coraggio e della determinazione con la quale lui e i suoi amici avevano accettato il Dovere e vi si dedicavano ogni giorno.
Tutti quei ricordi lo portarono sempre più indietro, dove tutto era iniziato.
Frescoverde era un posto come tanti altri, un villaggio dove la gente viveva, lavorava e moriva. La vita poteva essere dura, ma anche bella. Era nato lì, quasi 20 anni fa, come la maggior parte dei suoi compagni. Avevano vissuto come tanti prima di loro, contribuendo alla comunità, mentre imparavano un’arte. Fare il pane, costruire case, coltivare, allevare, ma anche musica, canto, raccontare e scrivere storie. Gli anziani osservavano i giovani, alla ricerca di vocazioni e abilità innate, così che ognuno potesse coltivare la parte migliore di sé stesso, nel villaggio tutti potevano diventare maestri e trasmettere qualcosa che avevano amato. Questo non esonerava nessuno dal lavoro, non si riusciva a cantare se non mangiavi da giorni.
C’erano stati periodi pacifici e abbondanti, dove tutti potevano dedicarsi senza preoccupazioni alla loro arte e al loro Dovere, che spesso coincidevano. Durante carestie e guerre, la sopravvivenza aveva avuto la precedenza sopra ogni altra cosa, in quei momenti la coltivazione della bellezza dentro le persone era stata quasi dimenticata.
Per loro non era stato né l’uno né l’altro, avevano diviso il tempo tra lavoro e arte. Fin da piccoli avevano iniziato ad esplorare le loro capacità, dedicandosi a diversi mestieri e attività. Era sorprendente come fosse semplice, per alcuni, scoprire cosa facesse esultare il loro essere, mentre, per altri, il processo fosse più complesso. In tutti i casi quel percorso di crescita, esplorazione, scoperta, fallimenti e successi, aveva qualcosa di magico, era la ragione ultima della vita stessa. Ognuno si inoltrava su quel percorso, timoroso ed estatico allo stesso tempo. Più comprendevi te stesso e il Dovere che avresti desiderato per la tua vita, più il momento ti trascinava, finché diventava una valanga, che non avresti più potuto arrestare. Quando scoprivi la meraviglia del portare bellezza e valore nel mondo, era difficile smettere.
Era stato così per Radia, si era dedicata al canto e alla musica naturalmente, sin da quando era ancora una bambina, sua madre raccontava, che anche nella culla i suoi vagiti sembravano una melodia. Cantava portando gli animali al pascolo, cucinando, distribuendo acqua a chi lavorava nei campi, cantava alle feste e nelle cerimonie funebri. In tutte quelle occasioni la sua voce riusciva a far vibrare qualcosa dentro di te e qualunque cosa tu stessi facendo, sentivi di assaporare di più quel momento, di viverlo più intensamente.
Ma ciò che le dava più gioia era quando un cantavita come lei passava per il villaggio o se lei stessa riusciva a visitare altri luoghi. In quelle occasioni, poteva imparare una nuova canzone, una nuova storia. Era come se scoprisse una nuova parte di lei stesa e del mondo, tutto acquisiva maggior significato.
La strada di Ryan invece, era stata più contorta. Fin da bambino si era dedicato a diverse cose, una completamente differente dall’altra, ogni volta dichiarava di aver finalmente trovato quella giusta, ma dopo qualche tempo la abbandonava per qualcos’altro.
Raggiunti i 14 anni, suo padre aveva iniziato a preoccuparsi, iniziava a credere che il figlio potesse diventare un senzascopo, una persona senza la propria arte, a cui alla fine gli anziani avrebbero assegnato il dovere che era più necessario in quel frangente. In alcuni casi queste persone riuscivano comunque a condurre una vita serena, compiacendosi del valore che donavano agli altri, tramite il mestiere che era stato scelto per loro. Per altri diventava una ragione di infelicità, e ogni giorno quel peso sembrava piegarli sempre più, fino a che non erano più in grado di alzare lo sguardo dalla terra.
Ma dopo tutti quei tentativi, era tornato al punto di partenza, come se avesse camminato in un grande cerchio. Tutto sommato non era stato un approccio errato, dovevi vivere, prima di capire qualcosa di te stesso.
Sarebbe stato un costruttore, come suo padre, ma allo stesso tempo diverso. Non soltanto un falegname, avrebbe creato oggetti nuovi combinando tutti i materiali in modi impossibili. Per fare ciò progettava di sfruttare il potere innato di fusione che aveva scoperto di possedere.
Così, al nuovo sole dell’anno, tutti coloro ritenuti pronti dagli anziani, normalmente al compimento dei 16 anni, avrebbero partecipato alla cerimonia dell’assegnazione, durante la quale gli sarebbe stato conferito un Dovere. Era un momento di emozione e tensione, in cui speravi con tutto te stesso che ciò che avevi scoperto di amare, divenisse la strada della tua vita.
In alcuni casi sarebbe divenuta la tua stessa professione, in altri sarebbe stato accompagnato da un’occupazione secondaria. Disegnare era magnifico, ma se non riusciva a supportare abbastanza i bisogni materiali del villaggio, il tuo Dovere sarebbe stato regalare bellezza a tutti con i tuoi disegni e la tua occupazione giardiniere, macellaio o qualcos’altro.
Gli anziani conoscevano personalmente ognuno dei giovani, li avevano seguiti fin da quando erano dei bambini. Nel giorno dell’assegnazione mettevano sempre al primo posto le aspirazioni e al secondo la necessità, in modo che tutti potessero essere una parte utile della comunità e vivere facendo ciò che donava loro gioia e significato.
Era sempre stato così.
Ma non lo sarebbe stato per loro.
Quel giorno Ryan comprese immediatamente che qualcosa non era come avrebbe dovuto essere, lo lesse sui volti degli anziani, nel momento stesso in cui occuparono i loro posti. L’atmosfera nella piazza addobbata a festa era gioiosa, i colori dei semplici festoni risplendevano ondeggiando al sole, l’emozione pervadeva tutto e le persone ne risuonavano, i bambini correvano come elettrizzati. Tutti erano trepidanti nell’attesa di quell’evento che avrebbe portato felicità e fierezza, non solo alle famiglie dei ragazzi coinvolti, ma a tutta la comunità. Normalmente gli anziani avrebbero partecipato sorridendo, guardato con sapienza i giovani negli occhi, comunicando loro orgoglio e speranza.
Ma quell’occasione essi evitarono il contatto visivo, la tristezza sembrava avvilupparli come un manto. Non c’era vergogna in loro, ma giustizia senza gioia.
Lentamente l’eccitazione scivolò via dalla piazza, i bambini cercarono riparo dietro i genitori e i colori sembrarono sbiadire. Tutti divennero titubanti, attendendo un evento, che intuivano non avrebbero gradito.
«Figli» disse Calayan, l’anziano guida «vedo che già percepite ciò che noi proviamo, non cercherò di convincervi di nulla. Vi porterò soltanto verità.»
Quelle parole calmarono tutte le persone presenti preparandole. Ognuno era pronto a fare quanto fosse necessario. Ci si poteva illudere che ciò che desideravi fosse la cosa giusta, ma questo non lo rendeva vero.
«Una minaccia si avvicina a noi, ne siete tutti a conoscenza. Dapprima era soltanto una preoccupazione sul fondo della nostra mente, tutti abbiamo immaginato che sarebbe svanita da sola, se non ci avessimo più pensato. Ma non è stato così, è ritornata, ogni volta più vicina, più pericolosa, fino a che non possiamo più ignorarla»
Era la verità, tutti ne erano a conoscenza.
In principio soltanto sporadicamente, ai confini dei territori del villaggio, erano avvenuti alcuni incidenti. Grossi capi di cacciagione erano stati trovati orribilmente maciullati.
Certo, non era la prima volta che venivano trovati corpi di animali assaliti, uccisi e divorati, ma lo stato di quelle carcasse e le tracce intorno ad esse, aveva fatto accapponare la pelle dei presenti. C’era qualcosa di terrificante in quella scena, ti faceva sentire una preda, costringendoti a guardarti continuamente alle spalle, sobbalzando ad ogni rumore, con il solo desiderio di abbandonare quel luogo al più presto.
Sembrava che l’attacco fosse stato eseguito da una specie di sciame, composto da animali di diverse dimensioni. Questo era deducibile dalla moltitudine di morsi presenti sulle prede, le mandibole che le avevano causate, erano quasi perfettamente circolari e piene di denti acuminati. Le più piccole avevano le dimensioni di una mela, le più grandi di una testa umana. Tuttavia, la presenza di alcuni piccoli alberi abbattuti e la distruzione del sottobosco circostante, faceva pensare a una creatura enorme. A conferma di questa seconda teoria, alcune carcasse erano state come interamente masticate da mascelle enormi che avevano praticamente triturato le ossa. Alcuni pensavano che potesse trattarsi di una madre che guidava una cucciolata, ma anche questa visione non convinceva tutti. Di certo nessuno aveva mai visto nulla di simile.
Normalmente uomini e mostri si tenevano alla larga gli uni dagli altri, come vivessero in due mondi separati, che in effetti descriveva abbastanza correttamente la realtà. Alcune aree del territorio erano abitate solamente da bestie. Le zone di confine con le aree umane erano indistinguibili alla vista, ma ti accorgevi subito che c’era qualcosa di diverso. Non era possibile udire nessun suono di animali conosciuti, nessun canto di uccello, niente cicale, nessun volo d’insetto, il silenzio era surreale, rotto ogni tanto da rumori sconosciuti. Quelle zone di confine non erano particolarmente pericolose, ma più ti addentravi in quei posti, più tutto diveniva anomalo. La vegetazione sbiadiva, diventando aliena, i raggi del sole filtravano debolmente, attraverso miasmi provenienti dal terreno e da alcuni enormi funghi malati che potevano rendere l’aria stessa venefica. 
Al centro di tutto ciò, si trovava l’entrata della tana.
A volte sembrava una normale caverna, in altri il terreno era tappezzato da una moltitudine di voragini, dalle quali provenivano fumi, odori ed echi che non promettevano nulla di piacevole. Chi vi si fosse inoltrato, a rischio della vita e della sanità mentale, avrebbe scoperto un mondo immenso costituito da gigantesche caverne coperte di vegetazione, laghi e fiumi sotterranei che scorrevano sotto i continenti, gallerie labirintiche che sprofondavano nella terra fino a dove nessun uomo era mai riuscito ad arrivare. Tutto popolato da creature da incubo di ogni forma e dimensione, qualunque fosse la tua fobia, lì avresti trovato qualcosa che ti avrebbe sconvolto per il resto della tua vita.
Ma cosa vivesse nelle profondità di quel mondo sconosciuto era impossibile perfino da immaginare.
Ogni tanto capitava qualche incidente, un divoratore contorto che si allontanava dalla tana e aggrediva un maiale. Un lunghezanne che scambiava i pascoli del villaggio per un terreno di caccia. Nessuno sapeva cosa scatenasse in alcune bestie quei comportamenti anomali. Forse era una specie di malattia, oppure alcune creature ragionavano in modo diverso dalle altre, proprio come capitava alle persone. C’era chi ipotizzava fossero una sorta di esploratori, nei quali l’istinto era mutando e si spingevano nel mondo degli uomini come araldi di un imminente cambiamento.
Qualcuno annunciava che le guerre delle bestie stavano per tornare, ma quei combattimenti leggendari tra uomini e mostri erano ormai soltanto leggende del passato, perfino gli studiosi ipotizzavano che non fossero mai avvenute veramente, che fossero soltanto miti.
In ogni caso in quelle occasioni sporadiche, era sempre stato sufficiente radunare una squadra dai villaggi circostanti, per stanare e abbattere la bestia. C’erano sempre rischi, ma il problema, in un modo o nell’altro veniva risolto.
Ma questa volta, quelle creature sembravano prediligere i giorni di pioggia, nei quali le tracce erano difficili da seguire, attaccavano e poi sparivano, sempre attraverso il fiume, dove la pista si perdeva. L’avevano cercata, senza successo.
Così gli anni erano passati e gli attacchi divenuti regolari, sempre più vicini, più audaci, arrivando a colpire i capi di allevamento nei pascoli ai confini, almeno un paio volte all’anno.
Poi era successo ciò che nessuno credeva possibile e che tutti temevano.
Era una mattina di mercato a Frescoverde, la piazza era gremita di venditori e acquirenti, perfino qualche commerciante forestiero si era preso la briga di presentarsi. C’era tutto quello di cui potevi aver bisogno, anche se va detto che la gente lì non desiderava molto. Era un’occasione di allegria, l’aria era fresca e il sole piacevole, un vento leggero muoveva le tende colorate delle bancarelle e vari oggetti appesi qua e là tintinnavano al suo tocco. La gente camminava salutando amici, condividendo chiacchiere e sorrisi. Si schernivano l’un l’altro, terminando spesso in fragorose risate, mentre effettuavano acquisti, vendite, scambi e accordi. Mani venivano strette e cenni di assenso scambiati in abbondanza.
Ma in tutto quel caleidoscopio di buonumore e colori c’era una stonatura, un vuoto, un banco deserto, la famiglia di Fred non si era presente.
Dal villaggio erano necessarie un paio d’ore a piedi per arrivare alla loro fattoria in mezzo ai pascoli. Che piovesse o nevicasse, che ci fosse tempesta o fulmini azzurri, non erano mai mancati prima ad un giorno di mercato. Quella mattina, tutti avevano cercato con lo sguardo una spiegazione sui volti dei vicini e dei passanti, ma quelli scuotevano la testa, nessuno ne sapeva nulla.
In fondo, c’è una prima volta per tutto, probabilmente avevano avuto soltanto un imprevisto, da un momento all’altro sarebbero arrivati.
Le attività nella piazza proseguivano, non c’era una sola persona che non fosse indaffarata in un qualche mestiere, ma nessuno dimenticava di gettare uno sguardo, di tanto in tanto, allo spazio vuoto di Fred, con apprensione sempre maggiore. Altri venivano ogni ora o giù di lì, a verificare se fossero arrivati, scambiando gesti di preoccupazione con chi si trovava lì vicino.
Quando all’ora pranzo, quello spazio non era stato ancora riempito, le voci cominciarono a circolare. Alcuni abitanti delle fattorie esterne dicevano di aver sentito nella notte echi di rumori lontani, sul momento non gli avevano dato troppo peso, ritenendoli tuoni o rumori causati da qualche animale. Ma adesso la fantasia galoppava e quei suoni si trasformavano in legno che si spezzava e grida, forse persino di persone. Le ipotesi stavano diventando sempre più fantasiose, anche i più assennati guardavano quel vuoto e si dicevano che qualcosa era successo, ma piuttosto che diffondere il terrore per qualcosa che probabilmente non era veramente accaduto, era meglio mantenere la calma e andare a controllare.
Alla fine, fu questa la linea di condotta predominante, ma era ormai troppo tardi per andare a verificare cosa fosse accaduto. Tutti speravano di trovare la famiglia di Fred in salute e poter ridere insieme delle storie assurde che la gente aveva inventato, ma, allo stesso tempo, erano troppo assennati per arrivare in quelle zone isolate col buio. Fu selezionato un gruppo di persone, sarebbero partiti alle prime luci del giorno dopo.
La giornata aveva perso il suo brio e anche se il mercato continuava, non c’erano più sorrisi per nessuno.
Alle prime luci del giorno seguente, le persone selezionate si incontrarono in quella stessa piazza, completamente deserta. Tutti sembravano di buon umore, con strette di mani e pacche sulle spalle cercavano di convincersi l’un l’altro che tutto sarebbe andato per il meglio e che avrebbero trovato Fred, la moglie Sara e i due ragazzi, Linda e Jeff, che accudivano le capre e si occupavano delle faccende domestiche quotidiane. Si sarebbero fermati a pranzo, Sara avrebbe cucinato uno degli stufati per cui era famosa, mentre Linda avrebbe suonato per loro. Ogni volta che ne aveva la possibilità, produceva una musica sublime, la gente diceva che avrebbe potuto commuovere persino un orso inferocito. Era una ragazza gentile, con un carattere forte e chiari obbiettivi in testa, da quando aveva scoperto il significato della parola ‘Conservatorio’ e l’esistenza di uno a Kratis, aveva vissuto soltanto per il momento in cui avrebbe potuto studiarvi. Aspettava solo il giorno in cui avrebbe potuto andarci nonostante il parere contrario dei genitori.
Jeff era come la sorella, ma più timido e remissivo, amava disegnare, ma mostrava i suoi lavori a pochissime persone. Chi li aveva visti non riusciva a spiegare come ci riuscisse, ma ogni disegno riusciva a trasmetterti emozioni che non avevi mai sperimentato prima. Erano una famiglia onesta e gentile, apprezzati da tutti, dovevano stare bene, doveva essere così.
Durante il tragitto, un poco alla volta quella sicurezza li abbandonava, non si guardavano più in viso, per non scoprire negli occhi degli altri lo stesso timore che provavano. Senza parlare aumentavano il passo man mano che si avvicinavano.
Ad un paio di chilometri dalla fattoria le loro speranze si incrinarono definitivamente, all’uscita di un tratto boscoso, alcune capre vagavano abbandonate a loro stesse. In qualche modo erano scappate e nessuno era andato a recuperarle. Gli uomini completarono quell’ultimo tratto quasi correndo, come se quella urgenza potesse cambiare ciò che era accaduto.
La fattoria era stata costruita in un avvallamento ai piedi delle colline, così da essere protetta da tempeste e vento. Sul lato opposto, nella direzione del villaggio, si trovavano i pascoli. Tutto intorno ad essa gli alberi erano alti, molto cresciuti da quando il nonno di Fred li aveva piantati, nascondevano quasi completamente la casa e le stalle.
Quella mattina tutto era statico, sembrava di guardare un ritratto. Al tiepido calore del sole della mattina, quello scenario naturale dava l’impressione che sarebbe rimasto lì per sempre e che nulla di malvagio potesse accadervi.
La fattoria era distrutta, tratti delle mura fracassate, parte del tetto crollato. Dava l’impressione che un’enorme roccia fosse rotolata giù dalla collina, acquistando sempre maggiore velocità, fino a sfondare quella casa come fosse fatta di carta.
Tutto era immerso nel silenzio, rotto soltanto occasionalmente dal belato di una capra. Tra le immobili fonde degli alberi, un filo di fumo si alzava nella luce della mattina, dal centro di quella catastrofe. Quella scena aveva congelato tutto il gruppo, le loro menti si rifiutavano di accettare quello che i loro occhi vedevano, i loro piedi volevano ripetere a ritroso il percorso fino al villaggio, dove ancora esisteva una vita nella quale la fattoria era integra e la sua famiglia al sicuro, che cantava, disegnava e allevava capre.
Dopo alcuni minuti, il più ardito tra loro mosse un primo passo avanti, gli altri lo seguirono, superarono il prato, poi la recinsione ed iniziarono ad ispezionare la casa.
In tutta la loro vita, non avrebbero mai più dimenticato l’esperienza che vissero tra quelle macerie.
I mobili e le vettovaglie della casa erano sparpagliati a terra in frantumi, tutto era ricoperto di schizzi di sangue, interiora e fluidi corporei di difficile identificazione. Alcuni dovettero tornare indietro soltanto per sfuggire all’odore che attaccava alla gola e allo stomaco, facendoti desiderare di non mangiare mai più nulla nella vita. Pezzi di carne e pelle erano appiccicati a ovunque, ne era macchiato perfino ciò che rimaneva del soffitto. Era praticamente impossibile camminare senza inzaccherarsi di qualcosa di indefinito.
Iniziarono a chiamare, gridando i nomi delle persone che erano vissute lì, urlarono i loro nomi mentre ispezionavano le poche stanze che componevano quella struttura, cercarono nella stalla, nella rimessa. Tutto quello che trovarono fu un esile braccio, la pelle era chiara e le dita minute, con i polpastrelli ricoperti di calli. Al polso, un braccialetto colorato riportò nella memoria di tutti la gioia sul viso di Linda, quando l’aveva vinto alla fiera l’anno prima, suonando una melodia di sua composizione.
Quelle dita non avrebbero più suonato uno strumento.
Le persone nella quadra di ricerca vagarono in quei luoghi senza parlare, trasognate, cercando di negare tutto ciò che scoprivano, di rifiutare i fatti che erano accaduti in quel posto quella notte e che si sarebbero potuti ripetere in futuro.
Nessuno era più al sicuro.
Le tracce non portarono molte novità, alcune mostravano la presenza di bestie multiple, altre identificavano un essere enorme, capace di abbattere le mura di quella casa e di massacrare tutti gli abitanti senza dar loro alcuno scampo. Aveva sfondato la parete della camera dove stavano dormendo i genitori, aggredendoli nei loro letti. Poi aveva creato un varco più piccolo nella parete che dava sulla camera dei ragazzi, sufficiente a catturarli entrambi. Questa ricostruzione illuminava un nuovo agghiacciante particolare, quella bestia colossale, malgrado la sua massa, doveva essere capace di muoversi silenziosamente, altrimenti non sarebbe riuscita a sorprendere gli abitanti nei loro letti. Perfino i cani si erano allertati troppo tardi, quando ormai la creatura era a pochi metri dalla casa. I loro corpi erano praticamente intatti, a parte le ossa rotte e i morsi rotondi. Dovevano essere stati afferrati e scagliati contro le pareti esterne o sbattuti a terra come fuscelli.
Alla fine, qualcuno ebbe il coraggio di rompere il silenzio, decisero così che uno di loro sarebbe dovuto tornare immediatamente indietro, in modo da comunicare ciò che avevano scoperto. Gli altri avrebbero continuato la ricerca, cercando di coprire una zona più ampia.
Non tutti erano d’accordo con questa strategia, dicevano che quell’essere poteva ancora essere nei paraggi e sarebbe stato meglio abbandonare la zona, per tornare in seguito, in numero maggiore e più attrezzati.
A questa argomentazione erano tutti ammutoliti, nessuno desiderava trovarsi faccia a faccia con quella bestia. Fu ribattuto che ci poteva essere ancora una piccola speranza di trovare un sopravvissuto, inoltre setacciare la zona mentre le tracce erano ancore fresche, poteva rivelarsi risolutivo. Non erano mai capitati due attacchi nello stesso luogo, men che meno in giorni adiacenti. Nelle loro menti, dove quello spettacolo agghiacciante si era impresso con tale forza da non poter più essere cancellato, quell’informazione era poca incoraggiante.
Decisero di restare e continuarono a cercare.
Non dovettero impegnarsi molto per scoprire da quale direzione fosse arrivata o dove si fosse diretta. Il sottobosco era pesantemente schiacciato e il percorso di ritorno era praticamente un tappeto di sangue, residui organici e vernice, vernice bianca.
Una fattoria necessita di manutenzione e per la prima volta nella sua vita Fred aveva deciso di rimbiancarla, per questa ragione diversi secchi di vernice erano stati accatastati accanto alla casa. Quella maledetta bestia li aveva frantumati mentre si ritirava, imbrattandosi completamente di bianco. Con un po' di fortuna quella scia candida li avrebbe aiutati a indirizzarsi verso la sua tana.
Per un certo tempo, provarono a seguire la pista, ma non erano equipaggiati per continuare a lungo e avevano l’impressione che conducesse piuttosto lontano. Fu anche un’altra scoperta a scoraggiarli a continuare.
Il ritrovamento di un corpo o quello che ne rimaneva.
Dalle dimensioni, doveva appartenere a Fred o alla moglie, deciderlo era impossibile. Come alcuni ritrovamenti precedenti, ne rimaneva soltanto un miscuglio liquido e appiccicoso di vermiglie ossa frantumate.
I nervi di tutti i presenti, già notevolmente scossi, erano ormai pericolosamente al limite. Così, con le bocche secche e brividi gelidi, ritornarono indietro. Trasportare quel corpo sarebbe stato impossibile, non senza una pala, qualche secchio o una carriola. Utilizzando terra e rocce, cercarono di dargli una specie di sepoltura. Degli altri nessuna traccia.
I fatti di quel giorno sconvolsero profondamente la vita del villaggio. Nessuno aveva memoria di un evento tanto terribile, quelle persone amate da tutti non esistevano più. Erano state strappate via in modo devastante, avevano vissuto gli ultimi momenti della loro vita immersi nella folle sofferenza di dover osservare i propri cari venir divorati vivi, mentre aspettavano il proprio turno. Verosimilmente avevano urlato, pianto, si erano disperati rifiutando di ammettere che stesse succedendo veramente, proprio a loro.
Gli anziani cercarono di arginare il panico dando direttive e spronando le persone all’azione. Vennero costruite torri di avvistamento intorno al villaggio, nessuno avrebbe dovuto trovarsi al di fuori di esse dopo il tramonto, le famiglie che vivevano nelle fattorie esterne sarebbero state ospitate nel villaggio, insieme ai loro animali, per quanto possibile.
E qualcuno avrebbe dovuto uccidere il mostro.
Questa era la parte complicata. Trovare la tana poteva essere fattibile, considerando le tracce di vernice bianca che presumibilmente portavano fino a lì. La seconda rasentava l’impossibile. Nessun abitante aveva le capacità per affrontare una simile minaccia e sopravvivere più di una manciata di minuti, sarebbe stato come inviare un bambino armato con una spada di legno a uccidere un orso viola.
Non avevano molte alternative, nessun combattente esperto nel villaggio, la maggior parte dei cacciatori mercenari erano impegnati nelle guerre all’ovest e il costo di ingaggio sarebbe stato comunque un problema per la comunità. Non sarebbe costato molto di più l’addestramento di una nuova squadra di cacciatori. Un gruppo di giovani, da inviare alla fortezza di RocciaInamovibile dove i costi sarebbero stati sostenuti in parte dallo Stato, in parte dal villaggio e in parte dagli ingaggi che avrebbero completato durante la formazione, via via più difficili, pericolosi e redditizi. In fondo, ad ogni ragazzo o ragazza veniva dato un addestramento militare di base, per di più se avessero scelto dei ruoli di combattimento che sfruttasse le capacità che ognuno di loro già possedeva, era pensabile di preparare una squadra in due o tre anni. Dopo aver sterminato il mostro, quel gruppo sarebbe stato una ricchezza per il villaggio, lo avrebbe protetto e avrebbe potuto completare missioni dietro ricompensa per committenti esterni. La vita nel villaggio era sempre in bilico, ora non mancava loro nulla, ma non c’era ricchezza o abbondanza. Molti ricordavano carestie, pandemie o devastanti eventi naturali, che senza preavviso potevano riportare la miseria. Quell’introito avrebbe potuto stabilizzare le risorse della comunità e salvare le vite di molti.
Si doveva soltanto sacrificare le speranze e l’esistenza di un pugno di ragazzi.
Questo non era gradito a nessuno degli anziani, ma tutti avevano concordato che era l’opzione più sensata, anche perché non ve ne erano altre.
Nel giorno dell’assegnazione, Ryan ricordava l’anziano guida fermarsi un momento, dopo le parole di apertura, come se sperasse di poter trovare in quei pochi istanti una soluzione differente, che evitasse di deludere tutti i presenti.
A uno ad uno vennero chiamati e nessuno di loro ricevette il Dovere che si era aspettato, furono nominati bardi, maghi, cavalieri e ranger. Ognuno di loro divenne una parte della squadra che avrebbe completato il compito ingrato che li attendeva.
Mentre gli altri venivano chiamati, Ryan comprese ciò che stava succedendo e intuì le motivazioni che avevano portato a questa decisione. Ma in qualche modo si illudeva che lui ne fosse stato escluso. Non poteva diventare un combattente, come potevano pensare che potesse affrontare la mostruosità di cui la gente parlava a bassa voce? Pretendevano veramente che lui diventasse un distruttore invece che un creatore?
Non poteva accadere veramente.
Guardò il volto del padre, al suo fianco, ma il suo sguardo non venne ricambiato. Tordin non aveva rispose per lui, probabilmente viveva lo stesso smarrimento del figlio, senza l’ingenua speranza che ancore viveva nel giovane. Guardandolo Ryan comprese che qualunque fosse stato il dovere che gli fosse stato assegnato, lui lo avrebbe accettato e portato a termine. Il padre gli appoggiò una mano sulla spalla, comunicandogli la propria comprensione, ma senza spronarlo ad avanzare, come a dirgli che quello che sarebbe successo da quel momento in avanti sarebbe dipese soltanto dalle sue scelte.
«Ryan figlio di Tordin» chiamo infine l’anziano.
Ryan alzo la testa e avanzo nel centro della piazza.
«Figlio» continuò Calayan «abbiamo guardato a lungo dentro di te e vi abbiamo visto calma ed efficienza, ma anche forza e furore. Tu sei come un orso che rispetta la vita intorno a sé, ma che non esita a infuriarsi per proteggere ciò che ritiene importante. Riponiamo grande fiducia in te e nel ruolo che ricoprirai per i tuoi compagni, nel futuro che vi attende. Tu sarai il muro sui quali i vostri avversari si infrangeranno e la tua giusta furia si abbatterà su di loro, quando ogni altra possibilità sarà perduta.
Ryan di Tordin, noi ti nominiamo Cavaliere dell’assalto. Accetti tu il tuo Dovere?»
Quanta ingiustizia accade nella vita. Come si può chiedere a qualcuno di decidere così tanto in così poco tempo? Non è ingiusto infrangere in un momento ogni speranza di un giovane e chiedergli in pochi battiti di cuore di accettare una decisione presa da altri che condizionerà tutta la sua vita futura?
Non ci fu il tempo per valutare l’impatto di quella decisione, dopo pochi momenti diede la risposta che tutti si aspettavano da lui e che lui stesso voleva dar loro, nonostante una parte di lui ne fosse terrorizzata.
«Io lo accetto»
Come da tradizione gli anziani si inchinarono a lui ed egli mantenne la testa alta, cercando di mostrare quel coraggio e quella fierezza che in quel momento sentiva di star perdendo.
Tutte quelle immagini svanirono pian piano dalla sua mente e Ryan fu di nuovo nella sua cella, il passato non era importante. Ciò che contava veramente erano le azioni e le decisioni che avrebbe fatto ora e nei prossimi giorni.
Accanto a lui, Radia continuava a dormire, respirava così serenamente, come se non esistesse un singolo problema al mondo. Lui volle pensare che fosse perché erano insieme in quel momento, magari non era vero, ma era un pensiero dolce.
Domani avrebbero dovuto riprendere la loro missione e riorganizzarsi per tornare nelle profondità. Dovevano trovare un modo di sterminare quei divoratori, in realtà poteva essere sufficiente distrarli. Probabilmente esisteva un qualche incantesimo o una pozione per attirarli da qualche altra parte o per nascondere la presenza della squadra ai loro sensi, solo per il tempo necessario. Oggi erano riusciti a scovare alcune tracce bianche, molto in profondità, quasi al limite da cui qualcuno era riuscito a tornare per raccontarlo. Spesso aveva pensato al fatto che il loro dovere alla fine non richiedeva che tornassero indietro. Era sufficiente che uccidessero il mostro. Ma tutte le volte questi pensieri lo deprimevano, non era questo che voleva per sé stesso e i suoi compagni. Avrebbero pianificato attentamente la prossima spedizione, si sarebbero allenati per correggere gli errori che avevano commesso, trovato stratagemmi per evitare i pericoli che ora comprendevano e preparato un solido piano di fuga. C’era del lavoro da fare e l’avrebbero portato a termine, dal loro impegno e dalla qualità della loro dedizione sarebbe dipeso molto.
Tre mesi dopo tutto era pronto.
Lasciarono la fortezza poco prima dell’alba. Con un ritmo sostenuto potevano arrivare all’ingresso della tana in due giorni, come avevano fatto nella precedente spedizione. In realtà, non c’era ragione d’affrettarsi. Non avrebbero sprecato più energie del necessario per coprire quella distanza, intendevano impiegare tutto il tempo necessario. Viaggiavano leggeri questa volta, con meno acqua e viveri nei loro zaini, dato che potevano foraggiare durante il cammino.
Lo splendore di quella giornata e di quei luoghi strideva con il loro umore.
Il sole crescente nel limpido cielo mattutino inneggiava alla vita, il bosco intorno a loro risplendeva in esso. In quella natura tranquilla tutto sembrava così giusto. Non c’erano cose fuori posto, non c’era spreco, tutto sembra corretto. Con ogni respiro l’aria rinfrescava i loro corpi e spiriti, facendo come evaporare i pensieri che affollavano le loro menti. Circondati da tutta quella bellezza, sembrava inconcepibile poter persino immaginare che altrove esistesse odio, violenza, miseria e ingiustizia, guerra e mostri sconosciuti che divoravano bambini nella notte. Si sentivano come vittime di un dolce incantesimo, il quale li stava convincendo che tutto andava bene, potevano abbandonare le loro armi, slacciare le loro armature per lasciarle cadere a terra dove le avrebbero abbandonate. Così, leggeri e liberi, sarebbero potuti svanire in quei boschi meravigliosi, vivendo una vita priva di preoccupazioni.
Ognuno di loro usciva da quel sogno con un sorriso, tornando ad assumere il ruolo che occupava nel gruppo. Chi catturava un paio di conigli per il pasto, chi raccoglieva frutti o bacche, altri controllavano la sicurezza del percorso davanti e dietro di loro. Alla sera, radunati al fuoco, ripetevano le strategie che avevano preparato, poi tutto l’equipaggiamento veniva ricontrollato. Avevano cercato di prevenire ogni possibile problema, ogni imprevisto poteva rivelarsi fatale. Nonostante avessero preparato soluzioni alternative per ogni eventualità, le loro menti dovevano rimanere agili, in modo da riuscire a risolvere sul momento tutto ciò che sarebbe potuto accadere e che non avevano previsto.
Il penultimo giorno di cammino, poco prima di entrare nel territorio delle bestie, stabilirono un campo dove lasciarono tutto ciò che non era necessario per l’incursione, due attendenti li avevano accompagnati fin lì dalla fortezza e sarebbero rimasti di guardia.
Quella sera quando tutto fu pronto per il giorno seguente, nessuno aveva voglia di chiacchiere, giochi o canti, così dopo aver mangiato qualcosa, ognuno si ritirò per cercare concentrazione o tranquillità, nel modo che preferiva.
Alcuni andavano soltanto a dormire, magari assumendo qualche droga o facendosi benedire da Latio, così da assicurarsi un riposo profondo ed energie fresche la mattina dopo. Altri amavano accoppiarsi, non soltanto per provare quella breve felicità temporanea, quel piacere intenso, assaporato sulla propria pelle, gli avrebbe ricordato fisicamente, durante la battaglia, perché fosse così bello essere vivi.
Qualcuno, il giorno prima di una missione, rivolgeva preghiere a un qualche dio. Quando affidavi la tua vita a esse, c’era così tanto potere, che non era raro che l’interpellato si mostrasse, per esaudire a suo modo le richieste. Con gli dei i risultati erano sempre imprevedibili. Le divinità più equilibrate non donavano grandi favori. Quelle più estreme elargivano a volte grandi poteri, in altre ti toglievano la vita per averli disturbati con le tue sciocchezze, sempre che non avessero tempo in quel momento per farti di peggio.
Ognuno pregava a suo rischio e pericolo.
Radia preferiva stare sola in quelle occasioni. Ryan non sapeva con certezza cosa facesse di preciso, ma aveva intuito che si ritirava in un luogo isolato per cantare soltanto per sé stessa. Lui rispettava quella scelta, ma allo stesso tempo ne era geloso. Immaginava l’estrema intimità di quei momenti di lei, percepiva un luogo in cui era puramente sé stessa e una parte di lui desiderava farne parte.
Forse in futuro sarebbe successo, forse no, chi lo poteva dire. Avrebbe potuto consultare un oracolo, ma preferiva non conoscere la risposta e scoprire vivendo cosa sarebbe successo tra loro.
Ryan aveva la mente vuota quella sera, qualunque preparativo possibile era già stato completato, ogni allenamento effettuato, ogni probabilità ponderata. Sapeva con certezza cosa doveva fare ed era determinato a farlo.
Cullato da questa certezza si addormentò.
La mattina dopo fu svegliato dai rumori di gestione campo, un. attendente stava preparando del cibo sui fuochi rimasti accesi tutta la notte, mentre altri preparavano l’equipaggiamento che la squadra avrebbe portato con sé nell’incursione.
Nella mente di Ryan la preoccupazione per quella giornata si accese come una scintilla, ma lui non le diede materiale per divenire fuoco, la osservò un momento splendere dentro di sé per poi spegnersi, rapidamente come si era accesa.
Mangiò qualcosa, bevve dell’infuso di Radice amara, che schiarì i suoi sensi e lo svegliò completamente poi iniziò a prepararsi. La sua armatura era fatta di ossa di Tretidio, era materiale organico ma dava l’impressione di essere metallo. Abbastanza flessibile, resistente e più leggero di altri materiali, non era assolutamente il meglio che si poetesse avere, ma non si poteva permettere di meglio e avrebbe fatto il suo dovere. Controllò ancora lo scudo, azionando il potere che ne aumentava le dimensioni per controllare che funzionasse correttamente. Non aveva idea di come fosse possibile, ma poteva raddoppiare le sue dimensioni e il peso a comando. Meraviglie della tecnologia di mutazione, non c’erano meccanismi per effettuare quel cambiamento, la superfice solida diventava come un liquido che si allargava su una superfice. Esteso gli arrivava quasi al petto e pesava abbastanza per diventare una solida difesa. Era una tecnologia stupefacente, peccato che quello scudo fosse il solo equipaggiamento di quel tipo che avessero potuto acquistare. Verificò lo stato della spada, e provò diverse volte la posizione del fodero e la facilità di estrazione. Ne portava una più corta all’interno dello scudo, per ogni evenienza, sottoterra una spada lunga poteva diventare poco pratica da gestire se gli spazi si fossero ristretti. Aveva due pugnali alla cintura e un paio di sfere piene di fuoco azzurro per ogni evenienza, più alcune di fumo stordente. Per completare l’equipaggiamento, la fiala di spina rossa. La teneva in un apposito astuccio cilindrico sulla cintura, dove avrebbe potuto raggiungerla con entrambe le mani. Ogni cacciatore ne portava una sempre con sé. Nessuno conosceva un veleno più letale, gli avrebbe dato una morte veloce e indolore, quando avesse dovuto abbandonare ogni speranza di salvezza. A piccoli sorsi poteva anche funzionare come antidolorifico, ma quella pratica non era esente da rischi. Dosarlo nel modo corretto era molto difficile, poteva facilmente causare paralisi o danni irreparabili. Esistevano storie epiche in cui un eroe del passato, trovandosi a corto di possibilità, avesse versato la fiala direttamente nella bocca, o in qualche altro orifizio impronunciabile, di una qualche creatura demoniaca. Ryan credeva che fossero soltanto fantasie e sperava che la sua rivedesse la luce del sole, con il tappo ben pressato al suo posto.
Dopo qualche ora di cammino iniziarono a percepire i primi cambiamenti. I suoni familiari si perdevano dietro di loro e la vegetazione sbiadiva, i colori perdevano lucentezza man mano che si addentravano nella zona in cui regnava una sorta di eterno crepuscolo.
Ogni passo li portava più vicini alla fessura nella terra che avrebbero dovuto varcare. Tutti loro avevano avuto incubi, nei quali quello squarcio buio nella roccia era soltanto l’inizio.
Oltre quella soglia, ogni paura sarebbe stata soddisfatta. Vi erano piccole creature striscianti con nessuna o infinite gambe, si infilavano sotto i vestiti per succhiarti il sangue o iniettarti i loro embrioni sotto la pelle. Alcune di esse diventavano loro stesse parassiti, attaccate esternamente al tuo corpo o penetrandovi all’interno.
Nel buio assoluto si appostavano, silenziose e cieche, orribili scimmie demoniache, assaltavano in branco qualunque cosa entrasse nel loro cerchio. Quando sentivi le urla che utilizzavano per coordinare l’assalto, era troppo tardi. Potevano ucciderti con un morso o strapparti le membra con la forza delle loro braccia, un graffio dei loro artigli poteva portare, più velocemente di quanto immaginavi infezione, cancrena e morte. E poi orsi viola, ragni giganteschi, creature volanti di ogni forma e dimensione, piante assassine e funghi corrosivi. A tutto ciò, naturalmente, si aggiungevano tutte le specie non ancora scoperte o a cui nessuno era sopravvissuto abbastanza a lungo da divulgarne l’esistenza.
Anni prima, dopo esserci arrivati praticamente di fronte, il gruppo che aveva seguito le bianche tracce di vernice aveva impiegato molto tempo a localizzare quell’ingresso. In primo luogo, perché era perfettamente visibile. Quello squarcio orizzontale nella collina rocciosa sembrava così normale ed innocuo, che nessuno aveva percepito quanto grande e profondo potesse essere. In secondo, perché la maggior parte dello spazio per entrare e uscire, era stato scavato nel terreno, nascosto dalle piante e arbusti che vi crescevano intorno.
Esistevano poche ragioni per esplorare quelle profondità, la loro prima strategia, infatti, era stata di attendere all’esterno che il mostro uscisse. Era sembrata una buona idea, ma si era rivelata infruttuosa, le zone intorno a quel portale di notte divenivano molto pericolose, in pochi secondi potevi venire declassato da cacciatore a cibo. Inoltre, la loro preda non si era presentata, nonostante fosse stato riportato un altro attacco, avvenuto, senza vittime umane, mentre loro erano appostati lì, in attesa.
La speranza che quella tana avesse una sola entrata era stata sciocca, ne dovevano esistere probabilmente diverse, anche a notevole distanza le une dalle altre. Tutti loro avevano desiderato di riuscire a sterminare il mostro senza dover discendere in quell’inferno, ma dopo quel nuovo attacco, non avevano avuto più scuse, non sarebbe stato così facile.
Di fronte a quella spaccatura controllarono un’ultima volta che tutto fosse pronto e ognuno prese la sua posizione. Ryan e Ghyla sarebbero stati davanti, preceduti soltanto da un Ranger, Tarv. Subito dopo sarebbero venuti Radia, Latio il curativo, e il loro mago Dros, seguiti dalla fuciliera Rhia. A chiudere il gruppo e proteggere le spalle, l’altro ranger Cyra.
Ryan avanzò nell’oscurità tenendo una torcia nella sinistra, lo scudo sullo stesso braccio, nella sua forma compatta, lasciava quella mano libera, con la destra estrasse la spada, mentre anche gli altri preparavano le armi.
Al suo fianco Ghyla era una figura poderosa. Come tutta la sua famiglia era per metà orca, i suoi nonni erano arrivati al villaggio prima che lei nascesse e ne erano diventati una parte essenziale. Più alta e muscolosa di lui, aveva tratti ferini e l’espressione di una tigre a caccia, guardandola in viso, ti sentivi felice che fosse dalla tua parte. Indossava un corpetto di pelle indurita, protezioni leggere per braccia e gambe, una cinta attorno alla nuca, tutto dello stesso materiale. I suoi lunghi capelli rossi erano intrecciati in un’unica treccia. Con entrambe le mani reggeva la sua lunga ascia bipenne, un’arma che lei sapeva adoperare con maestria e che non lasciava scampo. Fra le due lame, una punta acuminata permetteva all’occorrenza di utilizzarla come fosse una lancia, caratteristica sorprendentemente utile negli spazzi ridotti, dove farla roteare era impossibile. Era figlia di tagliaboschi, possedeva una incredibile capacità di intagliare e scolpire il legno. Durante il loro allenamento teorico alla fortezza, aveva realizzato piccole versioni in legno di ognuno di loro che utilizzavano sulle mappe per definire posizioni e strategie. In alcuni momenti, i più arguti di loro, solitamente Tarv e Davion, le usavano per divertire il gruppo, scimmiottando con essi gli altri compagni e mettendo in scena una versione comica dei loro litigi e discussioni. Uno dei loro cavalli di battaglia era la relazione tra lui e Radia. La cosa lo infastidiva, ma tutte le volte che accadeva, i suoi amici riuscivano a renderlo così divertente, che non poteva fare a meno di ridere come tutti gli altri.
Erano ormai una coppia di combattimento affiatato lui e Ghyla, si scambiarono un segno di assenso guardandosi negli occhi, dopodiché iniziarono la discesa nella tana.
La fessura di entrata si apriva su una grotta larga e bassa, qua e là alcuni raggi di sole riuscivano chissà come a penetrare la roccia, creando alcune piccole colonne luce. La zona rimaneva comunque poco illuminata, anche con la presenza delle loro torce.
«Tarv, controllo» chiese Ryan. Tarv posò l’arco e appoggiò entrambi i palmi sulla roccia.
«Niente nella vicinanze» disse dopo un momento di concentrazione.
Questo non significava che non ci fosse nulla. La roccia non era l’elemento migliore per la scansione e in ogni caso avrebbe individuato soltanto vibrazioni o movimenti.
«Avanziamo»
Attraversarono la caverna dirigendosi verso un cunicolo sulla loro destra che sapevano essere l’unico che si dirigeva verso zone più profonde. La volta precedente, quei segni bianchi erano ancora visibili, ma ora erano completamente scomparsi. Sembrava quasi che la creatura avesse utilizzato quel colore per marcare il suo passaggio oppure, in qualche modo, quella sostanza la infastidiva e aveva cercato tutto il tempo di togliersela di dosso strusciandosi su ogni cosa che incontrava. Fortunatamente i loro ranger avevano lasciato dei segnali magici sulla roccia durante le precedenti incursioni, erano visibili, da una discreta distanza, solo a loro e a Dros.
Avanzavano nella galleria mantenendo la formazione, avevano spazio appena sufficiente per affiancare due persone, Ghyla camminava curva evitando le rocce che spuntavano dal soffitto. Lasciare abbastanza distanza da non ferirsi tra loro in caso di combattimento era un‘impresa. Le aree strette rendevano tutti nervosi, ma la fretta era sempre una cattiva consigliera, così cercarono di non affrettarsi troppo per raggiungere una zona più aperta. Il tunnel proseguiva in leggera pendenza verso sinistra, impiegarono circa quindici minuti ad arrivare alla caverna successiva, che in entrambe le occasioni precedenti avevano trovato vuota.
«Ci sono ossa fresche ed escrementi qui intorno» disse Tarv «direi di dannate scimmie»
«Quante?» chiese Ghyla.
«Difficile dirlo» rispose. I branchi piccoli contenevano di solito una decina di individui, i grandi potevano arrivare a cinquanta o anche di più. Sapevano che quella grotta, completamente immersa nell’oscurità, non era particolarmente spaziosa, ne avrebbe forse potuto ospitare una forse ventina.
«Sappiamo cosa fare» disse Ryan «restiamo vicini e avanziamo verso il prossimo passaggio, magari sono sazie e ci lasceranno in pace». Quelle parole furono accolte da un paio di sbuffi e un risolino. Perfino Ryan sorrideva ironico tra sé dicendo: «Si, come no…»
Ripresero a camminare, attorno a loro regnava il buio, immerso nel silenzio assoluto, le loro fiamme illuminavano un’area di pochi metri, creando luci ed ombre che prendevano vita, l’oscurità sembrava divorare la luce.
Avanzarono cauti in quell’immobilità, non ci avrebbero dovuto impiegare molto a intravedere l’ingresso del cunicolo successivo.
Proprio in quel momento, urla stridule esplosero tutto intorno a loro, alcune sorprendentemente vicine, dopo di che l’ombra in intorno a loro sembrò prendere vita.
«SOLE!» urlò Dros dopo pochi istanti, alzando un braccio perpendicolarmente verso l’alto, una sfera infuocata apparve sopra di loro illuminando tutto a giorno. Potevano sentirne il calore addosso e d’improvviso videro che erano completamente circondati da quelle scimmie nauseanti, non era un branco piccolo. Abbagliate e sorprese da quella esplosione di luce accecante, si erano bloccate a metà del loro assalto, somigliavano a un’istallazione artistica sul tema dello sbalordimento. Una musica incalzante iniziò a diffondersi, sembrava un cavallo al galoppo, alle sue note quel bagliore aumentò di intensità facendole indietreggiare di un passo. Ryan si accorse di averne una praticamente addosso alla sua destra, con una rotazione rapida della spada le squarcio la gola, spruzzando un ventaglio sangue fetido. Prima che cadesse, la colpì con un calcio, così che il cadavere non gli restasse tra i piedi. Ghyla ne aveva già massacrate tre e due caddero a terra all’unisono trapassate da un unico proiettile di Rhia. Le frecce di Tarv e Cyra sibilavano nell’aria, seguite da tonfi di creature abbattute.
Le bestie sembravano frastornate, avevano perso la cognizione di cosa stesse succedendo e dove fossero i loro nemici.
Loro non mostravano pietà, continuando ad ucciderle con precisione ed efficienza. Ryan abbatté la quinta, mentre la mezza orca alla sua sinistra era ormai completamente ricoperta di sangue. Le più intelligenti realizzarono finalmente di dove chiudere gli occhi e si lanciarono contro di loro. Ma il loro attacco era già fallito. Dimezzate e senza più impeto furono, massacrate senza grossi problemi.
Nel silenzio che seguì, la squadra iniziò a guardarsi intorno per verificare la situazione ma senza perdere concentrazione. In terra c’erano una trentina di quelle bestie e loro non avevano neanche un graffio. Stavano iniziando a pulire le armi e recuperare le frecce, quando un nuovo urlo, unico e fragoroso, esplose di fronte a loro. Da chissà dove spuntò fuori l’alpha. Era una scimmia massiccia, due volte un uomo, aveva feroci occhi arancio e li stava caricando ad una velocità impressionante. Il pelo nella parte superiore del corpo era di un pallido viola che terminava in mezzo al petto con la forma di una fiamma rovesciata. Mentre correva forsennata utilizzando mani e piedi, immune alla loro luce magica, urlava con le fauci spalancate.
Dros abbasso il braccio destro, che per tutto il tempo era stato puntato verso il loro piccolo sole e lo punto verso quel gigante in carica. La sfera segui quel movimento e si mosse spedita verso il petto della bestia dove esplose con un ultimo fortissimo bagliore. Ne risultarono urla e puzza di scimmia alla brace.
La bestia aveva riportato ustioni su tutto il corpo, muscoli e ossa erano esposti, e le rimaneva soltanto metà faccia, l’occhio sinistro era pendulo e saltellava su ciò che rimaneva della guancia. Ma nonostante tutte quelle orribili ferite, l’essere torno in posizione di carica e scattò in avanti. Un proiettile gli esplose sul petto, ma sembrò non avere effetto, come le diverse frecce che le erano arrivate addosso.
Ryan allargò lo scudo, caricandolo di potere e preparandosi all’impatto. La scimmia si scontrò contro di esso rimbalzandoci sopra, con suo evidente stupore. Ghyla, non gli diede tregua sollevò l’ascia con entrambe le mani sopra la testa e poi colpì. La lama prese l’alpha sulla clavicola destra, scendendo fin quasi al centro del petto.
Con un’espressione di rabbia feroce, la bestia urlo nuovamente, afferrò l’asta dell’ascia con la mano destra e con la sinistra sferro un colpo poderoso a petto di Ghyla. Lei, sorpresa, perse la presa sull’arma e cadde all’indietro. Quell’incubo maciullato, folle nella bramosia di uccidere avanzò fino a sovrastarla, e poi le cadde a fianco in terra, presumibilmente morto, sollevando una nube di polvere.
Tutti agirono automaticamente, crearono un perimetro di sicurezza intorno a Ghyla, che soffriva a terra, mentre Latio verificava lo stato dei danni. Dovevano toglierle le protezioni, soltanto così il curativo poteva percepire la situazione, utilizzando il potere derivato dal contatto delle sue mani.
«Niente di grave» riferì dopo alcuni minuti «quello scimmione doveva essere già mezzo morto quando ha colpito, altrimenti quella botta ti avrebbe frantumato le costole e maciullato gli organi. Hai soltanto un paio di costole spezzate ed alcune incrinature»
Ghyla cercò di alzarsi, ma Latio la fermò, si vedeva che soffriva. Avrebbe potuto continuare la discesa in quelle condizioni, ma non sarebbe stata capace di dare il meglio in combattimento, e avevano bisogno che ognuno desse il massimo.
«Normalmente ci vorrebbero un paio di ore per rimetterti in sesto, somministrandoti anche qualcosa per il dolore» le disse «ma non possiamo fermarci qui tutto quel tempo e un analgesico annebbierebbe i tuoi sensi per una mezza giornata»
«Fai quello che devi fare in fretta, cazzo!» rispose lei senza rabbia, sapendo che la soluzione rapida e necessaria non sarebbe stata una passeggiata.
«Va bene, andiamo. Ryan, Radia, Dros e Rhia, tenetela ferma per braccia e gambe, così che non mi stacchi la testa a morsi».
Eseguirono le istruzioni, rimanevano soltanto i due Ranger a controllare l’intero perimetro, era una situazione pericolosa, dovevano risolvere velocemente e con efficienza.
Latio estrasse una pozione e uno spesso pezzo di cuoio dalle mille custodie che portava alla vita.
«Bevi e dopo metti questo fra i denti» le disse, poi inizio a scaldare le mani una contro l’altra mentre iniziava la concentrazione. Ghyla eseguì, alcune gocce di sudore già iniziavano a scorrerle sulla fronte. Latio le poggio le mani sulle costole, seguì un momento di stasi, di nervosa attesa, non era la prima volta che eseguivano quella procedura di cura rapida, non era mai una gioia.
«Quanto cazzo ci vuole?» chiese disse lei con i denti serrati sul cuoio, ma prima che a finisse la frase, il dolore le contorsero il viso, mentre le mascelle si serravano in uno spasmo. Urlò, irrigidendo tutti i muscoli, gli altri rafforzarono la presa cercando di mantenerla ferma. La pozione risaldante stava facendo il suo lavoro, Latio aggiunse il suo potere, emanando dalle mani un effetto terapeutico che avrebbe controllato e velocizzato la corretta ricongiunzione delle ossa. Gli altri avvertirono su di loro il calore che il processo sprigionava.
Ghyla era riuscita fino a quel momento a mantenersi ferma, e a dare buona prova di sopportazione, ma i due effetti congiunti la spezzarono. Il suo urlò arrivò attutito dal cuoio, mentre cercava di divincolarsi. Ryan fu quasi ribaltato da una sua gamba e gli atri dovettero usare tutto il loro peso per mantenerla a terra.
A nessuno piace vedere un amico soffrire, anche se è per il suo bene.
Il processo durò diversi minuti, dopo di che Latio ritirò le mani e il calore scomparve. Lei continuò a contorcersi per un poco, dopò di che si rilassò, come svenuta.
«Datele alcuni minuti» disse il curatore. Gli altri la lasciarono e tornarono alle occupazioni post battaglia, impiegarono quel tempo per ispezionare il luogo. Non si poteva ricavare nulla dai corpi delle scimmie e avevano un sapore orribile, non valevano niente e li lasciarono dove giacevano. Trovarono un paio di bombe acide e una fiala antiveleno sullo scheletro rinsecchito di un cacciatore morto. Non aveva un bracciale di identificazione, il Myr, quindi era probabilmente un bracconiere, che operava al di fuori della gilda. Doveva essere sceso lì sotto insieme una squadra che lo aveva abbandonato a morire lì, magari dopo esser stata sopraffatta da quelle stesse scimmie. Alcune parti delle bestie che vivevano in quelle profondità erano richieste e se ne poteva ottener un buon guadagno.
In teoria non esisteva una legge che vietasse alla gente di ispezionare quei posti. Ma quando persone disperate e impreparate, decidevano di ispezionare le caverne più superficiali in cerca di facili guadagni, spesso non andava a finire bene. Speravano di trovare il cadavere di qualche bestia già morta e non disdegnavano di derubare i corpi di altri cacciatori, e solo la Natura sapeva quanti ce ne fossero. Alcuni di quei cacciatori improvvisati sopravvivevano, a volte diventando bravi, leggende a volte.
Tutti i membri della gilda indossavano il Myr, in realtà una volta ottenuto, non era possibile toglierlo, essendo saldato magicamente intorno al polso. L’unico modo era abbandonare la gilda e smettere di essere un cacciatore ufficiale.
Quando veniva ritrovato un corpo che lo indossava, si doveva, se possibile, riportarlo indietro e restituire gli effetti personali, ma i bracconieri non eseguivano questa cortesia.
Ghyla era ancora seduta a terra, trangugiava un tonico passatole da Latio, le avrebbe schiarito la mente e scacciato la spossatezza causata dal dolore.
Dopo poco furono di nuovo in marcia.
Imboccarono un passaggio più grande del precedente, lì faceva più freddo e c’era umidità, tutto diventava lucido e scivoloso. Piccole creature strisciavano sui muri, scomparendo quando la luce delle torce le illuminava, meglio non pensarci troppo. Il loro abbigliamento e le loro protezioni erano studiati per non lasciare spazi in cui quelle bestioline si potessero infilare, inoltre venivano impregnate con un repellente, inodore per gli umani, che le avrebbe dovute tenere alla larga.
Ogni tanto giungevano alle loro orecchie echi di rumori lontani, oppure venivano sorpresi da zaffate di miasmi nauseabondi, fino a quel momento, fortunatamente, non venefici.
Mentre proseguivano, avvertirono dalle profondità sotto di loro, un boato così dirompente che l’intera galleria tremò. Tutti pensarono ad un terremoto, immobilizzandosi. Era il pericolo più terrificante in quel genere di incursioni, qualcosa che non si poteva combattere o aggirare. Una volta sepolto là sotto non avresti avuto scampo. Ma anche peggiore era la possibilità di rimanere vivo, ma bloccato dalle macerie, sarebbe stato soltanto questione di tempo, prima che una qualche creatura riuscisse a scavarsi una via, per poi mangiarti con calma. Dopo poco la scossa terminò e il soffitto non cadde loro addosso. Ripresero ad avanzare.
Da circa mezz’ora, passando da un segnale magico all’altro, percorrevano lo stesso cunicolo. Le pareti si erano talmente allontanate, da scomparire nel buio. Loro si erano avvicinati a quella di sinistra, in modo da avere soltanto un lato cieco.
Ghyla camminava, come al solito, un passo dietro di Ryan sul fianco sinistro, il suo sguardo era sempre concentrato, il viso non dava segnali dell’esperienza vissuta appena un’ora fa.
«Sembri una principessa appena sveglia» le disse lui «E tu sei fastidioso come uno scarafaggio di fuoco nel naso» gli rispose. Erano soliti schernirsi per allentare la tensione, ma apprezzavano la creatività, la loro regola era che nessun insulto doveva essere ripetuto e che non doveva contenere volgarità, erano cacciatori con une certo stile dopo tutto.
«Questa volta lo ammazziamo quel mostro» disse lei «chiudiamo la faccenda e ce ne torniamo a casa»
Per quanto fosse capace, Ryan sapeva che lei non apprezzava il proprio ruolo. Spesso parlava di quando sarebbero tornati al villaggio, della vita che avrebbe fatto. Intendeva chiedere una riassegnazione del Dovere. Sebbene non fosse una procedura applicata di frequente, il loro caso era diverso, una volta completato quel compito, era come se avessero completato il Dovere. Probabilmente lei l’avrebbe ottenuta, come tutti loro, se l’avessero richiesta. All’inizio anche Ryan la pensava in quel modo. Ma più combatteva difendendo i suoi compagni, più si sentiva orgoglioso delle abilità che aveva ottenuto. Non che gli piacesse uccidere o esplorare quelle tane maledette, ma in qualche modo il pensiero di abbandonare completamente quella strada lo rendeva triste.
«Io spero che sia commestibile, così alla fine di questa storia ci facciamo un bel barbecue!»
«Puah! Sei disgustoso!» rispose lei «tu è le tue idee del cazzo per non sprecare mai nulla»
Mentre ridacchiavano, si accorsero che si stavano avvicinando a Tarv, il quale occupava la prima posizione. In un istante realizzarono che non camminava più, se ne stava lì immobile.
«Tarv? Che succede?» nessuna risposta, il compagno rimase lì fermo di schiena come congelato, senza dare nessun segno di risposta.
Ryan si concentrò ripassando in testa la lista di tutte le creature che potevano causare paralisi, congelamento o pietrificazione, nel silenzio seguito al loro arresto, iniziò ad avvertire nell’aria un’oscillazione, un suono intorno a loro, e lui sapeva benissimo cosa lo stava producendo.
«Falene del sogno!» grido Dros.
«Raggruppatevi!» Urlò Ryan e subito dopo allargò lo scudo piantandolo con forza a terra. «Cupola» sussurrò causando l’innalzamento di un velo protettivo a forma di semi-sfera che avrebbe creato una barriera di cui lui era il centro. Non particolarmente resistente, ma sufficiente per tenere all’esterno quegli insetti troppo cresciuti. Alti un palmo, producevano con le vibrazioni delle loro ali colorate qualcosa che ipnotizzava completamente le loro vittime, facendole sognare. Cacciavano sempre in piccoli stormi, alternandosi nel compito di ipnotizzare a quello di nutrirsi, con una metodicità incredibile. La cosa agghiacciante era che spesso, date le loro dimensioni, non mangiavano abbastanza da uccidere le vittime più grandi, lasciandole così a risvegliarsi come avanzo di un pasto, senza occhi o dita, con pezzi mancanti qua e là. Chiacchierare era stato uno sbaglio, se avessero mantenuto il silenzio, avrebbero potuto, con ogni probabilità, sentirle avvicinarsi.
Tutto intorno a loro, la barriera sfrigolava in continuazione, al contatto delle molteplici falene che cercavano, invano, di varcarla.
«Stato» richiese Ryan.
«Ghyla»
«Radia»
«Dros»
«Rhia»
«Cyra»
In due non avevano risposto. Tutti si muovevano ora mantenendo lo sguardo a terra, in modo da non cadere in quell’incantesimo. Ryan controllò Tarv dalla testa ai piedi, per fortuna nessuna di quelle bestie gli era arrivata addosso. Radia esaminò Latio, individuandone immediatamente una che aveva iniziato a mangiucchiargli il collo. La colpì con un violento mal rovescio della mano destra, e una volta a terra la schiaccio disgustata.
Scossero quei due per farli rinvenire, spezzando la loro linea visiva verso le falene, avrebbero avuto bisogno di un quindici minuti per riprendere completamente il controllo. Nel frattempo, Rhia si mosse al fianco di Ryan ed estrasse da una custodia una cordicella alla cui estremità era stato legato un osso azzurro, intagliato in una maniera particolarmente curiosa. Tendendo fra le dita l’anello presente all’estremità opposta, iniziò a farlo roteare nell’aria. Quell’azione produceva un sibilo appena irritante per le persone, ma assolutamente letale per alcune creature, specialmente per le falene del sogno.
Furono sufficienti soltanto una manciata di secondi per interrompere i tentativi di intrusione contro la barriera. Gli unici rumori che avvertirono furono i leggeri tonfi sul terreno, tutto intorno a loro.
Quando si fu completamente ripreso, Latio era di pessimo umore, avrebbe dovuto spendere diverse energie e denaro, per curare quella ferita, ripristinare la sua bellezza e soddisfare il suo animo narcisista. Spesso lo prendevano in giro, dicendo che avrebbe preferito morire piuttosto che un’unghia spezzata.
Le ali di quegli insetti avevano diversi campi di applicazione, se ne poteva ricavare un certo guadagno. Non si trovavano di certo lì per arricchirsi, ma era comunque stupido abbandonare lì quel valore, così le recisero, una ad una, e le avvolsero in fogli conservanti che facevano parte del loro equipaggiamento. Dopotutto la vanità di Latio aveva bisogno di essere sovvenzionata.
Non ci impiegarono molto e riprendere la discesa.
Percorrevano lo stesso percorso della volta precedente, sapevano quindi di avere ancora diversa strada prima di arrivare nelle vicinanze della tana dei divoratori contorti. Era stato pianificato di fare una sosta prima di quel punto, in modo da riposarsi brevemente e preparare tutto l’occorrente per superare quell’ostacolo.
Subirono diverse aggressioni durante il loro cammino. Furono assediati da un paio di ragni giganti con un centinaio di cuccioli al seguito. Ryan usò la sua barriera mentre Dros inceneriva i piccoli utilizzando buona parte delle sue energie magiche. Bombe acide, frecce e proiettili tenevano a bada i genitori. Alla fine, quelle bestie realizzarono di star avendo la peggio e si ritirarono.
In una caverna enorme sentirono delle ali sbattere sopra di loro, un piccolo sole di Dros non fu sufficiente a individuare la creatura, ma la tenne lontana abbastanza da lasciarli proseguire. Cyra ricevette un brutto morso al braccio quando furono assaliti da qualcosa che non avevano mai incontrato prima. Dopo realizzarono che probabilmente erano Ghoul degli abissi.
Avevano una forma semi umana, ma fastidiosamente contorta, sembravano in putrefazione, sebbene i loro occhi gialli ardessero di vita e ferocia. Utilizzavano mazze o armi rinvenute chissà dove, ma gli artigli e i morsi erano da temere maggiormente. Sotto le unghie e fra i denti, lo sporco e il marciume, di pasti precedenti, erano così putridi che li rendeva portatori di un morbo micidiale.
Non erano grandi combattenti ma poteva diventare difficoltoso tenere a bada un branco di esseri folli che attaccavano incuranti della propria sopravvivenza. Quando Ghyla tagliò in due la creatura che stava mordendo Cyra, quella schifosa impiegò diversi secondi a realizzare di essere morta e a mollare la presa. Latio la soccorse immediatamente, seriamente preoccupata e malgrado le sue capacità lei non avrebbe potuto utilizzare l’arco per alcuni giorni. Fortunatamente portava una piccola balestra con sé e si era allenata a utilizzarla con una sola mano.
Rischiarono grosso anche quando in uno stretto cunicolo, incontrarono una voragine carnivora. Per puro caso, Tarv aveva effettuato una scansione poco prima che gli aveva consentito di individuarla. Altrimenti lui o qualcun altro ci avrebbero camminato sopra, sparendo per sempre in mezzo a urla agonizzanti.
Più si addentravano in quelle profondità più le loro energie e i loro poteri si consumavano. Fuoco magico, frecce, proiettili e barriere non erano infiniti, era complicato gestire quelle risorse in modo da essere efficienti, conservarne per il loro vero obiettivo e rimanere vivi.
Fino a quel momento non era andata così male, erano tutti vivi, con ogni arto a posto, ed avevano quasi raggiunto la profondità maggiore a cui si fossero mai spinti.
Avevano subito alcune ferite leggere, consumato leggermente più energie e poteri di quanto avessero stimato, ma tutto sommato l’umore era ancora buono.
Arrivati all’area nella quale intendevano sostare, Latio controllò le medicazioni utilizzando bende pulite dove necessario, gli altri mangiavano qualcosa e controllavano equipaggiamento e armi. Radia suonava leggermente ‘La canzone silenziosa’, una musica che aveva lo strano effetto di creare una bolla capace di nascondere la loro presenza, rendendo esternamente impossibile da udire perfino la sua stessa musica. Era meglio non fermarsi troppo a lungo, così appena completate tutte le operazioni necessarie e bevuto un tonico ciascuno, ripartirono.
Avevano tirato fuori tutto il necessario per distrarre i divoratori contorti, ma quasi con delusione, non ne incontrarono neppure uno. Superarono quella zona senza alcun problema e continuarono nell’unico cunicolo presente.
Mentre la attraversavano, Ryan controllò con lo sguardo il luogo in cui avevano dovuto abbandonare il corpo di Davion. Aveva pensato diverse volte a cosa avrebbe fatto quando si fosse trovato nuovamente lì, non sapeva bene cosa aspettarsi, cosa avrebbe provato. Ma del corpo dell’amico non rimaneva assolutamente nulla, soltanto qualche frammento dei suoi vestiti testimoniava l’accaduto, il resto era svanito, divorato, corroso o rubato chissà da chi.
Lui si sentì come frustrato da quel vuoto. Ma probabilmente era meglio così, Davion sarebbe rimasto nei suoi ricordi come l’uomo che era stato e in tutto ciò che da lui Ryan aveva imparato. Non come uno scheletro abbandonato in una caverna.
La galleria nella quale si trovavano continuava la sua ripida discesa allargandosi sempre di più, fino a che si resero conto di essere in una nuova caverna.
Da quel punto in poi, tutto era sconosciuto. Il mostro che cercavano poteva essere in quella stessa grotta. Se non fosse stato così, per proseguire avrebbero dovuto trovare qualche nuova traccia, a meno che non proseguisse da quel luogo una sola galleria.
Mentre avanzavano esplorando, la luce della torcia illuminò qualcosa che li attendeva dinnanzi a loro.
«Fermi» disse piano Tarv. Di fronte a loro, seduta ad attenderli in tutta tranquillità, c’era un’unione di orso e lupo. Nessuno sapeva come nascessero le unioni, ma quella bestia era lì, alta quanto un uomo, grande come un orso e con l’agilità di un lupo. Respirava tranquilla con la lingua tra i denti, guardandoli con occhi sereni, senza rabbia o ferocia.
Gli orsi erano solitari, ma i lupi attaccavano sempre in branco. Era sola o erano circondati? Una di quelle bestie era pericolosa, ma in qualche modo gestibile. Un branco sarebbe stato mortale.
Ryan pensò in fretta, potevano usare l’ultimo sole di Dros, ma era rischioso, meglio conservarlo per una situazione disperata. Una scansione poteva aiutare, ma quel potere poteva risultare più utile per scegliere quale direzione prendere.
Rhia dovette giungere alla stessa conclusione.
«Ho un paio di illuminanti» disse. Quelli non erano proiettili economici, ma potevano essere la loro migliore possibilità.
«Sparane uno» gli ripose Ryan, sempre tenendo d’occhio la bestia di fronte, che si era fatta seria e aveva incominciato ad avvicinarsi.
Rhia sostituì il proiettile e fece fuoco, dritto sopra di loro. Il colpo partì fischiando e poco dopo esplose spargendo grosse scintille luminose tutto intorno. La luce illuminò altre due unioni che si avvicinavano silenziose. Come sempre, loro si erano tenuti vicino a una parete della caverna, per questo i loro assalitori avevano avuto meno spazio per aggirarli. Una li aveva aspettati frontalmente, le altre due nelle ombre alla loro sinistra, con una che si muoveva cercando di posizionarsi dietro di loro.
Cosà ci facessero bestie di quel tipo a quelle profondità, lo sapeva solo la Natura. Probabilmente li avevano fiutati con i loro sensi super sviluppati, nonostante i loro tentativi di camuffarsi, e incuriosite avevano deciso di seguire la traccia. Per un secondo rimasero sorprese da quella luce improvvisa, poi comprendendo di aver perso l’effetto sorpresa, partirono all’assalto.
Ryan grido: «Illusioni! Ghyla carichiamo!» e si getto subito di corsa contro l’unione difronte a loro. 
Ne seguì il finimondo.
Una musica enigmatica si diffuse nell’aria, ricca di scatti e pause, nella quale ognuno di loro vide staccarsi da sé stesso un suo doppio, quelle illusioni si muovevano autonomamente riproducendo i comportamenti naturali di ognuno, perfino i suoi odori e suoni. Rhia si spostò contro la parte per ricaricare, mentre il suo doppio sparava senza posa. Intorno volavano frecce, dardi, fulmini e bombe acide, nessuno poteva più discernere i colpi veri da quelli illusori. Le due creature sul lato cercavano di attaccare i cloni, ringhiando di rabbia quando i colpi attraversavano l’aria. Quel caos avrebbe dato loro del tempo.
Ryan si era gettato di corsa verso l’unione, che sebbene non fosse abituata a prede che le correvano incontro, non aveva rallentato, saltandogli addosso. Fin qui tutto come da programma, ma tra poco gli artigli e le fauci di quella bestia l’avrebbero fatto a pezzi.
Ma un lampo si abbatté su di essa gettandola di lato. Un osservatore casuale non avrebbe saputo dire cosa fosse successo. Ryan e Ghyla si erano allenati a lungo in quella tattica. Lei aveva usato la sua abilita di carica fulminea per eseguire un attacco in salto ad un a velocità sovrumana. Aveva volato oltre Ryan, come lanciata da una catapulta, sferrando all’unione un colpo poco accurato, ma poderoso, scagliandola con violenza sulla sinistra.
Ryan vide la compagna come riapparire a fianco a lui, ansimante e con il braccio sinistro sanguinante ed inerte, l’istinto bestiale dell’unione doveva averle permesso di assestare un colpo di risposta, nonostante tutto. L’animale si stava già rialzando, per attaccare nuovamente, ma ricadde in avanti confusa. Non aveva realizzato che la zampa frontale sinistra si trovava a terra a metri di distanza, insieme alla spalla e ad una sezione del petto.
Mentre ululava di rabbia e dolore, il sangue iniziò a scorrere copioso, ma questo non diminuì la sua voglia di lottare. Ringhiando feroce, ritrovò l’equilibrio preparandosi a saltare di nuovo. Ma la luce si stava spegnendo nei suoi occhi e le gambe tremavano senza forze. Ryan avanzò e balzò effettuato dalla fiera fu senza energia, lui si spostò sulla destra sventrandole l’addome con un colpo della spada. 
Ghyla avrebbe dovuto aspettare un giorno intero per poter usare nuovamente quel talento, ma quel nemico poderoso era morto, meno uno.
Dall’altro lato le illusioni iniziavano una ad una a scomparire, causando confusione alle altre unioni.
Il resto della squadra aveva concentrato i veri attacchi su una sola delle due, la quale appariva ancora bellicosa ma alquanto indebolita, l’occhio sinistro era stato centrato da un dardo, diverse frecce le spuntavano dal corpo, quasi completamente divorato dalle ustioni.
Mentre si guardava attorno frastornata, cercando il prossimo bersaglio, un proiettile perforante la colpì fra gli occhi, facendola crollare a terra.
Per quel colpo così preciso, Rhia aveva dovuto distendersi a terra, adagiare la canna su di un cavalletto e stabilizzare la traiettoria del colpo con uno dei suoi talenti. Anche così, aveva centrato il bersaglio soltanto perché era intontito e rallentato. Fuori due.
L’unione ancora in piedi guardò i corpi delle sue compagne morte ed ogni ferocia scomparve dal suo portamento, guardò il gruppo con occhi concentrati, quasi mostrando loro rispetto. Ma quello che desiderava era vendetta e l’avrebbe ottenuta.
Puntò d’improvviso verso Dros, che sorpreso innalzò un muro di fuoco difronte a sé, l’unione non sembro curarsene e vi saltò attraverso. Nessuno riuscì a fare nulla per fermarla. Gli arrivò addosso come un macigno, serrando le mascelle sulla spalla destra e piantandogli gli artigli di entrambe le zampe nello stomaco e nelle reni, dopo averlo scosso lo gettò di lato come una bambola di pezza, cercò immediatamente una nuova preda. La freccia che la colpì alla spalla la fece voltare verso Tarv, che con l’arco in mano l’aveva scagliata senza nessuna idea di cosa fare dopo.
Ryan riuscì a frapporsi fra loro solo un istante prima dell’impatto, la bestia si abbatte sulla barriera di potere che lui aveva creato sullo scudo, facendolo volare indietro per diversi metri. Quella fu di nuovo in piedi in un baleno, apriva e chiudeva gli occhi, scuoteva la testa, cercando di riprendersi dalla contusione che l’urto contro quel muro magico le aveva causato. In piedi difronte a lei, Rhia prendeva nuovamente la mira.
Lo scoppio allertò la bestia, che d’istinto saltò di lato. La pallottola le volò accanto senza fretta, lasciando nell’aria una scoppiettante scia arancione. L’animale si erse nuovamente, sveglio e assetato di altro sangue.
Dietro di lei, il proiettile eseguì una larga curva, cambiando traiettoria e tornando indietro, raggiunse l’unione esplodendole fragorosamente contro l’addome, squarciandola in due parti, schizzando sangue e interiora ovunque. In terra, su quel corpo martoriato e ormai immobile, la testa continuò per diverso tempo a ringhiare furiosa, prima che la vita la abbandonasse completamente. Tre.
«Ne avevo uno solo di quelli» disse Rhia sconsolata.
Latio e Cyra si precipitarono su Dros. Non era un bello spettacolo.
Il morso sulla spalla aveva lasciato diverse ferite frastagliate, il braccio giaceva in una posizione innaturale, diverse ossa dovevano essersi spezzate. Nella parte inferiore non era messo meglio. Sanguinava copiosamente e perdeva liquidi, mentre il volto già cinereo diventava sempre più esangue. Radia intonò una melodia tranquilla, che avrebbe attenuato la preoccupazione dei presenti, consentendo loro di operare privi di ansia, aumentando la loro concentrazione e focalizzando le capacità, in modo da essere efficienti ed efficaci. Ghyla attendeva il suo turno pulendosi la ferita al braccio, mentre Ryan, Rhia e Cyra mantenevano un perimetro di sicurezza. Tarv, nel frattempo sezionava le loro prede, estraendo le parti più redditizie.
Le cure stavano richiedendo tempo, a nessuno piaceva stare fermo, portava nervosismo, ma non potevano farne a meno. 
Ciò che preoccupava maggiormente Ryan, era che non c’era nessuna possibilità che Dros potesse continuare la discesa. Non potevano tornare indietro, ma, allo stesso tempo, continuare senza il mago sarebbe stato rischioso. Per di più non aveva idea di cosa fare dell’amico, non potevano portarlo con loro ma lasciarlo lì era fuori discussione.
Nella sua testa cercava un’argomentazione per convincere gli altri a continuare, ma in realtà cercava si convincere sé stesso. Iniziavano a essere malconci, a corto di risorse e Dros era tra la vita e la morte. Ma il loro Dovere non implicava che restassero in vita, dovevano evitare che quel mostro uccidesse ancora. Se si fossero fermati ora, domani magari quell’incubo avrebbe ucciso altre famiglie.
«Non posso fare più di così» disse Latio mentre si puliva le mani e si avvicinava a Ghyla.
Ryan si avvicinò al mago, giaceva a terra privo di conoscenza, le ferite erano state suturate, il braccio e la spalla fasciate e immobilizzate. Latio doveva avergli somministrato un curativo per riparare le ferite interne e qualcosa per le infezioni che con tutta probabilità circolavano nel suo corpo.
Ma quei rimedi da campo non sarebbero stati sufficienti a salvarlo, certo lo avrebbero tenuto in vita per un po', ma avrebbe dovuto ricevere cure migliori, in un luogo attrezzato o sarebbe certamente morto. Mentre pensava a queste cose, Ryan si accorse che Dros non respirava più, Radia vide la costernazione sul volto.
«Gli ha somministrato una stasi» gli disse.
Era in coma, quell’iniezione congelava completamente ogni funzione del corpo, gli avrebbe dato più tempo, ne avevano potuto reperire un’unica dose, e anche quella risorsa era stata ora utilizzata.
«Dobbiamo riportarlo subito indietro» disse Radia.
Tutti si voltarono a quelle parole, qualcuno sembrava sorpreso di sentirle, altri avevano il dubbio sul viso. Ghyla sembrava scettica, mentre tornava a muovere il braccio sinistro su cui Latio sembrava aver fatto un lavoro eccezionale.
«Portarlo indietro?» disse Ryan, valutando quell’opzione «E come? Non abbiamo nulla per costruire una barella, trasportarlo con quella di emergenza probabilmente gli riaprirebbe le ferite nonostante la stasi.»
«Potremmo usare…» rispose lei, ma le parole le si spensero sulle labbra. No, quella era l’ultima risorsa, troppo preziosa e avrebbe potuto in ogni caso ucciderlo.
«Dobbiamo continuare» suggerì Ghyla senza gioia «Non siamo mai arrivati così lontani, quella bestia e dietro l’angolo me lo sento nelle ossa.»
«Se abbandonassimo la discesa ora» aggiunse Cyra «quando saremmo in grado di poterne effettuare un’altra? Abbiamo impiegato quasi un anno a reperire le risorse che abbiamo già utilizzato, senza contare che Dros potrebbe non essere più in grado di seguirci.»
Tutti sembravano concordare sul fatto che non si potevano fermare, soltanto Rhia sembrava delusa dal fatto di non poter tornare alla sicurezza all’esterno. Quei luoghi colpivano i nervi di tutti, ed il terrore poteva prendere il sopravvento in ogni momento. Ma la fuciliera avrebbe comunque accettato la decisione del gruppo e continuato a fare la sua parte.
«Ma cosa ne facciamo di Dros?» chiese Latio «non possiamo trasportarlo e non possiamo mandarlo indietro, state forse suggerendo di abbandonarlo qui?»
Per tutte le maledizioni, nessuno voleva lasciarlo, poteva accadergli di tutto. Anche utilizzando camuffamenti magici e fisici, le probabilità di ritrovarlo vivo erano nulle. Dopotutto non erano neanche certi di riuscire a tornare a prenderlo.
Con difficoltà Ryan stava per affermare che dovevano abbandonarlo, non c’era altra scelta, quando Tarv ruppe il silenzio.
«Aspettate, ora che ci penso tempo fa Dros mi aveva parlato di un certo strumento che era riuscito a recuperare, se non l’ha perso a carte, magari ce l’ha ancora addosso»
Con una certa riluttanza iniziò a estrarre dalle bisacce di Dros ampolle, composti e vari articoli sulla cui origine era meglio non investigare. Non era mai consigliabile maneggiare senza permesso la roba che un mago si portava in tasca, ti potevi prendere qualche maledizione o ti potevano cadere le dita o chissà cos’altro.
«Dovrebbe essere questo» disse mostrando agli altri un sacchetto sul palmo della sua mano con una legatura particolarmente complicata, che sembra dimostrare la riluttanza del mago a far uscire per sbaglio anche la minima quantità del contenuto.
«Latio avvicinati» disse Tarv mentre iniziava ad aprirlo.
«Sei sicuro di quello che fai?» disse scettico il curatore mentre si approssimandosi.
«Abbastanza» rispose, gli altri non obiettarono, ma fecero alcuni passi indietro.
Il ranger completò l’apertura dell’involucro, e poi ci sbircio dentro tenendolo il più lontano possibile.
Sembrò soddisfatto da qualunque cosa ci vide dentro e iniziò a versarne il contenuto su Dros.
Ne usci un filo di sabbia con il quale creò un percorso che circondava il mago e poi correva sul terreno fino a depositarsi sui i piedi di Latio.
«Non muoverti» gli disse allontanandosi di qualche passo.
Tutti fissavano i due compagni e quella connessione tra loro.
«Dovrebbe succedere qualcosa?» chiese Ryan.
«Non ne ho la minima idea» gli rispose Tarv.
Ryan aprì la bocca per insultare il compagno, quando uno scoppio esplose da quella polvere. Tutti saltarono dalla sorpresa cercando copertura e portando le mani alle armi.
Quando il fischio nelle orecchie diminuì abbastanza da poter udire nuovamente qualcosa, gli echi di quel botto ancora risuonavano nelle caverne attorno a loro.
A parte la lieve bruciatura sui vestiti di Dros e sulle scarpe di Latio, niente era cambiato.
Ryan stava di nuovo per insultarlo, quando una lieve luminescenza iniziò a splendere attorno al corpo dal ferito, sul percorso a terra fino ai piedi del Curatore. Dros iniziò a sollevarsi da terra come sostenuto da una mano invisibile, arrivato a un metro di altezza circa si stabilizzò, come galleggiando sull’acqua.
«Prova a muoverti» disse a Latio. Quello eseguì e il corpo di Dros gli si mosse dietro come trainato da quel filo di luce che li collegava.
Ryan dovette rimangiarsi tutta la serie di insulti creativi che aveva preparato nella sua mente, per bofonchiare un ‘ben fatto’, mentre tutti gli altri si congratulavano con Tarv che appariva particolarmente orgoglioso del suo operato.
«Latio manda un messaggio agli attendenti in superfice, digli di preparare cure e un carro per trasportare Dros quando saremo fuori»
Il curatore estrasse un foglio e vi scrisse sopra alcune frasi, con un po' di fortuna quelle parole sarebbero apparse magicamente su un foglio in possesso da chi li attendeva all’esterno.
«Proseguiamo prima che ogni fottuto abitante questo buco ci sia addosso, Cyra, hai trovato qualche traccia?»
«Ci sono quattro diverse gallerie che partono da questa caverna, ma su nessuna ho trovato indicazioni del passaggio del nostro bersaglio».
Alcuni rumori e richiami animaleschi iniziarono a risuonare in lontananza.
«Tarv scansione»
«Non sento nulla nelle vicinanze che possa guidarci»
«Aumenta lo spettro più che puoi, concentrati sulla direzione opposta a quella da cui siamo arrivati, verso le profondità».
«Sai come funziona Ryan, se ne eseguo una molto estesa, non ne potrò effettuare altre per alcuni giorni»
«Prosegui» gli rispose mentre i rumori, ancora lontani davano segno di avvicinarsi.
Il ranger bevette una fiala estratta da una tasca e appoggiò mani e fronte a contatto con il terreno.
«Sento…» disse dopo essersi concentrato approfonditamente «qualcosa di strano, più in basso, davanti a noi o è molto grosso o molto vicino. Non ho mai avvertito qualcosa come questo» si alzò da terra e guardo Ryan, i suoi occhi erano cambiati e avevano qualcosa di ferino.
«Guidaci, dobbiamo muoverci in fretta» Tarv si mise alla guida, e tutti gli altri lo seguirono. Ghyla si era posizionata in coda mentre al centro Latio continuava a trasportare magicamente Dros.
Scesero affrettandosi quanto possibile, mentre il cunicolo diventava sempre più umido.
«Più in fretta!» gridò Ghyla, l’urgenza nella sua voce significava che i loro inseguitori stavano accorciando le distanze.
«Accelera» ordinò Ryan a Tarv. Correre era pericoloso, una semplice caviglia slogata poteva significare al fine e sarebbero potuti cadere in trappole o agguati, ma non avevano altra scelta.
Mentre correva a Ryan sembrò di sentire come un alito di aria fresca sul volto. Corsero per lunghi minuti, mentre i rumori alle loro spalle si intensificavano. Poi avvistarono come una luminescenza di fronte a loro e d’improvviso si trovarono all’aperto. O così gli sembrò.
Quella grotta aveva dimensioni colossali, una qualche strana luminescenza era presente sulle pareti, doveva essere un qualche tipo di alga o fungo. Il soffitto era talmente distante da essere difficilmente identificabile in quella luce anomala. Si trovavano su una spiaggia e ad una cinquantina di metri da loro iniziava un mare sotterraneo sconfinato, degli strani riflessi blu e rossi danzavano su di esso, a seconda di dove lo si guardasse.
Era una visione stupefacente e meravigliosamente splendida.
Ma non avevano tempo per la bellezza.
Riprendendo fiato, Ryan benedisse le ore di corsa a cui gli istruttori li avevano sottoposti, in ogni stagione e condizione. In poco tempo furono in grado di calmare il respiro e si prepararono a resistere all’assalto.
Essendo loro probabilmente in minoranza numerica, si schierarono nei pressi dell’entrata dove avrebbero potuto annullare quel vantaggio, gettarono una torcia all’interno per aumentare lo spazio visibile e attesero.
Udirono la corsa di quei nemici sconosciuti arrivare praticamente a dieci metri da loro, poi rallentare, e fermarsi. Ci fu un momento di calma. Dopo di che, udirono quelle creature nel buio annusare rumorosamente l’aria, per poi ritirarsi lentamente, fino a che i rumori dei loro passi scomparirono completamente.
Tutti si rilassarono asciugandosi il sudore della fronte, iniziavano a puzzare terribilmente, e sebbene si sentissero momentaneamente sollevati, capivano che quel comportamento non era affatto un buon segno.
Dros sembrava non aver sentito nulla di quella discesa rocambolesca, cullato come un bambino dalla sua polvere magica.
Iniziarono a guardarsi intorno, stupefatti da quella vista magnifica e inaspettata.
Non vedevano segni di pericolo imminente, alla loro destra la spiaggia continuava ininterrotta, alcuni scogli spuntavano da essa in lontananza, mentre sulla destra un’alta formazione rocciosa sbarrava la strada. Se avessero deciso di dirigersi in quella direzione, si sarebbero dovuti arrampicare. Dovevano capire come proseguire e senza più potere dovevano affidarsi soltanto ai loro normali sensi.
Decisero di non dividersi, ma di allargarsi in modo da controllare un’area più vasta. Iniziarono a muoversi verso il muro a sinistra, scoraggiati dalla vastità dello spazio a destra.
La sabbia non era la superfice migliore per trovare tracce, ma cercarono comunque. Le torce, erano state spente, dato che tutto era illuminato, quel luogo era così assurdo che tutti lo stavano esplorando confusi. La maggior parte di loro non aveva mai visto una vastità d’acqua di quelle dimensioni e faceva fatica a distogliere lo sguardo per concentrarsi su eventuali segni.
Quando furono prossimi alla collina rocciosa, la terra tremò di nuovo. Questa volta la scossa fu fortissima e non accennava a scemare. Quella stessa parete di pietra sembrava come muoversi, scorrendo sulla sabbia, poi qualcosa di mastodontico comparve dietro di essa, innalzandosi al cielo. Una formazione rocciosa si stava ribaltando nell’aria, con una traiettoria impossibile, come una torre immensa che si alzasse al cielo. Fino a quel momento il torrione della fortezza di RocciaInamovibile, era stata per loro la costruzione più alta mai vista, ma quella colonna nel cielo la superava non soltanto in altezza, ma anche in spessore e continuava ad innalzarsi, come srotolandosi.
Poi accadde la follia, si spalancarono su di essa occhi titanici.
Ryan spalanco i suoi occhi e la bocca, sentendo un freddo ghiacciato scorrergli su tutto il corpo, mentre ogni muscolo si congelava terrorizzato, la sua mente cercò di rintanarsi in qualche posto lontano, distante da quella testa colossale che terminava di issarsi nel cielo, puntando i suoi quattro occhi smeraldo su di loro. Ognuno di essi doveva essere alto tre volte un uomo e le loro menti urlanti si rifiutarono di cercare di calcolare le dimensioni di quel muso serpentino e cornuto, ne tantomeno del titanico corpo squamoso che la sorreggeva. Era come una montagna, come se un fiume enorme avesse deciso di scorrere verso il cielo. Quel corpo impossibile si divideva, circa a metà della sua estensione, in molteplici parti che, come colonne, sorreggevano il corpo frontale, quattro o cinque code immense si muovevano lente nell’aria, come a mostrare curiosità.
Fu quando la testa si iniziò a muoversi verso di loro che qualcosa nella testa di Ryan si spezzò. Egli sentì la spada e lo scudo scivolargli a terra, mentre la saliva gli colava sul mento. La sua mente voleva soltanto gridare e scappare per rannicchiarsi in un buco nascosto, dalla quale non sarebbe uscita mai più. Mentre quel muso si avvicinava sovrastandoli, capì che ogni stima precedente era errata, le dimensioni di quella creatura erano impossibili e lui si rifiutava di stimarle.
Quel Dio serpente si fermò a scrutarli, mentre una lingua triforcuta, che avrebbe potuto schiacciarli come moscerini, si srotolò verso di loro.
Quel gesto generò una ventata che li spinse indietro scompigliandogli i vestiti, l’odore che la accompagno fece cadere diversi di loro a terrà mentre vomitavano.
Pazzi. Erano stati pazzi, come avevano potuto pensare di poter scendere in quelle profondità inospitali ad imporre la propria volontà. Folli loro e chi gli aveva affidato quel Dovere, folli gli istruttori che li avevano ammaestrati come burattini, certi delle loro conoscenze scritte sui libri di biblioteche polverose. Idioti, lo erano stati tutti, così tanto da imbarcarsi in quella spedizione.
Il loro Dovere, le loro vite non valevano nulla, come aggiungere un altro granello di sabbia a quella spiaggia sconfinata. Difronte a quel Dio folle che avevano di fronte, tutto il resto sembrava sciocco. Ryan estrasse uno dei suoi pugnali, con l’intento di togliersi la vita.
In quel momento la curiosità del serpente si esaurì, come quando un uomo si annoia ad osservare l’operosità delle formiche, e spostò lo sguardo verso il mare.
La terra tremò nuovamente mentre quella montagna si abbassava con delicatezza nell’acqua increspandone appena la superfice. Ci vollero minuti a lasciar scorrere quel corpo infinito nel mare, mentre le acque si muovevano calme ma poderose, arrivando a bagnare le loro gambe.
Quando l’ultima delle code svanì nell’acqua, la terra smise di tremare e le acque riempirono la voragine che il Dio muovendosi aveva creato.
La pace scese su ogni cosa.
Le onde si erano ritirate a si muovevano tranquille, il resto era silenzio.
Ryan non seppe dire dopo quanto tempo la consapevolezza tornò nella sua mente svuotata, come un fuoco che si accende lentamente nel buio più assoluto, il pensiero ritornò in lui. Ripose il pugnale nel fodero e si asciugò la saliva rinsecchita sul mento con l’avanbraccio. Cercò di abbassarsi a raccogliere la sua arma, ma le gambe non gli rispondevano e dovette sforzarsi per muoverle senza cadere.
Si asciugò il sudore gelato dalla fronte e poi si girò a guardare i suoi compagni.
Latio sembrava l’unico che aveva riacquistato un minimo di raziocinio. Rhia appariva la più afflitta, distesa tremante in posizione fetale con gli occhi sbarrati, fra vomito e urina.
Cerco di parlare, ma le parole non uscirono.
«Svegliatevi» bisbigliò «Svegliatevi!» gridò.
Scosse Radia che dopo un po’ lo guardò confusa.
«Radia! Abbiamo bisogno di te, suona qualcosa!» le disse.
Latio stava armeggiando con una ciotola, versandoci dentro vari composti con mani tremanti.
Si diresse da Rhia, tirandola seduta, era come molle, braccia e testa ciondolavano, mentre la saliva le continuava a uscire dalle labbra.
«Rhia! Rhia!» la chiamò «Svegliati! Ricordati chi sei! Ricorda l’allenamento, perché siamo qui! Ricorda il Dovere. Siamo meno di insetti per quell’essere, se ne è andato e non tornerà! Rhia!».
Lei non dava alcun segno di risposta, solo lacrime scendevano sulle sue guance. Mentre disperato la schiaffeggiava, una musica si librò nell’aria ammorbidendo leggermente la follia che li attanagliava.
Lei sembrò riprendersi, guardando Ryan in viso, poi si gettò su di lui abbracciandolo con violenza mentre emetteva a scatti respiri forzati.
«Bevi questo» le disse Latio porgendogli la ciotola «un sorso piccolo, con lentezza». Lei avvicinò le labbra senza staccare le braccia da Ryan e Latio l’aiutò a bere. Ne ingoio più del necessario e dopo qualche istante scattò in piedi come la corda di un arco rilasciata. Si teneva la testa fra le mani, mentre del colore iniziava a tornarle sul volto.
«Stai bene?» le chiese stupidamente Ryan.
Lei, mentendo, accennò un assenso con la testa. Per il momento era sufficiente.
Latio fece bere a ognuno di loro un sorso di quella pozione esplosiva e disgustosa, mentre 
cercavano di rimettere a posto i pezzi di loro stessi. Chi aveva dato di stomaco o non era riuscito a trattenere la vescica, stava cercando di ripulirsi in mare, gli altri sembravano lucidi ma persi nei propri pensieri.
Anche Ryan guardava il mare e pensava a quel Dio immenso che avevano incontrato. Pensava di che cosa potesse nutrirsi in quelle profondità abissali e se esistesse qualcosa di ancora più gigantesco che si nutrisse di lui.
Scaccio quei pensieri dalla sua mente quando sentì la follia tornare ad urlare dentro di lui. Probabilmente qualcosa di simile stava succedendo anche ai suoi compagni, doveva aiutarli a tornare al presente e completare la loro missione, nonostante il suo istinto lo implorasse di scappare e di non essere mai più la guida di nessuno.
«Stato» chiese. Tutti i suoi amici risposero pronunciando il proprio nome. 
Era un’affermazione semplice, che anche un bambino poteva realizzare senza sforzo, ma ognuno di loro si ricordò chi era, per cosa lottava, cosa era stato capace di realizzare e cosa avrebbe compiuto in futuro.
Dros naturalmente, continuava a fluttuare indisturbato.
Quando si furono ripresi abbastanza da poter riprendere la ricerca, si incamminarono sul lato destro della spiaggia. Non sapevano se il loro obiettivo si trovasse veramente in quella direzione, ma nessuno desiderava incamminarsi dall’altro lato. Se poi la tana di quella creatura fosse stata negli abissi del mare, non sarebbero mai riusciti a scovarla.
A lungo proseguirono silenziosi non trovando nessuna nuova traccia.
Quando superarono un promontorio roccioso che divideva la spiaggia, decisero di fermarsi lì.
Fuori doveva essere ormai notte e la spossatezza iniziava rendere i loro pasi pesanti.
Sostarono a lungo, controllarono le ferite, mangiarono e dormirono a turno, soltanto grazie a uno degli intrugli di Latio e coprendosi gli occhi per sfuggire a quel simil giorno eterno che sembrava regnare in quel mondo segreto.
Quando tutti furono abbastanza riposati ripresero le ricerche.
Dopo alcuni chilometri la spiaggia scompariva gradualmente, inerpicandosi su una scogliera che si innalzava sempre più. La salita non era ripida, ma durò a lungo, portandoli su un altopiano roccioso a strapiombo sul mare. Sembrava per lo più pianeggiante, con enormi massi che spezzavano qua e là la monotonia. Camminavano là sopra da poco tempe quando Tarv ruppe il silenzio.
«Qui! Guardate!» tutti si affrettarono alla sua posizione. Ai suoi piedi si trovavano, essiccate sulla roccia, un miscuglio di ossa spezzate. Tutti, guardandole, ammutolirono. Non erano ossa di animale.
«Sono ossa di bambini, almeno due»
«Potrebbero essere Linda e Jeff?» chiese Ghyla, Tarv rispose con un cenno di assenso, come a dire ‘probabilmente’, ma esserne certi non era possibile.
Si guardarono tra loro, per lunghi anni avevano immaginato quel momento, tutto ciò che avevano sacrificato e che avevano sofferto, finalmente stava per avere un significato. La loro preda doveva essere lì, nascosta da qualche parte, e presto si sarebbero confrontati con essa e sarebbe finita, in un modo o nell’altro.
Ognuno prese la sua posizione con una concentrazione rinnovata, prepararono le armi ed avanzarono. Non sapevano bene che cosa aspettarsi, poteva essere nascosta dietro ogni formazione rocciosa che superavano. Magari erano una moltitudine che strisciando li avrebbe circondati, oppure era soltanto passata su quell’altura e si era gettata in mare, dove possedeva una qualche tana segreta.
Avanzavano compatti controllando ogni centimetro, cercavano segni di una qualunque creatura vivente o della sua tana, ma non ne trovavano alcuno.
Tarv era li precedeva, stava passando a fianco ad un masso alto un paio di metri che per qualche motivo aveva attirato l’attenzione di Ryan. 
«Fermi» disse indicando la roccia. 
«Deve essere passata di qui»
Se la si guardava con attentamente, era possibile notare alcuni segni sbiaditi, che potevano essere vernice bianca.
Iniziarono ad ispezionare la zona attorno cercando di individuare altre tracce di quel colore quando un suono scricchiolante riempì l’aria.
Dal lato nascosto della roccia stava spuntando qualcosa, come un tentacolo rivestito di roccia, dall’estremità si spalancò una bocca circolare, circondata di denti. Come una saetta, quella cosa schizzo verso Tarv. Lui si accorse soltanto all’ultimo dell’aggressione e d’istinto si riuscì appena a proteggere il collo con il braccio. Quei denti uncinati lo afferrarono sul polso chiudendosi con una forza devastante, penetrando carne e ossa. Il ranger urlò disperato, mentre quell’affare cercava di sollevarlo in aria.
«Tarv!» Urlò Ryan fiondandosi verso il compagno mentre una freccia rimbalzava su quella corazza simile alla roccia.
Il suo sprint fu interrotto da una moltitudine di scricchiolii che scatenarono un numero spaventoso di quei tentacoli nell’aria. L’intera roccia iniziò a sollevarsi sorretta da quelli più massicci, Ryan e Ghyla si difendevano come potevano da quelli più lunghi e scattanti. Tarv continuava ad urlare disperato, stava cercando di tagliare il suo aggressore con un pugnale. Dopo qualche tentativo fallito contro la parte corrazzata, sembrò avere successo nella zona interna che sembrava essere meno protetta. Quando pensava di poter riuscire a liberarsi, altri tentacoli lo aggredirono con ferocia, afferrandolo a un ginocchio, a una coscia e al petto. Poi quelle mostruosità lo sollevarono in aria senza sforzo.
E quindi eccola lì, nessuno aveva mai visto di nulla di simile, nessuna biblioteca ammuffita conteneva un libro che la descrivesse, nessuna storia ne parlava. Eppure, era davanti a loro, e non dovevano far altro che ucciderla.
Da quell’enorme corpo centrale, pesantemente corrazzato, senza occhi o organi visibili, una moltitudine di tentacoli famelici si innalzavano in ogni direzione, i più robusti si trovavano nella parte bassa del corpo, mentre gli altri variavano per lunghezza e spessore. Nonostante la sua massa era capace di muoversi con una certa agilità, mentre tutte quelle appendici indipendenti scattavano come serpenti.
Era un incubo vivente.
Un proiettile perforante si piantò su quel corpo centrale senza causare molto danno. La musica di Radia risuonava nelle loro orecchie, quei tentacoli sembravano muoversi più lentamente in essa.
Tarv nell’aria gridava terrorizzato, mentre lacrime solcavano le sue guance, completamente in balia della creatura.
La furia in Ryan esplose, piantò lo scudo a terra e concentrò il suo potere in un’ondata di forza che scaglio come un pugno, urlando, contro quella cosa. Quell’abilità era in grado di lanciare uomini in aria per decine di metri, ma quel colosso fu soltanto sbilanciato, iniziò a rivoltarsi in aria, poggiandosi sui tentacoli posteriori. Quando raggiunse una posizione verticale, ritrovò un certo equilibrio, esponendo la carne flaccida, priva di armatura, che si trovava sotto di essa. Qualcuno le lanciò contro una bomba acida, questa esplose al contatto, causando un’estesa ustione fumante e una puzza nauseabonda. Lo scoppio spinse nuovamente quel corpo e una bocca gigantesca si spalancò urlante di dolore nel mezzo di quel corpo molle, mostrando file e file di denti uncinati.
Rhia sparò, proprio al centro di essa.
Il colpo finì di sbilanciare l’essere, che si rivoltò cadendo fragorosamente indietro, puntando quelle fauci spaventose verso il cielo, ma mantenendo la presa su Tarv che ancora fluttuava a mezz’aria.
Sfruttando quel momento Ryan e Ghyla corsero verso di lui, per cercare di salvarlo, ma la bestia lo sollevò sopra di sé e lo lasciò cadere fra quelle mandibole spalancate.
Nessuno dimenticò mai l’espressione di orrore e incredulità che Tarv aveva sul viso mentre precipitava verso quella voragine famelica.
Le mascelle si chiusero sulla figura urlante di lui, producendo un suono disgustoso e crepitante di ossa frantumate, carne lacerata e liquidi spruzzati, le grida si spensero immediatamente e il loro compagno era sparito per sempre.
Ryan pensò di salire sopra quell’essere per salvare in qualche modo il suo amico. Mentre questo progetto folle si delineava nella sua mente, Ghyla saltò oltre lui, atterrando sopra di essa, eseguendo un attacco poderoso. L’essere urlò nuovamente di rabbia e spalancò le fauci. Lei, miracolosamente, riuscì a mantenere l’equilibrio evitando di caderci in dentro. Un tentacolo enorme la azzannò al braccio sinistro, mentre tutti le altre appendici erano impegnate in una complicata manovra per riportarla nella sua posizione naturale.
Ryan sfruttò quel momento per salire a fianco a Ghyla che, abbandonata l’ascia, aveva estratto la spada con la quale colpiva violentemente il tentacolo sul lato interno, dove era privo di corazza, tranciandolo con un certo successo. Ryan completò l’opera, riuscendo a liberarla soltanto un attimo prima che la bestia iniziasse a rivoltarsi.
Saltarono sul lato sinistro, evitando di finirle sotto. Cyra si era spostata sulla destra e riuscì a lanciare una bomba di fuoco in quella bocca enorme, poco prima che completasse il movimento.
La bestia fu nuovamente sui tentacoli e tutto fu immobile per un istante, poi quella bastarda risputò la bomba, che subito esplose sotto di lei, facendola sobbalzare e causando fiammate tutt’intorno.
Il mondo era diventato soltanto un fischio nelle orecchie che cancellava tutto il resto. Ryan aprì gli occhi, qualcuno lo stava scuotendo e gli gridava addosso. Ricordò di aver visto la bomba cadere e di aver cercato di proteggere sé stesso e Ghyla con lo scudo, ma non era stato abbastanza veloce. La gamba sinistra bruciava e ogni altra parte del suo corpo era dolorante.
Mise a fuoco la persona che lo stava scuotendo e riconobbe Latio, gli stava urlando qualcosa riguardo Ghyla. Lui si girò a guardarla. Giaceva immobile a terra, il braccio sinistro era praticamente staccato dal corpo circondato da una pozza di sangue, Latio probabilmente gridava che dovevano portala al sicuro, così che potesse prendersi cura di lei.
Si alzò, gli altri stavano spostando la sua compagna.
La creatura stava cercando di mantenersi sui tentacoli, con qualche difficoltà.
Sembrava non sentirsi bene, incespicava e non trovava abbastanza forze per mantenersi stabile. Le appendici mozzate perdevano licore, mentre le altre bocce spargevano un liquido denso e violaceo.
Doveva essere l’effetto della spina rossa. Tarv come tutti loro la portava alla cintura, doveva esserle esplosa in bocca avvelenandola.
Non era più così spavalda, si reggeva appena dritta e indietreggiava lentamente.
Forse il veleno l’avrebbe uccisa, forse no.
Ryan non intendeva scommetterci, magari aveva qualche organo sconosciuto, che tra qualche minuto avrebbe filtrato il veleno, rendendola nuovamente energica e aggressiva.
Così colse l’occasione, le corse direttamente contro e le si gettò sotto.
Appena prima che quelle mascelle gli si chiudessero addosso, Radia urlò il suo nome.
Le mandibole della bestia si aprivano e chiudevano attorno a lui con forza, ancora e ancora, sentiva la rabbia con la quale cercava di stritolarlo, ma per quanta vigore ci mettesse, non era riuscita a fargli niente più di qualche graffio. Mentre le scivolava sotto, aveva allargato lo scudo abbastanza da impedire che i denti lo raggiungessero, poi aveva creato una barriera di potere intorno a sé, piccola ma estremamente resistente, infondendoci tutto ciò che rimaneva del suo potere.
Finché fosse riuscito a mantenerla, era abbastanza al sicuro, e lui era in grado di attraversarla. Iniziò a far guizzare la sua spada attraverso di essa, infilzando il mostro dall’interno della sua stessa bocca. Maciullava i suoi organi vitali o qualunque cosa avesse dentro, con ferocia, urlando. Era circondato da suoni, rumori e grida, gli sembra di sentire, come in lontananza, i suoi compagni che lo chiamavano, pensavano probabilmente che stesse morendo.
Colpì e colpì, fino a perdere sensibilità nel braccio. La pulsazione vitale di quell’essere si affievolì, per poi spegnersi del tutto, fino a crollargli addosso.
Nel silenziò che seguì sentì le urla di Radia.
«Sto bene!» Le rispose lui. «Tiratemi fuori di qui prima che la barriera scompaia e venga squagliato dai succhi gastrici di quest’affare»
Il suo guscio di potere era trasparente, stare là sotto era disgustoso, per ogni evenienza, cercò di coprirsi il volto con lo scudo.
Dovettero armeggiare un bel po’. Alla fine, legarono una corda ad alcuni tentacoli su un lato, la fecero passare sopra al corpo roccioso dopodiché tirarono dal lato opposto. Con fatica riuscirono a sollevare quel corpo morto quel tanto che bastava perché Ryan ne strisciasse fuori.
Fu uno sforzo estenuante, ci riuscirono appena e solo grazie a una pozione di forza uscita da chissà dove.
Era finita, il mostro era morto, il Dovere era compiuto.
Abbandonati a terra erano allo stremo. Latio aveva dovuto amputare il braccio sinistro a Ghyla, alcuni piangevano Tarv, mentre Rhia sembrava ancora scossa e spesso fissava lo sguardo verso il mare.
Un vortice di sensazioni opposte li pervadeva. Orgoglio, terrore, stanchezza, soddisfazione perdita, eccitazione e sofferenza. Tutto ciò li trasportava in uno stato mentale paradossale, in cui niente sembrava aver più significato.
Ryan se ne stava seduto a osservare le proprie mani. Le aveva lavate, ma i guanti e le maniche si erano intrise dei liquori di quella creatura e non sarebbero mai più tornati come prima.
Guardando i suoi compagni realizzò che ce l’avevano fatta.
Ma a quale prezzo? Nessuno di loro sarebbe stato più lo stesso, avevano perso molto, tutti loro. Il Dio che avevano incontrato sarebbe rimasto per sempre nelle loro menti, non riuscì a trattenere un brivido a quel pensiero. Pochi avrebbero creduto a quell’incontro e se anche qualcuno l’avesse fatto, non avrebbe mai potuto capire cosa significava essere alla presenza di quell’essere.
La battaglia finale era stata devastante, Tarv era stato strappato alla vita in modo terribile.
Ryan non trovava le parole per descrivere la sensazione che combattere quel muro di tentacoli carnivori produceva. Quel ricordo gli fece accapponare la pelle, causandogli un tremore freddo. Scaccio via quei pensieri, era finita.
Questa consapevolezza, quest’esperienza, sarebbe diventato come un legame segreto ed indistruttibile, che li avrebbe uniti per sempre, nessun’altro avrebbe mai potuto farne parte.
Guardò ciò che rimaneva di loro, avevano perso diversi compagni e altri due erano gravemente feriti. Forse nei conteggi di un villaggio o di una nazione, questo poteva essere un dato statistico trascurabile, che non cambiava nulla. Ma per loro, lì, alla presenza di quel mostro che avevano sconfitto, era una perdita dolorosa.
Davion e Tarv erano stati loro compagni, avevano mangiato insieme, combattuto, riso e litigato. Erano stati come fratelli e ora erano perduti.
Se non altro il loro sacrificio non era stato vano.
Si alzò, si diresse verso Ghyla, lei se ne stava seduta in terra, con la schiena appoggiata ad un masso.
«Penso che vederti saltare addosso a quella bestia sia stata la cosa più folle che abbia mai visto».
«Ne sei proprio sicuro?» rispose lei scettica.
«Ora che mi ci fai pensare» le disse lui «mi sa proprio di no» le rispose sorridendo.
«Non preoccuparti per il braccio. Latio lo sta conservando, te lo sistemeranno alla fortezza. Se poi non dovessero riuscirci, te lo faremo ricrescere, dovessimo anche passare un altro anno a sterminare mostri»
Lei lo ricambiò con un gesto di assenso e gratitudine.
Mentre le dava una pacca sulla spalla, qualcosa attirò la sua attenzione.
Da un punto difronte a loro. sulla scogliera, arrivavano dei suoni raschianti, sempre più distinti. Si alzarono tutti in piedi allarmati, guardando in quella direzione, quando tentacoli spuntarono dal bordo di pietra.
«Non può essere» proferì Ryan piano.
Ma la sua incredulità non ebbe alcun effetto su ciò che stava realmente accadendo, ne spuntarono altri, uno dopo l’altro, finché un altro mostro emerse dal bordo, issandosi sull’altopiano. Era leggermente più grande del precedente, avanzava in modo strano, casuale, come se cercasse qualcosa. Se avesse avuto occhi, si sarebbe detto che si stava guardando intorno.
Loro raccolsero le armi, indietreggiando di qualche passo. Ghyla lo guardò con rassegnazione sul volto. Senza alzarsi si allungò per afferrare l’ascia, aveva intenzione di morire con l’arma in mano, più che di combattere.
Non avevano alcuna possibilità di abbatterne un altro.
Ognuno sentì nascere quella consapevolezza dentro di sé: sarebbero morti lì, di loro non sarebbe rimasto niente più che un mucchietto di ossa spezzate. Nessuno avrebbe conosciuto le loro imprese, non avrebbero saputo che ce l’avevano quasi fatta. Forse, abbandonando i feriti, sarebbero potuti scappare via, qualcuno sarebbe potuto sopravvivere, almeno per un po’.
Nessuno si mosse.
Quella bestia emise un richiamo lamentoso, mentre i tentacoli sembravano annusare l’aria.
Di colpo si bloccò emettendo un ululato terrorizzato e muovendosi velocemente verso di loro.
Ryan cercava freneticamente un modo di affrontarla, ma erano sfiniti, feriti, senza più potere ne risorse.
Ma l’impatto non arrivo mai loro addosso. Quando fu a fianco al suo simile abbattuto, quella si fermò.
I tentacoli accarezzarono quel corpo morto, indugiando maggiormente sulle ferite e sulle protuberanze tranciate. Sembrò come abbracciarlo, emettendo un grido di disperazione di un’intensità che Ryan non aveva mai sentito.
Tutti loro si sentirono vibrare sull’ondata di quel suono, come fossero corde di uno strumento musicale. Un’infinita tristezza li assalì, mentre lacrime scendevano dai loro occhi.
Ryan cercava di scacciarle, pensando che era soltanto un altro mostro, un nemico, un divoratore di persone, dovevano sfruttare quel suo momento di debolezza per attaccarlo e poi ucciderlo.
Ma mentre lo guardava disperarsi, perdendo liquido dalle sue molteplici fauci, spingeva quel corpo immobile, come nel tentativo di riportarlo alla vita, non riuscì a ottenere nulla.
Nessuno di loro attaccò, rimasero lì immobili, testimoni di quel dolore immenso e disperato che loro stessi avevano causato.
Dopo alcuni minuti, la creatura si calmò staccandosi dal compagno, puntò verso di loro, iniziò ad emettere un brontolio rabbioso, ma anche quello pian piano scemò, in un suono di tristezza sconfinata. Avanzò lentamente di qualche metro e poi sembrò inginocchiarsi, rivoltandosi sotto sopra e spalancando verso di loro la sua enorme bocca, per poi cessare ogni movimento.
Attraverso il palato, era visibile una pulsazione, lenta ma costante, di un organo enorme che a ogni contrazione fletteva la parete sotto la quale era nascosto.
Passaro alcuni momenti di immobile incredulità, dopo di che Rhia avanzò con il fucile in mano, tentò di prendere la mira, ma si fermò a mezz’aria, incapace di continuare.
Ryan la guardo, leggendo la confusione profonda che aveva sul viso.
Afferrò quell’arma dalle mani di lei, appoggiò il calcio saldamente sulla propria spalla, prese la mira verso quella pulsazione viva.
Fece fuoco.
Il colpo rimbombò in quella immensa vastità in cui si trovavano e uno dopo l’altro quei tentacoli terminarono ogni movimento e la vita sfuggì dal mostro.

Epilogo

Dieci anni dopo

Ryan guardava i suoi figli combattere per gioco nel prato di fronte alla loro casa, nel sole di un fresco mattino di primavera. Per quanto avesse cercato di dissuaderli dal seguire le sue orme e dedicare la vita all’assassinio, eccoli lì, ogni giorno litigavano per chi dovesse impersonare il cacciatore e chi il mostro. Le parole contavano poco, quando venivano contraddette dalle tue azioni. La madre, occupata all’interno, non era Radia. Qualche anno dopo quegli eventi, avevano compreso di seguire valori diversi e si erano separati senza rimpianti ne rancori. Veniva sempre a trovarli, quando passava al villaggio, insegnando una canzone nuova alla figlia di Ryan, che sembrava voler seguire la strada della musica.
Lui ripensava spesso a quel giorno.
Dopo aver sparato, aveva restituito il fucile a Rhia e tutti erano rimasti silenziosi, confusi, su quale sentimento dovessero provare. Sarebbe stato impossibile tornare indietro a piedi.
Così avevano iniziato il rituale.
Normalmente l’avrebbe fatto Dros, ma aveva insegnato a tutti come effettuare le operazioni necessarie. Tirarono fuori la tintura, disegnarono un grande cerchio sulla roccia e poi scrissero le rune nell’ordine corretto. Fatto questo, Radia estrasse il cristallo dalla sua confezione protettiva e lo depose delicatamente al centro. Era la risorsa più preziosa che possedevano, ma era venuto il momento utilizzare anche quella. Si misero tutti all’interno e ognuno fece cadere a terra una goccia del proprio sangue, Latio lo fece per Dros. Poi colpirono il cristallo infrangendolo, i pezzi volarono in aria circondandoli e rendendo tutto indistinto.
Ryan chiuse gli occhi, si senti come attraversato da un’energia sfrigolante. Quando dopo alcuni minuti li riaprì, vide intorno a lui il bosco, si trovavano vicino al campo base, sul cerchio runico che avevano preparato prima di partire. Fortunatamente quel processo non aveva ucciso nessuno e ogni arto sembrava al loro posto.
Gli attendenti furono subito da loro per assistere i feriti e in poco temo furono in grado di ripartire per la fortezza.
Dros era sopravvissuto, ma le ferite si erano rivelata troppo profonde, non era stato possibile per lui continuare la carriera del cacciatore, era il mago del villaggio ora e Ryan lo andava spesso a trovare.
Il braccio di Ghyla era stato risaldato alla perfezione e lei aveva ottenuto la riassegnazione del Dovere come desiderava, ogni giorno si scolpiva il legno.
Ryan era rimasto un cacciatore, era uno bravo ora, famoso avrebbero detto alcuni. Aveva difeso villaggi, salvato principesse e sbaragliato bande di briganti orchi in giro per il paese. Alla fortezza di RocciaInamovibile gli avevano detto che ci sarebbe stato un posto da istruttore per lui, quando avesse voluto.
Ma a lui piaceva la sua casa, amava quel posto e lì era felice. In futuro magari, chi poteva dirlo.
Tutti avevano gran considerazione di lui, desideravano ascoltare le sue storie. Alla taverna gli offrivano da bere chiedendogli di raccontargliele, sembrava che tutti volessero essere suoi amici.
Altri arrivavano da lontano per divenire suoi allievi, ne aveva accettati due o tre. Comprendeva perché venissero da lui, le sue imprese affascinavano i giovani ed essere capace di uccidere era un potere spaventoso. E lui era bravo a farlo.
Molti lo ammiravano, ma lui non era più stato completamente orgoglioso di sé stesso. La Natura sapeva che i cacciatori come lui salvavano vite, che le loro azioni erano necessarie. 
Ryan non avrebbe permesso a ladri o bestie di agire indisturbate, portando morte e distruzione sugli indifesi.
Ma dopo aver premuto quel grilletto, qualcosa in lui era cambiato. Quando aveva ucciso quella creatura inerme e disperata, la sensazione che aveva provato non lo aveva più abbandonato.
Contro ogni logica, si era sentito lui il mostro.
   
 
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