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Autore: _Lightning_    12/02/2024    2 recensioni
Napoli, 1934.
Il commissario Ricciardi è alle prese con un delitto come tanti, almeno per lui che è abituato a vedere i fantasmi delle vittime con i propri occhi. Una rapina finita male, con dei dettagli che, però, non tornano. Non tornano né a lui né al dottor Bruno Modo, collega medico legale e amico in pubblico, ma segretamente unito a lui da sentimenti più profondi, in un'epoca in cui a dare troppo nell'occhio si rischia la vita.
Ricciardi, però, quasi si dimentica del tutto del caso e dei pericoli che corre quando alla sua porta, nel cuore della notte, bussa un evento inspiegabile. Uno di quelli di cui non può parlare a nessuno, nemmeno a Bruno, pena l'essere preso per folle, e che lo fa sentire sempre più lontano dalla vita e sempre più vicino alle schiere di fantasmi che la attorniano.
Cosa si nasconde nel sottosuolo di Napoli?
[Leggibile come originale // Giallo // Ricciardi/Modo // S2 Alternativa]
Genere: Mistero, Noir, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'In quel di Napoli'
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          Le campane della Basilica dell’Annunziata suonano a morto.

Un rintocco gutturale dopo laltro, ad accompagnare i passi stentati della breve processione dalluscita della chiesa al carro funebre. Due cavalli da tiro morelli abbattono impazienti gli zoccoli ferrati sul basolato, in controtempo metallico con la voce grave del campanile. La facciata ocra e antracite della basilica incombe con cipiglio austero sulla funzione, sormontata dalla cupola stretta e slanciata nel cielo ora screziato da nubi sparute.

«Commissa, ma voi siete proprio sicuro?» gli chiede Maione sottovoce, fermandosi sulla strada a serpentina che si affaccia, più elevata, sul minuscolo sagrato compresso tra i palazzi.

Una piccola schiera di astanti in rigido nero lo occupa in silenzio, con qualche nuvoletta di vapore che si solleva qua e là nellaria tersa, misto ai vapori dellincenso. Qua e là, scorge mostrine e berretti militari.

“No, vorrebbe rispondere Ricciardi, d’impulso; e sarebbe di fatto la risposta più onesta.

Oltre al fatto che, no, non vorrebbe essere bloccato qui a interrogare vedove, ma a irrompere nellabitazione di Arturo Esposito per cavargli di bocca tutto ciò che sa. Ha però concordato con Maione, dopo averlo ragguagliato sulle ultime novità apprese da Cristiano riguardo al loro uomo, di dar priorità a Caterina Gigliolo, prima che ella torni a Roma. Braccare il loro presunto Munaciello è per ora fuori portata; soprattutto perché non vera alcun indirizzo sul registro, se non quello di nascita ad Avezzano.

«Sì, se vogliamo indagare senza che Garzo sindispettisca troppo,» risponde quindi, percorrendo svelto la breve discesa sino al sagrato.

E, spera, senza che lOVRA subodori le sue manovre proprio sotto al loro naso, cosa pressoché impossibile. Si chiede quanto margine abbia, prima che Falco dia lordine di porre definitivamente lalt a quegli atti di chiara insubordinazione. Prima che mandi qualcuno a prelevare lui e Bruno per portarli chissà dove. Per far loro chissà cosa.

O, forse, vorrà vedere fin dove riuscirà a spingersi, prima di tarpargli le ali a un passo dalla risoluzione. È un atto che si aspetterebbe da un uomo come Falco, con troppo potere tra le mani: gli sembra il tipo di persona incline a osservare dallalto della sua torre davorio un insetto dibattersi agonizzante nellacqua, fino a vederlo annegare, limitandosi a spingerlo con indolenza lontano dalla riva se tenta di trarsi in salvo.

Maione, pur alloscuro delle macchinazioni dietro quel caso, ma fin troppo cosciente dei marchi che hanno lasciato addosso a lui, pare molto contrariato dal suo piano dazione; più su un piano pratico che concettuale. Sul fatto che il suo collega concordi sul perseguire il caso, non ha dubbi, ma gli è chiaro che presentarsi a quel modo a un funerale vada a cozzare con la sua innata indole riguardosa del prossimo.

Intuisce il suo tumulto dal modo in cui si sistema a intervalli regolari il berretto per la tesa, come se temesse che possa scivolargli giù dal capo. Infine, se lo toglie e pettina volta i capelli grigio ferro di lato, lungo la riga, calcandoselo poi in testa in maniera definitiva.

«Maione.» Ricciardi si ferma a ridosso del capannello di luttuosi e parla a voce bassissima, quasi soffocata dai rintocchi della campana. «Non ti nego che, a parte la poca creanza di essere qui ora, operando al di fuori del protocollo rischieremo dinfastidire persone ben più in alto di Garzo. Se preferisci tenertene fuori, non ti obbligherò a rimanere.»

Il brigadiere ruota piano la testa verso di lui, come se avesse udito un suono molesto di cui non ha però interesse a scoprire lorigine. I suoi occhi azzurri sono insolitamente freddi, pozze di ghiaccio sporco sotto le sopracciglia folte e brizzolate. La sua bocca si è irrigidita, tirata ora in una piega storta. Ricciardi si rende conto di averlo offeso.

«Commissario, con tutto il dovuto rispetto: io faccio finta di non avervi manco sentito.»

Lui incassa la testa nelle spalle e non replica, limitandosi a prender atto della sua decisione.

Torna a scrutare il piccolo mare di cappelli, in mezzo al quale la sua testa scoperta spicca più che mai, così come il suo completo antracite e il soprabito grigio perla formano una chiazza più chiara nel muro di nero solido attorno a sé. Maione, in divisa, non è molto più discreto, e coglie un paio docchiate incuriosite scagliate verso di loro.

«Vedo la signora Maria Pascale,» gli comunica a mezza voce Maione, con un colpo docchi nella sua direzione; una donna bionda, dalle forme piene, che si aggrappa al braccio di un uomo in divisa, dai baffi folti, «col marito Onofrio. Prima mi pare daver scorto i DAngelo, ma li ho persi.»

«Ci saranno pure i Vinciguerra.»

Ricciardi non ha avuto modo di conoscere di persona nessuno di loro, per evitare di sovrapporsi in modo troppo sfacciato allindagine di De Blasio, ma si fida dellocchio di Maione.

«Sicuro. Meno male che i loro nomi non le dicevano niente, alla signora,» sbuffa sprezzante il brigadiere.

La bara raggiunge il carro funebre e, finalmente, Ricciardi scorge ciò che cercava: la sagoma minuta della vedova Gigliolo, castigata in un abito di raso accollato, ancor più tetro di quello in cui lha vista in Questura. Savvicina per lasciare una carezza in punta di dita sul legno massiccio e una piccola corona di crisantemi bianchi sulla croce che orna il coperchio. La veletta impedisce di vederne gli occhi, ma pare avere il volto arrossato, non saprebbe dire se per il freddo, il pianto o la malattia.

Si muove con gesti lenti, cauti, come fosse fatta di cristallo e ogni movimento potesse sfaldarne le giunture. In una mano tiene stretto un fazzolettino; nel ritrarsi dal feretro, se lo preme sulla bocca a soffocare un colpo di tosse. Risuona nel silenzio, secco come carta vetrata sfregata sul legno. Le sue condizioni sembrano peggiorate, rispetto a soli tre giorni fa.

Ricciardi scambia uno sguardo con Maione, anche lui con gli occhi puntati sulla donna. Di comune accordo, quando Caterina Gigliolo si allontana dalla bara per lasciare che gli altri astanti seguano il suo esempio, ne imitano a distanza il tragitto oltre la linea di cappotti neri, in parallelo, fino a fermarsi alle sue spalle quando ella vi si reimmerge, badando a non porsi mai in linea di vista diretta; la leggera discesa del sagrato va a loro vantaggio, così come i pensieri della vedova concentrati su tuttaltro.

Un altro sguardo tra lui e Maione, un muto cenno dassenso dopo aver adocchiato il carro e poi il campanile: aspetteranno che la folla si metta in marcia per seguire il carro, prima di intercettare Caterina e tentare di parlarle in disparte. Non un atto particolarmente garbato, ne conviene; daltronde, dubita davere altra scelta se vuol mettere la parola fine al caso prima che la situazione precipiti. Prima che Falco stringa gli artigli come un rapace ghermisce un uccellino in volo.

Non è un piano complesso, eppure riesce ad andar storto nel giro di pochi secondi: la vedova Gigliolo, quasi avvertendo di essere osservata, volta il capo di scatto sopra la spalla, intersecando allistante il suo sguardo tra le teste della gente.

Non vè modo di trarsi dimpaccio, né di portarsi in qualche modo al riparo, essendo in campo aperto. Ricciardi si limita a sostenerlo, senza proferir parola. La donna lo fissa con quello che, adombrato dal pizzo nero che le cela gli occhi, sembra un moto di fastidio misto a sorpresa.

Lacciottolio degli zoccoli e il cigolio ligneo delle ruote rompe la quiete sospesa lasciata dallimprovviso silenzio delle campane: la piccola processione savvia pencolante appresso al carro funebre.

Ricciardi trattiene un passo verso la donna, costringendosi a rimaner piantato sul posto: non possono trattenerla in alcun modo. Non ne hanno lautorità. Se decidesse di ignorare la loro presenza e avviarsi semplicemente al seguito dellultimo viaggio del marito, sarebbero costretti a seguirla fino al cimitero, probabilmente Santa Maria della Fede, col rischio di doversi ritirare qualora dovessero attirare troppo lattenzione.

Caterina Gigliolo, però, lancia uno sguardo assente alla bara in lento allontanamento, serra le dita fasciate dal velluto sulla borsetta nera di vernice e poi, con un ticchettio sordo di tacchi bassi, si fa loro incontro con una cadenza quasi militaresca che sembra far svettare la sua figura aggraziata ed esile sulla folla, che si apre per lasciarla passare.

Si pianta proprio di fronte a lui, più bassa di mezza testa e affatto intimorita nello squadrarlo in viso. Gli occhi nocciola si appuntano con insistenza sulla medicazione che gli copre lo zigomo, poi saettano verso il livido sul collo. Con sua sorpresa, un sorriso scevro di qualsivoglia brio fa breccia sul suo volto pallido.

«Speravo che vi dissuadessero a parole come su mia richiesta, commissario, ma a questo punto credo che le modalità non avrebbero sortito alcuna differenza.»

Ricciardi serra la mandibola, trattenendo un moto di stupore, gli occhi infissi nei suoi; sente Maione trarre un respiro più rumoroso, indignato. Stringe le mani in tasca fino a indolenzirsi le nocche, ma la ricambia con un sorriso altrettanto gelido, fermo nella propria impassibilità.

«Avete ragione, signora Gigliolo: temo di non essere il genere di persona che presta molto orecchio agli avvertimenti, di qualunque natura essi siano.»

La vedova non distoglie lo sguardo, ben pungente attraverso il pizzo impalpabile della veletta. Increspa le labbra tinte di un lieve color barolo, prima di schiuderle appena per parlare:

«Mi chiedo perché sentiate il bisogno di accanirvi così tanto contro mio marito. Per cosa, poi? Per coprire le vostre, di malefatte?»

Ricciardi mantiene una glaciale compostezza, ma non può evitare la repentina, torva inclinazione in cui scivolano le sue sopracciglia nel sentirla esporsi con tale alterigia. Porta un polso dietro la schiena e lo artiglia con troppa forza, avvertendo lindolenzimento delle scapole, lì dove gli agenti dellOVRA gli hanno quasi slogato una spalla.

La tumefazione in volto pulsa in battiti roventi e ne conta un paio per ritrovare la calma, prima di rispondere. La reazione di Maione lo anticipa ed è molto meno pacata, la voce a stento sotto controllo:

«Signora, se non moderate i toni col commissario, la prossima tappa della marcia funebre sarà al gabbio, per ingiuria alla Regia Polizia!»

«Brigadiere,» lo richiama subito Ricciardi, secco. «La signora può insultarmi quanto vuole. Non sarebbe loffesa peggiore che ho ricevuto ultimamente.»

Qualcuno in coda alla processione si volta verso di loro a quellanimosità. Il cigolio del carro si arresta. Cè un fitto confabulare che si propaga in onde tra le vesti nere degli astanti: sale e discende in una risacca agitata. Il prete fa qualche passo a scostarsi dalla processione, rigirando in mano il turibolo che sparge il suo aroma stordente dincenso fino a loro. Caterina Gigliolo non si smuove di un millimetro, gli occhi nocciola che sembrano forare la veletta con la loro intensità.

«Potete pure arrestarmi, se volete,» li sfida poi, la voce sottile che si fa di nuovo piena, anche se con sforzo. «Sembra che ultimamente sia la normalità, accusare gente innocente di crimini che non ha commesso.»

«Non siamo qui per arrestare nessuno. Non è certo compito della Polizia trascinar via la gente per strada.»

Maione stringe i pugni e le sue nocche grosse come castagne si sbiancano, a significare che lui non si farebbe troppi problemi in merito. Caterina Gigliolo fa saettare gli occhi tra loro, e sembra ora confusa.

«Se avete ignorato ogni ragionevole avvertimento, commissario, stento a credere che non siate qui per trovar ragione delle vostre ipotesi infamanti, in un modo o nellaltro.»

Ricciardi inclina un poco il capo, a quel commento bilioso. Non gli riesce di decifrare la posizione della donna. Sotto la patina belligerante, sembra spaventata dal suo vederlo qui, molto più di quanto dovrebbe esserlo qualcuno con agganci sicuri nellOVRA, al punto da far minacciare un commissario. Il suo attacco inviperito sembra più una difesa.

Cambia linea di tiro, assecondando limpulso:

«Se ho ignorato ogni avvertimento, è solo per veder chiaro in questa faccenda. E, senza la vostra collaborazione, non potrò fare nulla per salvare il nome di vostro marito dal fango, se ciò si rivelasse possibile.»

«Mi sembrate piuttosto intento a trascinarvelo, considerata la linea delle vostre indagini,» ribatte lei, una singola nota tremula a insinuarsi nella sua voce.

«La linea dindagine ci ha portato esattamente dove doveva,» interviene Maione, con foga. «Ovvero, a gettare un occhio, e Dio me ne scampi, su quello che vostro marito andava a fare allAnnunziata.»

Caterina scopre di nuovo i denti, in un sibilo stizzito:

«Voi vedete il marcio in tutto, anche in un poveruomo che ha dedicato la propria vita agli altri. Ora, pur di salvarvi la faccia, immagino vorrete addossargli pure la morte di quella bambina, oltre alle nefandezze che gli attribuite a torto.»

Ricciardi soffia aria dal naso e inarca un sopracciglio, in un moto di sufficienza che non gli riesce di trattenere.

«Se è per questo, gliele attribuisce anche il Partito a cui tanto vi affidate e che mha fatto capire molto chiaramente di non nutrire alcuna stima di vostro marito. Né credo abbiano in stima la vostra parola, se si son sentiti in dovere dintervenire sulla base di illazioni e chiacchiere da bordello.»

Quellosservazione tronca il nuovo flusso di rabbia che stava per scaturire dalle labbra della vedova. Tace, il volto pallido e tirato tinto solo da chiazze rossastre e malsane sulle gote. Trattiene udibilmente un colpo di tosse, che risuona cavo nel suo torace.

«Che cosa volete, commissario?» E, prima che lui possa ribattere: «A parte insudiciare la dignità di un uomo che nemmeno conoscevate?»

Lui, a quel punto, cerca gli occhi della donna; li cerca davvero, oltre la veletta floreale e lacredine e il sottile strato di lacrime di sofferenza e spossatezza che li offusca. È ormai semplice, per lui, riconoscere lorma tremula della paura: la coglie anche in lei, seppur per un istante. Parla a voce più bassa, contenuta, un occhio guardingo che va a scrutare i dintorni:

«Signora, io non ho interesse a ledere il nome di nessuno. Non lavoro per il Partito, né contro di esso. Il mio unico interesse è la verità e, se davvero siete convinta che vostro marito fosse innocente, non vè motivo di nascondermela come avete fatto finora.» Vede le iridi di Caterina Gigliolo farsi più nitide. Le sue pupille guizzano via per un istante, sfuggendolo, per poi piantarsi di nuovo nelle sue. «Io voglio solo capire chi ha ucciso quella bambina. E sono convinto che, così, potrò scovare anche chi è che ha ucciso vostro marito. Ma voi dovete fidarvi della mia parola.»

Caterina esita, prima di rispondere, le dita serrate sulla borsetta quasi a cercarvi un appiglio; e Ricciardi sa, in quellistante, di aver fatto breccia.

«Mi state chiedendo un atto di fede cieca, commissario.»

«Non è forse lo stesso che compievate nei confronti di vostro marito? Voi credete nella sua innocenza sulla pura base della fiducia che riponevate in lui, o sbaglio?» le fa presente, senza perdere un battito. «Però, ve ne siete anche allontanata, troncando ogni rapporto da quasi dieci anni, e questo ai miei occhi vale più di qualsiasi accusa.»

Caterina chiude gli occhi per un singolo secondo, come a cercare una forza che, fisicamente, lha abbandonata da tempo, ma che dimora ancora nel suo spirito. Quando li riapre, sono venati di una cristallina fermezza.

«Fernando non ha mai alzato un dito su quei bambini. Se ne avessi avuto anche solo il sentore, commissario... allora sì, che dovreste indagarmi per omicidio,» pronuncia, senza un briciolo di riserbo ad ammorbidire le sue parole. «Se ci siamo allontanati è solo per... »

Sinterrompe, come se le mancasse il fiato, e Ricciardi le risparmia di dover parlare:

«Per il grande dolore che ha perseguitato entrambi,» dice, con tutta la delicatezza che gli riesce; non molta, di fatto. Vede una scintilla di stupore animare le iridi di Caterina. «Sono a conoscenza della morte di vostro figlio, appena nato. Non chiedetemi per quali vie,» la anticipa duramente, soffocando il suo impulso sul nascere.

Gli occhi della donna si fanno distanti; per un attimo, non sembra nemmeno lì, ma persa in ricordi atroci.

«Allora, sapete tutto ciò che cè da sapere,» dice, adesso con voce stanca. «Se mio marito sè dedicato così tanto agli orfani, è per non far andar perduto tutto lamore che avrebbe dedicato a nostro figlio, che ci ha lasciati primancora di poter iniziare a vivere. Io questo non lo approvavo, da madre, perché il nostro unico figlio era Riccardo, e lui solo. Per questo me ne sono voluta allontanare. Ma non ci vedo neanche nulla di nefando: il male sta negli occhi di chi guarda.»

«Signora,» interviene Maione, ora in modo più composto, ma comunque rigido, «averci nascosto questo fatto è gravissimo, ve ne rendete conto?»

«Voi parlereste mai con tanta leggerezza di un dolore così grande, brigadiere? O preferireste scordarvene, soprattutto se rischia di distruggere il poco di vita che vi è rimasta?»

«Vi faccio questa domanda proprio perché questo dolore così grande lo capisco fin troppo bene,» ribatte duro Maione, con leco soppressa di unonda tremula nella voce. «E nasconderlo come fosse una vergogna sarebbe fare un torto al proprio figlio e cancellarne lesistenza. Che sia durata un giorno o ventanni, non dovrebbe far differenza alcuna, per un genitore.»

Caterina abbassa gli occhi, di fronte a quelli ora accesi e lucidi di Maione. Ricciardi vi legge senza sforzo che il dolore per suo figlio Luca è ancora bruciante come il giorno in cui lhanno ritrovato insieme, ucciso in servizio. Si inserisce nel discorso in punta di piedi, parlando in tono più mite:

«Signora Gigliolo, io potrei credere al fatto che vi siate astenuta dal menzionare la perdita di vostro figlio per non doverla rivangare in questo momento doloroso, e potrei anche passarvi sopra.» Fa una breve pausa, accompagnata dal sospiro quasi inudibile di Maione. «Ma lo stesso non può dirsi delle vostre altre omissioni; per esempio, vedo gli ex-commilitoni di vostro marito proprio là, e non credo si siano invitati da soli.»

«Potete non credermi, ma non ho idea di chi sia la maggior parte dei presenti,» ribatte lei, con fermezza e una scintilla dirritazione. «Vi ho già detto che non indagavo sulle frequentazioni o amicizie di mio marito e non ho certo iniziato a farlo dopo la sua morte.»

«In ogni caso, il brigadiere non ha torto: mentire alla Polizia è un fatto grave, che sia per difendere lonore di vostro marito o meno.»

A Caterina sfugge un sorriso rapido, storto, poi rialza gli occhi su di lui.

«Commissario, non crediate di essere stato l’unico a cui qualche funzionario in nero abbia suggerito di tacere su questa storia per non portar scompiglio tra le fila del Partito.»

A quelle parole, Ricciardi serra la presa sul polso, chiudendo le dita in unonda rapida, e raddrizza la schiena.

«Vi hanno minacciata?»

«Forse lavrebbero fatto ma, come vedete, del mio benessere non ho più molta cura. No, è bastato paventare cosa sarebbe successo se si fosse indagato a dovere sul caso. Su come sarebbe apparso mio marito allocchio pubblico. Sullo scandalo che si sarebbe sollevato sullAnnunziata e la sua opera, a cui mio marito aveva dedicato una vita intera. E sul fatto che, se avessi fornito troppe informazioni sensibili, lufficiale incaricato del caso si sarebbe trovato in una posizione pericolosa, solo per colpa mia.» Un piccolo soffio daria le sfugge dal naso, quasi divertito. «Evidentemente, vi conoscevano bene.»

«Debbo interpretare il vostro mentire in un interrogatorio come un atto di cortesia nei miei confronti?»

La donna inclina il capo, una sottile linea di sfida a inclinarne le labbra sottili.

«Non vi avevo nemmeno mai incontrato, quando mi hanno intercettata alla stazione, appena giunta da Roma. Il mio è stato un dovuto atto dumanità verso qualcuno che stava solo svolgendo il proprio lavoro. Non nego che, in cuor mio, speravo di incontrare qualche ufficiale meno caparbio di voi, che avrebbe semplicemente seguito le direttive di Partito, per quanto lidea di lasciare invendicato mio marito mi causasse ribrezzo.»

Tace per qualche istante, fissandolo in quel suo particolare modo pungente.

«Forse, a dispetto di tutto, adesso sono lieta che non siate quel tipo di uomo. Qualcun altro avrebbe già sbandierato ai quattro venti i propri sospetti. Oppure, avrebbe assecondato gli interessi di chi ha a solo a cuore le apparenze, rinunciando a far giustizia; a mio marito e a quella povera bambina. Mi sareste stato più in odio se foste stato quel tipo di uomo, commissario, ma ho capito dal momento in cui vi ho visto di non trovarmi di fronte a un lacchè.»

Ricciardi abbassa appena il capo, accettando tacitamente quellapprezzamento e non ritenendo di dover replicare in altro modo: non è né tanto tracotante da crogiolarsi nellelogio, né abbastanza umile da rinnegarlo; anzi, ritiene che gli calzi come un guanto su misura, con tutte le spinosità del caso.

«Da cosa lavreste dedotto con tanta sicurezza?» chiede invece; per pura curiosità, più che per sentirsi lodare in alcun modo. «Per quanto ne sapevate, potevo già essere colluso.»

«Il vostro interrogatorio non è stato affatto pro forma. E, considerando comeravate ridotto quel giorno, ho ipotizzato che aveste già deciso di ignorare ogni sensato avviso.»

«Una mera casualità deventi, signora, ma lo ritengo un complimento.»

Ricciardi non trattiene il repentino sorrisetto che gli solca le labbra: mai avrebbe pensato di dover ringraziare Nelide per averlo quasi accoppato. Caterina ricambia, con un guizzo di celia che riluce sul suo volto.

«Perché pensate che vi abbia indirizzato verso le varie opere di carità di Fernando? Avrei potuto benissimo tenerle per me, non credete?»

Ricciardi non replica, ammettendo a se stesso daver frainteso Caterina Gigliolo ben due volte: la prima, stordito da una vita che avrebbe desiderato per sé; e, la seconda, accecato dalla foga di inseguire facili congetture. La inquadra adesso per la prima volta, forse, nel modo altero ma schietto in cui ha finalmente deciso di parlare, sfidando locchio dellOVRA puntato su di lei.

La donna, in quel mentre, si volta a guardare la processione, fermatasi a far finta di non guardare lei e i due uomini della Polizia intenti a interrogarla. Dallo spiraglio della veletta, quando ruota il capo, scorge le sue ciglia battere rapide, come a scacciare un velo da davanti agli occhi.

Una parte di lui vorrebbe trattenerla ancora, far chiarezza anche su tutto il resto. Da un lato, dubita che Caterina, così estraniata dal marito, saprebbe illuminarli sulla figura del Munaciello o su tale Arturo Esposito; dallaltro, è lunica persona che potrebbe avere unidea del collegamento tra Gigliolo e Annina.

È consapevole che ogni minuto perso è un minuto di libertà in meno per Iannello e uno di rischio mortale per se stesso e Bruno; ma un fumoso piano inizia a condensarsi tra i suoi pensieri agitati, poggiato sulle sottili fondamenta dellintuito, di voci fantasma e di una fiducia che non è certo di poter concedere.

«Signora Gigliolo,» la richiama infine. «Andate a seppellire vostro marito. Mi sono intromesso a sufficienza nel vostro dolore.»

Caterina si volta di nuovo a guardarlo, con sorpresa.

«Commissario...» lo riprende a bassa voce Maione, allarmato, ma lui gli scocca unocchiata fulminea.

«So quel che faccio, brigadiere.» Guarda di nuovo Caterina. «Dopo la funzione, mi aspetto di incontrarvi in questo esatto punto, e che intercediate per me presso la Real Casa dellAnnunziata, così che io possa svolgere le mie indagini col vostro salvacondotto. Sono sicuro che la Madre Superiora sarà molto più incline a tollerarmi, se la moglie di un loro facoltoso benefattore chiede lumi sul suo operato, soprattutto nel giorno dei suoi funerali e soprattutto se è in difesa della sua istituzione.»

Non ne è affatto sicuro, in realtà, ma è lunica speranza a cui può aggrapparsi. E, adesso, gli serve una finestra di tempo per crearsene un altro, di salvacondotto, che spera potrà farlo arrivare incolume sino a quel secondo colloquio allAnnunziata.

Dal suo lungo silenzio, Caterina Gigliolo non sembra molto bendisposta a concedere quel favore, anzi. Lancia unocchiata allarco dingresso alla Real Casa, dinanzi al quale si è fermato il carro funebre. Rapida, si preme il fazzoletto sulle labbra, cedendo a un colpo di tosse asfittico: sul tessuto candido, Ricciardi scorge una macchiolina rossa. Distoglie lo sguardo, prima di incalzarla, sommesso:

«Vi siete fidata di me quando nemmeno mi conoscevate. Vorrei dimostrarvi che non era un sentimento mal riposto.»

Lei annuisce, un impercettibile tremito della veletta.

«Va bene, commissario,» acconsente placida, di nuovo con voce sfibrata, lo sguardo più granitico che mai. «Voglio che vediate la verità coi vostri occhi; e voglio vederla anchio, in ogni suo dettaglio. Sono fermamente convinta che non potrà ferire né me, né la memoria di mio marito, qualunque essa sarà.»

Poco meno di un minuto dopo, il ticchettio di tacchi di Caterina Gigliolo si fonde al rumore degli zoccoli e al cigolio di ruote del carro, mentre la processione si rimette in marcia allo sbatacchiare lugubre del turibolo.


 


Note dell’Autrice:
Cari Lettori,
beh, ecco la "vera" Caterina Gigliolo, se così si può dire!
Creare e gestire il suo personaggio mi ha divertita tantissimo e spero che scoprire questa sua "seconda faccia" vi abbia sorpreso e intrattenuto ♥
Spero anche che tutte le sue varie motivazioni siano chiare, anche se eventuali dubbi e perplessità verranno chiariti in seguito. E spero che, ripensando al suo interrogatorio, vi venga da pensare quel famoso "ah! ecco perché..."; sarebbe una gran bella soddisfazione per me :’)
Detto questo, ci vediamo venerdì, con un capitolo decisamente più breve dove, però, non mancherà un buon vecchio cliffhanger.
Vi annuncio che siamo ufficialmente entrati nella fase finale della storia (a livello di caso + indagini), anche se mancano ancora un po’ di capitoli :P
Grazie a tutti coloro che continuano a leggere e commentare: senza di voi, la storia non sarebbe mai arrivata fin qui ♥

-Light-

   
 
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