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Autore: Diana924    20/02/2024    0 recensioni
1603: la piccola Elizabeth Stuart scopre con meraviglia che suo padre ha finalmente ereditato la corona d'Inghilterra.
Assieme alla madre e all'amato fratello Henry parte dunque per l'Inghilterra, scoprendo che la sua posizione di figlia del re ha in sé più svantaggi che vantaggi
1618: Elizabeth è moglie, madre e regina. Quando i boemi hanno offerto a suo marito la potente corona di Boemia Federico ha subito accettato. Elizabeth è pronta a condividere la gloria del marito ma non immagina che quello è solo l'inizio della fine
1660: Elizabeth ha ormai perso le speranze quando una notizia improvvisa le apre nuove prospettive, suo nipote Carlo è divenuto infine re e lei può tornare a casa, peccato che lasciare l'esilio è più difficile del previsto
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
Capitoli:
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Londra, 1603
 
Fottuti ingrati.

Dopo tutto quello che aveva fatto per loro era così che lo ripagavano? Fottuti inglesi ingrati, figli di buona donna e infingardi.

James Stuart, già re di Scozia, era sicuro che quegli idioti dei suoi nuovi sudditi non lo avrebbero compreso ma un conto era fingere imbecillità e un altro darne prova.

Aveva sognato a lungo quel momento, in cui la corona per cui sua madre aveva complottato e intrigato si sarebbe naturalmente posata sulla sua testa e lui sarebbe stato consacrato re, un’incoronazione che tutti avrebbero ricordato. Aveva progettato un’incoronazione che avrebbe fatto impallidire quella della vecchia e aveva accettato di incoronare Anne con lui per mostrare che ora al trono non c’era più una vecchia ninfomane ma una brava famiglia protestante e invece gli avevano rovinato anche quello.

Peste dicevano tutti, a Londra c’era la peste e non era prudente restare troppo a lungo sostenevano i suoi aristocratici inglesi ma lui conosceva la verità.

Volevano umiliarlo, rimandare la cerimonia o forse annullarla e siccome erano tirchi si erano inventati quella patetica scusa. La peste… ogni anno in Inghilterra imperversava la peste e questo non aveva mai fermato nessuno, eppure ora volevano fermare lui, maledetti ingrati.

A forza di litigate, ordini mal eseguiti e minacce era riuscito ad ottenere che si, l’incoronazione ci sarebbe stata, si sarebbe tenuta a Westminster come le precedenti ma avrebbe avuto una durata ridotta per evitare una prolungata esposizione della corte ai miasmi pestilenziali e il corteo sarebbe stato in numero ridotto.

Non era quel che voleva ma almeno aveva ottenuto qualcosa si era detto, gli inglesi non lo amavano ma gliel’avrebbe fatta vedere lui, oh si.

Avevano creato una nuova corona per lui, e un nuovo baldacchino ma non era abbastanza, sua moglie aveva dovuto prelevare alcuni dei gioielli appartenuti alla vecchia per poi dare ordine di adattarli, e così gli abiti… tirchi, pezzenti e ingrati.

Stavano ancora discutendo di come tenere il rito, se seguire quello dell’incoronazione della vecchia o eliminare del tutto i pezzi di origine papista e in che lingua, inglese, francese e latino o eliminare il latino, discussioni stupide di persone stupide che volevano solamente ritardare il suo grande giorno

Gliel’avrebbe fatta vedere lui, assolutamente.

Erano finiti i tempi in cui doveva tremare, in cui dietro ogni porta poteva essersi un cospiratore armato di pugnale, finalmente tutto sarebbe andato come voleva lui. Lui era un re, un re per diritto divino e finalmente aveva i mezzi per poter punire chi avrebbe osato opporsi a lui, un re consacrato era un inviato di Dio e opporsi a lui era come andare contro Dio, semplice.

I suoi figli erano sistemati in campagna, pronti a tornare a corte su suo ordine e lui al momento voleva godersi la città, gli inglesi e soprattutto Philip.

Il ragazzo era giovane, bello e intelligente, esattamente come piacevano a lui. più che un atleta era un topo di biblioteca ma almeno così aveva qualcuno con cui conversare ed era rimasto piacevolmente sorpreso di scoprire che nella sua famiglia erano tutti interessati alle arti, alla letteratura e al teatro.

In particolare il fratello di Philip, William, era amico personale di quel Will Shakespeare che ascriveva ottimi lavori teatrali anche se per compiacere la vecchia aveva definito sua madre una sgualdrina[1].

Lo pensava anche lui ma una cosa era che a pensarlo fosse il re e un’altra che a scriverlo fosse un attore di teatro, quello era vietato.

Philip per quanto fantastico aveva delle bizzarre inclinazioni, aveva notato che c’erano dei momenti in cui il suo amato sembrava preda di una rabbia fuori dal normale che lo portava a maltrattare chiunque[2], tranne lui per il momento ma non sapeva per quanto ancora sarebbe potuto continuare. Aveva fatto fare delle ricerche con discrezione e non n’era venuto fuori niente, fatto che lo aveva convinto che fosse opera di streghe, era sempre opera delle streghe. Quello e una brutta abitudine nelle scommesse. Non c’era nulla di male nel gioco, a patto di scommettere i propri soldi e Philip sembrava incapace di smettere, aveva promesso che avrebbe saldato i suoi debiti ma non intendeva andare fallito per quel colpa di quel ragazzo, solo perché era bello mica poteva credere chissà cosa.

<< Ordina a tuo fratello di convocare quel drammaturgo >> ordinò quella sera, aveva un’idea e non vedeva alcun ostacolo di sorta perché non funzionasse come voleva.

<< Avviserò mio fratello, Vostra Maestà, ma mastro Shakespeare non è un servitore e a causa della peste credo che non si trovi a Londra >> replicò Philip prima di sistemarsi accanto a lui in camicia, solo in camicia.

<< E fatelo venire allora, voglio commissionarmi un lavoro, una commedia o una tragedia, i suoi lavori mi piacciono e ho bisogno che ne scriva uno per me >> dichiarò entusiasta. Mastro Shakespeare ne aveva scritte di meravigliose per la vecchia, persino un ciclo in onore del gran re Henry, sicuramente avrebbe scritto qualcosa di sublime per lui.

<< Mastro Shakespeare non scrive su commissione dei suoi patroni ma solo dei suoi impresari teatrali. Possiamo però rappresentare a corte la sua ultima tragedia >> lo deluse Philip. Avrebbe voluto un titolo nuovo, qualcosa con cui legare la fama dello scrittore alla sua corona ma ci sarebbe stato tempo per quello, almeno così sperò.

<< Una tragedia? Non ne sapevo niente >> disse emozionato prima di versarsi da bere.

<< Una bellissima tragedia, mio signore. Narra di un moro che influenzato da un suo consigliere commette un atto spregevole nei confronti della propria sposa, salvo poi pentirsi quando l’intrigo viene svelato >> narrò Philip, e ora cos’era quella novità?

<< Un moro? Un moro protagonista? Cos’è questa follia? >> domandò, era curioso ma allo stesso tempo quello spettacolo poteva essere il germe di grandi timori.

<< Un moro, un moro al servizio di Venezia, l’uomo migliore del suo tempo, e che bella famiglia poteva avere con la sua amata moglie Desdemona >> rispose Philip.

<< Desdemona in greco vuol dire “la sventurata”, povera donna condannata fin dalla nascita >> disse lui, ricordava bene come gli avessero insegnato greco e latino prima ancora dell’inglese, e quel nome portava in sé la sua futura disgrazia[3].

<< L’erudizione di Sua Maestà mi sorprende sempre, siete forse l’uomo più saggio del regno >> lo blandì Philip prima di bere un sorso di vino.

<< E tu sei uno spudorato >> replicò lui prima di togliergli il bicchiere e fissarlo negli occhi, lo desiderava, lo voleva e lo avrebbe avuto.

<< Vostra Maestà è il padrone, deve solo comandarmi >> rispose Philip, se metà delle voci sul fratello erano vere e certe tendenze erano ereditarie allora si era scelto l’amante perfetto.

<< Si, ti comando, ora stenditi e lascia fare tutto a me, al re d’Inghilterra >> dichiarò prima di baciarlo con furia, e Philip rispose con uguale ardore.

<< Ah Vostra maestà… oh Vostra maestà >> si limitò a gemere Philip tra un bacio e l’altro. Esattamente come John, come Richard e tutti gli altri, così ansiosi di compiacerlo da diventare delle sgualdrine.

Non sarebbero mai stati come lui, come lui non ci sarebbe mai stato nessuno, non avrebbe mai amato nessuno come aveva amato lui.

Aveva la sua stessa età pensò poco prima di posizionarsi sopra Philip, trentasette anni, lo aveva conosciuto quando l’altro aveva trentasette anni ed era l’uomo più bello che avesse mai visto.
Lui aveva appena tredici anni, un bambino terrorizzato che cercava con forza qualcuno da amare ed era stato naturale innamorarsi di Esmé. Esmé che era bello, Esmé che era colto, Esmé che era indomabile, Esmé che era suo.

Lo aveva amato con la forza e l’ingenuità del primo amore, ed Esmé aveva fatto così tanto per lui.

Se ora aveva quella corona era anche merito suo, per quello aveva favorito Ludovic, perché era il figlio di Esmé e doveva in qualche modo onorare la memoria del suo grande amore.

Il gemito di Philip lo riscosse dai suoi ricordi e tornò a dedicarsi a lui, era davvero un bel giovane in quel momento pensò prima di tornare a baciarlo e cominciare a muoversi.

Philip si morse le labbra e lui lo osservò soddisfatto. Faceva male, lo sapeva per esperienza ma quel dolore portava poi ad un piacere così sublime che bisognava pur sopportarlo, c’era sempre una ricompensa alla fine del dolore aveva imparato e Philip avrebbe imparato.

Gli accarezzò il volto col dorso della mano prima di cominciare a toccarlo, che corpo meraviglioso aveva il suo giovanissimo amante.
Philip gemeva e ansimava mentre lo lasciava fare e si chiese se davvero lo desiderasse o se obbedisse solo a degli ordini, odiava non conoscere mai le intenzioni dei suoi sudditi, e anche per questo non si fidava, come poteva fidarsi dopo quello che aveva subito? Dopo un’infanzia come la sua?

No, meglio essere sospettosi, aizzare le fazioni di corte una contro l’altra e godersi i bei ragazzi che prima o poi gli avrebbero gettato ai piedi quando si sarebbe stancato di Philip, tutto a suo tempo pensò prima di muovere con più forza il bacino, tutto a suo tempo.
 
***
 
Tutto sommato non era stata una pessima incoronazione.

Certo, quella della vecchia, di sua sorella la papista e persino quella del giovane re erano state grandiose, celebrate e attentamente trascritte ma questa volta era diverso. Era diverso persino dalla sua prima incoronazione, avvenuta quando aveva appena tredici mesi e che non ricordava affatto.

Questa volta non si trattava di un re bambino, di un neonato o di due zitelle ma di un’intera famiglia.

Un uomo, una donna e i loro bambini. Padre, madre e figli, la perfetta famiglia inglese. Questo erano e questo avevano mostrato anche se ormai i sudditi avevano compreso che era tutta una farsa, quantomeno i londinesi.

Lui ed Anne erano buoni amici, alleati talvolta e spesso avversari e lui non l’aveva mai amata o aveva desiderato il suo corpo, se ancora si incontravano una volta al mese era perché dovevano avere altri figli, il regno non era al sicuro con solamente due principi di cui estremamente malaticcio come il nuovo duca di York.

Gli piaceva quel ragazzino, gli ricordava un po’ sé stesso a differenza del proprio turbolento erede, quello non gli era mai piaciuto invece. Per quel che riguardava la femmina non aveva opinioni, era donna e quella era già di per una gran disgrazia.

Ad Edimburgo tutti sapevano che l’accordo tra lui e la regina implicava la reciproca cecità. Lui fingeva di non vederla pregare in latino e circondarsi di nobili cattolici e lei fingeva di non vederlo baciare ogni ragazzo che gli passava davanti, un ottimo accordo per entrambi. E lo sapevano. Lo sapevano tutti al punto che era quello il segreto di cui quella donna aveva voluto parlargli… un segreto che poi non era un segreto ma lui doveva pur difendersi e difendere la corona di Scozia.

Come se non bastasse era piovuto. L’ennesima sfortuna che si andava ad aggiungere ad un elenco che diveniva via via più lungo ed estenuante.

Ciò che lo aveva divertito era stato ascoltare i tanti litigi dell’aristocrazia su chi doveva fare cosa, su chi poteva fare cosa e su chi voleva fare cosa, gli inglesi non cessavano di stupirlo.

Il duca di Oxford, che si piccava di conoscere teatro e ogni tanto di comporre qualcosa, era quasi venuto alle mani con quel tale molto simpatico, Daniel Cage, per decidere chi dovesse avere l’onore di reggere lo strascico della regina assieme a lady Walsingham, e non erano stati i soli.

Sua cugina lady Arbella Stuart aveva insistito non solo per partecipare ma anche per poter avere la precedenza sulle duchesse e aveva dovuto accordargliela a malincuore.

Trovava divertente quella cugina che non aveva mai incontrato prima, un po’ troppo vanitosa e querula ma era comunque una pedina preziosa sul mercato matrimoniale. Sua sorella era la prossima nella linea di successione dopo i suoi figli e doveva scegliere con cura, se solo Ludovic non fosse già stato sposato… ma forse si poteva far annullare il matrimonio dato che gli sposi non avevano ancora avuto figli e tornare al vecchio piano di unire le due pretese neutralizzandole. Un principe straniero era sempre un rischio da non sottovalutare e un suddito inglese… bisognava essere accorti ed evitare i più importanti, specialmente i Seymour di cui non si fidava affatto[4].

Almeno aveva riavuto la pietra[5], quella fottuta pietra che gli inglesi avevano rubato secoli prima e che era stata fondamentale nel corso delle varie incoronazioni dei re di Scozia, era il primo re di Scozia ad essere incoronato sopra quella pietra da almeno quattrocento anni.

Era andato tutto bene, persino l’abito aveva avuto la sua parte, aveva infatti scelto un modello che ricordasse quello dei duchi ma ovviamente più costoso e sua moglie era stata perfetta quel giorno.  Avevano alloggiato tutti presso la Torre di Londra e da lì si erano recati all’abbazia su una carrozza, ovviamente la cugina Arbella aveva preso posto su un’altra mentre lui ed Anne si erano fatti accompagnare da Henry ma non dalla femmina che sarebbe stata un peso inutile. Avrebbe dovuto far venire il duca di York, fosse solo per dare qualcosa agli inglesi e per farli parlare.

<< Abbiamo atteso più che potevamo, James, non possiamo rimanere oltre >> lo implorò Anne, non era giusto che la sua incoronazione si rivelasse quella più misera, tutto quello era una profonda ingiustizia.

<< Assolutamente no, dobbiamo restare per l’apertura del parlamento >> rispose, già aveva dovuto far differire l’entrata solenne a Londra, non avrebbe perso l’apertura del parlamento.

<< Se posso permettermi, cugino, potremmo andare a Greenwich o a Whitehall, lontani dai miasmi di questa città infernale ma abbastanza vicini da poter tronare per l’apertura del parlamento >> suggerì lady Arbella sua cugina senza nemmeno inchinarsi, sfrontata e puttana come tutte le inglesi.

<< Andremo dove io ordinerò. E l’amnistia? È stata eseguita? >> domandò, era consapevole dei rischi ma era la tradizione. Avrebbe voluto includere anche i papisti ma lo avevano convinto a desistere sostenendo che fossero pericolosi. Ennesima prova che i suoi sudditi erano sciocchi, finché gli erano fedeli a lui poco importava come pregassero, anzi i cattolici potevano essergli utili in qualche modo. La loro obbedienza al papa poteva renderli sudditi incredibilmente fedeli specialmente se avesse cominciato a regnare come i suoi cugini papisti, monarchi per diritto divino.

Re Filippo non era mai dovuto fuggire dai suoi sudditi, mai i fiorentini avevano tentato di uccidere il granduca di Toscana e persino l’imperatore pur essendo un folle era rispettato, amato e temuto. E lui voleva quello, voleva che lo amassero, lo rispettassero e lo temessero.

<< Come desideravate ma le prigioni sono piene di cadaveri, la peste sta uccidendo i vostri sudditi e io non voglio morire >> replicò sua cugina, pupattola ingrata.

<< Non morirete cugina mia, non ora almeno. Avvisate il vostro padrone che voglio vederlo >> dichiarò, come se ignorasse che sua cugina riceveva pagamenti da Robert Cecil, quel nano ripugnante pagava chiunque, aveva pagato lui per anni.

<< Non ho idea di cosa vogliate dire >> replicò sua cugina, testarda come tutta la loro famiglia.

<< Avvisate lord Salisbury, quel nano disgustoso ha le mani ovunque ma certe cose devono cambiare, la vecchia gli permetteva di dirigere il regno ma io non sarò così, nient’affatto >> rispose lui prima che sua cugina si limitasse ad un inchino per poi andarsene.

<< Vostra cugina non ci ama, l’hanno convinta così a lungo che sarebbe stata regina che ci detesta tutti >> dichiarò sua moglie quando furono da soli.

<< E cosa consigliate signora? >> domandò lui, le liti tra donne lo divertivano, solo degli esseri così incompleti erano capaci di tante meschinerie. Tra uomini era diverso, tutto sempre molto diretto senza bisogno di sotterfugi.

<< Maritatela, ci sarà qualche principe tedesco disposto a prendersela. Come uno dei miei fratelli >> propose sua moglie, sempre a pensare alla sua Danimarca si disse lui. << O un principe cattolico, l’imperatore è ancora senza moglie e i suoi cugini anche. O uno dei vostri cugini Guisa, un partito si trova >> aggiunse Anne.

<< Mia cugina non vorrà sposare un papista, e l’imperatore è pazzo, lo sanno tutti >> la contraddisse lui.

<< Obbligatela, siete o non siete il re d’Inghilterra? >> lo rimproverò sua moglie, doveva odiare davvero la cugina Arbella.

<< Appena consacrato come potete testimoniare, e mia cugina come tutti noi è testarda e ostinata >> si difese lui. L’incoronazione, il momento in cui la corona della vecchia si era posata sulla sua testa, l’unzione sacra che lo aveva reso una diretta emanazione di Dio, i nobili che si inginocchiavano al suo cospetto. E Philip che gli dava il bacio di fedeltà, quanto era stato bello poter sentire le sue labbra su di sé senza che nessuno potesse dire niente, assolutamente meraviglioso.

Doveva occuparsi di tutto quello, e per farlo doveva fuggire da Londra, e far fuggire anche il principe di Galles.

<< Date l’ordine, noi partiamo, e il principe di Galles torna ad Oatlands >> ordinò e sua moglie anni distrattamente.

Il ragazzo era grande, era il momento che imparasse a gestire una sua corte, una corte inglese, in maniera tale che quando sarebbe stato il suo momento, il più tardi possibile, non si sarebbe fatto trovare impreparato.

<< Non può venire con noi? Pensate a cosa diranno >> ribatté sua moglie, sentimentale come tutte le donne.

<< Deve crescere e imparare il mestiere di re, come si è sempre fatto da noi >> le rispose irritato. Sapeva bene come quei posti richiamassero al nobiltà, disposta a pagare alte tangenti pur di non essere esclusa e inoltre era la tradizione, re Edoardo VI era cresciuto separato da suo padre, e così era stato per lui, che aveva trascorso i suoi pochi mesi come duca di Albany a Stirling. Sua moglie come tutte le donne aveva il cuore tenero e come tutte le tedesche era stupida, possibile che dopo tanti anni non capisse?

<< Mi sembra una barbarie ma voi siete mio marito e il mio re ed è mio dovere obbedirvi >> si limitò a dire la regina, finalmente aveva capito chi era a comandare pensò lui. Doveva solo ricordarglielo più spesso e tutto sarebbe andato come lui si meritava.

 
Londra, 1619:
 
Lo osservò per poi unirsi all’applauso come tutti gli altri.

Charles Stuart, principe di Galles, dopo essere stato duca di York, non poteva essere più orgoglioso di colui che era diventato il suo migliore amico.

Come aveva potuto essere così cieco? Come aveva potuto respingere così a lungo l’affetto e l’amicizia di qualcuno che teneva sinceramente a lui?

A George importava di lui, George gli era amico, George teneva sinceramente a lui. Non era come quella sgualdrina di Somerset che a malapena si ricordava di lui o come Henry, sempre preso da tante cose da ricordarsi appena di lui.

Henry, il suo meraviglioso e inarrivabile fratello, quanto lo aveva amato e quanto avrebbe voluto dimostrarglielo ma Henry era sempre stato troppo perfetto per capire realmente i suoi problemi a differenza di George. George era sinceramente suo amico e suo alleato, a George interessava realmente aiutarlo e sarebbe stato al suo fianco una volta divenuto re.

Sapeva perfettamente cosa ci fosse tra lui e suo padre e… aveva imparato ad accettarlo. Quella santa donna di sua madre non aveva mai avuto obiezioni e alla fine non ne aveva nemmeno lui, non era per quello che lo aveva odiato.

Avrebbero dovuto guardare lui.

Avrebbero dovuto cercare la sua compagnia.

Avrebbero dovuto amare lui.

Lui, non George, lui che era il principe di Galles e l’erede al torno, non un piccolo nobile che si era fatto strada nel mondo prostituendosi.

Eppure tutti lo avevano ignorato, odiandolo e umiliando almeno finché George non aveva deciso di essergli amico e lui non aveva potuto fare altro se non accettare la sua amicizia. Erano migliori amici e lo sarebbero sempre stati, fino alla fine.

Per questo avevano ideato insieme un piano d’azione da presentare al consiglio. Avrebbero trovato dei volontari se suo padre si fosse ostinato a non entrare in guerra, avrebbero varcato la Manica e poi sarebbero andati fino a Praga per aiutare Elizabeth, sua sorella. Una crociata protestante per difendere un regno che si era nobilmente sollevato contro l’imperatore papista e per aiutare una si nobile regina, che impresa avrebbero compiuto insieme, come gli antichi cavalieri.

Suo padre non capiva, come poteva capire un uomo così anziano certe passioni giovanili?

Avevano ancora qualche minuto prima della seduta del consigliò pensò prima che George lo raggiungesse, la solita grazia e la compostezza di sempre, persino mentre pattinava.

<< Altezza Reale, vi trovo bene oggi >> lo salutò George sfoggiando uno dei suoi migliori sorrisi, per lui, solo per lui, non per l’ennesima smorfiosa o per suo padre ma per lui, lui solo.

<< Come sempre quando ti vedo George, e chiamami Charles[6] >> rispose. Solitamente era molto attento a soppesare il rango di chiunque gli era accanto ma con George era diverso, erano o non erano migliori amici?

George era tutto quello che lui non sarebbe mai stato: brillante, bello, muscoloso, atletico, disinvolto, affascinante e fortunato, per questo lo amava come un fratello maggiore. E anche perché George non sghignazzava quando balbettava e non gli aveva mai fatto notare i propri problemi di vista, sapeva da solo che non riusciva a vedere bene da lontano, non c’era bisogno che glielo ricordassero.

<< Ti trovo bene, Charles >> rispose quindi George e lui sorrise prima di fargli cenno di raggiungerlo. George abbassò il capo per poi sedersi sull’argine e cominciare a togliersi i pattini, i muscoli che si intravedevano attraverso i pesanti abiti invernali. Intuiva perché le tante dame di corte stravedessero per lui, e suo padre con loro, George era meraviglioso, un corpo scultoreo su un viso angelico, tutto ciò che lui non sarebbe mai stato.

<< Dovresti sposarti, se vuoi posso trovarti una moglie >> propose, una, due, cento mogli non si sarebbero mai messe tra lui e George, non l’avrebbe mai permesso, assolutamente.

<< Mi è stato consigliato di attendere, come saprete il matrimonio di mio fratello non sta andando come sperato >> rispose George, blando eufemismo per dire che John Villiers era pazzo da legare e che Frances Cooke probabilmente lo odiava. In quanto principe di Galles Charles Stuart era perfettamente a conoscenza della situazione, ma non era un suo problema.

La madre di Frances, lady Hatton, era stata molto amica della sua defunta madre e proprio per questo non era un suo problema, lady Hatton doveva farsene una ragione, punto.

<< Come desideri, e per me? Sposerò davvero l’Infanta? >> domandò curioso. Era strano pensare di aver ereditato la fidanzata di Henry ma per la pace questo e altro. L’Infanta Marianna in cambio della pace per Elizabeth, non esattamente cavalleresco come avrebbe voluto ma bisognava accontentarsi.

Le avrebbe concesso di praticare il papismo ma i loro figli sarebbero cresciuti nella Vera Fede, almeno il suo erede, perché agli spagnoli non andava bene? Persino ora che George si stava occupando dei negoziati ponevano ostacoli.

<< Se Vostra Altezza reale vuole sposare l’Infanta farò tutto quello che è in mio potere affinché ciò accada >> rispose George con un sorriso e lui gli credette, George poteva mentire a tutti, persino a suo padre, ma non a lui, a lui non avrebbe mai mentito. Davvero credeva che gli piacesse ricevere sulla guancia i baci bavosi di un vecchio sciocco innamorato come una fanciulla?

No, forse un tempo gli era stato affezionato ma ora… ora era solo dovere, ne era sicuro.

<< Certo che lo voglio, e con la conversione? L’Infanta accetterà di convertirsi? >> domandò, gli spagnoli erano tutti papisti ma lui desiderava ardente l’Infanta come moglie. Era stata la promessa sposa di Henry ma ora sarebbe stato lui a sposarla. La mano dell’Infanta per il Palatinato, che grande affare stavano per concludere.

<< Quando vi vedrà si innamorerà subito di voi e accetterà qualsiasi iniziativa vogliate proporle >> lo rassicurò George, come se fosse vero, quella però era adulazione pensò lui.

<< Dovremmo fare come Alessandro ed Efestione fecero dopo la battaglia di Isso. Non farci annunciare, presentarci di fronte a lei e vedere come reagirà la spagnola[7] >> dichiarò cercando di mascherare l’amarezza col sorriso. Se lo avessero fatto realmente Marianna d’Asburgo si sarebbe inchinata di fronte a George, avrebbe scambiato lui per il principe di Galles e come darle torno? George era più bello di lui, più alto, più muscoloso, sembrava un autentico cavaliere errante mentre lui… lui era principe solo perché figlio di re.

<< Se questo è il vostro desiderio, Charles >> rispose George con un sorriso, aveva un sorriso meraviglioso pensò lui, tutto in George era meraviglioso.

<< Io voglio l’Infanta, e l’avrò. E libereremo il Palatinato e salveremo mia sorella >> proclamò lui, non sapeva come ma dovevano sbrigarsi, essere veloci. Sbarcare con i volontari, correre a Praga e salvare Elizabeth, la Boemia e la causa protestante, e allora re Filippo e suo cugino Ferdinando avrebbero capito la santità delle loro azioni.

<< Ci occuperemo di tutto, ma prima devo accompagnarvi al consiglio privato >> propose George prima di cominciare a farlo incamminare.

<< Non parteciperai oggi? >> domandò curioso, George era una presenza fissa al consiglio del re nonché l’unico che lo ascoltasse quando prendeva la parola fingendo di non notare la sua balbuzie, solo quando era con lui e con suo padre il re questa spariva.

<< Se il re chiederà la mia presenza si, io vivo per far felice vostro padre >> rispose George. E sapeva lui come. Li aveva visti spesso insieme, suo padre che baciava George come e quando voleva, George che non protestava quando suo padre gli infilava le mani nelle brache e a sentire gli altri gentlemen of the Bedchamber ogni notte si udivano gemiti, risatine e rumori oltremodo molesti.

E li odiava, mettevano in ridicolo la corona e generavano ogni tipo di pettegolezzo, senza contare come quello fosse peccato mortale, eppure anche lui non riusciva a fare a meno di George… ma non in quella maniera, mai in quella maniera. Non aveva mai capito come ci riuscissero e non voleva saperlo, era peccato e nessuno doveva essere al di sopra della legge, nemmeno i re, i quali però dovevano obbedire alla propria legge ossia la legge divina, che non errava mai.

<< Mio padre il re ti vuole molto bene >> rispose lui cercando di rimanere impassibile mentre pronunciava quelle parole. George scoppiò a ridere nel sentirlo, una risata cristallina che mise in evidenza i suoi denti perfetti.

<< Il re mi ama, e a me piace essere amato >> replicò prima di cominciare a incamminarsi senza aspettarlo.

Gli corse dietro divertito da quella sincerità e come sempre George si fermò ad aspettarlo, era così bello… Henry sarebbe stato come lui, era come se suo fratello fosse tornato a nuova vita per guidarlo.

<< George, noi siamo amici? >> domandò curioso.

<< Migliori amici >> rispose George prima di dargli un bacio sulla bocca. si toccò le labbra meravigliato, tutto quello lo sorprendeva e lui odiava le sorprese, temeva sempre che fossero a suo danno.
Aveva passato l’infanzia a sopportare critiche, delusioni e i crudeli scherzi di Henry e ora… non sarebbe più accaduto, se lo era giurato.
 
***
 
Era andato tutto bene.

Sir Francis[8] lo aveva fermato in un angolo per parlare di una situazione che per una volta non aveva a che fare con la Boemia. Il miglio avvocato del regno, e anche uno dei più corrotti da quando era stato nominato giudice del re, gli aveva comunicato che gli era arrivata l’ennesima petizione da parte del duca di Suffolk in merito alla prigionia della figlia, lady Frances Carr.

Come tutti era a conoscenza dello scandalo creato da lady Frances e da suo marito, il precedente amante di suo padre prima di George, e di come non fossero stati condannati a morte semplicemente perché Robbie Carr una volta succhiava con discreta abilità il cazzo del re, almeno così dicevano le guardie.

Se lo ricordava lui Robbie Carr.

Un accento scozzese marcato, il volto di un angelo e il cuore di un demonio, chi poteva essere così crudele da uccidere il proprio migliore amico per potersi sposare?

Bacon aveva ignorato ogni precedente richiesta di grazia, ma questa qui veniva da un duca imparentato con la famiglia reale ed era doveroso che Sua Maestà ne venisse a conoscenza, fosse solo per rifiutarla ma doveva sapere gli aveva spiegato Bacon.

<< E io cosa c’entro? >> aveva domandato, c’erano persone migliori di lui a cui affidare un simile incarico, e che sicuramente sarebbero state ascoltate da suo padre. Persone come George.

<< Siete il figlio del re e il suo erede, chi se non voi? >> aveva replicato Bacon prima di allontanarsi, seguito come sempre dalla sterminata processione dei suoi segretari, ogni anno se ne sceglieva di più belli aveva notato lui.

E ora era lì, impegnato a cercare le parole per poter conferire con suo padre. Capiva perché Bacon non si fosse rivolto a George, George non aveva alcun interesse nel liberare Robbie Carr e quindi probabilmente avrebbe gettato la petizione nel camino o non ne avrebbe mai parlato a suo padre.

Fece un sospiro profondo e si fece annunciare nelle stanze di suo padre dai soldati di guardia.

Nell’anticamera c’erano Henry Gibb e Robert Carey intenti a giocare alle carte e a fumare, a quanto sembrava i proclami di suo padre contro il tabacco valevano meno della carta su cui venivano stampati pensò lui.

I due nel vederlo si alzarono e si inchinarono prima di guardarsi imbarazzati.

<< Signori, avvisate il re mio padre che devo vederlo >> dichiarò cercando di sembrare autorevole.

<< Sua Maestà al momento è indisposto ma lo avviseremo >> rispose Henry Gibb prima che si udisse un rumore, come se qualcosa avesse sbattuto contro la parete.

<< Sono il principe di Galles e pretendo di parlare con mio padre, ora >> replicò lui cercando di non balbettare e poi il rumore si ripeté accompagnato da risatine, grugniti e gemiti che fecero arrossire i due.

<< Sua Maestà è indisposto, con lui c’è il conte di Buckingham >> disse Robert Carey le cui guance stavano assumendo un colore vicino al rosso scarlatto.

<< Potrebbe esserci anche… Dio in p-p-persona, io voglio p-p-parlare con il r-r-re >> si inalberò lui, e puntualmente ecco la balbuzie che rispuntava, i suoi insegnanti ci avevano lavorato tanto e lui si era impegnato a fondo ma quando era arrabbiato ecco che ricominciava a balbettare, poi si arrabbiava per quello e balbettava ancora di più, un uroboro soleva dire suo padre divertendosi a sfoggiare le sue conoscenze di fronte ai cortigiani che applaudivano ammirati pur non capendo nulla.

<< Come volete, ne rispondete voi >> si arrese Robert Carey, e quella confidenza gli derivava dal fatto di essere il figlio di un bastardo del vecchio re Enrico, altrimenti lo avrebbe fatto punire.
Carey trafficò con la chiave e poi aprì la porta senza però annunciarlo e lui si precipitò dentro salvo bloccarsi di scatto.

Disteso sul letto, le gambe oscenamente aperte, i capelli in disordine e la camicia che aderiva al torace c’era George. E sopra di lui, intento a fotterlo con forza, c’era suo padre.

Re James Stuart teneva aperte le gambe di George mentre si spingeva con forza dentro di lui e gli divorava il volto di baci e i due gemevano, ansimavano e ridevano. Poi suo padre lo vide, e anche George lo vide.

<< Che cazzo ci fai qui maledetto ragazzino? >> urlò il re d’Inghilterra prima di uscire da George con un movimento brutale che fece mordere le labbra a George che velocemente chiuse le gambe e cercò di ricomporsi, e lui si sentì di troppo.

Quello era un momento privato, intimo, illegale e adesso capiva perché Gibb e Carey avessero tentato, male, di farlo desistere, pur sapendo cosa avvenisse in quel letto ogni notte tutti cercavano di non pensarci. Un conto era fare battute scurrili, riderci su e un altro vederlo.

<< Una p-p-petizione… non mia >> mormorò lui abbassando gli occhi pudico, a differenza di George suo padre era completamente nudo. Dunque così due uomini facevano… quelle cose, si trattava di infilare il cazzo… lì, in quella parte del corpo.

<< E dammi qui, fottuto ragazzino, insolente e petulante come la madre >> lo rimproverò suo padre prima di fare cenno a George di passargli una camicia. Lui allungò la mano e solo quando la petizione gli fu strappata dalle mani osò alzare gli occhi.

Suo padre si era seduto sul letto, l’erezione che svettava oscenamente gonfia mentre George gli si era sistemato dietro e lo aveva abbracciato, erano un’immagine stranamente tenera nella sua depravazione gli venne spontaneo pensare.

<< Ancora? La risposta è no, quella testa di cazzo di Suffolk deve ricordarsi che è solo per rispetto che ho nei confronti della sua casata che sua figlia non è stata impiccata come la sua amichetta Mrs Turner >> disse suo padre prima di lasciarsi sfuggire due bestemmie e varie imprecazioni.

<< Daddy[9], forse dovresti pensarci, far uscire almeno la duchessa perché possa vedere la sua bambina >> si intromise George, e lui sentì un brivido lungo la schiena, quella confidenza, quel candore, era troppo per lui.

<< La duchessa è una puttana, una strega e un’avvelenatrice, nessun figlio suo dovrebbe esserle affidato >> fu la risposta di suo padre, e sia lui che George sapevano che al re non importava nulla di Frances Howard duchessa di Somerset. No, suo padre pensava alla propria madre, la regina che aveva mandato a morte e la madre che aveva preferito spaccare il paese pur di seguire il proprio cuore e lo aveva abbandonato. Non ne avevano mai parlato ma conosceva suo padre, o credeva di conoscerlo.

<< Come dici tu, daddy, ma è pur sempre una Howard >> fece notare George e lui cercò di non ridere, George si stava riferendo alla duchessa ma non a suo marito, per lui la soluzione migliore doveva essere sapere Robbie Carr sul patibolo ma non potendolo ottenere si accontentava di saperlo sepolto vivo nella Torre, sua moglie era un danno collaterale.

<< E il duca? Cosa ne pensi di lui? forse ora ha finalmente imparato la lezione >> disse suo padre e vide un lampo di terrore negli occhi di George che subito si ricompose.

<< Fate come desiderate, siete o non siete il re? Io vi amo ma voi non amate, daddy, se volete richiamare quell’uomo a corte >> mormorò George prima di cominciare a far scendere le mani sul corpo di suo padre, meglio di una sgualdrina pensò lui ammirato.

<< Come puoi dire questo, io ti amo >> replicò suo padre prima di baciare George, e lui si voltò pudicamente. I suoi occhi incontrarono quelli di Robert Carey che si limitò a sospirare.

<< Dimostramelo, daddy, dimostramelo >> sussurrò George prima che suo padre lo facesse distendere nuovamente sul letto e lui comprese che i due si erano completamente dimenticati di lui, come accadeva da tutta una vita, c’era sempre qualcosa di più interessante, divertente, migliore di cui occuparsi che non ricordarsi della sua esistenza.

<< Io… io prendo c-c-congedo >> disse prima di arretrare il più velocemente possibile verso la porta, Robert Carey la chiuse appena in tempo, ma non troppo perché il fantasma del gemito estasiato di George sembrò seguirlo.

<< Quante volte--- quante v-v-volte accade? >> domandò prima che Henry Gibb sospirasse.

<< Due, tre volte a notte, tutte le notti. E se Sua Maestà ne ha desiderio anche nel pomeriggio, basta che chiami e il signor conte corre, veloce come una lepre e sensuale come una cagna in calore >> rispose Gibb, lo sguardo sempre fisso contro il muro.

<< Specialmente negli ultimi tempi, Sua Maestà detesta doversi occupare delle faccende boeme, specialmente da quando l’Unione Evangelica ha abbandonato la causa del re >> aggiunse Carey.

<< Ma c’è il conte, lui s-s-saprà cosa f-f-fare, e il -r-r-r-re lo a-a-ascolta >> ribatté lui, aveva sempre saputo che suo padre ascoltava i suggerimenti di George, sicuramente dopo quello che aveva visto avrebbe accettato di tutto, e forse George stava già lavorando in quella maniera ed entro una settimana sarebbero salpati da Dover.

<< Il re ascolta solo sé stesso, e se credete il contrario è perché ha bisogno di un capro espiatorio, qualcuno che si prenda la scusa delle sue pessime iniziative >> spiegò Carey.

George non aveva alcun potere, alcuna possibilità di influenzare suo padre, semplicemente il re glielo faceva credere per poi fare come desiderava. Così il popolo e la nobiltà si sarebbero arrabbiati con George e non con lui, e quando ne avrebbero avuto abbastanza… suo padre era il più grande briccone d’Europa o il più colossale idiota del mondo, non sapeva decidersi.

<< Quando… quando ci s-s-sarò io molte c-c-cose c-c-c-cambieranno >> si limitò a dire.

<< Il più tardi possibile, Altezza Reale >> rispose Gibb e lui annuì, pensare altro sarebbe stato alto tradimento e lui non voleva perdere l’occasione, suo padre era più che capace di estrometterlo a favore di uno dei marmocchi di Elizabeth. Non Elizabeth perché aveva una pessima opinione delle donne ma per i bambini… ne era capace eccome pensò Charles Stuart principe di Galles mentre si allontanava dagli appartamenti privati del sovrano, e cos’era quella sensazione che avvertiva nel bassoventre?

 
Dover, 1660:
 
Era tornato.

La nonna lo aiutò a scendere per poi guardarsi intorno alla ricerca di qualcuno su cui riversare la sua frustrazione mentre Minette guardava da tutte le parti curiosa, per lei era un ritorno in una terra che ricordava a stento.

Lui invece si ricordava bene dell’Inghilterra, di Londra, e di come lo avessero imprigionato con sua madre solo perché era figlio di re.

Sua madre, erano trascorsi due anni dalla sua morte ma quella ferita faceva ancora male, e vivere con la nonna non aiutava. La regina madre dalla notizia della loro restaurazione era rifiorita ma restava una donna di mezz’età, bassa e brutta nel corpo e nel volto, petulante, vanitosa e bigotta: cosa ci aveva trovato su nonno re Carlo per innamorarsi perdutamente di lei?

La nonna però lo aveva accolto, aveva cercato di convertirlo ma non gli aveva mai negato un tetto e gli aveva procurato degli insegnati, anche se bastardo era pur sempre figlio di re soleva dire. Lei e i suoi fratelli e sorelle erano cresciuti insieme ai bastardi de fu re Enrico e si erano sempre trovati bene, ricordava con affetto i suoi fratellastri Vendome.

E ora era finalmente figlio di un re, sapeva che suo padre si sarebbe dovuto sposare e che si sarebbe dovuto inchinare di fronte a un fratellino ma era disposto a farlo, a lui bastava poco.

La notizia della morte di zio Henry, il duca di Gloucester, li aveva sorpresi prima di salpare da Calais[10] e la nonna era stata inconsolabile, sia per la perdita ma soprattutto per non aver potuto salvare l’anima di zio Henry. Minette, quella zia di appena quattro anni più grande di lui, non aveva detto nulla, aveva versato qualche lacrima e poi essendo di temperamento allegro era tornata a dedicarsi ai preparativi per il viaggio.

<< Sono tornata, e mio figlio non mi manda nemmeno una carrozza >> si lamentò la nonna in un pessimo inglese, pur essendone stata regina per vent’anni l’inglese di sua nonna era orrendo, parole inglesi con pronuncia francese che rendevano tremendo ascoltarla, almeno Minette sapeva come fingere un accento passabile.

<< Madre mia, è inverno, forse ci aspettavano per l’anno che verrà >> intervenne Minette.

<< Potrebbe anche essere ma questa è sgarberia bella e buona, e io conosco il motivo >> dichiarò Henriette Marie de Bourbon, regina madre d’Inghilterra.

Nessuno dei due disse nulla, la notizia delle imminenti nozze del duca di York si era diffusa, e anche il motivo per cui sposava la figlia di lord Edward. Non capiva bene il motivo ma doveva essere grave se la nonna nello scoprirlo si era affrettata a tornare in Inghilterra e a portarli con sé a costo di interrompere le trattative per il matrimonio di Minette.

Wat Montagu[11] che li aveva accompagnati ed era andato ad informarsi li raggiunse. Onestamente James non sapeva cosa pensare di quell’uomo che pure aveva la fiducia incondizionata di sua nonna. Aveva sentito delle voci secondo cui da giovane Wat avesse enormemente peccato e che per questo si fosse fatto frate ma nessuno sembrava disposto a parlare del peccato di cui si era macchiato.

<< Mia signora, la regina di Boemia è al capezzale della principessa reale ma il re vi ha mandato comunque qualcuno per scortarvi fino a Londra >> annunciò l’umo e sua nonna sbiancò.


<< Perché Wat? Perché il Signore mi porta via i miei figli? Prima la mia Elizabeth, così bella e intelligente? Poi il piccolo Henry e ora Mary? In che maniera ho peccato contro di Lui? >> domandò la nonna sebbene fosse evidente che non si aspettasse una risposta.

<< Non interrogate Nostro Signore su queste cose ma ricordate che siete una regina e che finalmente siete dove dovreste essere >> rispose Wat prima che una carrozza si fermasse di fronte a loro. Ne scese un uomo che doveva avere qualche anno più di suo padre e che era bello, non riuscì a pensare ad altro, quell’uomo era bello e lo sapeva. Ciò che lo sorprese fu però la reazione di sua madre e di Wat che lo osservavano come se avessero di fronte uno spettro.

<< È bello come lui ma gli manca quella luce maligna negli occhi, i suoi sono buoni >> disse sua nonna mentre Minette arrossiva.

<< Ogni volta che lo vedo resto senza parole, è come se lui fosse ancora tra noi >> replicò Wat.

<< Secondo voi, Wat, se fosse vivo come sarebbe? >> domandò sua nonna, e ora a chi si riferiva.

<< Sarebbe ancora l’uomo più bello del regno, un maturo signore a cui basterebbe un sorriso per scatenare una tempesta nel cuore di chiunque >> rispose Wat incantato.

<< Gli hai voluto molto bene, nevvero? >>

<< Gli volevo bene perché lui mi voleva bene, esattamente come vostro marito gli voleva bene, e in maniera del tutto diversa >> rispose Wat mentre l’uomo si avvicinava.

<< Charles ha sempre avuto un’alta opinione di lui e sapete quanto mio marito fosse ostinato nei suoi affetti, oggi come sarebbe l’Inghilterra se lui fosse vivo? >>

<< Sarebbe un nugolo di macerie peggiore di quanto già è. Gli volevo bene, lo amavo persino ma non era cieco e lui… non era un mostro ma era incapace di capire come funzionasse e vostro suocero e vostro marito lo amavano troppo per agire contro di lui >> spiegò Wat poco prima che l’uomo si fermasse di fronte a loro e si inchinasse.

<< My lord Buckingham[12], accompagnateci a Londra, esattamente come fece vostro padre oltre trent’anni fa >> dichiarò sua nonna con un sorriso indulgente.

<< Ai vostri ordini, Maestà, ignoravo che conosceste così bene mio padre >> disse l’uomo.

<< È stato la rovina di questa Nazione e la rovina del mio cuore ma mio marito lo teneva in alta stima, ho avuto notizia della morte di vostro fratello e me ne rammarico >> disse sua nonna, ma chi era il padre di costui se sua nonna ne parlava con un misto di amarezza e rammarico?

<< Vi ringrazio, Francis è venuto a mancare durante la guerra ma comprendo perché la notizia non vi sia arrivata prima >> fu la risposta.

<< Non volevo sapere, non volevo sapere niente della vostra famiglia eppure siete capaci di sopravvivere a tutto… tranne ad un colpo di pugnale[13] >> disse sua nonna prima di incamminarsi e far capire che quella conversazione per lei era terminata.

Sorpresi lui e Minette la seguirono fino alla carrozza dove l’uomo li stava già aspettando, Wat Montagu devotamente dietro di loro.

<< E… il bastardo del re? >> domandò l’uomo.

<< Cosa? >> domandò sua nonna.

<< Il ragazzo verrà con noi? >> domandò l’uomo a disagio.

<< Certamente, è mio nipote e mi è stato affidato, e ora Villiers smettete di fare domande stupide, esattamente come il padre che non faceva altro che scempiaggini >> rispose sua nonna prima di fargli
cenno di salire, Minette era già salita e fu Wat Montagu a chiudere il portello della vettura.

Non fece altre domande e sua nonna sembrava non incline a rispondere, poco dopo vide lei, Minette e Wat recitare il rosario e sapeva che lo stavano recitando per Mary, della regina di Boemia a sua nonna non importava affatto, non le era mai importato.

Aveva conosciuto Edward, il figlio papista della regina e gli era sembrato un uomo di qualità, non come suo padre ma comunque eccezionale.

C’erano tante cose di cui avrebbe dovuto parlare con suo padre.

Del nonno che era morto martire, del povero Henry che era tanto buono con lui, di Mary che stava morendo, di sua madre e di cosa ricordasse di lei e se poteva restare in Inghilterra invece di tornare in Francia con la nonna.

La nonna era papista e questo significava che pur dandogli un tetto e da mangiare aveva cercato di convertirlo, come aveva fatto con i suoi figli ma come Henry si era rifiutato.

Non era come Minette che era cresciuta papista, lui non si sarebbe fatto ingannare dalla nonna. Non aveva mai visto la regina di Boemia ma sapeva che era bella, era ancora bella alla sua età a differenza della nonna che era stata sommersa dalle sventure e ne portava le tracce nel viso e nel corpo, la regina di Boemia pur avendo sofferto sembrava esserne uscita più forte o almeno così dicevano coloro che avevano avuto la fortuna di incontrarla.

Quando la carrozza si fermò a Westminster lasciò che fosse la nonna a scendere per prima, e così quella era una residenza reale pensò ammirato. E lui avrebbe vissuto lì, voleva vivere lì, assolutamente.
Non c’era nessuno ad attenderli, nemmeno Parry e sua nonna imprecò in francese mentre Wat Montague e quel tale, Villiers qualcosa, andavano ad informarsi sul da farsi.

<< È freddo qui >> mormorò Minette stringendosi nel mantello.

<< L’Inghilterra è sempre fredda tesoro mio, ma almeno non dovremmo più preoccuparci di nulla >> dichiarò sua nonna prima che Wat tornasse da loro, il saio svolazzante e l’espressione terrorizzata.

<< Ebbene? Perché nessuno ci accoglie? E dov’è mia figlia? >> domandò la nonna, e Wat sospirò prima di portarsi un fazzoletto alla bocca e aspirare.

<< Mia regina la situazione è drastica e la malattia della principessa reale grave >> rispose, gli occhi terrorizzati.

<< Poche ciance wat, cosa affligge mia figlia? >>

<< Vaiolo, lo stesso che ci ha portato via il duca di Gloucester ora vuol prendersi la principessa reale >> rivelò Wat e lui e Minette sbiancarono terrorizzati mentre sua nonna si lasciò cadere a terra.

E poi Henriette Marie de Bourbon, regina madre d’Inghilterra, cominciò ad urlare.
 
***
 
Erano stati preparati degli appartamenti per loro e gli sembrava di vivere in un sogno.

Non aveva mai avuto delle stanze solo per sé, non lui che non aveva nemmeno un cognome pur essendo figlio del re. La nonna si era dimenticata di lui e di Minette per correre al capezzale di Mary seguita a debita distanza da Wat e da Villiers, così loro due erano stati sistemati alla meno peggio. Poi Parry si era fatto vedere e aveva pensato a tutto lui.

Andò alla finestra e rimase abbagliato, quel palazzo era della famiglia reale e in qualche modo anche lui ne faceva parte, lui che fino a due anni fa era nella Torre di Londra ora era il figlio del re.

Sentì qualcuno bussare e corse alla porta, nel vedere Parry gli venne spontaneo abbassare il capo per salutarlo.

<< Non siete obbligato a farlo, Sua maestà vuole vedervi >> si limitò a dire il domestico prima di fargli strada.

Lo seguì devotamente non cessando di ammirare il palazzo, dopo tanto tempo quello poteva essere suo, era ancora un ragazzo ma meritava tutto quello, assolutamente.

<< Mio padre… sa che sono qui? Il re è stato informato? >> domandò curioso.

<< Sua maestà è stato informato, al momento lui e la regina madre stanno litigando >> lo informò Parry.

<< E mia zia, la principessa Mary come sta? >> domandò preoccupato.

<< La vedova dello Stadtholder è in buona salute, il peggio sembra essere passato ed è più forte di suo fratello, che Iddio abbia in gloria il duca di Gloucester >> rispose Parry prima che udissero delle voci.
Stava per aggiungere qualcosa ma l’uomo aprì la porta non prima di essersi portato un fazzoletto alla bocca.

Il duca di York, suo zio James Stuart, era seduto a ragionevole distanza dal letto, zia Minette non sapeva cosa fare, la regina di Boemia continuava a piangere mentre suo padre e sua nonna continuavano ad urlarsi addosso uno più infuriato dell’altro. E lì, sul letto, addormentata, giaceva sua zia Mary, i segni del vaiolo pienamente visibili ma per fortuna in remissione, forse sua zia sarebbe davvero vissuta.

<< Assolutamente no, credevo di essere stato chiaro signora madre! Non tentate questo imbroglio o vi dovrò far allontanare >> urlò suo padre, era davvero alto pensò James ammirato, degno di un re.

<< Lo faccio solo per il suo bene! Per il benessere della sua anima immortale >> replicò la nonna prima di fissare sua figlia.

<< L’anima di mia sorella sta bene, e di certo se tenterete di convertirla non ve lo perdonerebbe mai, e io con lei >> disse suo padre con voce gelida.

<< Sei un figlio snaturato e un peccatore! Come osi parlarmi così? Come pensi di poter salvare tua sorella senza affidarti alla Vera Fede? >> urlò sua nonna.

<< Signora, madre mia, in questo Paese vi ucciderebbero per frasi come queste, ci hanno realmente provato e voi lo sapete >> rispose suo padre… qualcuno aveva tentato di uccidere la nonna?

<< Io avevo, e ho una missione, in questa Nazione. Ne sono stata investita dall’Altissimo e ho fallito solamente perché non ho avuto abbastanza tempo >> replicò subito la nonna, punta nel vivo.

<< No, avete fallito perché eravate l’unica a volerlo, il papismo in questa nazione non avrà mai fortuna >> si intromise zio York.


<< Volere qualcosa e ottenerlo sono due concetti diversi, e io lo so bene, chi non lo sa meglio di me? >> intervenne la regina di Boemia e tutti tacquero. Conosceva gli eventi che avevano portato la regina di Boemia a dover fuggire nelle Province Unite così come quelli riguardanti la morte di suo nonno, nessuno si era mai preso la briga di includerlo in quella conversazione ma sapeva comunque ascoltare.

<< Se posso dire quel che penso stiamo perdendo tempo, dovremmo occuparci di Marie, non di queste assurdità >> dichiarò Minette prima che uno dei dottori fosse abbastanza coraggioso da decidere di conferire con suo padre e la nonna.

Da quel che riuscì a capire zia Mary si stava riprendendo, aveva avuto il vaiolo in forma leggera ma non dovevano disperare, inoltre non c’era nemmeno da preoccuparsi per le cicatrici essendo zia Mary vedova.

<< Se mia sorella volesse sposarsi di nuovo darei più che volentieri il mio consenso, principe o suddito deve essere libera di fare come preferisce >> dichiarò suo padre e lui batté le mani entusiasta, e fu l’unico a farlo.

<< Tua sorella è figlia e sorella di re e non permetterò che sposi un suddito, nessuno di voi sposerà mai un suddito >> dichiarò la nonna.

<< Siete i figli di un martire della Fede e sebbene mio padre avesse dei difetti era pur sempre un re consacrato, il cielo le deve un re, non un suddito >> intervenne sorprendentemente in suo favore la regina di Boemia.

<< Mia sorella è vedova e madre, può sposare chi vuole o non sposarsi affatto e quando si sarà ripresa mi prenderò cura di lei >> chiosò suo padre.

<< A tal proposito, ho dato ordine di avvisare il mio medico, saprà occuparsi di lei[14] >> disse la nonna.

<< Non era necessario ma ormai è tutto finito e una mano in più non farà certo male >> concluse suo padre prima di fargli cenno di seguirlo, dietro di loro la famiglia continuava a battibeccare incurante di zia Mary.

<< Tutto bene? >> disse suo padre dopo averlo abbracciato.

<< Tutto bene, padre… Vostra Maestà >> si corresse lui prima di inchinarsi come gli era stato insegnato quando era in presenza del proprio padre.

<< Sei mio figlio Jemmie, non un lord qualsiasi, non è necessario >> lo riprese suo padre prima di accarezzargli i capelli.

<< Ho avuto notizia che a breve vi sposerete >> disse lui, abbassando gli occhi.

<< Hai saputo bene, stiamo valutando le candidate con il consiglio nella speranza di trovare la migliore >> spiegò suo padre.

<< E poi avrete dei principi da lei >> mormorò lui, avrebbe avuto dei fratelli, fratelli che un giorno avrebbero ereditato la corona al posto suo. Sapeva di avere un fratellino da qualche parte e che sua sorella Mary era figlia di un altro uomo, pur essendo così giovane ne aveva viste tante, esattamente come i suoi zii e suo padre.

<< È mio dovere ma sappi che ti vorrò sempre bene, sei il mio primogenito e ti voglio un mondo di bene, è stata dura vivere con la nonna? >> domandò suo padre prima di dargli un bacio sulla guancia.

<< La regina madre è una donna molto testarda >> rispose lui sperando di non recare offesa alla corona.

<< Testarda, ostinata e vanitosa, figlia di mercanti fino all’osso >> dichiarò suo padre con un ghigno facendo riferimento alla propria nonna, la regina Maria de’Medici che era figlia del granduca di Toscana.

<< È vero che Minette, Henriette Anne, si sposerà a breve? >> domandò lui cambiando discorso.

<< Entro la prossima primavera, e James è già sposato. Quando nascerà mio figlio tu avrai l’incarico di prenderti cura di lui, ricorda che la famiglia è importante e che abbiamo bisogno l’uno dell’altro, la nostra forza è nella famiglia e la mia nel Parlamento e nella memoria corta degli inglesi >> dichiarò suo padre prima di far cenno a Parry di accompagnarlo fuori.

Seguì il domestico in silenzio fino alla stanza che gli era stata assegnata per poi sedersi sulla prima sedia disponibile.

<< Vi verrà assegnato un precettore, una casa rispettabile e vostro padre ha già iniziato le trattative per farvi sposare >> gli comunicò il domestico.

<< Ho dodici anni, e chi vorrà mai sposare il bastardo del re? >> domandò lui curioso, sua madre non si era mai sposata e lui probabilmente sarebbe morto solo, e bastardo.

<< Vostra zia la principessa reale si è sposata ad undici anni. Fidatevi di em quando vi dico che saranno in tanti a volervi come genero quando verrete ufficialmente riconosciuto come figlio bastardo del re. E non dimenticate che Henry Fiotzroy sposò una Howard, vi troveremo una moglie adeguata, cera e inchiostrò rendono presentabile anche un figlio di puttana >> rispose Parry prima di inchinarsi e chiudere la porta.

Era tutto cambiato, non sapeva se in bene o in male ma ora poteva diventare realmente qualcuno. Eppure… sentiva di essere stato derubato, che avrebbe potuto avere di più, che meritava di più.

Avrebbe avuto terre, gioielli e titoli ma si sarebbe dovuto inchinare di fronte a un marmocchio non ancora nato che un giorno avrebbe cinto la corona di suo padre e quella prospettiva per un istante gli apparve intollerabile. Lui era il primogenito del re, lui avrebbe… avrebbe dovuto avere qualcosa. Non il suo fratellino che si trovava chissà dove o quello che ancora doveva nascere ma lui, lui, James.

Era stupido e non poteva cambiare il passato ma era ingiusto che qualcuno dovesse avere quello che spettava a lui, era sicuro di quello.
Si buttò sul letto frustrato, non era giusto, nient’affatto e non se lo meritava ma gliel’avrebbe fatta vedere lui, un giorno avrebbero visto tutti di cosa era capace, oh si.




[1] " Una sirena, sul dorso d'un delfino/ Udii cantar sì dolci melodie/ [...] alcune stelle folli prorompetvano/ Dalle loro sfere, per udir la musica/ della fanciulla del mare", da Sogno di una notte di mezza estate e considerato un riferimento a mary Stuart identificata come una sirena, simbolo a cui erano associate le prostitute
[2] sembra che Philip Herbet avesse degli improvvisi e incontrollabili attacchi di rabbia che però riuscì sempre a nascondere al re, o quantomeno durante il suo "servizio" evitò di colpire il re
[3] la prima opera di Shakespeare rappresentata alla corte di Giacomo I fu effettivamente otello, nella primavera del 1604, opera che piacque moltissimo al re
[4] SPOILER: stanca di aspettare il cugino Arbella Stuart nel 1610 sposò in segreto William Seymour, non finì bene per nessuno dei due
[5] la pietra di Scone, uno dei simboli più importanti della monarchia scozzese, trafugata dagli inglesi nel 1296 e sistemata sotto il trono per le cerimonie dell'incoronazione, dal 1996 è tornata in Scozia salvò fare un piccolo ritorno in Inghilterra per l'incoronazione di Carlo III
[6] Carlo I concesse ad un'unica persona di chiamarlo con il suo nome di battesimo, e quella persona era George Villiers, duca di Buckingham e compagno del padre
[7] Carlo fa riferimento agli eventi successivi la vittoria di Alessandro Magno ad Isso, ossia quando il re si presentò nella tenda reale persiana assieme al compagno Efestione. Subito la regina madre Sisigiambi si genuflesse dinanzi a Efestione scambiandolo per Alessandro il quale chiarì l'errore dichiarando "anche lui è un Alessandro"
[8] Francis Bacon, scrittore, letterato, filosofo, avvocato e dal 1618 lord cancelliere, notò però all'epoca per la rapidità con cui accettava bustarelle e  uno stuolo sterminato di paggi, segretari e stallieri
[9] George Villiers chiamava realmente re Giacomo "daddy" in pubblico, e quindi probabilmente anche in privato. Giacomo si riferiva a lui come "my babe and wife" e George ricambiava con "my deddy and husband", venen fatto duca solo nel 1623, fino ad allora era conte du Buckingham, avendo ricevuto l'upgrade da marchese proprio nel 1618
[10] in realtà henriette era presente al capezzale di Henry, o quantomeno era arrivata in tempo per il funerale dato che fu una malattia molto veloce, di sicuro era presente al funerale
[11] Wat Montagu cominciò la sua carriera nel 1624 quando ad appena 22 anni finì nel letto di George Villiers che ne fece il suo amante. Alla mrote dell'amante passò al servizio di Enrichetta Maria come mercante d'arte e nel 1632 andò a Roma per trattare alcuni acquisti per la regina. Rimase così colpito da Roma e dal cattolicesimo che non solo si convertì ma prese i voti come frate, dal 1645 in poi fu uno degli uomini di fiducia della regina
[12] George Villiers II, duca di Buckingham, figlio ed erede del padre, bello come lui ma meno fortunato in politica
[13] George Villiers fu assassinato il 28 agosto 1628 a Portsmouth da John Felton, fanatico puritano e reduce di guerra, il motivo non riguardava affatto al vita privata del duca ma la sua incapacità come generale
[14] Mary Henriette aveva superato discretamente bene la malattia, poi sua madre mandò a chiamare il proprio medico, fanatico dei salassi... e andò malissimo
   
 
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