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Autore: TheSlavicShadow    23/02/2024    0 recensioni
"Un uomo famoso una volta disse: "Noi creiamo i nostri demoni". Chi l'ha detto? Che cosa voglia dire? Non importa, io lo dico perché l'ha detto lui, perciò lui era famoso, e avendolo menzionato due uomini molto conosciuti, io non... ricominciamo..."
{Earth3490}
Genere: Angst, Generale, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Wherever you will go'
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A piedi avevano raggiunto il centro della cittadina di Rose Hill. Harley Keener, così si era presentato il ragazzino, aveva continuato a parlare tutto il tempo senza mai chiudere bocca. Era quasi insopportabile stare a sentirlo parlare di sua sorella, sua madre, le sue invenzioni, del suo bullo a scuola per il quale aveva effettivamente costruito lo sparapatate. Ma parlavano sempre così tanto i ragazzini? Lei parlava tanto, ma non ricordava di averlo fatto quando aveva la sua età. Forse effettivamente parlava da sola, visto quanto tempo aveva passato all’epoca in officina o in camera propria. Quanti anni aveva detto di avere quel ragazzino? 12? Cosa faceva lei a quella età? Era sicuramente in collegio, pronta a farsi espellere e passare i mesi peggiori della sua esistenza - fino a quel momento - fino alla partenza per il MIT.

Cercava di concentrarsi su quello. Su ricordi di un tempo troppo passato e di cui in realtà non le importava nulla, perché sennò sarebbe andata fuori di testa.

Steve Rogers non le aveva risposto al telefono. Aveva provato a telefonare altre due o tre volte, ma non aveva mai risposto. E lei non sapeva di chi altro potersi fidare in quel momento. Aveva sempre avuto grossi problemi di fiducia, li avrebbe sempre avuti, e quando succedevano delle tragedie non sapeva davvero a chi rivolgersi. Telefonare a Nick Fury forse avrebbe avuto senso, ma questo non le avrebbe permesso di continuare ad indagare sul Mandarino. E lei non voleva essere messa in panchina perché era una cosa troppo personale. Avevano ferito una delle sue persone. Avrebbero potuto farlo con altri. E non sapeva nemmeno che fine avesse fatto Steve. 

Questo la faceva impazzire. Aveva davvero ragione Fury. Non dovevano avere nulla a che fare uno con l’altro perché questo avrebbe mandato a puttane ogni missione in cui erano coinvolti entrambi. Bastava vedere come non riuscisse a ragionare in quel momento. E non osava nemmeno immaginare Steve in quel momento. Nonostante tutto quello che gli era successo nel corso degli anni, continuavano ad essere troppo legati. Era un legame troppo forte per poter essere spezzato solo dal tempo passato lontani uno dall’altra. 

“Signorina Stark, mi stai ascoltando?”

“Decisamente no.” Aveva guardato Harley Keener che aveva alzato gli occhi al cielo. Il suo subconscio aveva ascoltato ogni parola detta dal ragazzino, anche se non gli aveva risposto a nessuna domanda. Ne poneva troppe. Non sapeva se era curiosità sincera o solo voglia di farsi gli affari degli altri, ma nel dubbio non gli rispondeva. Aveva altre cose a cui pensare. Altre cose per cui fasciarsi la testa invece di fare qualcosa di veramente concreto.

Doveva telefonare a Fury. Nick sicuramente avrebbe smosso qualcosa che lei non poteva. Se le avesse dato retta, non trattandola come una pazza visionaria, forse avrebbero anche potuto catturare questo terrorista.

Forse avrebbe finalmente messo fuori gioco I dieci anelli e avrebbe chiuso per sempre quel capitolo della sua vita. Perché non era possibile che tutto tornasse a tormentarla. Che tutto fosse solo un cerchio senza fine. Come un serpente che si morde la coda e che non le permetteva di avanzare, di andare avanti con la propria vita. Era ferma in un loop temporale in cui ogni volta che sconfiggevano una minaccia ne compariva subito una seconda all’orizzonte. Per Steve erano sempre terroristi di qualche tipo, per lei era anche il consiglio di amministrazione che le stava con il fiato sul collo. Ed ora era MIA per la seconda volta, lasciando l’azienda sicuramente in subbuglio. 

“E’ esplosa qui la bomba?” Si era fermata tra due case, dove doveva sorgerne una volta una terza. La detonazione doveva essere meno potente di quella che aveva colpito il Chinese Theater, ma abbastanza da far crollare la casa e non lasciare traccia delle persone coinvolte.

“Sì, dicono che sia andato fuori di testa quando è tornato dall’esercito. Parlano di sindrome da stress post traumatico e che questo l’abbia portato a suicidarsi.”

Natasha aveva osservato il ragazzino che si era mosso in quello che era ormai un memoriale per le sei vittime. Ma c’era qualcosa che non le tornava. Continuava a guardare le ombre sui muri lasciati dalle vittime, e qualcosa non le tornava. 

“Hai detto che sono morti in 6, incluso Chad Davis, ma qui ci sono solo 5 corpi.”

“Sì, ma dicono che queste sono le ombre delle vittime innocenti. Quella di Chad Davis non c’è perché è andato all’inferno.”

Natasha aveva fatto una smorfia perché quelle spiegazioni preistoriche le facevano sempre storcere il naso. Certo, avrebbe dovuto mettere in discussione tutto quello in cui credeva. Aveva un vero dio nella sua cerchia di conoscenze a quel punto della sua vita. Ma quelle spiegazioni così religiose non facevano proprio per lei. 

“Non credo sia andata proprio così, ragazzino. L’Aldilà è un concetto che non esiste nelle spiegazioni logiche, e qua abbiamo bisogno solo di logica.” Aveva osservato ancora le 5 ombre. Aveva osservato i punti in cui erano disposte, e cercava di ricordare come fossero disposte sulla piazza del Chinese Theatre. Voleva arrivare in fondo a quella storia il prima possibile. Voleva anche lasciare quella città dimenticata da Dio e andare alla ricerca di Steve Rogers. Sicuramente lo S.H.I.E.L.D. era già sulle sue tracce, magari lo avevano già trovato. Ma lei doveva sapere che stesse bene. 

“Ho solo 12 anni, così mi hanno raccontato.”

“L’età giusta per iniziare a porti domande, non credi?” Il ragazzino aveva alzato gli occhi al cielo dopo averla guardata, e lì si era resa conto che come madre sarebbe stata davvero pessima. Quella era una frase che avrebbe pronunciato suo padre, e suo padre nonostante tutto non è mai stato insignito del premio padre dell’anno. Tutti le avevano sempre detto che Howard le aveva voluto bene, che la ammirava, ma lei questo non lo aveva mai percepito. E adesso si era sentita esattamente come lui.

“Spiegami allora, grandissima Stark, cosa è successo qui. Visto che ne sai più dei federali.”

“Questo sarcasmo potrebbe portarti da qualche parte in futuro. Anche in galera.” Harley le aveva sorriso e le si era avvicinato. Probabilmente si sentiva come si era sentita lei la prima volta che aveva visto Capitan America. Incontrare un proprio eroe era per i ragazzini l’esperienza di una vita intera.  

Steve era la sua vita intera.

Si era data uno schiaffo mentale perché non aveva davvero altro tempo per indugiare in quei pensieri. Doveva trovarlo e salvarlo, se non ci era già riuscito Fury, ma doveva anche prima trovare delle risposte in quel luogo.

“Guarda, 6 vittime ma solo 5 ombre. Se avesse tenuto la bomba in mano ci sarebbe anche la sua ombra tra quelle degli altri. Ma se fosse stato lui stesso la bomba si sarebbe disintegrato senza lasciare traccia.” Si era passata una mano sugli occhi. Era un vero azzardo quello che stava dicendo, ma era l’unica spiegazione logica che le era venuta in mente. Anche al Chinese Theatre mancava una ombra tra quelle delle vittime. E lei era abbastanza esperta in armi per poter fare congetture quanto più verosimili. 

E aveva già assistito in passato ad una esplosione interna. Era assurdo che le venissero dei  collegamenti proprio con quel ricordo. Ma conosceva appunto qualcuno che aveva inventato una cosa che esplodeva, e quel qualcuno le aveva confermato che lo avevano usato sugli esseri umani. Se avesse scoperto che quei veterani esplosi erano in qualche modo collegati a Killian Aldrich e alla sua AIM avrebbe fatto bingo e risolto tutti quei quesiti che le venivano in mente. 

Se solo avesse potuto abbandonare quel posto dimenticato da Dio immediatamente. 

“Ha fatto anche un bel cratere la sua esplosione, non credi?” Harley l’aveva guardata sorridendo, e non le piaceva il suo sguardo. Non le piacevano i ragazzini in generale. Soprattutto ora che aveva a che farci davvero. “Mi ricorda tantissimo quel enorme buco nel cielo di Manhattan.”

“Smettila. So che smani per chiedermi di New York da quando mi hai vista, ma io sto continuando a non volerne parlare.” Era messa male davvero se anche solo sentir nominare quella battaglia le faceva venire la tachicardia. Aveva subito percepito una sensazione di nausea alla bocca dello stomaco, e il cuore le batteva con così tanta forza da sentirlo nelle tempie. Succedeva così ogni volta. Ogni volta che ci pensava la sensazione di panico, di impotenza, e anche di terrore la assaliva. Nemmeno la prigionia in Afghanistan, così lunga e traumatica, le faceva venire un attacco di panico istantaneo. Invece New York l’aveva ferita su tutto un altro livello. Aveva colpito da qualche parte nel profondo e la terrorizzava fino nelle viscere. 

Dall’Afghanistan era scappata con le proprie forze. Si era salvata con una delle sue armature. Aveva avuto il potere di farlo. A New York aveva avuto solo un colpo di fortuna, perché poteva rimanere bloccata dall’altra parte del portale. E rimanendovi bloccata il suo corpo avrebbe continuato a vagare nello spazio infinito per sempre, senza la possibilità di essere salvata o ritrovata. Quando aveva deciso di spedire la bomba ai Chitauri aveva creduto di essere pronta a sacrificarsi. Ma non lo era. Aveva assistito ad uno spettacolo senza precedenti, ma non era pronta a morire lì.

Quella sensazione di impotenza le attanagliava le viscere ogni volta che ci pensava. Credeva di poterlo superare. Se ne autoconvinceva in continuazione, ma senza alcun risultato reale. Quella paura di essere persa nello spazio infinito le era entrata troppo nel profondo. 

Si era seduta per terra cercando di respirare profondamente. Aveva preso la testa tra le mani cercando di ricordare dove fosse e perché fosse lì. Aveva una missione, doveva portarla a termine. Doveva trovare informazioni in quel luogo. Doveva riuscire ad andarsene. A quel punto avrebbe contattato Fury e anche Rhodes. Avrebbe cercato di rintracciare Steve. E tutti insieme avrebbero sconfitto i Dieci Anelli, chiunque essi fossero. Era così semplice e lineare nella sua testa. 

Ma il senso di nausea e vomito non la abbandonava. 

Voleva tornare a casa. Voleva stare in un posto sicuro. Voleva i suoi robot e J.A.R.V.I.S.. Anche se quel luogo era stato distrutto. Era anche questo ad aumentare il suo stato di ansia. Il luogo che aveva scelto come proprio eremo, il luogo in cui doveva essere protetta, non c’era più. Non sapeva nemmeno cosa ne fosse davvero rimasto. Tutte le cose importanti, tutti i ricordi che aveva di quel luogo, erano andati perduti.

“Signorina Stark, tutto bene?” I piedi di Harley erano entrati nel suo campo visivo, ma non riusciva ad alzare la testa per guardarlo. Aveva davvero la sensazione che avrebbe vomitato se solo si fosse mossa.

“Ti pare che stia bene? E’ una giornata di merda e ti ci metti pure tu con domande inutili.” Si era passata entrambe la mani sul viso. Togliendo poi il cappellino che il ragazzo le aveva dato per cercare di travestirsi un minimo. “Ragazzino, ci sono cose che non puoi ancora capire, ma ti dirò una verità sconvolgente: gli adulti non sono affatto dei fighi senza macchia e senza paura. Siamo probabilmente più traumatizzati di voi, ma lo nascondiamo bene.”

“Tu non lo nascondi affatto bene.” Harley le aveva sorriso, dondolandosi sui talloni, con le mani profondamente infilate in tasca. “Ma sei Tasha Stark. Quindi sei figa anche così.”

Lo aveva guardato, incredula di quello che aveva appena sentito. Era davvero percepita così dalle persone o era solo Harley? Il ragazzino poteva averla davvero presa a esempio vista l’officina niente male che si stava creando e le cose che costruiva. Ma poteva davvero essere presa come esempio?

“Presumo dovrei dirti grazie.” Si era lentamente alzata in piedi, restando appoggiata contro il muro perché non era sicura che le gambe l’avrebbero davvero retta. “Non so se l’hai detto tanto per dire o meno, ma grazie.”

“Sei Iron Woman. Tutti quelli che conosco vogliono essere come te ed avere un’armatura come la tua. Probabilmente se ti avessero vista oggi cambierebbero idea, ma resti Iron Woman.”

“Tutto questo sarcasmo spero ti serva nella vita.” Si era rimessa il cappellino prima che qualcuno potesse riconoscerla e aveva guardato ancora una volta il cratere lasciato da Chad Davis. “Ehi, gnomo, aveva famiglia Chad Davis?”

“C’è sua madre. Non so quanto possa esserti d’aiuto perché dal giorno della bomba sta sempre al pub. Alcuni dicono che sia impazzita e continua a ripetere che suo figlio non si sarebbe mai fatto esplodere.”

Lo aveva osservato e gli aveva messo una mano sulla testa. 

“Sei ancora troppo piccolo per capire cosa può provare una donna che perde un figlio. Sii indulgente almeno tu con lei, ok?” Aveva atteso un cenno di risposta da parte di Harley. “E ora portami da lei, voglio fare almeno un tentativo per avere delle risposte decenti.”

 

✭✮✭

 

Doveva, nella sua testa, andare tutto liscio per una volta. Doveva solo trovare la signora Davis, farle qualche domanda e abbandonare quel posto dimenticato da dio.

Non doveva esserci tutta quella distruzione che pareva seguirla in continuazione. Ovunque andasse sembrava che avesse la sfortuna alle calcagna e lasciasse soltanto macerie al suo passaggio. 

Avevano ragione a crederla una minaccia globale?

“Dove hai imparato a rubare macchine?” Harley Keener era rimasto al suo fianco tutto il tempo e lei lo aveva messo inutilmente in pericolo. A sua discolpa poteva dire che non si aspettava un attacco da parte dei Dieci Anelli proprio lì. Ma era una difesa molto labile. Non avrebbe mai dovuto coinvolgerlo. Era stata spinta dalla necessità ad affidarsi a qualcuno, anche se questo qualcuno andava ancora alle medie.

“Che tu ci creda o no, me l’ha insegnato Steve. Ma questa qualche stupido l’ha lasciata aperta.” Si era seduta al posto di guida dopo aver aperto la macchina. Sperava che avessero lasciato le chiavi da qualche parte, perché sennò accenderla non sarebbe stato semplice. Era Steve l’esperto a riguardo. “Mi ha detto che lo aveva imparato in Francia durante la guerra. Ed era molto più semplice all’epoca.” 

“Posso venire con te?”

“Nemmeno per sogno. Ho bisogno di te qui. Devi restare accanto alla mia armatura, controllare che si carichi e stai vicino al telefono. Capito?” Aveva rischiato di farlo uccidere, e se gli fosse successo qualcosa non se lo sarebbe mai perdonato. Non poteva avere altre morti sulla coscienza. Non in quel momento. Non vittime innocenti che avevano solo avuto la sfortuna di conoscerla. E aveva causato già abbastanza distruzione in quella cittadina.

Harley le aveva indicato la signora Davis non appena erano entrati nel pub. Non sarebbe stato difficile riconoscerla in ogni caso. Aveva il cuore spezzato e glielo si leggeva sul volto. E affogava questo dolore nell’alcool. Un pattern che conosceva, perché aveva fatto lo stesso anche lei. Era il modo più semplice per cercare di dimenticare tutto, di metterlo a dormire da qualche parte almeno per un attimo.

Ma era un dolore che non si placava mai.

Lo avrebbero mai superato?

“Devo andare a salvare Steve, Harley. Non so come, ma quell’idiota si è fatto catturare e ho visto troppi film per ignorare quello che vogliono probabilmente fare di lui.” 

“Pensi che vorranno sezionarlo in qualche modo?”

“Una cosa simile.” Aveva sorriso, anche se era preoccupata davvero. Le persone che avevano incontrato, che erano lì anche loro per la signora Davis, avevano letteralmente preso fuoco dall’interno. Non aveva mai visto una cosa simile. Andava molto oltre quello che Maya Hansen aveva fatto con le sue piante. Si rigeneravano ed esplodevano, ma quello andava oltre. Quelli erano esseri umani potenziati, dotati di una forza sovrumana.

Ed erano bombe ad orologeria pronte a saltare in aria quando meno se lo aspettavano. E adesso era sicura che anche Chad Davis e l’altro erano loro le bombe. Nessun attentato vero e proprio. Solo poveri disgraziati che avevano probabilmente cercato aiuto dalle persone sbagliate.

“Allora, ragazzino, dammi il numero di telefono di casa tua.” Era un povero disgraziato anche quello a cui stava rubando la macchina ed il cellulare. Ma era spinta dalla necessità, e trovare quella macchina aperta era stata una manna dal cielo. Il proprietario era sicuramente scappato quando la città aveva iniziato a saltare in aria. “E, questo è molto importante, tu non mi hai mai vista qui. Non vantartene con i tuoi amichetti e nemmeno con i tuoi bulli. Non voglio che qualcuno ti prenda di mira a causa mia e già stasera abbiamo rischiato molto.”

“Ti sei affezionata a me?”

“No, non voglio altri sensi di colpa addosso è diverso.” Gli aveva sorriso, mentendo spudoratamente. Si era affezionata molto velocemente. Quel ragazzino era brillante ed era stato facile affezionarsi, anche se avevano trascorso insieme davvero pochissimo tempo. “Torna a casa ora. Tua madre si preoccuperà se non ti dovesse trovare a casa al suo rientro.”

“Penserà che sono chiuso in garage e la babysitter figurati se si accorge che scompaio.” Harley si era stretto di più nella coperta che gli avevano dato i paramedici accorsi in città dopo il disastro che avevano provocato.

“E’ una dura vita anche la tua, eh?” Gli aveva tirato una guancia, e un sentimento dolceamaro l’aveva pervasa. Se avesse avuto dei figli sarebbero stati costantemente in pericolo. Sarebbero stati il suo punto debole, quello da colpire se volevano arrivare a lei. L’essere un supereroe non avrebbe mai potuto combaciare con l’essere genitore. E nel suo caso, suo figlio aveva rischiato di averne ben due di supereroi per genitori. Quello sarebbe stato come mettergli addosso un bersaglio enorme con la scritta “vi prego rapitemi, mio padre è Capitan America e mia madre è Stark”.

E ancora più tristezza le metteva il pensiero che per quel figlio, per amarlo e proteggerlo, lei avrebbe fatto qualsiasi cosa. Letteralmente qualsiasi cosa. E questa era una delle cose che più la stupiva di sé stessa.

Dal non voler assolutamente avere dei figli, era passata al lato opposto fin troppo velocemente alla fine. Ed era soltanto colpa di Steve Rogers. Solo e soltanto sua. Sua e della sua incredibile dolcezza, della sua positività, del suo amore incondizionato verso di lei. Steve Rogers era riuscito a darle in tutti gli anni che lo conosceva quello che aveva sempre cercato e desiderato. E lo stupido sogno di Steve di mettere su famiglia era diventato improvvisamente anche il suo.

“Ci vediamo, ragazzino. Proteggi la mia armatura.” Aveva messo in moto la macchina, senza aspettare un qualsiasi tipo di saluto da parte di Harley. Era all’improvviso pervasa da una sensazione di tristezza e non le piaceva farsi vedere così da nessuno. 

Natasha Stark non era mai debole. Natasha Stark cadeva con stile e si rialzava in modo altrettanto elegante. Le sue cadute dovevano essere condite con qualche scandalo succulento, non con tristezza a palate. Quella non faceva per lei e la Stark persona che aveva costruito per il pubblico. 

Già si era resa abbastanza ridicola e penosa dopo New York. Non servivano altre cose. Non serviva che la verità uscisse sui giornali, che diventasse di dominio pubblico. Non aveva bisogno della compassione dell’opinione pubblica, che a questo modo avrebbe cercato di psicoanalizzarla ancora. Già si stavano sicuramente sbizzarendo nel cercare di capire come mai lei e Steve erano di nuovo stati fotografati insieme durante quello che sembrava un appuntamento. Perché era un appuntamento alla fin fine. Era una delle scampagnate senza meta che ogni tanto si erano concessi. 

E poteva significare tutto come poteva non essere nulla. Poteva essere un nuovo inizio, come poteva tranquillamente essere solo l’ultimo tizzone di un fuoco che si era spento totalmente. Anche se questa opzione era abbastanza ridicola da pensare per entrambi. Razionalmente avrebbero anche potuto vivere separati per il resto dei loro giorni. Erano bravi in quello. 

“Pronto?” Una voce burbera aveva risposto dopo qualche squillo. Voleva potersi immaginare la sua faccia mentre vedeva un numero sconosciuto telefonare al suo numero super personale.

“Ciao, Nick. Sono viva.”

 
   
 
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