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Autore: alinosky    25/02/2024    0 recensioni
"Mi domando se le stelle sono illuminate perché ognuno possa un giorno trovare la sua."
Edoardo ha passato tutta la vita con la testa tra le stelle ma con i piedi ben piantati per terra.
Nilde al contrario con i piedi per terra non ci vuole stare per niente, costantemente persa nel suo mondo di musica e libri.
Diversi come il giorno e la notte, le loro esistenze sembrano sfiorarsi senza mai toccarsi per davvero.
Eppure Nilde sembra essere la chiave per risolvere il mistero più grande della vita di Edoardo. C'è solo un problema: lei lo odia e non cederà facilmente al suo fascino.
"Perché io?"
"Perché tu sei l'unica che mi possa aiutare. Perché tu sei l'unica di cui posso veramente fidarmi"
Genere: Angst, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Universitario
Capitoli:
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“Mi domando, – disse, -
se le stelle sono illuminate perché ogni uno possa un giorno trovare la sua”
“The end
No safety or surprise
The end
I'll never look into your eyes again”
Questa è la fine, mio caro amico;
Questa è la fine, mio unico amico.

Le parole di quella canzone mi risuonavano nella testa, lente ed implacabili, una lenta litania, una marcia funebre.
La fine dei nostri piani elaborati,
la fine di ogni cosa stabilita,
è la fine
.
Qualche ora prima quelle parole avevano tutt’altro significato, la fine di un’era, la fine di quell’agonia, la fine di quella assurda storia in cui mi ero trovata immischiata, mio malgrado.
La chiusura di un cerchio. Il chiudersi di un capitolo, per aprine un altro.
Adesso il loro significato era cambiato. Precipitato. Nel buio più assoluto.
Il mio cervello si divertiva a giocarmi brutti scherzi.
Nonostante la situazione non riuscivo a non canticchiarla nella mia testa.
Non riuscivo a non pensare a nulla che non fosse quella canzone, nonostante la Beretta92 calibro 9 che avevo puntata alla testa.
Avrei dovuto capirlo prima. Avrei dovuto rendermene conto prima. C’erano stati così tanti indizi, così tante prove, ma ero stata troppo concentrata su altro per rendermene conto. Era per colpa della mia distrazione se adesso mi trovavo in quella situazione. Letteralmente in bilico tra la vita e la morte.
Avevo sempre fatto caso ai dettagli. Mi ero sempre guardata intorno attentamente. Non quella volta però.
Nonostante le calze velate che indossavo riuscivo a sentire il freddo sotto le mie gambe, costrette in ginocchio sul quel pavimento logoro; sentivo il sangue che mi scivolava dall’attaccatura dei capelli, tutti appiccicati di sangue ora, lungo il viso, lo sentivo scorrere, ma ero paralizzata, le mani strette da un laccio di plastica dietro la schiena, avevo un labbro spaccato, me lo aveva rotto mezz’ora prima, nel tentativo di tramortirmi, sotto la lingua sentivo il sapore miscelato di ruggine e sale.
 Sentivo parte del mio viso gonfiarsi, se fossi arrivata fino a domani sarei stata piena di lividi violacei per tutto il corpo.
Ma questo non era un problema. Non ci sarei arrivata viva a domani.
<< Io non volevo arrivare a questo, veramente non volevo. Mi ci avete costretto voi, voi e la vostra ostinazione >>
La sua voce adesso mi provocava solo vomito, avrei voluto farlo, in quel momento, vomitargli su quelle costose scarpe del cazzo. Un ultimo ricordo di me prima che mi mandasse dall’altra parte.
<< Ma io devo farlo adesso, capisci? Mi devo liberare di voi, ci ho messo anni a far in modo che il mio piano funzionasse, non posso lasciare che venga rovinato da due ragazzini, appena usciti dall’università >>
La sua mano tremava, sentivo la canna della pistola tremolare pericolosamente sulla mia fronte appiccicosa di sangue e sudore.
Eppure non aveva ancora premuto il grilletto. Eravamo soli ormai da tempo. Sul tetto di un edificio abbandonato. Anche se avessi gridato nessuno mi avrebbe mai potuto sentire, ci avevo provato appena avevo ripreso i sensi ma mi aveva subito stretto le mani al collo. Mi aveva quasi soffocata in quel momento, ma qualcosa lo aveva fermato. Compassione o qualcosa che facesse parte del suo contorto e malato piano?
<< E allora fallo. Uccidimi. Lo aspetti da tanto. Sono inerme. D’avanti a te. Premi il grilletto. Macchiati dell’ennesimo crimine >>
La mia voce era roca e bassa, a causa dello strangolamento di poco prima.
Stavo giocando con il fuoco. Lo sapevo.
Eppure dovevo capire. Sarei morta comunque, in un modo o nell’altro. Volevo almeno capire. Me lo doveva dopo tutti quei mesi.
<< Oh, non preoccuparti, stellina. Lo farò. Ma non è ancora il momento. Prima dobbiamo aspettare una persona, poi tranquilla sarai la prima che farò fuori >>
A sentire quel soprannome tremai di rabbia. Non ne aveva il diritto. Non aveva nessun diritto di chiamarmi nello stesso modo in cui mi chiamava lui.
Eppure solo dopo capì dove volesse andare a parare con quel discorso.
Cominciai a scuotere la testa, adesso le lacrime mi scendevano sulle guance senza timore.
Non mi importava più di mostrare una certa dignità. Una forza. Adesso non aveva più senso.
<< Non hai preso abbastanza da lui? Non ti è bastato togliergli tutto ciò che amava? >> la voce mi tremava dalla rabbia adesso.
Avrei voluto alzarmi, riempirlo di pugni, ucciderlo se necessario.
Tutta la paura che avevo provato fino a due secondi prima fu sostituita da un’emozione nuova, la rabbia. Sentivo le guance che mi si infiammavano, diramando un calore che non mi faceva sentire più il freddo, gli occhi diventarono ancora più umidi e la gola mi bruciava.
<< Quasi tutto ciò che amava. Ho l’ultimo pezzo della scacchiera, proprio qui, d’avanti a me >>
La canna della pistola aveva momentaneamente abbandonato la mia fronte, la sua mano adesso mi aveva sollevato il mento verso di sé. Non c’era traccia più della persona che avevo conosciuto in quei mesi, non era rimasto nulla, ogni traccia di umanità era sparita dal suo viso
<< Tu sei da rinchiudere. Non avrai pace, nemmeno un secondo di pace. Potrai uccidermi, ucciderci tutti, fallo pure. Ma non ti godrai mai quello per cui hai fatto tanto male. Questo te lo posso garantire >> 
<< Ho sempre pensato fossi una ragazzina ingenua, Nilde Amato, ma mai fino a questo punto >> commentò questa volta, guardandomi sprezzante, lasciandomi andare di colpo il mento. Per un secondo persi l’equilibrio, oscillando pericolosamente in avanti.
In quel momento la porta di emergenza alle mie spalle si aprì, sapevo già chi stava per entrare e avrei preferito non vederlo. Avrei preferito che fossi sola lì, invece di dover sopportare che lui fosse costretto, ancora una volta, a rivivere tutto da capo o che peggio accadesse qualcosa anche a lui e che io non potessi fare nulla per aiutarlo, conciata per le feste com’ero.
Una folata di vento mi scompigliò i capelli e mi fece rabbrividire, il suo profumo mi investi, menta e cedro, lo ricordavo bene.
 Anche se non potevo voltarmi lo sentivo, sentivo la sua presenza dietro di me, il suo calore.
<< Hai portato tutta la banda al completo, vedo >> commentò sprezzante. Non era venuto da solo. 
Una parte di me era sollevata, l’altra non voleva che qualcun altro corresse rischi per colpa nostra. 
Per colpa mia.
<< Lasciala andare subito e tieni via quelle mani di merda da lei o ti giuro che quella è l’ultima cosa che farai >>
La voce di Edoardo sembrava pacata, tranquilla. Ma non lo era. Io lo conoscevo. Si stava trattenendo di partire in quarta e saltagli addosso subito. 
Per colpa mia.
<< Fai un altro passo e giuro che le sparo d’avanti a tuoi occhi >>


Voltai lo sguardo più che potevo, con la coda dell’occhio lo vidi, alla mia sinistra, i pugni stretti lungo i fianchi, la mandibola serrata e la postura rigida.
Si stava trattenendo e lo stava facendo per me.


<< Dammi la chiavetta, Edoardo. Dammela e forse vi lascerò andare illesi da qui. Tutti voi. >> gli disse, con tono suadente. Era tornata la persona che conoscevamo, non c’era di nuovo traccia della persona che mi aveva minacciata esattamente due secondi prima. Il modo in cui poteva cambiare così velocemente mi faceva venire la nausea.
<< Non farlo, Edo. Ti prego. Non farlo >> tentai di gridare, prima di tossire rumorosamente, la gola mi faceva troppo male. Mi bruciava per lo sforzo.
<< Stellina te l’ho già detto più volte questa sera, non sei in condizioni di poter trattare. Nessuno di voi lo è. O forse qualcuno sì, Edoardo. Dammi la chiavetta >>
La canna della pistola riprese a premere sulla mia fronte. Chiusi gli occhi per un secondo e lanciai uno sguardo di sfida, mentre il suo era puntato dietro di me. Stava puntando su di me per fare leva su Edoardo. Adesso lo sapevo che non avrebbe mai lasciato che qualcuno mi facesse del male.
<< Tanto ci ucciderai lo stesso tutti, o ci proverai. Che Edo ti dia la chiavetta o meno >> dissi, decisa.
Voleva la chiavetta USB? L’avrebbe avuta, ma sarebbe dovuto passare prima sul mio cadavere. 
Non l’avrebbe ottenuta così facilmente.
<< Stai giocando con il fuoco, Nilde >> mi avvertì.
Ma questa volta non avevo paura. Nemmeno quando mise il dito sul grilletto. Non avevo paura per me. 
Avevo paura per le persone che amavo ed erano lì. Fin quando la pistola fosse stata puntata sulla mia di fronte e non sulla loro non avevo nulla da temere.
Chiusi gli occhi.
<< Sta lontano da mia sorella >> la voce di Diego quasi mi fece mancare il respiro.
Che ci faceva mio fratello lì? Cosa ne sapeva lui di quella storia?
La mia espressione decisa fu sostituita dal terrore per un solo secondo. Ma fu abbastanza.
La pistola abbandonò la mia fronte e indicò un punto alle mie spalle, alla mia destra. Sapevo già contro chi stesse puntando senza nemmeno voltarmi.
<< Non ti azzardare >> gridai, nonostante la gola in fiamme.
<< Preferisci che prenda te? O il tua fidanzato – la pistola puntò verso Edoardo – o chi? Il tuo amichetto del cuore? – la pistola cambiò traiettoria, puntando in punto imprecisato vicino Diego – la tua amichetta bionda svampita? Dimmi chi vuoi che sia il primo, Nilde. Ho già ucciso, non ho paura di rifarlo, tu questo lo sai >>
Lo sapevo che non aveva paura di farlo. Lo aveva già fatto. Ma fin quando si trattava di me non mi importava. Ma quelle persone erano la mia famiglia. I miei amici.
Edoardo, Diego, Paride, Emma. Chi c’era oltre loro? Davide o Margherita?
Potevo accettare che qualcosa accadesse a me, ma a loro no, non potevo accettarlo.
<< Va bene, te la do la chiavetta. Va bene? Te la do. >>
Edoardo aveva perso ogni traccia di calma adesso, era spaventato, lo percepivo.
<< Bravo ragazzo, hai fatto la scelta giusta, finalmente >> abbassò la pistola e tese una mano verso di lui.
Edoardo si avvicinò cautamente, prima di infilare una mano in tasca si girò brevemente verso di me, guardando il mio viso tumefatto qualcosa nel suo di viso cambiò.
 Il suo sguardo percosse rapidamente su tutto il mio corpo, come per accettarsi che fossi ancora tutta intera.
Lo ero, un po’ ammaccata, certo, ma intera. Dovevo essere davvero ridotta male.
Edoardo mi sorrise, come per rassicurarmi, dirmi che lui era lì per me. Quel pensiero non mi confortava, mi terrorizzava ancora di più.
Fu allora che le cose mi sfuggirono dalle mani.
Edoardo tirò fuori la mano dalla tasca, ancora chiusa a pugno e si avvicinò ulteriormente. Fu questioni di secondi. 
E poi ci fu il caos.
Il pugno non si era mai aperto ma era andato a segno.
Non riuscivo a vedere bene, non riuscivo a capire nulla. Vedevo solo Edoardo che lottava da solo per riprendere la pistola.
Tentai di alzarmi goffamente, scivolai verso di loro in automatico. 
Dovevo fermarli. Era colpa mia.
Fu questioni di attimi.
Un attimo solo.
 Un solo secondo.
 Un battito di ali.
Uno sparo. 
E poi il nulla. 
Solo il buio.
Non c’erano più stelle nel cielo.
Non c’è salvezza, né sorprese,
è la fine
non guarderò nei tuoi occhi, mai più.

Piccolissima nota autrice 
Ciao a tutti!
Questa è una storia a cui tengo particolarmente, che sto pubblicando in parte anche su un altro sito, ma avendo cominciato qui (ormai tanti anni fa) mi sembrava corretto pubblicarla anche qui.
Questo è solo il prologo, ambientanto circa 7 mesi dopo il primo capitolo.
Questo è solo l'inizio ovviamente, spero veramente vi piaccia <3 
Un bacio, Ali. 

 
   
 
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