“In guerra, mezze misure e indecisione
sono garanzia di
fallimento.”
(Napoleone
Bonaparte)
CAPITOLO 1
L’AQUILA DI EIRINN
Dai tempi delle Guerre Sacre Erthea non aveva mai
visto un conflitto così lungo come quello che vedeva contrapposti le forze
imperiali e i gruppi separatisti capeggiati dai Baroni.
Da dieci anni i
territori orientali dell’impero erano una polveriera, un immenso campo di
battaglia in cui si consumava una interminabile guerra civile.
Tutto era
cominciato con l’ascesa al trono dell’attuale imperatore, che aveva ben pensato
di risolvere la spaventosa crisi economica che aveva portato l’Impero sull’orlo
della bancarotta promulgando una serie di pesanti riforme fiscali.
Come se non
bastasse l’Imperatore aveva dimostrato di voler cambiare radicalmente il modo
in cui lo Stato gestiva la cosa pubblica, riportando il potere nelle mani del
senato ai danni di governatori ed amministratori delle province più lontane e remote,
che negli ultimi duecento anni si erano visti accordare privilegi sempre
maggiori.
E la gente di
tutto ciò era stata molto felice, perché non solo una volta tanto erano stati i
nobili a subire i colpi peggiori dalle nuove tassazioni, ma una legge apposita
aveva impedito a questi ultimi di rifarsi delle perdite andando a loro volta ad
aumentare la tassazione locale sui territori che amministravano.
Sfortunatamente,
in politica le cose di rado vanno come si vorrebbe, e un nobile ingordo
abituato a godere appieno delle sue ricchezze e del suo potere può diventare un
nemico pericoloso, anche per un sovrano.
Forse Sua Maestà
aveva sovrastimato l’ammirazione che il popolo aveva iniziato a provare per
lui, o forse si era persuaso a credere che le sue riforme lo avrebbero messo al
sicuro dalle critiche per ciò che le circostanze lo avevano costretto a fare.
Perché un abitante
di Saedonia può sopportare le tasse, la povertà e la
fame, ma non sarà mai disposto a rinunciare alla cosa più importante che possiede:
il suo orgoglio di cittadino del più grande impero mai visto.
La cessione di una
parte dei territori occidentali a Connelly con la fine della Guerra del Flor e la fine della Guerra Fredda con l’Unione al prezzo
di svariati milioni di goldie erano umiliazioni che in pochi erano disposti ad
accettare.
E i nobili
dell’est, le terre più lontane, isolate e sperdute del grande Impero, erano
stati abili a mascherare le loro ambizioni in una sorta di guerra santa contro
un sovrano accusato di essere un incapace, che aveva svenduto il suo impero ed
il suo popolo ai suoi peggiori nemici.
In fin dei conti
era lì che, secondo le leggende, il Signore Oscuro aveva fatto la sua comparsa,
e secondo gli abitanti di quelle terre era stato solo grazie al sacrificio dei
loro antenati se l’Impero era sopravvissuto.
Non c’era voluto
molto perché quella che era nata come una semplice zuffa tra i feudatari locali
e il governo centrale si tramutasse in una vera e propria rivolta che da dieci
anni insanguinava le foreste, le montagne e le valli dell’est.
E la mente dietro
a tutte le sconfitte patite fino a quel momento dalle legioni era una sola,
quella di Julius Severus, dodicesimo Barone di Glasnet.
Uomo ricchissimo e
dal lignaggio illustre, apparteneva alla più nobile e rispettata aristocrazia
militare dell’Impero, una di quelle famiglie di cui i bambini leggevano le
gesta sui libri di scuola.
Non era solo un
feudatario colto e molto potente, ma anche un brillante stratega, ed era forse
l’unico tra i Baroni ribelli a credere sinceramente nelle menzogne che i suoi
sodali si raccontavano per mascherare le loro vere intenzioni.
Sette generali si
erano succeduti al comando delle cinque legioni che da un decennio tentavano di
stroncare la ribellione, ma nonostante ciò la situazione nel corso del tempo
non si era minimamente sbloccata.
Città e regioni
venivano perse e riconquistate in continuazione, talvolta nel giro di poche
settimane, ma la capitale della rivolta Glasnet e il
suo castello restavano lontani, come un miraggio irraggiungibile.
Da alcuni mesi il
comando era passato al Generale Flavio Tibullo. Era
un militare di lungo corso, stimato da Sua Maestà, che si era fatto una reputazione
come ammiraglio della flotta imperiale combattendo i pirati.
Ma era
essenzialmente un uomo di mare, incarnazione di un’aristocrazia di guerra
legata a idee antiquate, e che seguiva alla lettera il tipico approccio
imperiale alle battaglie: numeri soverchianti, rullo compressore e avanzamento
brutale, a prescindere dalle perdite.
Una cosa del
genere poteva andare bene per avere la meglio su eserciti stranieri o quando si
aveva a che fare con le flotte pirata, ma mal si sposava con una situazione
come quella dell’est. Ogni volta che una regione cadeva, i baroni e i loro
eserciti semplicemente si ritiravano in quelle più vicine, formando nuove
barriere difensive che dovevano essere nuovamente sfondate, con conseguente
enorme dispendio di truppe e risorse.
E intanto le linee
di rifornimento si allungavano, a differenza di quelle del nemico, non si
riusciva a contenere le perdite, il terzo o quarto assalto si impantanavano,
arrivava l’inverno, si era costretti alla ritirata, il nemico rioccupava in
parte o totalmente i territori persi, e si ricominciava daccapo la primavera
successiva.
Aria era
consapevole di dove stesse andato e dei moltissimi problemi che avrebbe dovuto
affrontare, ma di certo non si aspettava una situazione così drammatica.
Dopo dieci anni le
legioni imperiali avevano riconquistato meno della metà dei territori ribelli,
e da almeno due l’offensiva si era di fatto arenata al limitare della regione
di Falderad.
La vecchia
strategia dell’attaccare a testa bassa ormai aveva smesso di portare anche i
successi più limitati; le truppe erano stanche, gli ufficiali demotivati, e la
convinzione che non si potesse sperare di avanzare oltre si stava facendo
strada anche tra i più ottimisti.
Il secondo in
comando si chiamava Oreste Flaminio, e da qualche anno era diventato uno
straniero nella sua patria, da quando la sua città natale Tagrea
era stata ceduta a Connelly.
Per fortuna la sua
famiglia a differenza di altri nobili della stessa regione aveva preferito
l’esilio alla sottomissione al Principato, altrimenti oltre ad una bellissima
città l’Impero avrebbe perso anche una delle menti militari più brillanti che
Aria avesse mai conosciuto.
Ma era solo il
capo di una famiglia nobile minore, e per di più della provincia, pertanto
nonostante i molti anni spesi sui campi di battaglia lui per primo sapeva che
quella posizione era il massimo al quale avrebbe mai potuto aspirare.
Quando parlava con
lui o incrociava il suo sguardo Aria quasi si vergognava al pensiero che lei un
giorno avrebbe potuto salire al ruolo di Generale, mentre Oreste non sarebbe
mai potuto essere più che un semplice Comandante, perennemente agli ordini di
qualcuno con più titoli ma assai meno qualità di lui.
«Quanti talenti
abili come il vostro sono andati persi per colpa del classismo dell’Impero?»
E Oreste non era
il solo; nei pochi mesi trascorsi al fronte, Aria aveva conosciuto non meno di
cinque giovani ufficiali altrettanto capaci, ma costretti dal proprio lignaggio
a vestire i panni di semplici subalterni, spesso alle dipendenze di superiori
che capivano di guerra come lei capiva di ricamo.
Aria apparteneva
ad un mondo in cui anche ai nobili di più basso rango era possibile aspirare a
raggiungere la vetta della piramide, a condizione di avere le qualità
necessarie per riuscirci, e per lungo non era riuscita a spiegarsi perché anche
nell’Impero non potesse essere così.
Ricordava ancora
come si era sentita il momento in cui, durante l’accademia militare, aveva
capito che il rispetto che tutti le portavano non derivava dai suoi meriti, ma solo
dal cognome che portava, e che anche se fosse stata l’ultima della classe le
cose non sarebbero state diverse.
Quindi si era
imposta di essere la migliore in tutto quello che faceva; le manifestazioni
esagerate di stima e le amicizie interessate la facevano arrabbiare come se non
più di prima, ma almeno quando si guardava allo specchio poteva dire a sé
stessa di meritare quei complimenti, per quanto ipocriti potessero essere.
Anche per questo
non capiva perché essere nobili di prestigio o appartenere a qualche famiglia
reale fosse l’unico requisito per poter aspirare ad una carriera promettente;
perché una persona non poteva essere gratificata in funzione di quanto impegno
metteva in ciò che faceva?
Ma anche se
l’Imperatore sembrava stare facendo del suo meglio per permettere anche a
piccoli nobili e perfino borghesi arricchiti di ritagliarsi la loro fetta negli
ambienti politici, l’esercito con tutte le sue tradizioni restava un monolito
impossibile da scalfire.
Anche per questo,
una volta finiti gli studi, aveva scelto quella strada, piuttosto che tornare a
casa e prendere il comando dell’esercito come avrebbe voluto suo padre.
Dall’ammissione
della schiavitù alla corruzione tra i nobili, nel corso degli anni la sua
patria aveva fatto proprie troppe cose dell’Impero che non le piacevano; e
visto che Saedonia ed Eirinn ormai erano legati
indissolubilmente, le cose sarebbero solo peggiorate se non fosse stato
l’Impero a cambiare.
Anche lei come
l’Imperatore era convinta che bisognasse procedere gradualmente, soprattutto in
un posto allergico ai cambiamenti come l’esercito, così all’inizio si era
ripromessa di non fare niente di avventato.
Ma ora le cose
erano diverse.
Ora non si
trattava più solo di provare a cambiare le cose; ora in gioco c’era il destino
della sua patria.
Di colpo tutti
quei propositi avevano perso importanza; tutto quello che contava era risolvere
la questione coi baroni il prima possibile e rivolgere subito tutte le
attenzioni al sud, prima che suo fratello malconsigliato dal loro zio facesse
qualcosa di irreparabile.
Ma come fare?
Come fare per
scardinare un modo di pensare e condurre la guerra vecchio di cinquecento anni
che nessuno aveva voglia di rimettere in discussione?
Alla fine aveva
capito che c’era solo una cosa da fare.
Ma prima di
commettere un atto del genere, di cui conosceva bene le conseguenze, voleva
tentare tutte le strade; non tanto perché temeva per sé stessa, quanto
piuttosto per non coprire di vergogna la sua famiglia, per non parlare
dell’Imperatore, che non sarebbe stato da biasimare qualora avesse deciso di
rimangiarsi la sua promessa.
Quando poi,
gettando il cuore oltre l’ostacolo, aveva manifestato le sue intenzioni alle
persone giuste, era rimasta stupita da come la maggior parte di esse, a
cominciare da Oreste, non solo non l’avessero dissuasa, ma si fossero mostrate
d’accordo con lei, ammirandola per aver trovato il coraggio di fare ciò che
loro avevano solo osato immaginare.
Così, alla fine,
aveva preso la sua decisione.
Ma prima di
passare ai fatti, voleva fare un ultimo tentativo.
Una volta a
settimana il Generale Tibullo convocava il consiglio
di guerra cui prendevano parte i suoi consiglieri e i comandanti delle cinque
legioni al suo comando coi rispettivi subalterni.
«Generale, vi
prego. Questa strategia non ci sta portando da nessuna parte, serve solo a
farci perdere tempo e a sacrificare per niente i nostri soldati.»
«Sto iniziando
davvero a stancarmi delle vostre rimostranze, Capitano Montgomery. Siete qui
solo da qualche mese e già pretendete di sapere tutto?»
«Il nemico
controlla il territorio. Lo conoscono e lo sfruttano molto meglio di noi. Ogni
volta che avanziamo loro abbandonano le posizioni più esposte per
riposizionarsi su quelle più favorevoli, l’offensiva si arena, noi siamo
costretti a ritirarci, e anche quando la sorte ci arride guadagniamo al massimo
poche miglia. Se vogliamo avere qualche speranza dobbiamo essere noi a dettare
le condizioni, non loro.»
«Generale, forse
dovrebbe ascoltarla.» disse Oreste. «La sua strategia potrà sembrare bizzarra,
ma ha senso.»
Forte del sostegno
del suo superiore, Aria incalzò.
«I Baroni si
dicono uniti, ma in fin dei conti sono solo un gruppo di individualisti che
pensa prima di tutto i difendere i propri possedimenti. Quando non avanziamo,
ognuno di loro tiene i propri soldati vicino a sé nei rispettivi feudi. Da dove
ci troviamo ora abbiamo la possibilità di lanciare offensive contro tutte le
regioni che stanno tra noi e Glasnet. Un attacco
coordinato lungo svariate direttrici, e non daremo ai nostri nemici tempo e
modo di organizzare una difesa comune. A quel punto il Barone Severus resterebbe con solo con le truppe dei feudi
orientali a sua disposizione, che anche messe insieme sarebbero pari alle
nostre.»
«Dividere le mie
legioni? Mi auguro che stiate scherzando! Non si è mai sentita una cosa del
genere! Dovrei mettere le mie forze in mano a qualche nobile da quattro soldi
figlio di un banchiere o di qualche mercante arricchito? Faremo come si è
sempre fatto. Uniremo le nostre forze, avanzeremo e sconfiggeremo chiunque si
metterà sulla nostra strada. Solo così si ottiene la vera gloria.»
«Solo così si è
certi della sconfitta, piuttosto! Ormai l’estate sta finendo, e questa sarà la
nostra ultima offensiva! Se falliamo dovremo aspettare l’anno prossimo, e queste
legioni servono altrove!»
«Adesso basta,
Capitano! Non mi importa se è stato l’Imperatore a mandarvi qui! Un’altra parola e vi farò sollevare seduta
stante dal vostro incarico!»
Allora, si disse
la ragazza, non c’era davvero altro da fare.
«Speravo di non
dover arrivare a tanto, ma a quanto pare non mi lasciate scelta.»
Ad un suo cenno
uno degli ufficiali fece un segnale, e subito dopo una decina di soldati
entrarono nella tenda con le armi spianate circondando il Generale e i suoi
fedelissimi.
«Che significa!?»
«Generale Tibullo, comandante dell’esercito. Generali Dario e Glabro,
comandanti della Quarta e Sesta legione. Da questo momento vi dichiaro
sollevati dai vostri incarichi, e con il consenso del Generale Oreste assumo il
comando di questa operazione. Sarete posti agli arresti nei vostri alloggi fino
al termine delle operazioni, quindi sarà Sua Maestà a decidere di voi.»
«Maledetta! Questo
è alto tradimento! Arrestatela subito!»
Ma nessuno gli
obbedì. Del resto, a parte i detti Glabro e Dario, tutti gli altri Generali
avevano già le idee molto chiare su chi era più meritevole della loro lealtà.
«Portateli via.»
«Non potete farlo!
Finirete tutti sul ceppo del boia! Lasciatemi!»
Tutti i Generali
si affrettarono a lasciare la tenda per confrontarsi coi propri uomini e
calmare gli animi, lasciando sola il nuovo comandante e il suo secondo.
«Spero che tu sia
consapevole di quali saranno le conseguenze per tutti noi.»
«Hai la lista che
ti avevo chiesto?»
«Stiamo già
provvedendo. Entro stasera avremo arrestato tutti gli ufficiali che li
sostenevano.»
«E le truppe?»
«Non preoccuparti,
ci seguiranno. Ormai hanno imparato a conoscerti. E comunque sanno di non
rischiare niente fintanto che obbediscono agli ordini.» poi l’attempato
generale ammiccò «A condizione ovviamente che questa operazione porti i
risultati sperati.»
«Convoca un nuovo
consiglio di guerra per domani mattina. E da ordine di cominciare a smantellare
il campo.»
«Ai vostri ordini,
Comandante.»
Il Barone Severus era così affezionato alla propria folta barba rossa
che ogni mattina passava delle ore a prendersene cura.
I suoi soldati ci
scherzavano sempre sopra, e dicevano che se un giorno il Generale si fosse
mostrato in pubblico con la barba incolta allora voleva dire che la sconfitta
era imminente.
Dirigere e fare
andare d’accordo un’accozzaglia di nobili più interessati a sé stessi che alla
causa non era un compito facile, ma era anche per questo che il Consiglio dei
Baroni aveva scelto lui come comandante supremo: chi meglio di un veterano della
guerra con Connelly che si era visto strappare i propri successi con quella
pace vergognosa poteva difendere meglio gli interessi dei separatisti e guidare
le loro forze in battaglia?
Severus sapeva meglio di
chiunque altro che quella non era una guerra come le altre. Era una guerra di
logoramento, in cui l’unico modo per vincere era spingere l’Impero a ritenere
il proseguimento delle azioni abbastanza dispendioso da non voler procedere
oltre.
E poi?
Il Consiglio si
era fatto tante di quelle fantasie negli anni che avere un’idea chiara di cosa
avrebbero effettivamente chiesto quando l’Imperatore avesse accettato di
negoziare era quasi impossibile.
Qualcuno parlava
apertamente di secessione, qualcun altro proponeva un vassallaggio
semi-indipendente; per ora Severus si accontentava di
concludere la guerra il prima possibile, e qualcosa dentro di lui gli diceva
che non ci sarebbe voluto molto.
Ormai era un
decennio che quel conflitto si trascinava stancamente da un anno per l’altro, e
dalle voci che giungevano dalla capitale si capiva che il Senato non era più
disposto a perdere milioni di goldie in quell’impresa senza futuro.
La volontà
dell’Imperatore di togliere il potere ai governatori per darlo ai nobili di Maligrad piuttosto che a sé stesso gli si stava ritorcendo
contro.
Bisognava solo
resistere un altro po’, forse solo un altro inverno.
Poi, tutto d’un
tratto, il momento decisivo sembrò essere finalmente arrivato.
Qualche giorno
prima un messaggero aveva portato la notizia che l’esercito imperiale aveva
iniziato a smantellare il campo, segno che il suo comandante era determinato
con quell’ultima offensiva a completare l’avanzata, o quantomeno a portarla il
più avanti possibile, senza alcuna intenzione di tornare sui propri passi in
caso di fallimento.
Tutte le mattine
prima di colazione, e al pomeriggio durante la pausa per il tè, il Generale
teneva un consiglio di guerra con i suoi due sottoposti, i Colonnelli Ofelia e Primus, per fare il punto delle campagne e pianificare le
prossime mosse.
«Buongiorno,
signori.» disse con la sua solita voce squillante e risoluta
«Buongiorno, pad… volevo dire, buongiorno Signor Generale.» disse
rispettosamente Primus «E permettetemi di essere il
primo ad augurarvi buon compleanno.»
«Apprezzo il
pensiero, ma era meglio se evitavi. Serve solo a ricordarmi che sto
invecchiando.»
«Buone notizie,
Generale.» disse Ofelia mentre il padre infilava gli occhiali per dare
un’occhiata ad alcuni rapporti. «Il nuovo carico di armi è arrivato questa
notte. La distribuzione ai soldati è già in corso, e sarà completata entro
oggi.»
«Ottimo. Ci
vogliono bene in Volkova.»
«Il Gran Re è
sempre contento quando qualcuno dà dei dispiaceri all’Imperatore.»
Il generale notò
poi che i segnalini sulla grande mappa delle
operazioni erano stati spostati rispetto al pomeriggio del giorno prima, e ne
chiese conto ai suoi due figli.
«Un rapporto
arrivato stanotte ci ha informati che il nemico ha iniziato ad avanzare lungo
la Via Franchigia.» disse Ofelia
«Quanti sono?»
«Due legioni.
Probabilmente le altre sono rimaste indietro ad ultimare lo smantellamento del
campo. Le stiamo tenendo d’occhio, avremo un nuovo rapporto entro stasera.»
«Che notizie dai
Baroni Melk e Ortis?»
«Hanno lasciato i
rispettivi domini con i loro eserciti e si stanno muovendo come ordinato.»
rispose Primus «Se il tempo non li rallenta
arriveranno alla Valle di Falken entro quattro
giorni.»
Non era la prima
volta che la valle diventava il campo di battaglia dell’ennesimo scontro tra le
truppe dei Baroni e l’esercito imperiale, e Severus
trovava quasi riprovevole che anche dopo tutte quelle sconfitte il nemico si
intestardisse a voler passare da lì. Tutto perché era la via più rapida verso
il cuore del dominio ribelle.
«A quanto pare
sarà un’altra facile vittoria.»
«Non essere troppo
sicuro di te, figliolo. Ogni battaglia è unica, e non è detto che le cose
vadano sempre allo stesso modo. Inviate dispacci anche ai Baroni Eraclio e Udrecht. Che radunino le loro forze e si preparino ad una
eventuale avanzata.»
«Vi aspettate una
resistenza superiore?» chiese Ofelia
«Non voglio
correre rischi.»
Da buon soldato il
Barone Severus detestava le occasioni formali, ma non
poteva certo rifiutarsi di presenziare al ricevimento per il proprio
compleanno.
Quella sera nel
palazzo di Glasnet si era radunata quasi tutta la
meglio nobiltà ribelle, o almeno quella che non doveva preoccuparsi di
difendere i propri feudi dall’ennesima avanzata dell’esercito imperiale.
Per la prima volta
dopo tanto tempo regnava l’ottimismo, la convinzione che se fossero riusciti a
resistere ancora uno, massimo due anni, allora finalmente le loro
rivendicazioni sarebbero state ascoltate.
Nella sala da
ballo, ognuno degli invitati spendeva il tempo come più gli aggradava, chi
danzando, chi conversando, chi dando fondo alle pietanze.
L’ospite d’onore
cercava di svicolare ad ogni possibile occasione, intrattenendosi a parlare
solo con altri ufficiali e condottieri; Ofelia, in uniforme e con la spada alla
cintura, risultava accattivante e minacciosa allo stesso tempo; Primus metteva a frutto le sue doti di inguaribile
sciupafemmine corteggiando una giovane dietro l’altra.
Sembravano esserci
tutte le premesse per una serata incantevole e serena, allietata dalla musica,
dal cibo e dalla spensieratezza.
E invece, per
molti di loro quello sarebbe stato l’ultimo momento felice della loro vita.
Il primo a notare
l’arrivo dell’esploratore capo, esausto, coperto di fango e pioggia e con
l’espressione sconvolta, fu lo stesso Severus, che
aspettava solo l’occasione buona per poter svicolare.
Pochi minuti dopo Primus venne interrotto dalla sorella nel bel mezzo di una
danza.
«Nostro padre ha
convocato il consiglio d’urgenza. Dobbiamo andare subito.»
Ma intanto la
notizia aveva già fatto il giro degli invitati, ed era una notizia di quelle
capaci di sconvolgere anche la persona meno interessata alle sorti della
guerra.
«Le armate del
Baroni Melk e Ortis sono state intercettate lungo la
strada per Falken.» disse il messaggero dopo che il
Generale e i suoi figli si furono appartati in una stanzetta accanto alla sala
da ballo. «Il nemico li ha sorpresi in ordine di marcia e li ha sbaragliati. Il
Barone Melk è finito in mani nemiche, il Barone Ortis
invece è caduto in battaglia.»
In un colpo solo
la ribellione aveva perso due dei suoi capi più autoritari e simbolici.
Ma la cosa davvero
sconvolgente era il modo in cui quella sconfitta era maturata.
Già non era
normale che un’armata procedesse separatamente, ma in mille e più anni di
storia le campagne militari erano sempre state decise da un’unica battaglia,
con due generali uno di fronte all’altro alla testa dei rispettivi eserciti.
Da quando in qua
un Generale imperiale aveva così tanta fiducia nei suoi uomini da affidare loro
non solo il compito di marciare separatamente, ma addirittura di attaccare per
conto proprio?
«A che punto è Virilus? Ci sono notizie di lui?»
Il Barone Virilus era il signore delle terre in cui sorgeva la Valle
di Falken, ed era anche il più caro amico e
collaboratore del Generale, uno degli iniziatori assieme a lui della rivolta a
cui altri si erano successivamente aggiunti.
«A quest’ora
dovrebbe aver già raggiunto la valle.» disse Ofelia
«Mandategli subito
un messaggero per avvisarlo dell’accaduto. Ditegli che deve fortificare la
valle con tutto quello che ha. E ditegli che lo raggiungeremo entro cinque
giorni.»
«Sissignore.»
«Inviate
messaggeri in ogni provincia. Voglio tutti i Baroni qui a Glasnet
domani sera per un consiglio generale.»
Mandati via gli
ospiti Severus andò quindi a dormire, lasciando
ordini perentori di svegliarlo qualora fossero arrivate altre notizie
importanti.
Ma una notizia
importante arrivò solo la mattina dopo, mentre il Generale e i suoi figli
facevano colazione; ed era una notizia che non avrebbero mai voluto ricevere.
«Il Barone Virilus è morto, Generale! Il nemico lo ha sorpreso a Falken nella notte, mentre stavano ancora approntando le
difese!»
«Ma com’è stato
possibile!?» sbraitò Primus, ormai convinto come la
sorella di trovarsi in un brutto sogno. «Gli ultimi rapporti dicevano che il
nemico era ad almeno trenta miglia di distanza dalla valle! Come hanno fatto ad
arrivare lì così in fretta?»
«Devono aver
marciato anche di notte.» disse cupamente Severus.
«Ed essendo solo due legioni la loro avanzata è stata molto più agile.»
I loro peggiori
incubi stavano diventando realtà.
In dieci anni le
legioni imperiali non erano mai andate oltre la Valle di Falken,
né erano riuscite ad uccidere nessuno dei capi della rivolta. Questo nuovo
comandante, chiunque fosse, aveva ottenuto in tre giorni quello che i suoi
predecessori non avevano ottenuto in un decennio.
E non era ancora
finita.
Come Severus temeva la lealtà di molti Baroni era tutto fuorché
certa; fu così che prima ancora di mezzogiorno molti altri esploratori giunsero
con la notizia che pressoché tutti i Baroni delle regioni più occidentali si
stavano arrendendo uno dopo l’altro senza neanche combattere, lasciando
l’esercito imperiale libero di avanzare senza ostacoli lungo tre diversi
fronti.
Quella sera, al
consiglio generale tra tutti i comandanti ribelli, oltre al padrone di casa
c’erano appena cinque Baroni seduti al tavolo; Lady Ottavia, Lord Dias, e i Generali Vorenus, Brenicus e Abelardo.
«Inutile prenderci
in giro, amici miei. La situazione è drammatica. Quasi tutte le province più a
ovest sono cadute o si sono arrese, e al momento il nemico avanza senza
incontrare praticamente resistenza.»
«Sono solo un
branco d’idioti se si illudono che l’Imperatore avrà pietà di loro.» disse Vorenus. «Quando abbiamo preso in mano la spada sapevamo
bene che questa strada poteva portarci solo alla vittoria o al patibolo.»
«Vorrei sapere
perché hanno aspettato tanto per scagliarci contro questo Generale.» disse
Abelardo «Sappiamo almeno di chi si tratta?»
«Ho sentito delle
voci secondo cui ci sarebbe una donna alla guida dell’esercito.» disse Brenicus «La figlia del Granduca di Eirinn, a quanto dicono.»
«Che cosa
facciamo, Severus? Ormai l’esercito imperiale è quasi
giunto ai confini della mia provincia.»
«Tranquilla Octavia, non ti abbandoneremo. Vi prometto che non
procederanno oltre nella loro avanzata.»
«A cosa stai
pensando?» chiese Dias
«Il nemico
attualmente sta avanzando lungo tre direttrici. Ma tutte le strade che stanno
percorrendo convergono qui. E questo è un passaggio obbligato, visto che da qui
si controlla il ponte che passa sull’Asmar. Senza
questo ponte il nemico dovrebbe spingersi molto più a nord per poter
oltrepassare il fiume, perdendo tempo. Questa pianura sarà ideale per lo
scontro. La foresta impedirà l’accerchiamento, e da questa collina domineremo
il campo di battaglia.»
«Se tengono
quest’andatura saranno lì in meno di una settimana.» disse Abelardo «Saremo in
grado di organizzare le difese in così poco tempo?»
«Abbiamo già a
disposizione trentacinquemila uomini. Siamo in inferiorità numerica, ma non
sarebbe certo la prima volta. Vorenus, quanto tempo
ti ci vorrebbe per radunare le tue forze?»
«I miei
quindicimila soldati come sai sono quasi tutti volontari e coscritti. Visto che
tra poco ci sarà la vendemmia li avevo mandati a casa per occuparsi dei campi.
Per richiamarli, riarmarli e portarli a ovest…»
«Puoi farcela ad
essere lì entro una settimana?»
«Sicuramente.»
«Allora è tutto
nelle tue mani, amico mio. Noi andremo lì, prenderemo possesso della pianura e
ci prepareremo alla battaglia. È vitale che tu ci raggiunga in tempo.»
«Conta su di me,
non ti deluderò.»
«E voialtri,
preparatevi. Voglio fino all’ultimo soldato disponibile. Se necessario armate
anche gli schiavi e promettetegli la libertà in caso di vittoria. Io l’ho già
fatto con i miei. Dobbiamo vincere solo quest’ultima battaglia. Se riusciamo a
sopravvivere anche a questo, allora vorrà dire che Gaia è davvero al nostro
fianco, e a quel punto neanche l’Imperatore potrà più negalo.»
La valle dell’Asmar, era il punto in cui la catena montuosa di Galath che segnava il confine nordorientale tra l’Impero e
il Granducato di Eirinn si diradava in un susseguirsi di vaste pianure,
intervallate lungo il corso del fiume da campi coltivati e fitte foreste.
Era un fiume
impetuoso, difficile da oltrepassare, quindi ogni attraversamento di grandi
dimensioni era un tesoro da difendere a tutti i costi.
Dal colle che
dominava il campo di battaglia Severus poteva vedere
alle sue spalle il grande ponte di pietra da cui erano passati e a sinistra il
piccolo villaggio di Hoselveck.
Come previsto
dagli esploratori le tre armate erano confluite nella pianura tramite
altrettante strade da est, nord e sud, arrivando con sconvolgente coordinazione
attorno a mezzogiorno del settimo giorno e fissando il loro campo a circa due
miglia di distanza.
I soldati erano
sicuramente esausti per la lunga marcia, che doveva essere stata interrotta
solo per combattere o per brevi momenti di riposo, e lo scoppio di un temporale
era stato per il nemico un motivo ulteriore più che valido per posticipare la
battaglia al giorno dopo.
Tanto meglio, si
era detto Severus, visto che Vorenus
in questo modo avrebbe avuto sicuramente tutto il tempo per arrivare con i
rinforzi.
Al sorgere del
sole, al termine di una notte che il Generale spese dormendo il più piacevole
sonno della sua vita, le due parti si posizionarono sul campo di battaglia
pronte allo scontro.
Severus aveva disposto le
sue truppe su due linee, con i veterani davanti al centro al comando del figlio
e i soldati più giovani schierati subito dietro, guidati da sua figlia. Il
Generale Abelardo comandava l’ala sinistra, mentre sulla destra era schierata
la cavalleria di Brenicus, inclusi duemila dei
famigerati cavalieri nordici, in cui Severus riponeva
grandi speranze. Le riserve coscritte dei Baroni Octavia
e Dias completavano lo schieramento.
L’esercito
imperiale rispondeva con una formazione a dir poco atipica, nella quale quello
che saltava immediatamente all’occhio era che il comandante nemico aveva
schierato solo quattro legioni, rendendo la differenza numerica assai più
contenuta rispetto a quanto previsto.
Effettivamente per
tutto quel tempo i rapporti degli esploratori avevano parlato sempre di sole
quattro legioni in movimento –la quarta, la quinta, l’ottava e la nona
rispettivamente–, mentre la settima sembrava come scomparsa nel nulla. E le
cosa ovviamente inquietava Severus, che temendo di
vedersela comparire dal nulla da un momento all’altro aveva preferito tenersi
da parte più riserve del solito, pronte ad essere schierate appena fosse stato
necessario.
Aria dal canto suo
aveva schierato la nona legione a sinistra, la quinta e la sesta al centro, la
cavalleria tra il centro ed il fianco e la nona a sinistra. Concludeva il tutto
una nutrita schiera di ausiliari e mercenari a fare da riserve.
«Perché ha
schierato i veterani della quarta su un fianco e le reclute della nona dalla
parte opposta?» si chiese giustamente Severus. «Se la
nostra cavalleria dovesse riuscire a sfondare, quel fianco sarebbe esposto.»
C’era sicuramente
qualcosa sotto, tant’è che il Generale rinunciò subito all’idea di dare inizio
alla battaglia con una prima carica di cavalleria leggera come era sua
abitudine.
Narrare lo scontro
tra eserciti che si affrontavano secondo la dottrina militare di Saedonia non era sicuramente il sogno di un novellista;
niente assalti di barbari che si lanciavano come una mandria di bufali contro
le ordinate linee imperiali, accolti da lanci di frecce e decimati dalle armi
da assedio, niente cariche eroiche che assestavano il colpo di grazia.
Era uno scontro
logorante e faticoso, con due linee di fanti che si affrontavano in formazione
serrata fino a che una delle due cedeva alla pressione e si ritirava, cedendo
il posto a quella subito dietro. Il primo comandante che esauriva le linee, o
la cui cavalleria andava in rotta permettendo a quella avversaria di attaccare
il fianco, o le cui ali cedevano lasciando il centro sguarnito aveva perso.
Tutto qui. Al
massimo ci si poteva mettere un po’ di strategia per cercare di massimizzare i
propri sforzi, ma alla fine era essenzialmente l’esperienza a determinare il
vincitore.
Ma evidentemente,
pensava Severus, la signorina Montgomery doveva aver
saltato quella lezione all’accademia, altrimenti avrebbe schierato i veterani
della quarta al centro invece che su di un lato.
Alle nove del
mattino la battaglia ebbe inizio.
E contrariamente a
come era abitudine per i vecchi comandanti –ad eccezione di Severus
ovviamente– fu la cavalleria ad aprire le danze, avanzando al trotto seguita
appresso dalla nona e dalla sesta e formando così una sorta di punta di freccia
puntata contro il fianco dello schieramento nemico.
Anche il resto
dell’esercito imperiale si mosse di lì a breve, in una sorta di linea obliqua
con il fianco destro più avanzato di quello sinistro sinistro,
una grossa fetta di ausiliari a supporto di quest’ultimo e la restante parte,
sicuramente veterani, a chiudere il varco al centro.
Neanche un pazzo
avrebbe portato avanti il suo intero esercito senza tenersi da parte almeno un
po’ di riserve; Aria, pensò Severus, doveva essere
molto intraprendente o molto incosciente per commettere una tale imprudenza.
Ableardo comandò ai suoi
uomini di restare fermi ad aspettare l’urto, facendo scagliare raffiche di
frecce appena i nemici furono abbastanza vicini. Nel momento in cui il trotto
divenne una carica i soldati alzarono le lance, e anche se ci voleva ben altro
per impensierire i cavalli e i cavalieri imperiali quel muro acuminato riuscì a
restare compatto, assorbendo l’impatto della cavalleria e successivamente
quello della fanteria senza sfaldarsi e impegnando il nemico nel corpo a corpo.
I veterani della
Quarta Legione rischiavano però di essere una gran brutta gatta da pelare
persino per Ableardo e i suoi uomini, così quando la
sua linea non sembrò in grado di contrastare l’assalto senza perdere terreno Severus ordinò ad Ofelia di andare a dar loro supporto con
metà del centro.
La manovra, pur
non riuscendo nel tentativo di prendere il nemico sul fianco, sortì però
l’effetto sperato, e pian piano la linea imperiale sembrò perdere coesione,
prima arrestandosi e quindi iniziando persino a cedere, arretrando di alcuni
metri.
Per evitare che
gli ausiliari veterani potessero portare supporto e nel mentre chiudere anche
il varco apertosi nel centro, il vecchio Generale ordinò anche a Primus di avanzare; e il giovane, che non aspettava altro,
si scagliò assieme ai suoi uomini contro il nemico come un toro infuriato,
dando prova ancora una volta del suo coraggio e del suo talento come guerriero.
«Per il momento
abbiamo arrestato l’avanzata. Continuiamo a spingere.»
«Cosa facciamo sul
fianco destro?»
Da quella parte le
truppe imperiali avevano gradualmente rallentato l’avanzata, forse perché
spaventate dal fatto che sia al centro che sulla destra i loro compagni
apparivano in difficoltà.
«Non sono una
minaccia per ora, e stanno marciando in formazione serrata con i picchieri in
prima fila. Attaccarli adesso non farebbe altro che danneggiare la nostra
cavalleria. Inoltre da dove si trovano possono bloccare facilmente un attacco
sui fianchi del centro. Dite a Brenicus di restare
fermo.»
Peccato che Brenicus fosse un tipo irruento e focoso tanto quanto i
suoi cavalieri, che non ci pensava minimamente a rinunciare alla sua parte di
gloria in quell’epico scontro.
Così, alla vista
delle legioni che dopo aver perso tutto lo slancio sembrarono iniziare persino
ad arretrare, non ci pensò due volte a fare un’altra delle sue famose mattate.
«Suonate la
carica!»
«Ma Generale, non
abbiamo ricevuto ordini.»
«Al diavolo gli
ordini, basta un ultimo colpo e quella massa di rammolliti scapperanno come
tanti conigli! All’attacco, miei prodi! Il nemico è davanti a noi!»
Naturalmente Severus non fu per nulla felice di vedere tutti i cavalieri
del suo esercito partire all’attacco senza autorizzazione, lasciando il fianco
destro completamente sguarnito.
«Maledetta testaccia di legno!»
L’arrivo di una
simile carica avrebbe fatto scappare chiunque, ma pur essendo in buona parte
giovani reclute con poca esperienza, incredibilmente, le truppe imperiali
rimasero salde.
I picchieri
piantarono saldamente le armi nel terreno, formando una selva di punte contro
cui molti cavalli andarono ad impalarsi assieme ai loro cavalieri. Quindi, una
volta assorbito adeguatamente l’urto, le tre linee che procedevano una dietro
l’altra si aprirono come un ventaglio, creando una sacca in cui Brenicus e i suoi uomini, pur riuscendo a non essere
circondati, si ritrovarono a venire attaccati su tre lati.
Ma i cavalieri
nordici non si erano guadagnati la loro fama di diavoli a cavallo senza una
ragione; la loro esperienza, nonché apparente assenza di paura permise loro,
malgrado la situazione, non solo di resistere, ma addirittura ad un certo punto
perfino di prevalere, iniziando a spingere con forza il nemico sempre più
indietro fin quasi alle sue posizioni di partenza.
Sarebbe bastato
che una sola delle tre unità impegnate in combattimento andasse in rotta per
lasciare Aria e il suo stato maggiore pericolosamente scoperti. Ma nonostante
ciò la giovane Montgomery non sembrava intenzionata a spostarsi su posizioni
più sicure, rimanendo immobile ad osservare lo svolgersi della battaglia
circondata dai suoi uomini.
«Ha fegato. Questo
glielo concedo.»
La situazione si
era quindi capovolta, coi ribelli che spingevano e le legioni imperiali che
cercavano di mantenere la posizione.
E proprio in
questo momento arrivò una notizia più che gradita.
«Generale, alcuni
abitanti del villaggio dicono di aver visto truppe in arrivo da nord-est!»
«Finalmente Vorenus è arrivato. Inviategli un messaggero. Appena arriva
deve attaccare subito il
fianco destro nemico.»
«Sì, Generale!»
«È un’occasione
perfetta, Severus. Mandiamo avanti le riserve.»
«Niente affatto, Dias.»
«Ma…»
«C’è ancora una
legione là fuori di cui non sappiamo niente. Per quanto ne sappiamo potrebbe
sbucare fuori ovunque e in qualunque momento.»
«I nostri
esploratori non ci hanno riferito niente.» disse Octavia.
«Potrebbero persino essere a miglia da qui.»
«Non intendo
restare a corto di uomini se prima non avrò una chiara idea di cosa posso
aspettarmi. Si tratta solo di pazientare qualche altra ora, finché non arriverà
Vorenus.»
Così la situazione
rimase sostanzialmente in stallo, con le forze ribelli incapaci di assestare il
colpo finale e le legioni troppo provate dall’avanzata e dallo scontro
prolungato per riguadagnare terreno.
Severus dal canto suo non
sapeva come comportarsi; la logica suggeriva di sfruttare il momento e mandare
avanti le riserve per spingere ulteriormente, ma l’istinto d’altro canto gli
diceva di aspettare, preoccupato com’era che quella testa matta di cui aveva
sentito così tanto parlare avesse qualcos’altro in serbo per loro.
Purtroppo neanche
nei suoi incubi peggiori avrebbe potuto prevedere quello che Aria aveva in
mente.
Anche se la Volkova finanziava generosamente le attività dei ribelli, e
gli stessi Baroni non erano sicuramente dei poveracci, armare ed equipaggiare
decine di migliaia di uomini di certo non costava poco.
Capitava così
molto spesso che gli eserciti ribelli fossero equipaggiati in modo molto
disomogeneo, a volte riutilizzando le stesse uniformi imperiali a cui venivano
semplicemente staccate le insegne.
Ecco quindi che
specialmente per dei contadini poco abituati a veder passare dei soldati fosse
facile scambiare una vera legione imperiale per soldati alleati, soprattutto se
non portava insegne.
La verità era che Vorenus e i suoi uomini, già il giorno prima, erano stati
sorpresi, assaliti e spazzati via nel bel mezzo della marcia; la Settima
Legione si era mossa con una velocità mai vista prima, guadando il fiume più a
nord e spostandosi attraverso i boschi per piombare sul nemico quando questi
meno se l’aspettava.
Che i contadini e
la gente del posto li avessero confusi per truppe ribelli dirette verso la
battaglia era solo una coincidenza molto fortuita e molto gradita, che ebbe
l’unico effetto di palesare quanto stava accadendo quando ormai era troppo
tardi.
«Non è Vorenus!» esclamò Severus alla
vista dei nuovi arrivati che apparsi da oltre il colle si apprestavano ad
attraversare il ponte. «È il nemico!»
Prima ancora che
si potesse pensare di fare qualcosa la Settima Legione aveva già oltrepassato
il fiume e si preparava ad entrare in battaglia.
Tutto quello che Severus poté fare fu ordinare a metà delle sue riserve di
correre subito in aiuto del fianco sinistro prima che questi potesse venire
attaccato alle spalle. Effettivamente la manovra riuscì e la situazione rimase
tutto sommato sotto controllo, ma la cosa davvero drammatica era che ora la
principale via di fuga in caso di sconfitta era stata tranciata.
E purtroppo non
servì molto prima che anche i soldati in battaglia se ne rendessero conto, con
tutte le inevitabili conseguenze; alla baldanza fece posto la paura, la fiducia
nella vittoria divenne timore di sconfitta.
Così la situazione
si capovolse nuovamente, e con la sola eccezione della cavalleria di Brenicus tutto il resto del fronte ribelle ricominciò a
indietreggiare, mentre le truppe imperiali diventavano sempre più audaci.
Se non altro quasi
tutti i soldati ribelli erano veterani, che conoscevano la posta in gioco e che
erano disposti a combattere fino alla morte se necessario, ben sapendo cosa
poteva succedere a chi veniva catturato se quel giorno il comandante nemico
fosse stato di cattivo umore.
La battaglia
rischiava di congelarsi, tornando ad essere uno scontro di attrito in cui era
la volontà a prevalere.
Occorreva un colpo
risolutivo.
Che puntualmente
arrivò.
Arrivò nella forma
di due grandi unità di cavalleria, che apparvero quasi dal nulla sul campo di
battaglia alla destra di Severus sotto il comando di
Oreste in persona.
Il Generale non
poteva saperlo, ma quelle unità si erano staccate dall’armata già da diversi
giorni, e seguendo alla lettera gli ordini avevano compiuto un lungo giro,
portandosi a est del campo di battaglia giungendo sul posto persino prima
dell’arrivo dei due eserciti; e una volta qui avevano atteso, ben nascoste
dietro ad un colle boscoso, l’ordine di attaccare.
Ad uno squillo di
trombe, gli oltre mille cavalieri si scagliarono prepotentemente sia contro la
cavalleria di Brenicus, colpendola alle spalle, che
addosso alle poche riserve rimaste a disposizione di Severus,
travolgendole prima che potessero provare a reagire.
A quel punto, le
conseguenze furono rapide e inevitabili.
Sempre più
spaventati e confusi, tutti i settori dello schieramento imperiale persero
coesione, lottando disperatamente non più per vincere ma solo per cercare di
salvarsi fino a ritrovarsi isolate le une dalle altre.
Sulla sinistra, le
riserve subirono un aggiramento da parte della Settima Legione, finendo a
lottare schiena contro schiena con loro compagni fino a ritrovarsi
completamente accerchiati.
A sinistra, la
cavalleria continuò a lottare strenuamente, ma incalzata da tutte le direzioni
subì uno stillicidio che si trasformò in fuga disperata nel momento in cui i
soldati videro Brenicus tirato giù da cavallo e
finito a colpi di lancia.
Solo il centro
resisteva, ispirato da Primus, e sembrava che
nonostante tutto quella parte del fronte potesse resistere un altro po’, magari
ispirando con il suo esempio anche tutti gli altri.
Non fosse altro
che a quel punto, quasi a voler chiudere la questione una volta per tutte, Aria
fece una cosa che nessun altro generale prima di lei aveva fatto negli ultimi
duecento anni; sguainata la sciabola, sventolando contemporaneamente la
bandiera imperiale e il vessillo di famiglia, si lanciò personalmente alla
carica.
Primus e i suoi uomini
vennero travolti e tranciati come erbacce dalla falce, e fu Aria in persona a
decapitare con un colpo preciso il comandante avversario per poi puntare dritta
verso il cuore dello schieramento nemico.
Isolato, con il
suo esercito disperso o in rotta, con negli occhi l’immagine del figlio morto
in combattimento, il vecchio Generale non ebbe altra scelta. Nello stesso
momento in cui Dias si piantava il pugnale nel petto
e Octavia ingeriva il contenuto del suo anello, la
bandiera ribelle venne ammainata, e prima ancora che la carica di Aria potesse
raggiungerli Severus e la sua guardia avevano già
deposto le armi.
E così, la
Battaglia di Hoselveck era conclusa.
Un’operazione
durata dieci giorni aveva messo fine ad una guerra civile che andava avanti da
dieci anni.
Il simbolo della Famiglia
Montgomery era un’aquila bifronte. Per questo, nel giro di pochi giorni, in
ogni angolo dell’impero tutti avrebbero parlato solo di lei: dell’Aquila dell’Eirinn.
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
Come promesso
eccomi di ritorno a circa un mese di distanza con il quarto volume di questa
mia light novel.
Ho voluto
aspettare più tempo di quanto inizialmente previsto per mettermi in pari con la
pubblicazione della versione inglese su wattpad,
pertanto da ora in poi le storie dovrebbero essere rilasciate in contemporanea.
Con questo quarto
volume la storia mette definitivamente il turbo, gli eventi inizieranno a
susseguirsi con una certa rapidità e si andrà nel vivo dell’azione nel vero
senso della parola.
A onor del vero, a circa metà di questo volume vi sarà una
importante digressione che potrebbe aprire la strada a degli sviluppi
inaspettati, ma ve ne parlerò meglio al momento opportuno.
A presto!^_^
Cj Spencer