[Akuro Cinderheart]
I corridoi di questo luogo sono bui. I residenti non
si preoccupano degli abomini o non gli interessa l’incolumità dei prigionieri.
Il dialogo dei due che mi tengono sollevata per le
braccia è l’unico rumore che ci accompagna, è preoccupante non sentire voci o
lamenti di altri detenuti. Quel Fion ha parlato di
“essere disciplinata”, non mi sorprenderebbe scoprire che tutti i reclusi
subiscano punizioni se non seguono gli ordini delle guardie.
Il mercenario più vecchio dei due mi tira indietro, mi
obbliga a voltarmi. Alza il sopracciglio tagliato da una delle numerose
cicatrici che solcano il suo volto. “Siamo sicuri che non le abbiano tagliato
la lingua? Non ha fiatato neanche una volta.” Sono diventata il soggetto del
loro discorso, non che mi importi realmente, una volta dietro le sbarre si
abitueranno alla mia presenza.
L’altra guardia è più giovane, ma ha quell’espressione
di un novizio entusiasta di metter mano alle armi. “Probabilmente aspetta il
momento giusto, ha dovuto affrontare il nobile Fion,
starà recuperando le forze. O sarà ancora stordita dai glifi.”
“Eh? A me sembra che stia meglio di me.”
“Non ci vuole molto, ti sei mai visto in faccia? Ahahah.”
“A tua sorella piace questo volto vissuto.”
“Guardiana traditrice, non ricordarmelo.”
Questi due imbecilli inizieranno una rissa prima
ancora di mettermi in cella, ed è l’interazione più positiva che ho visto negli
ultimi mesi. Non che abbia avuto interazioni positive di recente. Se si
facessero beccare da un superiore potrebbero dare la colpa ai miei poteri,
anche se le stanze sono cosparse di glifi inibitori. Di leggende strane sui
poteri dei darkrariani ce ne sono innumerevoli.
“Tu che ne pensi, mostro?” Il vecchio si avvicina col
viso, guardo verso il pavimento. “Ti sembro così brutto?” Il suo alito puzza di
alcol, giro la testa schifata.
“Ha! Sei repellente anche per una come lei!” L’altro
mi strattona per il braccio e aumenta l’andatura, spalanca un portone.
La stanza è ben illuminata a differenza del resto
della prigione, ben curata, una serie di tappeti rossi ricoprono la
pavimentazione. Alzo lo sguardo, m’irrigidisco, alternati a essi vi sono una
serie di teche rettangolari di grandi dimensioni. Il loro contenuto, a prima
vista, è un esemplare di ogni creatura rara. Volanti, quadrupedi, con capacità
peculiari o semplici animali da monta. Man mano che ci addentriamo passo
velocemente in rassegna: una banshee appesa alla cima della teca a testa in
giù, un dodot dall’inusuale manto rosso che mi segue
con lo sguardo, un warax. Ricordo che Arial aveva
addestrato una di quelle lucertole crestate per irrigidirsi in modo da
diventare un’ascia.
“Eccoci qui, la tua nuova dimora, darkrariana.”
Siamo fermi di fronte a una teca larga due metri
quadrati, al suo interno vi è un’altra figura rannicchiata. Probabilmente una
mia conterranea. Uno dei due batte il pugno sulla teca.
“Ehi, darkrariana, sveglia!”
La ragazza non dà segno di aver sentito. La guardia
sbatte i pugni più forte. “Ehi, mostro, alzati!”
“Lascia perdere, è cotta.”
Il collega più giovane lo guarda in cagnesco, fa un
passo in avanti e preme una mattonella delle poche lasciate scoperte dal
tappeto. La teca sfarfalla per qualche istante e poi scompare. Lui prende in
spalla la prigioniera e si allontana. Una punta metallica fredda mi preme sulla
schiena. “Dentro.”
Faccio quei due passi necessari per entrare nell’area
delimitata in precedenza dalla teca. A breve mi troverò sotto vetro come tutte
le creature in questa stanza, inspiro l’ultima boccata di “libertà”.
La superficie che si forma attorno a me è opaca, le
due figure delle guardie sono diventate macchie sfuocate. Così si assicurano
che non possa ricordare i volti di chi viene ad “ammirare” questa collezione.
Perché tirate le somme, il contrasto tra questa stanza e il resto della tenuta
è evidente: questo è il museo personale di Fion.
Psicopatico.
“Bene darkrariana.” Le voci
sono ben distinguibili invece, il che è strano considerando la struttura
chiusa. “Usa i tuoi poteri.”
Questo luogo sarà pieno di glifi, sono quasi certa di non
poter usare il dono di Erlathan nemmeno volendo. “Mi
rifiuto.”
Uno dei due si avvicina alla teca. “Fallo o useremo le
maniere forti.”
“Mi. Rifiuto.”
La guardia ringhia, fa un altro passo, sento uno
scatto. Una corrente d’aria calda mi avvolge, la temperatura si sta alzando
rapidamente in maniera innaturale. Manipolatore di iuxx?
Non credo, quelle mattonelle devono far parte di un meccanismo. Inspiro, l’aria
è molto calda, gocce di sudore scorrono sul mio viso, ho le vertigini. Divarico
le gambe e chiudo gli occhi secchi. Questo per loro sarebbe il modo per
“disciplinare”?
Crollo in ginocchio, respirare mi fa bruciare i
polmoni. Premo le mani contro la teca gelida. Com’è possibile? Mi appoggio ad
essa con la fronte ma non basta a darmi sollievo. Scivolo contro il vetro.
Hanno un sistema per interferire con le mie percezioni? Mi guardo il braccio,
non vi è segno di bruciature o vesciche.
A cosa serve una tortura del genere?
Acqua gelida mi scrocia nelle orecchie, mi metto a
sedere di colpo. Sono fradicia, il gelo mi è entrato fino alle ossa. Mi stringo
le spalle.
“Non siete così tosti come decantate eh?” Di nuovo la
voce del tizio con le cicatrici.
Le figure oltre la teca sono numerose, abbastanza da
sembrare un’unica distesa opaca oltre il vetro. Guardarle mi provoca fitte alle
tempie, la testa sembra voler scoppiare. Punto le mani a terra, le gambe non
vogliono saperne di muoversi, un paio di dita metalliche battono contro la
teca, sussulto tanto è forte il suono nelle mie orecchie.
“Allora, il sonnellino ti ha rinfrescato le idee?” La
stessa voce, è la guardia di prima. “Qui vogliono assistere tutti allo
spettacolo sai? Usa quei poteri, ora.”
Alzo lo sguardo, cerco di capire quale parte di quella
macchia offuscata sia la testa del mio interlocutore, la fisso. “Mi rifiuto.”
Sento nuovamente lo scatto. L’aria diventa rovente, le
fitte mi attraversano la testa, sopprimo a fatica il conato di vomito che sale
per la nausea. Ne ho abbastanza. Vogliono vedere i poteri dei loksh di Erlathan. Darò loro
quello che vogliono.
La fiamma che mi scalda il petto è ben diversa dal
calore aggressivo della loro tortura. La vista torna nitida, la cenere rovente
si distacca dal mio corpo come se ne facesse parte. Per la prima volta da
quando sono in questa gabbia riesco a respirare propriamente. Mi tiro su. Li
spaventerò per fargli spegnere quel dispositivo. Un fischio mi assorda, la
debolezza mi coglie di nuovo, la fiamma del mio potere si spegne mentre picchio
le ginocchia a terra. Il calore mi arroventa la pelle, e serra la mia gola. Porto
una mano al collo, ma non c’è nulla ad impedirmi di respirare.
Le risate dei presenti mi assordano, è come se ogni
suono fosse amplificato in mezzo a quel fischio. Ho dimenticato la presenza dei
glifi inibitori.
“Come ci si sente a essere impotenti, stronza?”
Tutto quello che volevano era prendersi gioco di me,
dovevo aspettarmelo. Il lato positivo è che non ho realmente causato danni a
nessuno, anche se avrei voluto. Questa gente sarebbe moralmente migliore delle
persone con cui condivido il sangue? Siete spregevoli quanto loro.
Tengo la testa appoggiata contro il vetro fresco, un
minimo sollievo dopo aver passato buona parte della notte a essere denigrata da
quella gente. Non devo chiudere gli occhi, c’è ancora una figura in fondo alla
stanza. Potrebbe lanciarmi un’altra secchiata d’acqua gelida se mi vedesse
priva di sensi.
Vorrei dormire.
La figura si avvicina, mi distacco dalla superficie
per mostrargli che sono sveglia.
“Hai sete?”
Non sono sicura che mi stia prendendo in giro, la
sagoma che distinguo è più piccola rispetto a quella delle guardie, è una voce
che ho già sentito… Per esclusione credo sia il giovane col fucile che era
sulla carrozza.
Deglutisco a fatica, ho la gola secca, ma non voglio
rischiare di essere avvelenata. Scuoto la testa.
“Eh… capisco l’orgoglio, ma non credo che voi darkrariani funzionate diversamente da un essere umano.”
Uno scatto. Sta attivando il meccanismo solo perché mi sono rifiutata di bere?
Un braccio passa attraverso la teca, poggia un bicchiere d’acqua a pochi
centimetri da me e si allontana.
Forse avrei potuto tentare la fuga in quell’istante,
ma a che scopo? Sono priva di forze e nel cuore di un luogo disseminato di
glifi inibitori. Inoltre sembrano presenti numerose zone tenute volontariamente
al buio, oltre alle guardie dovrei preoccuparmi degli abomini.
“Posso chiederti una cosa?”
Il ragazzo non si è allontanato, persistente. Alzo lo
sguardo in sua direzione. La sua figura si sposta un paio di volte, forse si è
messo seduto davanti alla teca. “Perché non hai opposto resistenza?”
“Vent’anni fa non avevo nemmeno i denti da latte, e
invece ci trattate come se avessimo combattuto tutti in quella guerra.” Abbasso
lo sguardo sul bicchiere, ho la gola in fiamme. “Il mio unico peccato è il mio
retaggio, discendenza di cui non ho colpa. Non mi farò passare per il mostro
che non sono.”
“È difficile credere a gente della vostra… specie.”
Per un istante ho pensato fossi meglio degli altri.
Invece sei razzista come tutti. “Allora perché cerchi di parlare con me?”
La figura alza le spalle. “Sei diversa da loro. O
almeno, sei la prima che non tenta di strapparmi la faccia.”
Sono la prima che si è arresa contro tre persone che
mi hanno assalita senza che facessi nulla. Abbasso lo sguardo.
Il giovane sospira seccato, si alza. “Anche le persone
normali diventano mostri qui. Mi chiedo per quanto riuscirai a mantenere questo
atteggiamento.”
La macchia si allontana sempre di più fino a sparire.
Forse posso concedermi di chiudere gli occhi.
La secchiata gelida arriva come previsto, mi strappa
un sussulto inorridito. Risate attorno a me, le figure oscurano la teca. Mi
sono addormentata per troppo tempo.
Il vetro torna trasparente, vedo di nuovo le facce dei
miei aguzzini. Lo sfregiato pianta una mano sulla teca, il suo ghigno deforma
il volto solcato da cicatrici.
“Allora marmocchia, te la stai prendendo comoda con la
tua vendetta. Il posto è di tuo gradimento?”
Il posto sarà quello in cui dovrò giacere fino alla
mia dipartita, per pagare un crimine che non ho commesso, non ha senso lamentarsi,
voi esseri meschini godreste maggiormente. Mi guardo intorno, molte delle
creature chiuse nelle altre teche girano nel poco spazio a disposizione
infastidite. Loro dovrebbero essere libere al posto di questi animali.
“Ragazzi, oggi tocca a me stare ai fornelli!” Una
guardia entra dalla porta, è quella dall’aria giovane, la stessa armatura
sembra compensare la stazza mancante rispetto agli altri. Su uno degli
spallacci cade un sassolino dall’alto. Seguo la traiettoria.
Diversi metri al di sopra della porta vedo il glifo
inibitore inciso su una delle pietre che costituiscono la parete, lo avranno
messo così in alto per impedire che fosse danneggiato. Una piccola figura si è
arrampicata fino a esso, sembra una bambolina di pezza, le grandi mani in legno
hanno dita staccate dai palmi e grattano sul glifo come per cercare di
cancellarlo.
“Che cazzo è?!”
La creatura si ferma come se avesse capito che il
commento era riferito a lei. Si volta, i grandi cerchi rossi che ha per occhi
ci scrutano per qualche istante, poi volta nuovamente la testa e riprende a
grattare la pietra.
“Prendete un arco e buttate giù quell’affare prima
che-”
La bambola pianta le dita nei solchi e tira, la pietra
si stacca e precipita assieme a essa, la guardia all’ingresso si sposta appena
in tempo per non essere abbattuta. Peccato.
C’è un attimo di silenzio, tutti si voltano verso di
me. Entrambi abbiamo capito che la situazione è drasticamente cambiata. La
fiamma nel mio petto si scalda, afferro il bicchiere d’acqua e lo bevo in un
sorso mentre mi alzo, mi provoca delle fitte alla gola tanto era secca. Il mio debole
riflesso nel vetro sfoggia le corna da loskh, alzo le
mani e le stringo, piccoli frammenti di energia rossa si distaccano da esse
come cenere. Allargo le braccia, la teca s’infrange sotto i pugni, le guardie
estraggono le spade.
Ghigno per sembrare minacciosa, apro le mani e genero
delle fiamme su di esse. "Volevate vedere il mostro? Vi accontenterò!"
Mi limiterò a spaventarli… forse acciaccarli.
Sfregiato sferra un affondo, afferro con la mano la
lama, ruoto il polso, il metallo cigola e si spezza. La sua espressione
rabbiosa diventa spaventata, gli sorrido di rimando, con una manata sul petto
lo spedisco fuori dalla stanza, travolgendo quello all’entrata. Via di fuga
libera, e mi sono tolta uno sfizio.
Altri quattro uomini si lanciano alla carica, piego le
dita delle mani, le fiamme avvolgono i miei arti, scaglio due sfere di fuoco
tra loro, l’esplosione si espande violenta, colpisce i cavalieri e li scaglia
contro le pareti.
Da dietro una delle teche esce un’altra guardia, la
spada che ha in mano è diversa dalle altre, percepisco una forte energia
provenire da essa. L’uomo sferra un fendente che traccia una mezzaluna di luce
che si dirige rapida verso di me. Ruoto il busto e faccio un passo laterale,
l’attacco mi scuote la frangia mentre passa oltre. Il muro alle mie spalle
esplode.
Quell’alwe è
pericoloso.
Stendo il braccio in avanti, scaglio una piccola sfera
di fiamme gialle e la scaglio in avanti, l’esplosione che segue sbalza via la
guardia e il suo Alwe.
Mi guardo intorno. Non saprei dire se gli altri sono
fuggiti o se hanno sfruttato i piedistalli di alcune teche per nascondersi.
Sono ancora vivi. Dagli la caccia.
Fagliela pagare…
Scuoto la testa, la mia priorità è fuggire al momento.
Molto probabilmente appena fuori da questa stanza i glifi inibitori nelle altre
potrebbero interferire con il dono di Erlathan.
Tuttavia…
Alzo lo sguardo. Il soffitto è parecchio alto,
potrebbe esserci al massimo un’altra stanza al di sopra prima del tetto. Se
riuscissi a darmi sufficiente spinta da superare l’ipotetica stanza superiore e
raggiungere l’esterno potrei mantenere i miei poteri intatti. Nel caso
peggiore, potrei trovarmi in aria senza freni per l’atterraggio. Vale comunque
la pena tentare, arriveranno sicuramente rinforzi da un momento all’altro.
Stringo nuovamente le dita, le fiamme nelle mani vorticano diventando sempre
più calde, dal rosso passano nuovamente al giallo.
Prima di tutto devo farmi strada.
Stendo le braccia verso l’alto, sprigiono la fiammata
con entrambe le mani, i detriti che sfondano la pavimentazione superiore
vengono sciolti dal calore prima ancora che possano cadere a terra.
Barcollo leggermente. Usare il dono in questo stato
mi costa comunque uno sforzo notevole.
Alzo la testa, incanalo più ossigeno possibile. Mi
concedo questo breve momento per osservare nuovamente il cielo dall’apertura
che ho creato.
[Karin Alden]
A capitolo
concluso abbasso di scatto il libro. Nessuna risatina idiota, nessun segno di
roba da mondi fantastici. Myra non è arrivata, strano.
Rilasso le
spalle. Non vedo l’ora di rimettermi al lavoro. Gli altri avranno fatto di
tutto. Chissà se mi hanno lasciato la lattina da spaccare per vendicarmi.
La porta
della stanza si apre. Con mia sorpresa non è Myra a entrare, ma Suzuna.
“Buongiorno
Karin.” La marmocchia si avvicina tirandosi dietro la sua immancabile valigia.
C’è così tanta roba di vario genere là dentro che non mi sorprenderebbe
scoprire che ci tiene anche una cura contro le malattie terminali. Suzuna si mette sulla sedia accanto al letto, poggia le
mani sulle gambe. “Hai scoperto qualcosa dalle tue indagini letterarie?”
Parla come
mangi, hai dodici anni, non sputarmi vocabolari addosso. “Che nei fantasy non c’è
un maschio decente?”
La nanetottola china appena la testa di lato, allarga la bocca
a disagio. “Questo non ci è molto d’aiuto.”
“Allora
leggilo tu. Il fantasy è per bambini no?” Ipocrita da una che si è trovata in
un altro mondo. Non sembra dare peso alle mie parole.
“In verità,”
Suzuna caccia una mano nella giacca, tira fuori un
orologio da taschino. “I motivi per cui sei stata consigliata per questo
incarico dalla sottoscritta sono molteplici, al di fuori della mia serrata
agenda: una buona lettura periodica migliora le competenze linguistiche ed
empatiche, inoltre riduce lo stress e stimola il pensiero e la riflessione.
Ritengo che tu possa allenare altre parti del tuo corpo al di fuori dei muscoli
in questo periodo di riposo. E di certo un arricchimento del tuo bagaglio
culturale non farà che giovarti in futuro-”
Premo le
mani sugli occhi. Mi fa male la testa. “Smetti di parlare, ti imploro. Ho
capito, continuo.” Come fa a mettere tante parole in fila?
“Eccellente.”
Suzuna apre l’orologio, lo fissa spalancando gli
occhi. “Oh, il tempo a mia disposizione è scaduto.” Ricaccia l’orologio nel
taschino e salta giù dalla sedia, mette nuovamente mano alla valigia. “Pazienta
ancora qualche giorno e verrai dimessa.”
Guardiana,
grazie che l’hai fatta smettere. Le rotelle della valigia sono musica per le
mie orecchie. Il dizionario vivente si ferma sulla soglia.
“Karin.” Si
volta verso di me.
Oh no. Non
ricominciare.
“Ho affidato
a te questo incarico perché credo che tu possa farcela. Crediamo in te.”
Distolgo lo
sguardo, fisso verso la finestra. Io sono più una che agisce più che
riflettere, non sono un cervellone.
“Con
permesso.”
La porta si
chiude con uno scatto leggero.
Abbasso lo
sguardo sulla copertina del libro. Insistono così tanto a rendermi più della
teppista che ero prima di incontrarli. Non dovrebbe importargliene nulla della
forza lavoro, non gli serve che una solo brava a menare sappia capire la trama
di un libro. Non riesco a capire i miei capi.
Riapro il
libro. Se è arrivata Suzuna, nessun’altro del Gamble
apparirà per un po’. Ed è l’unica cosa che posso fare per loro al momento.