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Autore: S05lj    24/03/2024    0 recensioni
La storia segue le vicende della primissima linea temporale di Mortal Kombat.
Ambientata secoli prima delle vicende conosciute nel primo torneo, la Regina Sindel è costretta a sposare Shao Kahn, dopo la sconfitta di Edenia per mano dell'armata dell'Outworld. Sola, disperata, ma restia ad abbandonare la speranza, Sindel ordisce un piano per tentare di dare a sua figlia un futuro lontano dal Regno Esterno. Per farlo, però, è costretta a stringere un patto con uno straniero, uno stregone venuto da un regno sconosciuto, dalla moralità ambigua e dalle ambizioni sconosciute. Shang Tsung.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Noir | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sindel
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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La Resistenza, come si facevano chiamare, era solo uno, dei numerosi gruppi armati di ribelli che agiva nella capitale. Il loro capo, l'Osh-Tekk Torkias, aveva una visione molto personale del concetto di libertà. Per lui si era liberi solo quando a comandare non ci fosse stato Shao Kahn. Il suo odio nasceva da una buona dose di speranza che chi fosse succeduto all'imperatore attuale sarebbe stato sicuramente meglio. Sicuramente era un idealista, e qualche lutto familiare a causa delle leggi di Shao Kahn, lo avevano portato a mettere insieme quello che ormai si trattava di un manipolo di dieci uomini Osh-Tekk, con cui organizzava di tanto in tanto qualche sabotaggio ai danni delle guardie o delle esecuzioni pubbliche.

L'uomo che Kollector aveva riferito essere andato a cercare la cartina delle ronde delle guardie, era invece un Edeniano, appoggiato da molti suoi connazionali che, come Nitara, non si volevano arrendere alla sconfitta in guerra e continuavano a lottare per essere liberi. Lui e il suo gruppo erano ancora in una ventina, ma quasi tutti erano schiavi, con poche possibilità di libertà di movimento, economiche e materiali; si arrangiavano con quello che potevano, spesso raccattavano i pezzi per strada e ci fabbricavano armi. Erano senza dubbio i più agguerriti e determinati, ma anche i più avventati e forse i più stupidi. Era stato opera loro l'attentato alle guardie Tarkatan.

Poi c'erano almeno un'altra decina di cellule più piccole, peggio organizzate, ma che ogni tanto riuscivano a mettere a segno un buon colpo, e spesso ci rimettevano tutti la pelle.

Non era stato facile trovarli tutti e radunarli. Ci avevano impiegato quasi un mese, ma alla fine erano lì.

Durante le prime ore di assemblea, chiusi in quella che un tempo era stata una locanda per forestieri, Nitara aveva capito bene due cose.

La prima, era che ognuno di loro era spinto da un motivo personale, e la seconda, che nessuno di loro aveva un passato da soldato.

Erano disorganizzati, inadatti, guidati solo da ideali e forza di volontà, mal celata dal fanatismo.

Volevano uccidere, ma non sapevano come farlo, e si accontentavano di colpire a tradimento, o alle spalle, perché in verità, avevano una paura che gli faceva tremare le gambe e la mano, non sapevano guardare realmente la morte in faccia.

Bo' Rai Cho, in piedi al suo fianco, sembrava estremamente divertito dalla confusione che si era creata nella piccola sala, troppo piccola per contenere tutte quelle persone. E mentre i ribelli si urlavano addosso colpe e accuse su attentati non riusciti, Bo' Rai Cho si divertiva ad incitare quando un gruppo, quando un altro, per alimentare la rissa che stava per scoppiare.

-Adesso basta! - Non urlò più di tanto, ma il suo tono deciso fece voltare tutti i presenti. -Non vi ho radunati per vedervi litigare l'osso, o per sentire i vostri racconti su quante vittime, ipotetiche, siano state mietute dai vostri attentati. -

Adesso aveva la loro attenzione.

-Vi ho radunati per creare una coalizione. -

-Hey ragazzina, ma sei seria? Hai visto quante razze sono riunite qui dentro? - A parlare era stato il capo della Resistenza.

-Si, sono seria. - Rispose lei avvicinandoglisi. -E non chiamarmi ragazzina, potrei essere tua madre. - C'era una vaga nota di minaccia in quella frase, un sentore di violenza repressa pronta ad esplodere.

-Dovete abbandonare ogni sentore di disputa fra di voi, e coalizzarvi, per colpire con un unico fronte unito, il nemico principale. Shao Kahn. -

-Non abbiamo armi, né risorse... quello che facciamo mette in pericolo noi e le nostre famiglie. Esporci più di così sarebbe un suicidio. -

-Si, è vero. - Nitara guardò l'uomo che aveva parlato dritto negli occhi. -Voi avete pensato a colpire il più forte possibile con quello che avevate, e questo è un errore. - Lasciò vagare il suo sguardo sulle persone che la stavano ascoltando. -Quanti di voi hanno prestato servizio in un esercito? - Nessuno alzò la mano, ma questo lei già lo immaginava. -Una guerra si combatte se si ha possibilità di vittoria. Quando siamo in inferiorità numerica, logistica, e armamentaria, non si combatte, si tratta un armistizio. -

-Per te dovremmo arrenderci? - Domandò qualcun altro.

-Se volete insistere a combattere in queste condizioni, si. Vi consiglio di arrendervi, stare il più possibile con le vostre famiglie e accettare i compromessi necessari per vivere una vecchiaia serena. - Strinse forte i pugni. -Ma se quello che volete è sbarazzarvi di Shao Kahn, io vi dico di unirvi a me. Lasciatevi addestrare, lasciatevi guidare. Io vi darò le armi e le armature, vi fornirò le informazioni necessarie e vi guiderò lungo la strada che ci porterà alla libertà. -

Sembrava averli convinti, cominciarono a parlottare tra di loro, ma sapeva che almeno la metà li aveva convinti.

Bo' Rai Cho si sporse leggermente verso di lei, parlandole a bassa voce nell'orecchio. -Bel discorso ispirato. Ma una guerra si combatte con dei soldati, non con macellai e fornai. -

-Una guerra si combatte con questo. - E si portò una mano a toccarsi il lato sinistro del petto.

Il ragazzo si lasciò andare uno sbuffo a mezzo tra lo scocciato e il divertito.

-Il cuore non ferma la lama di un Tarkatan o un Centauro al galoppo. -

-Per questo ci sei tu. - Gli sorrise in maniera strafottente. -Per aiutarmi ad addestrarli. -

 

Quanto era passato dalla caduta di Edenia? Yane non riusciva a contare il tempo, le era difficile. Passava le sue giornate rinchiusa nella sua camera, in attesa del prossimo cliente. Se in un primo momento aveva odiato la vecchia Fenzy, la donna che gestiva la casa di tolleranza, per il suo approccio così indelicato e i suoi modi rozzi e sbrigativi, senza un briciolo di pudore o remore nello sbattergli in faccia quello che era divenuta, dal momento in cui la sua patria era caduta e lei l'aveva acquistata, con il tempo aveva imparato ad apprezzarla.

Fenzy ci teneva alle sue ragazze, non gli faceva mancare niente, e pretendeva che gli avventori facessero altrettanto.

Quando la porta della camera si aprì, il volto rugoso della vecchia apparve sul vano. La vecchia Fenzy usava vestire abiti incredibilmente pomposi e usava un trucco pesante nel vano tentativo di nascondere rughe talmente profonde da sembrare le venature di un tronco d'albero.

-Che succede? - Domandò incuriosita dalla sua presenza.

La vecchia entrò lentamente nella stanza, ma aveva una strana luce negli occhi, sembrava quasi gioiosa. Non l'aveva mai vista così contenta.

-C'è un signore che vorrebbe... comprare una ragazza con le tue qualità. - Fenzy le si fermò a pochi cm dal viso. -Vuole conoscerti, ma sono sicura che gli piacerai. -

Yane corrugò la fronte, il panico l'assalì. -Volete vendermi? Non potete. Che ne sarà di mia figlia! Comprerà anche lei? -

Fenzy mosse le mani in su e in giù come a tentare di farle capire che doveva calmarsi. -Lo sai che io sono disposta a tenerti. Mi porti un sacco di buoni clienti e buoni soldi, ma quest'uomo... - Sembrava veramente su di giri. -Devi vederlo... lo sai, se non vuoi, io sono disposta a tenerti qui, ma secondo me faresti l'errore della tua vita. -

Yane annuì deglutendo a vuoto, con una lentezza esasperante si alzò e si posizionò sul letto. Sapeva che quella posa riusciva a far perdere la testa ad ogni uomo.

Fenzy sembrò contenta del suo comportamento ed uscì, la sentì parlare con qualcuno nel corridoio, poi dalla porta fece il suo ingresso un uomo che non aveva mai visto.

Sembrava un edeniano, ma non lo era. Aveva la pelle più chiara, tendente all'oro, lunghi capelli neri gli ricadevano sulle spalle, tirati indietro in un chignon. Aveva un volto strano, più lungo che quadrato, non presentava rughe, aveva un volto liscio e impassibile, ad eccezione del pizzetto nero che gli nascondeva una bocca sottile.

Dava l'idea di essere un aristocratico, anche se aveva un fisico piuttosto sviluppato a giudicare dalle pieghe che gli abiti prendevano, soprattutto sul petto e intorno alle spalle.

Aveva dei lunghi e profondi occhi neri che la guardavano in una maniera che le sembrò la stessero perforando.

Si sentì a disagio.

Avrebbe dovuto dire qualcosa per spingerlo tra le sue braccia, ma quello sguardo, invece, la spinse a coprirsi. Afferrò il lenzuolo del letto e se lo portò davanti al petto seminascosto dal corsetto che indossava.

-Fenzy mi ha detto che volete acquistarmi. -

-Non è esatto. - Rispose l'uomo con un leggero movimento ironico del sopracciglio destro. -Sono venuto qui per proporvi un lavoro. - Avanzò con passo sicuro nella stanza, abbozzando un sorrisetto che era un perfetto connubio tra spavalderia e ironia. -Non molto differente da quello attuale, devo ammettere... -

Non le piaceva come le si rivolgeva, aveva un'aria da superiore che la irritava. Un'aria che aveva visto tante volte nello sguardo dei clienti più altolocati. Sorrise maliziosamente, sfidandolo con un'occhiata irriverente. Quanti clienti con quello sguardo avevano perso la loro superbia sdraiati nel letto con lei, per lasciarsi andare ad espressioni e gemiti ben più imbarazzanti.

-Non sono abituata a tanti rigiri di parole. Cos'è che volete? -

-Acquistare i vostri servigi. - Corrugò la fronte come se si fosse ricordato in quel momento di qualcosa d'urgente. -Che sfacciato, non mi sono nemmeno presentato. Io sono Shang Tsung. - Le fece un inchino, salvo poi godersi la sua espressione sorpresa nell'udire quel nome.

-Shang Tsung? L'arcistregone dell'Imperatore? -

-Vedete... un generale del'Imperatore è sospettato di avere, come dire, degli affari piuttosto... individuali. Se accettaste il lavoro vi dovrete infiltrare tra le sue schiave personali e spiarlo. -

Le scappò da ridere. -Perché mai dovrei immischiarmi in affari di stato? La mia vita qui è redditizia. Fenzy mi tratta bene, e non rischio la vita. Perché dovrei lasciare tutto e rischiare il collo per colui che mi ha costretto i questa condizione? - Si alzò dal letto e indossò una vestaglia per coprirsi. -Conosco i membri dell'esercito, sono delle bestie. Shao Kahn merita di venire spolpato da quei miserabili di cui si è circondato. -

-Io vi darei la libertà. - La buttò lì, come se fosse la cosa più scontata di questo mondo.

-Come? -

-Avete sentito bene. Lavorate per me, fate un buon lavoro, e voi e vostra figlia sarete libere. -

Il suo sguardo doveva valere più di mille parole, come faceva l'arcistregone di corte a sapere di sua figlia?

Come se fosse in grado di leggerle nel pensiero, l'uomo riprese a parlare, con un sorriso affabile, per metterla a suo agio.

-Sono abituato ad essere scrupoloso nelle mie ricerche. -

Mentre attendeva una sua risposta inclinò appena la testa verso destra, con quel sorrisetto compiaciuto, era sicuro di aver avuto quello per cui si era spinto fino ai bassifondi della città.

-Accetto, ma ad una condizione. - Si alzò in piedi e gli si avvicinò fino ad arrivare a pochi centimetri da lui. -Mia figlia deve restare fuori da questa situazione. Non voglio che diventi un bersaglio o che rischi chissà quali pericoli al palazzo. Lei deve rimanere qui, con Fenzy. -

-Come volete. -

Accettò, ma Shang Tsung già lo sapeva, come era possibile rifiutare?

La sua bambina la salutò sulla soglia della porta, l'abbracciò forte e dovette trattenere a stento le lacrime per non spaventarla. C'era qualcosa di strano in quel momento. Non capiva cosa fosse, forse un presentimento, forse era semplicemente il fatto che fino ad allora non si era mai separata dalla sua piccola per più di un giorno, ma quella sera, mentre la stringeva tra le braccia inspirando il suo odore, sentiva un enorme peso gravarle sul petto.

-Mamma, perché te ne vai? - Le chiese guardandola con i suoi grandi occhi marroni.

-La mamma deve andare a lavorare per un po' da quell'uomo. - La bambina lanciò solo una fugace occhiata truce all'arcistregone che l'attendeva pochi metri più avanti, vicino ad una carrozza. -Ma tornerò presto amore mio. - Le carezzò una guancia. -Tornerò a prenderti e ce ne andremo solo tu ed io. E staremo sempre insieme. -

Fenzy, dietro alla bambina, fece un profondo sospiro mentre le toccava una spalla per cercare di trasmetterle un po' di forza, tramite quelle dita ossute e ferme.

Le dette un bacio sul naso con un sorriso triste, prima di alzarsi e guardare negli occhi la vecchia che l'aveva tenuta in vita per tutti quegli anni e che più di tutti si era dimostrata gentile nei suoi confronti.

-Grazie di tutto. -

-Vai cara. Ci penso io a lei. Stai tranquilla. -

Annuì con un movimento rapido della testa, prima di voltarsi e raggiungere il suo accompagnatore.

-Mi dispiace avervi fatto attendere. -

Lui non rispose, le aprì la portiera della carrozza e lei lo osservò titubante, ma salì in silenzio.

Chissà perché lo aveva fatto? Guardò sua figlia e Fenzy, ancora ferme sulla porta a salutarla, e riuscì a distogliere lo sguardo solo quando il cocchiere svoltò l'angolo nascondendole alla sua vista.

-Non dovevate farlo. Il vostro rango è superiore al mio. -

Shang Tsung la osservò per qualche istante, sembrava pensieroso, per un attimo ebbe l'impressione che le stesse per dire qualcosa, ma poi sorrise in maniera breve, come se con quel lesto sorriso avesse scacciato un pensiero.

-Sono nato gentil'uomo, miss Yane. Voglio che vi fidiate di me. - Si piegò in avanti, avvicinandosi a lei. -Sono curioso. Vostra figlia vi somiglia molto, ma ditemi, anche suo padre era di Edenia? -

-Si. Morì durante la battaglia di conquista. -

Non parlarono più per il resto del viaggio, ma stranamente sentiva una connessione con quell'uomo. Era come se con quelle poche parole si fossero legati con un legame indissolubile. Ma aveva ragione lui. Lei si doveva fidare. Anche e soprattutto perché una volta dentro le mura del castello, lui avrebbe significato la sua unica conoscenza e in caso estremo, sarebbe stato la sua unica ancora di salvezza.

 

I primi attentati colpirono delle ronde di guardia, in ogni attentato morirono quattro soldati semplici, di loro vennero trovati solo i corpi nudi. Le uniformi e le armi erano sparite.

Poi erano stati attaccati dei carri rifornimenti, durante l'ultimo attacco era morto un tenente.

Tra i soldati il morale stava calando a vista d'occhio, e gli episodi di violenza gratuita contro la popolazione aumentavano.

Shao Kahn non aveva mai lasciato dubbi in merito al suo comportamento, se mai fosse scoppiata una rivoluzione popolare non avrebbe esitato a sedarla nel sangue, e non aveva dubbi sulle sue capacità combattive, o su quelle dei suoi uomini, ma era altrettanto vero che non era una soluzione a cui auspicava, di conseguenza, per evitare che il popolo insorgesse contro i soldati prima, e contro di lui poi, decise di affiancare Shang Tsung a Reiko.

In fin dei conti l'arcistregone era stato un allievo di Drahmin, avrebbe senza dubbio saputo affrontare meglio un interrogatorio, e la sua indole scaltra e riflessiva sarebbe stata di aiuto ad un carattere violento e brutale come quello del generale.

Shao Kahn era appoggiato allo stipite alla finestra della sua stanza, osservava con sguardo perso le costruzioni della città, cercando di riconoscere quali di quelle costruzioni esistessero prima del suo impero.

Quel pensiero lo fece correre immediatamente alla figura dell'arcistregone.

Per tanti versi Shang Tsung gli ricordava se stesso da giovane, quando giunse alla corte del suo signore Onaga, anche lui, come il terrestre, era in cerca di potere e conoscenza, ma allo stesso tempo i due divergevano su molti aspetti. La più importante era l'ambizione. Spesso aveva la sensazione che Shang Tsung non avesse un vero e proprio scopo per fare quello che faceva, sembrava che vagasse senza alcun intento preciso ed era un peccato, visto che quando gli era stata affidata una missione aveva dimostrato un acume e un intelletto veramente sopraffino. Certo doveva considerare anche che se così non fosse stato, se Shang Tsung si fosse dimostrato ambizioso come lui, forse lo avrebbe ammazzato seduta stante quella volta che i Tarkatan lo portarono al suo cospetto in catene.

L'ambizione era pericolosa, spingeva i codardi a tentare imprese eroiche e gli eroi ad ergersi ad imperatori.

Guardò pensieroso il calice di vino che stringeva nella mano e facendolo roteare tra le sue dita osservò il liquido vermiglio che rifletteva la luce della stanza, tornando con la mente a secoli, se non addirittura ere prima di tutto quello. Fu inevitabile pensare che Onaga stesse bevendo un calice di vino come quello quando fu tradito.

Si voltò di scatto ad osservare le schiave che dormivano esauste nel suo letto. Chi di loro gli aveva versato da bere? Ed esattamente quando?

Allungò la mano fuori dalla finestra e versò il vino nel vuoto sottostante. Non poteva fidarsi di nessuno.

Gli fu inevitabile pensare a Drahmin. Non si sarebbe mai immaginato che un uomo dall'intelletto affinato e scaltro come lui potesse arrivare a sfidare forze talmente potenti da essere inconcepibili.

Lui non poteva sapere del rischio che gli aveva fatto correre, non sapeva che il suo trono gli era stato offerto direttamente dagli Dei e che quel gesto sconsiderato poteva rovinare tutto quanto. Lo aveva definito stolto, ma quello che agiva contro poteri incommensurabili era lui.

Il calice che stringeva in mano sembrò incrinarsi e si accorse solo in quel momento che lo stava stringendo con forza.

Doveva calmarsi, il pericolo era passato, gli Dei non avevano incolpato lui per quanto accaduto alla Veggente, ma solo Drahmin, che adesso avrebbe passato l'eternità nel Netherrealm sottoposto ad atroci torture, plasmato dalla magia degli Dei in modo da non morire, condannato ad un'esistenza di dolore e sofferenza.

Un destino che non avrebbe augurato a nessuno, anche se doveva ammettere che il disegno divino fosse ironico. Un uomo come il generale, che aveva passato la sua intera esistenza ad infliggere dolori, adesso doveva passare l'eternità a subirli. Gli scappò un mezzo sorrisetto, ma fu inevitabile pensare a quale sarebbe stata la sua fine. Un uomo come lui, che aveva fatto del potere la sua esistenza, come sarebbe morto? Forse malato, senza più facoltà motorie? Senza nessuno che si occupasse di lui?

Pensiero stolto. Lui non sarebbe finito in quel modo. Piuttosto sarebbe morto prima, lui non sarebbe finito come uno storpio, non sarebbe diventato dipendente da nessuno. La sua morte sarebbe stata in un'esplosione di luce e gloria. Così se ne va un Imperatore, così se ne va un Kahn.

 

Sindel osservava pensierosa il suo riflesso allo specchio, il suo volto era mutato, così come il suo corpo. Nel corso di quei due anni era dimagrita, i muscoli avevano lentamente cominciato a riemergere da sotto la pelle, sulla pancia cominciavano ad intravedersi gli addominali, mentre i muscoli sulle gambe sembravano tornati ad essere quelli di un tempo.

Non poteva fare a meno di riflettere che il suo corpo, non era mai stato il corpo di una regina, ma bensì di una guerriera.

Il solo momento nella sua vita in cui si era sentita davvero una regina era stato durante il suo matrimonio con Jarrod. Ed era emblematico come infatti il suo corpo fosse cambiato, divenendo più morbido e meno tonico, addolcendole la linea della mascella e degli zigomi. Adesso che era dimagrita, il suo viso era pallido, gli occhi sembravano più grandi del solito e gli zigomi alti davano alle guance un apparenza ancora più magra.

Allungò un braccio e ne osservò il muscolo stendersi e contrarsi ad ogni suo movimento. Era ancora un braccio delicato, ma gli allenamenti con Sheeva si facevano vedere, presto le sue braccia sarebbero divenute alla pari di quelli di un uomo. Doveva mettersi in forma, tenersi pronta. Non poteva più permettersi di rallentare, doveva combattere. Non per se, ormai si giudicava perduta, ma per Kitana, per la sua felicità. Non le importava se la sua vita sarebbe stato un calvario di lotta e sofferenza, ma il suo sacrificio sarebbe servito a dare felicità alla sua piccola.

Lei non avrebbe mai permesso che le succedesse qualcosa. Non avrebbe mai permesso che soffrisse come le era successo a lei, avrebbe fatto di tutto. Anche trasformare il suo corpo in uno strumento. Sarebbe stata capace di tutto per lei.

La sua vita, la sua morte, e tutta la sua esistenza sarebbero stati per lei.

 

Nitara aveva trovato quel posto per caso. Un giorno era salita su quel tetto, che a prima vista avrebbe definito uno dei più alti, per controllare lo svolgersi delle attività quotidiane nelle strade; adesso invece ci era salita per sfuggire, per una notte, alla pressione della guerra.

Quel pensiero, era inutile negarlo, le aveva fatto un po' paura, mai, durante la guerra per Vaeternus aveva pensato di sfuggire, anche solo per qualche minuto, alla battaglia. Era vano domandarsi che cosa fosse cambiato in lei, perché in fin dei conti era cambiato tutto.

Era cambiato il motivo per cui combatteva, a Vaeternus lo faceva per la sua patria, per i suoi fratelli, adesso lo faceva solo per vendetta. Aveva caricato i ribelli, colmato il loro cuore di speranza per una vittoria impossibile, e tutti la guardavano come se fosse stata una messia.

Abbozzò un sorriso amaro assaporando la brezza serale che era solita levarsi al calar del sole. Era bello sfuggire alle menzogne ogni tanto.

Non era una messia, non era una salvatrice e non era nemmeno una ribelle, era solo una veterana di guerra con tanto odio e tanta rabbia che usava dei disperati per mettere a tacere l'irrequietezza del suo animo. Cercava vendetta non per il suo popolo, ma per il suo orgoglio.

Una folata di vento le buttò giù il cappuccio nero che solitamente le celava il viso, alzò la testa ad osservare la luna grande e alta nel cielo, la sua pelle, era chiara proprio come la luce di quella luna.

-Immaginavo di trovarti qui. -

Voltandosi di scatto vide Bo'Rai Cho che avanzava lentamente verso di lei.

-Stai attento a dove metti i piedi. - Lo ammonì con fermezza, ma al contempo stupendosi di quanto sapesse essere silenzioso un uomo della sua stazza.

Uomo, ma cosa pensava? Bo' Rai Cho non era un uomo, era poco più di un ragazzo, e lei lo stava usando. Aveva preso la sua disperazione e l'aveva reindirizzata per il suo tornaconto personale. A volte si faceva schifo da sola, ma al contempo non riusciva a tirarsi indietro.

-Come mai quassù tutta sola, in solitaria solitudine? - Le si sedette a fianco, con un'espressione canzonatoria, la luna illuminava anche il suo volto. Aveva smesso di farsi la barba e ora una leggera peluria nera gli ombreggiava mascella e mento, facendolo sembrare più vecchio.

-Potrei farti la stessa domanda. - Ribatté non riuscendo a negargli un sorriso.

-Allora credo che mi toccherà rispondere per entrambi. - Bo' Rai Cho rivolse il suo sguardo alla città sotto di loro. -Direi che è bello ispirare questi ribelli nel loro intento, ma a volte è altrettanto bello sfuggire alla pressione di essere un leader e ritirarsi un po' da soli, in compagnia di noi stessi. -

-Davvero è questo il motivo per cui sei venuto quassù? - Era incredibile come riuscisse a capirla in quel modo, possibile che anche lui provasse i suoi stessi timori e magari anche lui veniva assalito dai suoi stessi dubbi?

-No, in realtà dovevo parlarti di una cosa importante e ti avevo visto salire qui. -

L'aveva presa in giro, ma la cosa non la fece arrabbiare, anzi, la fece ridere e lo colpì con un pugno alla spalla.

-Sempre il solito. Riuscirai mai ad essere serio? -

-Ci sei già tu che sei abbastanza seria per entrambi. - Si strinse nelle spalle. -E poi mi piace vederti sorridere. -

Erano strani i suoi occhi, ma tutta la sua figura era strana, era un misto di antitesi che andavano a convivere in perfetta e affascinante armonia.

-Di cosa dovevi parlarmi? -

-Temo che Reiko abbia scoperto la mia copertura. -

Lo guardò con ansia, se così fosse, era in grave pericolo di vita. -Ne sei sicuro? -

-No, ma c'è qualcosa di strano nei documenti che trovo. Prima pensavo fosse una semplice coincidenza, ma adesso... non so che pensare. - Si appoggiò sui gomiti quasi sdraiandosi sul tetto. -Ho trovato dei documenti che parlano di un avamposto di ribelli degli Zaterran. A quanto sembra il popolo dei sauri si è diviso dopo la guerra di Vaeternus, a causa delle enormi perdite che hanno subito. Un generale si è distaccato ed ha formato una divisione di ribellione all'impero. Ma il modo in cui l'ho trovato... era come se non dovesse trovarsi lì. -

-Ed è solo una tua sensazione? -

-No, c'è qualcosa di più. Ho accesso alle sue stanze, ma solo ad una minima parte, è come se lui volesse farmi entrare solo lì, fornirmi quei documenti. -

-E perché mai Reiko dovrebbe guidarci contro il suo stesso imperatore? -

-Non lo so. -

Entrambi rimasero in silenzio, poi a parlare fu Nitara.

-Gli Zaterran sono degli abili soldati, imbattibili per quanto riguarda la furtività, averli come alleati per noi sarebbe un dono inaspettato. -

-Forse nemmeno più di tanto. Non so come mai dovrebbe ordire certe trame, ma sono convinto che Reiko voglia che ci avvaliamo del loro aiuto. -

-Finché i nostri scopi coincidono con i suoi dobbiamo approfittarne. -

Bo' Rai Cho annuì, ma i suoi occhi erano persi nel vuoto.

-Qualcosa non va? - Gli domandò la donna.

-Non mi piace seguire un piano se non so a cosa conduce. -

-Se pensi che sia troppo rischioso... -

-Non è alla mia vita che penso. - La interruppe. -Ho sentito voci talmente inquietanti sul suo conto che rabbrividisco al solo pensiero, e non conoscere le sue reali intenzioni mi innervosisce. Non vorrei fosse una trappola. -

-Probabilmente lo è, faremo degli accertamenti, ma se quello che hai trovato è vero, gli Zaterran sarebbero degli alleati formidabili. Forse potremmo addirittura vincere. -

Bo' Rai Cho rimase in silenzio, ma aveva lo sguardo grave, forse pensava che stava prendendo la faccenda troppo sotto gamba, in fin dei conti anche lei aveva visto la forza sproporzionata di Shao Kahn, lui da solo valeva come un esercito.

-Pensi che Reiko stia tradendo Shao Kahn? - Gli domandò.

-Non lo so, non ci capisco niente degli intrighi di corte. So che l'Imperatore gli ha affiancato Shang Tsung per le indagini sugli attentati. Ma non saprei se lo ha fatto per mancanza di fiducia, o paranoia, o solo per dargli una mano. Shao Kahn è un paranoico, e questo lo sanno tutti, e Reiko è stato visto spesso in compagnia della regina Sindel. Ma se davvero Shao Kahn dubitasse della sua lealtà non glie lo permetterebbe, e non sarebbe certamente ancora sulle sue gambe. -

-Devi trovare un alleato all'interno del castello, è l'unica possibilità che abbiamo. Cerca di scoprire che cosa ha in mente Reiko, solo così potremo essere certi delle informazioni che raccogliamo. - Gli appoggiò una mano sulla spalla. -Ma fai attenzione, e non esitare a fuggire se hai il presentimento che le cose si possano mettere male. - Voleva dirgli di più, ma non ce la fece. Non sapeva dare voce a quell'affetto così forte e prorompente che sentiva per lui. Non sapeva nemmeno dargli un nome. Era più forte dell'amicizia, o forse della stessa intensità, eppure diverso. Voleva dire di più. Voleva dirgli che non avrebbe retto alla sua perdita, che doveva rimanere vivo per lei, per farla ridere, per tranquillizzarla, per essere la sua spalla in eterno. Voleva dirgli tante cose, ma non ci riusciva, perfino la sua mano sulla sua spalla le sembrò un gesto così fuori luogo, talmente tanto da ritirarla immediatamente.

-Me la so cavare. - Ribatté con un sorriso sicuro.

-Quell'informazione sugli Zaterran, anche se è un rischio, dobbiamo provare. Non abbiamo alternative. -

-Si, lo capisco. - Sospirò pesantemente. -Reiko mi vuole con se durante le indagini, c'è la possibilità che non ci rivedremo per diverso tempo. Farete lo stesso l'attentato che avete progettato? -

-Si, è tutto pronto ed è troppo importante per i nostri piani per rinunciarvi. -

Quella era una brutta notizia, infatti entrambi rimasero in silenzio per diverso tempo, poi fu di nuovo lui a rompere l'imbarazzo che si era venuto a creare.

-Ci andiamo a fare un goccio? -

Quella domanda, così assurda, detta con quel tono così allegro, con occhi così birboni, in perfetto contrasto con la triste notizia che le aveva appena dato, la fece ridere di gusto.

La sua risata si perse tra i vicoli della città addormentata, nell'oscurità della notte.

  
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