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Autore: EleAB98    02/04/2024    3 recensioni
Amanda Benassi è appena diventata una scrittrice affermata.
Non è mai stata una ragazza particolarmente estroversa, tantomeno appariscente. Tutto d'un tratto, si ritroverà catapultata in una realtà completamente diversa da quella di un tempo, diventando oggetto delle più svariate attenzioni maschili.
Ma sarà un uomo in particolare a catturare tutta (o quasi) l'attenzione della giovane, stravolgendo a poco a poco la sua esistenza.
Emozioni contrastanti faranno da sfondo a quella vita che, pur avendo sempre sognato, si rivelerà più impegnativa del previsto, mentre le ombre di un passato mai dimenticato la travolgeranno a viva forza, spingendola ad affrontare una verità del tutto sconvolgente.
Amanda sceglierà, prima o poi, di cedere alla forza dei propri sentimenti? Chi farà mai breccia nel suo cuore?
*Opera Registrata su Patamù*
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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CAPITOLO XXVI


 

 

Amanda spalancò gli occhi nel momento stesso in cui lo fece anche Alessandro. La ragazza afferrò il proprio cellulare dal comodino e se ne stette a guardare il display per qualche secondo di troppo, l'espressione confusa e una strana tensione impressa sul suo corpo. Se non ricordava male, le ultime tre cifre che componevano quel numero sconosciuto erano le stesse che aveva visto la sera precedente.

Prima che potesse cambiare idea, scrollò il dito verso destra e, con aria poco convincente, sussurrò un pronto? che la fece scattare all'impiedi, gli occhi sgranati. Non riconosceva più nemmeno il suo timbro di voce.

«Sì, pronto, ehm... parlo con la signorina Amanda Benassi?» tuonò, incerta, una voce maschile dall'altro capo della linea.

«Sì, sono io. In cosa posso esserle utile?»

Sarà l'ennesimo giornalista che vuole scucirmi un'intervista via telefono, pensò, seccata. Ormai, se le inventano proprio tutte, pur di romperti le scatole.

«Ecco, credo che tu debba tornare immediatamente qui a Torino. Nella nottata di ieri, tuo padre non si è sentito molto bene, e...»

Ad Amanda prese quasi un coccolone, il cuore e lo stomaco in totale subbuglio. Non aveva nemmeno sentito le ultime parole pronunciate da quel tale. «Non mi dica che—»

«Sì. Sto parlando di Federico. L'hanno trattenuto qua, nell'ospedale dove lavora, e—»

«Non dica altro. Mi preparo immediatamente, cercherò di arrivare il prima possibile. D'accordo?»

«D'accordo. Ti aspetto, allora.»

Amanda chiuse la chiamata e scoppiò in lacrime, disperata; subito si gettò tra le braccia di Alessandro, che si agitò altrettanto e le chiese, con un filo di voce, che cosa fosse successo.

«Federico è in ospedale. Questa notte si è sentito male, ma non so che cosa... Oddio, io non... no, io non posso perdere anche lui!» farfugliò lei tra i singhiozzi, le lacrime che scorrevano a fiumi lungo il viso. Non le riusciva di ragionare lucidamente, perché un orribile senso di terrore le annebbiò completamente il cervello. In quel momento, si sentiva preda di una disperazione tanto forte da non concederle nessuna via d'uscita.

Alessandro prese in mano la situazione e si scostò da lei, costringendola a guardarlo. «Forza, ti aiuto a preparare le tue cose e ce ne torniamo subito a Torino.»

Lo strazio e il dolore, nel cuore di Amanda, diventavano sempre più opprimenti; tanto opprimenti da farle male. «Non c'è bisogno che mi accompagni, posso benissimo—»

«È fuori discussione. Ce ne andremo insieme, non mi importa un fico secco di rimanere qui. Questa volta, non ti lascerò da sola. Dai, prepariamoci in fretta e andiamo via da qui. Prenderemo il primo volo per Torino. Possiamo farcela, okay?»

«E se non dovessi più—»

«No, Amanda. Tu lo rivedrai, e ci parlerai anche. Stai tranquilla, okay?»

Amanda cercò di ripetersi come un mantra quelle parole, mentre si apprestavano a uscire dall'Hostal per poi raggiungere l'appartamento di Monica. Fecero più in fretta che poterono, quindi corsero in aeroporto e acquistarono i biglietti di ritorno. In ogni caso, non riuscirono a partire prima delle dieci e trenta.

 

Una volta saliti a bordo di quell'aereo, Amanda si era accoccolata sulla spalla di Alessandro, la mano sinistra stretta nella sua. Nell'altra, invece, le sue dita erano impegnate in una lotta all'ultimo sangue, combattendo con qualche pellicina di troppo. Era nervosa, agitata e altrettanto distrutta. Poi, come se ciò non fosse bastato, si sentiva tremendamente in colpa. Lacrime silenziose le correvano senza tregua lungo le guance scavate, e quei dolci baci che di tanto in tanto Alessandro le schioccava sulla fronte a mo' di consolazione non bastavano di certo a placare il suo tormento. Un tormento interiore che aveva già sperimentato un paio d'anni prima, quando Francesco l'aveva chiamata per dirle che sua madre era finita su di un letto d'ospedale. Su un letto che poi, soltanto dopo qualche ora, si era trasformato in un letto di morte.
Amanda estrasse il cellulare dalla tasca, ma non trovò il coraggio di richiamare a quel numero.

«Dai, fatti forza», le sussurrò Alessandro, che cercava di starle vicino come poteva. «Lo so che le mie parole non possono fare molto, in questo momento così difficile. Ma devi avere fiducia. Ti prego, fallo almeno per me. Non ti abbattere», ripeté, stringendola più a sé.

«Ti ringrazio tanto per non avermi lasciato sola», mormorò Amanda, la voce spezzata.

«Non avrei mai potuto farlo, e lo sai.»

«Io sì, però. Perché io sono soltanto un'egoista.» Lo guardò negli occhi, una tristezza e un dolore talmente grandi da tranciargli il cuore. «Io l'ho lasciata sola, invece. Io NON c'ero, lo capisci?»

«Amanda, tu non puoi—»

«Non posso addossarmi tutta la colpa? Tu dici? Quando mia madre aveva più bisogno di me, io ero a Parigi a fare la bella vita!»

«Ma che...» Lui scrollò più volte la testa, inorridito. «Tu eri andata a Parigi per il tuo avvenire, non stavi facendo la bella vita!» la redarguì, pur con un tono gentile.

«Ma non capisci?! Io non mi sono accorta che non stava per niente bene fisicamente, non mi sono per nulla preoccupata del fatto che in quelle ultime settimane era più stanca e depressa del solito, che aveva una pessima cera, e... e sono stata sempre io a non rendermi conto che, ormai da qualche tempo, non era più la stessa donna forte e caparbia di prima. Che il suo cuore non funzionava più tanto bene come una volta, eppure... eppure, ho avuto la brillante idea di partire lo stesso per quello stage maledetto, quando avrei potuto benissimo lasciar perdere tutto! Io l'ho lasciata sola, mi capisci? SO-LA!»

Alessandro la strinse tra le braccia con tutta la forza che aveva, mentre Amanda cercava di soffocare quella miriade di singhiozzi che, se non si fosse data una calmata, avrebbe persino potuto sfociare in un vero e proprio attacco di panico.

«Amanda, per favore, non agitarti. Per favore», soffiò Alessandro, gli occhi lucidi. Delle lacrime sottili sfuggirono anche a lui, tanto lo straziava vedere Amanda in quello stato. «Ci sono io qui con te, sta' tranquilla. Non è colpa tua. Non è stata colpa tua», le disse, con tutta la convinzione di cui era capace.

«Io non... io non ho fatto in tempo a dirle addio», tartagliò lei, gli spasmi continui che la facevano tremare dalla testa ai piedi. «Non ho fatto in tempo a dirle che, che...» Tirò su col naso. «Che nonostante tutto, le volevo un bene dell'anima. Che ho sempre ammirato la sua forza d'animo, il suo continuare a lottare per quelle cose in cui credeva fermamente. Non ho fatto in tempo a ringraziarla per tutto quello che ha fatto per me. Sì, io non... io non potrei mai odiarla. Mai. Se è vero che certe cose non riuscirò a perdonargliele tanto facilmente, io... io, invece, non potrò mai perdonarmi di averla lasciata morire lì, su quel letto d'ospedale, senza che ci fossi io a stringerle le mani per l'ultima volta.»

Amanda aveva buttato fuori quelle parole senza neanche pensarci, continuando a piangere lacrime amare. Nemmeno Alessandro riuscì più a parlare. Erano i suoi abbracci, a parlare per lui. Era il suo respiro, erano le sue tiepide carezze. Da quei gesti tanto silenziosi e confortanti, Amanda cercò di trarre la forza necessaria per non crollare.
Doveva farlo almeno per lui.

Ma soprattutto, doveva farlo per Federico.

 

«Sai, su certe cose la mamma non era molto espansiva. A lei non piaceva mostrarsi debole, tantomeno agli occhi degli altri. Preferiva di gran lunga tenersi tutto dentro.»

«Un po' come te», constatò Alessandro, continuando a tenerla per mano. Erano finalmente arrivati a destinazione, e adesso si stavano dirigendo verso l'ospedale incriminato, un paio di valigie che rumoreggiavano sull'asfalto.

Le labbra di Amanda si piegarono in un sorriso amaro. «Già. Per alcuni versi, le somiglio anche troppo.»

La stretta di Alessandro si intensificò, e lei inspirò a fondo. La città sembrava essersi chiusa in un mutismo assoluto, come partecipe del dolore di Amanda. Il cielo grigio, qualche vettura che, di quando in quando, invadeva la carreggiata.
Erano, ormai, a pochi passi dall'ospedale, e Amanda stava pregando perché Federico non si fosse aggravato. Non aveva ben capito cosa gli fosse successo, ma sperava davvero di potergli fare visita. Aveva pianto per ore, e il suo cuore sanguinava ancora. La costante presenza di Alessandro, però, le aveva permesso di non lasciarsi troppo andare.

Quando raggiunsero la sala d'aspetto, Amanda chiese subito di Federico a un'infermiera sulla quarantina, dallo sguardo gentile e altrettanto affabile. Dopo qualche minuto, un uomo che Amanda aveva già visto tempo prima le si fece incontro, lo sguardo basso, gli occhi rigonfi di un pianto sommesso. Era lo stesso uomo che aveva visto quel giorno quando era andata, di nascosto, nello studio di Federico per parlargli.

«Tu devi essere Amanda», proruppe lui, un sorriso tirato a indurirgli i tratti del viso, che tradiva una stanchezza senza eguali. «Io sono Brando Forti, il collega di Federico, nonché suo più caro amico.»

Amanda ebbe un tuffo al cuore e gli strinse la mano. «Come sta?»

«Durante la notte, mentre faceva il turno qui in ospedale, è stato vittima di un violento attacco cardiaco. L'abbiamo ripreso per i capelli, poteva benissimo rimanerci secco.»

Proprio come mia madre, pensò Amanda, spaventata.

«Ma... ma adesso—»

«È nel reparto di rianimazione. Vieni con me, ti accompagno da lui.»

Amanda si voltò verso Alessandro, che con un breve cenno le raccomandò di seguire il medico.

«Quando ieri sera ha avuto quel brutto attacco, la prima parola che ha pronunciato è stata il tuo nome», proseguì Brando. «L'ha farfugliato di continuo... Così tante volte che, alla fine, dopo averlo portato in reparto, mi sono deciso a chiamarti. Ho cercato il tuo numero nel suo cellulare, ovviamente.»

Amanda non riuscì a soffocare il fastidioso senso di colpa che stava montando in lei. «Mi dispiace non averle risposto subito. Stavo soltanto cercando di non pensare a... sì, insomma, di non pensare al fatto che la mia vita fosse stata solo una bugia.»

«Immagino. Lui mi ha detto esattamente la stessa cosa. Quando tu sei venuta a trovarlo qui in ospedale, lui si è deciso a dirmi tutta la verità. Ormai da qualche tempo lo vedevo strano; talmente assente e distratto, che credevo ci fosse di mezzo una donna. In effetti, c'era di mezzo proprio la più importante della sua vita», aggiunse dopo qualche istante, in un tono decisamente più basso.

Ad Amanda fece più effetto del dovuto, quell'ultima frase. E non appena si ritrovò al cospetto della stanza di Federico, si accorse di come i suoi palmi fossero sudati, la pancia che le doleva per l'agitazione.

«Da qualche ora, gli è salita anche la febbre. È piuttosto alta, perciò non stupirti se dovesse delirare un po'», l'avvertì Brando. «Nelle ultime settimane, mio malgrado, si è trascurato veramente tanto. Tra l'altro, ha continuato ad ammorbarsi di sigarette fino a farsi venire un infarto. Ha fumato davvero troppo. Tante volte, ha persino saltato i pasti. A nulla sono valsi i miei consigli. Gli avevo detto di prendersi un breve periodo di aspettativa, magari gli avrebbe fatto bene, ma... quando ci si mette, è più testardo di un mulo. Mi è proprio sembrato che volesse, come dire... autodistruggersi.»

E tutto per colpa mia, pensò Amanda, sempre, stringendo i pugni. Le salirono di nuovo le lacrime agli occhi, una morsa violenta che le stringeva la gola.

«Sarà davvero felice di vederti. Ne sono sicuro.»

Detto ciò, Brando le strinse con affetto la spalla e la lasciò sola, in combutta con le sue ansie e paure. Amanda chiuse gli occhi per un momento, cancellando con la punta delle dita gli ultimi residui di lacrime che le avevano inbrattato le guance. Si affacciò alla porta semi-aperta, e vi sbirciò dentro con discrezione. Federico si contorceva, a più riprese, su di quel letto, l'aria agitata e la fronte sudata. Amanda avanzò, timorosa, osservando di sottecchi il macchinario che monitorava lo stato del suo cuore. In quella stanza, non c'era nessun altro. Un altro passo, e Federico finì per accorgersi di lei. Spalancò gli occhi per la sorpresa e li fissò in quelli tristi della figlia.

«A-Amanda...» farfugliò, un tenue sorriso, che tradiva felicità e altrettanta sofferenza. «Ma allora... ma allora, s-sei venuta...»

Alla ragazza le si strinse il cuore. Federico parlava a fatica, lo sguardo che, a momenti, sembrava perdere la sua lucidità. Gli si avvicinò e gli diede un bacio sulla fronte. «Non ti sforzare, okay?»

Lei, invece, dovette proprio fare uno sforzo immane, per non scoppiare in lacrime davanti a lui.

Perché l'hai fatto, eh? Perché! pensava, senza che avesse il coraggio di dirgli altro.

Accanto a lei, c'era una bacinella con un panno imbevuto di acqua fresca. Si scostò da lui, quindi lo prese tra le mani, lo strizzò forte e, con delicatezza e altrettanta premura, glielo posò sulla fronte.

Lui aveva già smesso di divincolarsi, ma non di guardarla. Sembrava che i suoi occhi la stessero implorando di perdonarlo. Rispetto a quando l'aveva visto l'ultima volta, quasi pareva un altro Federico. Anche lui appariva molto dimagrito; le labbra secche, il volto cereo. Profonde occhiaie, un'espressione colpevole, a tratti assente.

D'istinto, Amanda gli si avvicinò, rimpiazzando quel panno di cotone con le sue labbra. Gli schioccò un altro bacio sulla fronte. Lui, nel frattempo, aveva chiuso gli occhi, mormorando un qualcosa che Amanda non comprese.

«Perdonami tu», se ne uscì lei, senza nemmeno pensarci, gli occhi che le bruciavano. «Perdonami tu.»

   
 
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