Serie TV > Il commissario Montalbano
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Autore: FluffyHobbit    04/04/2024    0 recensioni
[Il giovane Montalbano]
Salvo, Mimì, una camicia rossa e io che non so fare le introduzioni.
Genere: Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Salvo Montalbano
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il biglietto, o per meglio dire il suo mittente, anche stavolta era stato preciso e puntuale: nel vecchio casolare avevano colto sul fatto trentacinque persone intente ad assistere al combattimento tra due poveri cani ed altre dieci, tutte prevedibilmente legate ai Cuffaro, che si occupavano degli aspetti per così dire organizzativi della serata, dalla riscossione delle scommesse al generale mantenimento dell'ordine; oltre a ciò, sul retro, erano stipati altri otto cani, tutti in condizioni pietose, rinchiusi in gabbie decisamente troppo piccole rispetto alla loro taglia. L'arrivo della Polizia aveva immediatamente seminato il caos, tra persone che tentavano la fuga e cani che si agitavano nelle gabbie, ed era anche esploso un conflitto a fuoco che per fortuna non aveva mietuto vittime o feriti ad eccezione di Gallo che era stato colpito di striscio ad un braccio -questo, almeno, dalla parte dei poliziotti; dei Cuffaro, invece, uno era stato colpito alla gamba da Montalbano, ma comunque non era in pericolo di vita-.
 
Per qualche giorno, poi, non c'erano stati ulteriori messaggi, tanto che Salvo aveva iniziato a pensare che i Cuffaro avessero scoperto la spia e l'avessero messa per sempre nelle condizioni di non scrivere più, ma ad una settimana di distanza dall'ultimo biglietto ecco che un altro era comparso nella cassetta della posta. Stava giusto andando a parlarne con Mimì, che ormai era parte integrante delle indagini, quando vide una donna alta e bionda uscire dal suo ufficio aggiustandosi la camicetta che indossava a dispetto delle gelide temperature invernali, e si fermò in messo all'anticamera, sbigottito. La camicetta! Questo era decisamente troppo!
 
"Buongiorno, commissario."
 
Mormorò la bionda con una voce sottile dall'accento vagamente milanese ed uno sguardo ammiccante.
 
Salvo non si fece irretire, anzi si chiese come facesse quella donna a conoscerlo dato che lui non l'aveva mai vista prima, ed in tutta risposta le rivolse un'occhiataccia.
 
"Buongiorno a lei."
 
Borbottò tra i denti, poi la superò a passo svelto ed entrò come una furia nell'ufficio del vice commissario, spalancando la porta e sbattendosela alle spalle.
 
"E chista mo cu minchia era, eh?"
 
Sbraitò, senza neanche dare il tempo al tonfo della porta di dissolversi nel vuoto, e continuò ad avanzare a passi ampi fino alla scrivania sulla quale si poggiò con i palmi aperti. Era da giorni, ormai, che Mimì si portava in ufficio donne su donne, e lui per un po' si era mostrato tollerante e comprensivo nei limiti del possibile, gli aveva fatto solo qualche richiamo informale pensando che si trattasse della sua ennesima stravaganza dovuta senz'altro a quel problema di cui non voleva dirgli nulla, e che come tale sarebbe svanita presto, ma adesso la situazione era diventata insostenibile, soprattutto se, come era palese fosse appena avvenuto, Mimì aveva scambiato l'ufficio per la sua stanza da letto.
 
Mimì, seduto al proprio posto ed intento a sistemarsi la cravatta, non provò nessuna sorpresa a sentire Salvo entrargli in ufficio come un tifone, sapeva che era solo questione di attimi. Erano giorni che si ripeteva sempre lo stesso copione, ma lui che poteva farci? Quei sogni assurdi non smettevano di tormentarlo e aveva bisogno di distrazioni, soprattutto in ufficio. Scrollò le spalle, sospirando, e sollevò quanto bastava lo sguardo per incontrare gli occhi di Salvo, che incombeva su di lui come un toro inferocito.
 
"La signorina Lucrezia De Santis, stava qui perché..."
 
Prese a rispondere, calmo e pacato, ma Salvo lo interruppe bruscamente.
 
"Perché le hanno rubato l'auto, come quella di ieri? O perché le hanno scippato la borsetta, come quella dell'altro ieri? No, magari doveva rinnovare il passaporto come quella del giorno addietro ancora. Devo continuare?"
 
Elencò inviperito, ma c'era un dolore nascosto in tutta quella rabbia: gli dava fastidio, gli faceva proprio male, vedere che Mimì preferiva rifugiarsi tra le braccia della prima sconosciuta che gli passava davanti piuttosto che rivolgersi a lui che avrebbe potuto aiutarlo davvero, di qualsiasi cosa si trattasse. Ed in più, comportandosi così, sviliva il suo ruolo e dunque anche se stesso, che era macàri peggio!
 
Mimì fece scattare la lingua contro il palato e roteò gli occhi al cielo, fingendosi spazientito.
 
"Minchia, quanto la fai tragica, Salvo! No, Lucrezia è passata di qui semplicemente per farmi un saluto, va bene?"
 
Rispose, e non stava nemmeno mentendo: con Lucrezia c’erano stati dei baci appassionati, questo era vero, che si erano scambiati mentre lei gli stava seduta sulle ginocchia, anche questo era vero, e accompagnati da qualche carezza poco casta, verissimo, ma poi si erano fermati lì. Lui non era riuscito a spingersi oltre, anche se nessuno li avrebbe fermati, preso da un’improvvisa nausea che imputava al rispetto che provava per quell’ufficio; così l’aveva mandata via con una scusa, promettendole che si sarebbero rivisti la sera stessa.
 
Salvo buttò fuori un verso di stizza e sbatté una mano sul legno della scrivania, facendo rovesciare la statuetta del cavaliere che la decorava.
 
"E no che non va bene, i saluti te li devi far portare da un'altra parte! Mimì, questa non è una casa d'appuntamenti e nemmeno casa tua, che nel tuo caso sono un po' la stessa cosa, non puoi continuare a portarti le tue amanti in ufficio o sarò costretto a prendere provvedimenti, sono stato chiaro?"
 
Ribatté accorato, alzando così tanto la voce che già sentiva il mal di gola che gli sarebbe venuto. Forse, a ben pensarci, quei provvedimenti avrebbe dovuto prenderli davvero, per il bene di Mimì stesso. Forse un periodo di riposo gli avrebbe giovato.
 
Mimì, con il pretesto di sistemare la statuetta rovesciata, distolse lo sguardo per un istante, così da nascondere un sorrisetto amareggiato, più che divertito. Sì, forse una sospensione era quello che ci voleva, forse quei sogni dipendevano da una qualche forma di stress da lavoro di cui non era consapevole. Gli sarebbe andato bene anche di andare a dirigere il traffico e multare le automobili in doppia fila, pur di liberarsene.
 
"Trasparente."
 
Replicò secco, tornando a guardarlo. Con il capo, poi, fece un cenno verso di lui.
 
"Che dice il biglietto, stavolta?"
 
Chiese per cambiare discorso, anche se era praticamente certo di saperlo già. Arrivato a questo punto, avrebbe potuto metterci la mano sul fuoco.
 
Salvo lo fissò per un istante, mantenendo ancora lo sguardo cagnesco, poi liberò un profondo sospiro per calmarsi e si accomodò sulla sedia, spostandola con un gesto brusco che produsse un suono sordo.
 
"E tu come fai a sapere che me ne è arrivato un altro? Ma non è che davvero ci sei tu dietro? Mimì, sei colluso con la mafia e non me l'hai mai detto?"
 
Domandò, il viso più rilassato e la voce più morbida, scherzosa. Forse, in fondo, aveva avuto una reazione esagerata. Tannicchia.
 
Mimì sollevò l'angolo dei baffi, soffiando una risatina.
 
"No, sono solo colluso con un commissario testardo che ha il brutto vizio di fissarsi sulle cose e che non è così imperscrutabile come crede. Io lo so che muori dalla voglia di scoprire chi e soprattutto perché ti sta mandando quei pizzini, è un mistero troppo ghiotto per il tuo insaziabile animo da Sherlock Holmes, e dopo il silenzio stampa, chiamiamolo così, di questi giorni, soltanto un nuovo contatto avrebbe potuto farti entrare qui con tutta questa urgenza che, per inciso, mi è costata cara!"
 
Replicò con pacata ironia. Il motivo primario per cui sapeva del biglietto era il sogno della notte precedente, ma non era meno vero ciò che aveva detto. Poteva vantarsi di essere un esperto di quella materia oscura ai più che era il commissario Salvo Montalbano, se ciò poteva costituire motivo di vanto.
 
Salvo gli scoccò un'occhiata divertita accompagnata da un mezzo sorriso sincero. Fino a qualche tempo prima non avrebbe permesso a nessuno, specialmente sul posto di lavoro, di conoscerlo, conoscerlo per davvero, ed in realtà questa era una regola che valeva ancora per tutti e che aveva un'unica eccezione. Come fosse successo non riusciva a spiegarselo, ma Mimì da invasore era lentamente riuscito a superare il suo carattere schivo al limite del misantropo ed era diventato un confidente, un amico; era la persona che più lo capiva, e meglio, tra tutte quelle che conosceva, perfino più di Livia. Gli era difficile ammetterlo ad alta voce, ma avere accanto qualcuno che lo capisse con un semplice gesto, uno sguardo, e spesso nemmeno quello, era rassicurante, lo faceva sentire protetto.
 
"L'ho trovato stamattina nella buca delle lettere, come tutti gli altri."
 
Rispose ignorando -e dunque confermando indirettamente- tutto il resto, porgendo al vice un biglietto ripiegato che aveva riposto nella tasca interna della giacca.
 
Mimì lo prese, lo aprì e ci fece scorrere gli occhi il tempo necessario a fingere che lo stesse decifrando; non aveva bisogno di grandi conferme, oramai. Similmente al primo che avevano ricevuto, anche questo biglietto comunicava l'arrivo di un carico di eroina al porto per quella notte.
 
E ddirai al suuo popolo
che Dio lo salva e peerdona i suoi pccati.
Il nostro Dio è bontà e mmisericoordia:
ci verà incontr dall'allto,
coome luce che sorge.
Ssplenderà neelle ttenebre
per ch vive all'ombra della mortee
e guideerà i ostri pssi sulla via della pace
.
 
Due. Molo sette. Eroina.
 
"Certo che i Cuffaro corrono un grosso rischio. Ormai sanno che gli stiamo addosso e che c'è una spia tra loro."
 
Commentò, restituendo il foglietto al commissario.
 
Salvo lo ripose in tasca, poi rivolse a Mimì un sorriso sghembo, quasi compiaciuto.
 
"Si vede che lo ritengono assolutamente necessario. Dopo lo scherzetto che gli abbiamo fatto qualche giorno fa, tutto il giro è rimasto nelle mani dei Sinagra, che a lungo andare potrebbero estrometterli completamente, e questo di certo i Cuffaro non possono permetterselo, costi quel che costi. Piuttosto, mi chiedo come non abbiano ancora capito chi è il traditore tra loro. Di solito queste cose si scoprono subito..."
 
Tamburellò le dita sulla scrivania, fissando un punto imprecisato nel vuoto, pensieroso. Era da giorni che si arrovellava sull'identità del misterioso mittente: doveva essere qualcuno che aveva un buon motivo per tradire la sua famiglia e che non temeva le conseguenze, questo ormai era assodato, ma doveva anche occupare una posizione abbastanza alta nella gerarchia famigliare, altrimenti non avrebbe potuto avere accesso a quelle informazioni. Qualcuno di così tanto fidato da risultare insospettabile. E se, al contrario, fosse stato qualcuno di talmente insignificante da non essere preso nemmeno in considerazione per un'ipotesi di tradimento? Una donna, magari, che nell'organizzazione patriarcale e maschilista dei Cuffaro passava totalmente in ultimo piano. Se solo avesse lasciato qualche traccia di sé in quei biglietti o se solo avesse trovato il coraggio di farsi avanti di persona, lui avrebbe fatto di tutto per aiutarla.
 
Mimì lo osservava in silenzio, le labbra appena sollevate in un mezzo sorriso. Ecco lo scintillio da commissario negli occhi, la tensione del segugio che ha fiutato la sua preda, la scintilla di un fuoco molto più grande: sapeva perfettamente che quando Salvo aveva quello sguardo non avrebbe permesso a niente e a nessuno di separarlo dalla verità.
 
"E scommetto che non ti basta passare l'informazione all'antidroga, eh?"
 
Buttò lì dopo un po', più come un dato di fatto che una vera e propria domanda.
 
Salvo si costrinse a seguire la voce di Mimì per lasciare i propri pensieri, che tanto avevano cominciato a girargli in tondo nella testa senza portare a nulla, e a tornare nel mondo reale. Abbozzò una risatina, stringendosi nelle spalle.
 
"Lo so anch'io che la persona che sto cercando non si farà vedere, però chissà, potrei notare qualcosa di particolare. E poi l'indagine è pur sempre mia."
 
Mimì fece un cenno d'assenso col capo, nel corso del tempo aveva imparato a fidarsi del modo di ragionare di Salvo.
 
"Allora dovremo stare attenti, i Cuffaro non ci venderanno facilmente la pelle, questa volta. Si saranno organizzati per accoglierci a dovere."
 
Replicò con pacata sicurezza, di nuovo come se stesse presentando un'ipotesi che era già stata accertata.
 
Salvo si accigliò leggermente, perplesso, e tese una mano di poco in avanti.
 
"Dovremo? Mimì, guarda che io parlavo per me, tu non sei obbligato a fare niente, è pericoloso..."
 
Mimì soffiò uno sbuffo divertito.
 
"E appunto per questo, credi che ti lascerei andare da solo? In due è un po' meno pericoloso."
Sentenziò guardandolo negli occhi, sicuro e irremovibile.
 
Salvo non poté fare altro che accettare la volontà del vice commissario con un lungo sospiro. Con il tempo aveva imparato che on quanto a testardaggine, Mimì gli faceva concorrenza, era inutile discutere.
 
"E sia, passo a prenderti a mezzanotte. Andiamo con la mia macchina, così diamo meno nell'occhio."
 
*****
 
L'auto scura se ne stava immobile come una sentinella, rintanata in una piazzola che affacciava sul porto, i fari spenti per guardare senza essere vista. Immersa nel buio, nel rumore delle onde che si infrangevano al di sotto e nel vento che soffiava tutt'intorno, dava l'impressione di essere su una barca che naufragava in mare aperto.
 
Mimì, seduto sul sedile del passeggero, quasi dimenticandosi del motivo per cui si trovava lì, guardava con la coda dell'occhio Salvo che gli stava di fianco, intento a scrutare nella notte con un binocolo alla ricerca di solo lui sapeva cosa; quasi gli faceva strano averlo così vicino dopo tutti quei giorni passati ad evitarlo il più possibile. Da un lato si domandava se avesse fatto bene a proporgli di accompagnarlo in quest'appostamento e si chiedeva che effetto avrebbe potuto avere sui propri sogni, ma dall'altro si rispondeva che tanto stargli lontano non gli era servito a niente e che peggio dei sogni che già faceva non poteva esserci nulla. Senza contare che poi, conoscendolo, Salvo era sicuramente venuto disarmato e aveva quindi bisogno di qualcuno che gli guardasse le spalle e tutto il resto. Non si era pentito di essere lì, insomma.
 
Salvo aveva fatto scorrere lo sguardo in giro fin dove gli era stato possibile -per fortuna il porto era illuminato- ed ora teneva il binocolo puntato sul settimo molo, quello indicato dal biglietto, che per il momento era ancora deserto ad eccezione di un paio di uomini che stavano armeggiando con delle cime, ma che gli davano la sensazione di star montando la guardia. Comunque mancavano ancora quasi quaranta minuti all'orario indicato, la squadra completa si sarebbe fatta viva in quel momento. A dire il vero anche lui si sentiva osservato, per fortuna non da qualche sentinella dei Cuffaro: percepiva distintamente gli occhi di Mimì che lo fissavano con insistenza, come se fosse stato sul punto di chiedergli qualcosa, ma non osasse farlo.
 
"Mimì, tutto a posto?"
 
Domandò pacatamente, abbassando il binocolo e voltandosi verso di lui.
 
Mimì sussultò come se Salvo avesse urlato, fece scattare subito gli occhi dritto davanti a sé e si nascose nel bavero del cappotto per celare la vergogna che gli aveva tinto le guance.
 
"Sì, certo, tutto bene. Volevo sapere se c'erano novità..."
 
Mentì, schiarendosi la voce.
 
Salvo scosse le spalle.
 
"Per il momento ci sono soltanto un paio di uomini che stanno facendo esattamente quello che stiamo facendo io e te, ma non credo abbiano notato gli uomini di Paluzzo, a stento li ho individuati io. Poi per il resto è tutto tranquillo...come si dice, la calma prima della tempesta."
 
Rispose, abbozzando un mezzo sorriso che non arrivava agli occhi. Non voleva darlo a vedere, ma era teso: i Cuffaro non erano stolti, sicuramente questa volta non si sarebbero fatti cogliere impreparati, e solo un incosciente avrebbe sottovalutato la loro risposta.
 
Mimì si prese un istante per tornare a guardare Salvo e tanto gli bastò per capire quanto fosse in pensiero: era bravo a nasconderlo, ma i muscoli rigidi della sua mascella parlavano per lui. Decise di distrarlo, o almeno di provarci, e buttò fuori un pesante sospiro, fingendosi un po' incredulo ed un po' spazientito.
 
"Che poi io ancora non ho capito perché sei voluto venire qui a tutti i costi, a morire di freddo e di sonno..."
 
Cominciò a lamentarsi, stringendosi nel cappotto per sottolineare il concetto anche se, doveva ammetterlo, dagli spiragli dei finestrini leggermente abbassati per non far appannare i vetri circolava effettivamente una corrente sottile e gelida che si insinuava fin dentro le ossa.
 
"...quando bastava informare Paluzzo e tanti saluti! Potevo starmene con Samantha, stasera, o magari con Lucrezia...pure entrambe, volendo!"
 
Concluse borbottando, fingendosi il più irritato possibile, sicuro che anche solo la lontana menzione di una qualche amica avrebbe dato il colpo finale necessario allo scopo: Salvo si sarebbe innervosito, gli avrebbe fatto una predica pesante come un macigno, e così almeno per un po' avrebbe pensato ad altro.
 
Salvo sibilò un verso di stizza: ogni volta che Mimì gli nominava le sue infinite amanti sentiva l'orticaria salirgli su per tutto il corpo. E poi cosa minchia stava a significare quel discorso, adesso? Non l'aveva di certo obbligato a seguirlo, quindi se proprio desiderava stare con loro avrebbe potuto tranquillamente evitare di offrirsi.
 
"La questione è molto semplice, Mimì, e mi meraviglia che tu me lo stia chiedendo: se la persona che mi ha mandato i pizzini, chiunque egli o ella sia, ha deciso di rivolgersi a me, a me e non a Paluzzo, vuol dire che per qualche motivo, che per adesso non mi è chiaro, si fida solo di me, e io non posso e non voglio tradire questa fiducia, considerando quanto sta rischiando. Il minimo che posso fare è controllare che vada tutto bene. E comunque ti ricordo che nessuno ti ha costretto, eh!"
 
Replicò, piccato.
 
Mimì nascose un sorriso soddisfatto in un sospiro e in un'alzata d'occhi: era riuscito nel proprio intento.
 
"E non potevo mica lasciarti solo, ti pare? Scommetto che non ti sei portato nemmeno la pistola."
 
Ribatté guardando dritto verso di lui, deciso e risoluto. Se aveva capito qualcosa in quegli anni, era che lo avrebbe seguito fino in capo al mondo. E lo avrebbe difeso, perché Salvo pensava sempre a tutti, ma mai a se stesso, e aveva quindi bisogno di qualcuno che pensasse a lui.
 
Salvo sollevò l'angolo delle labbra in un mezzo sorriso deluso e ferito.
 
"Mh, ultimamente non mi sembra che ti sia fatto troppi problemi a riguardo."
 
Sibilò, amareggiato. Difficilmente lo avrebbe detto esplicitamente, ma in quei giorni si era sentito abbandonato come forse soltanto da ragazzino gli era capitato. Mimì, negli anni, era diventato una costante per lui e sì, a volte era irritante al limite del sopportabile, ma sapeva anche di poter fare sempre affidamento su di lui, o almeno così aveva creduto. Da quando l’amico aveva iniziato ad evitarlo, tra l’altro per motivi che gli erano ancora sconosciuti, si era sentito come quando gli avevano tolto le rotelle dalla bicicletta: avrebbe imparato a fare senza, certo, ma si sarebbe fatto terribilmente male, intanto.
 
Mimì mandò giù un groppo di saliva e si passò una mano sul collo. Avrebbe dovuto immaginare che la conversazione sarebbe virata in quella direzione.
 
"Salvo, senti, è solo un periodo..."
 
Cominciò a dire, ma venne subito interrotto.
 
Salvo, infatti, quasi ringhiò nella sua direzione.
 
"E l'ho capito anche io che è un periodo, ma mi vuoi dire che c'hai? Qualche marito geloso ti ha scoperto? Sei stato minacciato? Devi soldi a qualcuno? È un problema di salute, Mimì?"
 
Domandò a raffica, sempre più allarmato nel tono e nello sguardo. Ormai non sapeva nemmeno più cosa pensare, gli scenari peggiori facevano a gara per appropriarsi della sua mente, e il silenzio dell’amico non faceva che aggravare sempre di più la situazione.
 
Mimì scosse rapidamente il capo, dispiaciuto per il modo in cui lo faceva preoccupare. Per un attimo pensò anche di dirgli tutto, ma subito si disse che non poteva, che la cosa più importante da salvaguardare era la loro amicizia.
 
"No, no, niente di grave, te lo giuro. È una cosa mia, personale...ma sto bene. Te lo direi se non fosse così."
 
Rispose cercando di mostrarsi il più fermo possibile anche se dentro tremava, guardandolo dritto negli occhi.
 
Salvo fece scoccare la lingua al palato in un verso di stizza, scuotendo il capo in segno di disappunto. Voleva solo aiutarlo, perché Mimì non glielo permetteva?
 
"A mia non sembra che stai bene, te lo dico onestamente. E comunque con me puoi parlare anche di cose personali, tra amici si fa così. E ci si aiuta."
 
Disse, senza sforzarsi di nascondere la delusione.
 
Mimì buttò fuori un lungo sospiro, strofinandosi nervosamente una mano sulla coscia. Come poteva dirgli che era proprio lui la causa del suo problema, e che quindi non poteva aiutarlo? Come poteva dirgli che anche solo sentire il suo profumo di mare, così simile a quello che entrava dai finestrini leggermente abbassati eppure così diverso, bastava a risvegliargli certi pensieri che non avrebbe mai pensato di poter formulare? Come poteva dirgli che stare in quell'auto da soli era la cosa più difficile che avesse mai fatto?
 
"Ti prego, non prenderla sul personale, non ce l'ho con te. Possiamo cambiare argomento, per favore?"
 
Salvo si incupì, sentendosi attraversare da una fiamma di rabbia. Mimì non voleva parlare con lui? Benissimo, non avrebbero parlato, ma lui di certo non si sarebbe arreso, a costo di pedinarlo pur di scoprire cosa gli stesse nascondendo!
 
"È meglio che ci stiamo zitti e basta, ci siamo distratti fin troppo."
 
Tagliò corto con voce secca. Con un gesto rapido, poi, si sporse a prendere un thermos dall'apposito vano tra i due sedili e lo passò a Mimì.
 
"Se hai freddo bevi questo, ti scalderà."
 
Disse con la stessa durezza nel tono, poi tornò a guardare verso il porto, chiudendosi definitivamente in se stesso.
 
Mimì gli rivolse uno sguardo mesto, come un cane abbandonato dal padrone, ma non incolpava Salvo di nulla: aveva fatto tutto lui, ed era giusto che lo trattasse così. In fondo era anche esattamente ciò che lui stesso voleva.
 
"Grazie..."
 
Mormorò -senza ottenere risposta-, per poi svuotare il tappo e mandare giù un paio di sorsi di quello che scoprì essere thè caldo, al posto del caffè che si sarebbe aspettato. Posò il thermos dove Salvo l'aveva preso e si mise anche lui a fissare il porto, prestandoci però ben poca attenzione, dopo aver cercato maggior riparo nel cappotto. A poco a poco, senza nemmeno accorgersene, venne preso da un morbido torpore portato dal buio e dal fragore delle onde, e scivolò in un sonno stranamente profondo, acuito dal fatto che negli ultimi giorni aveva dedicato molto tempo alle donne e poco al riposo.
 
Salvo allontanò il binocolo e si strofinò gli occhi stanchi, liberando un profondo sospiro: c'era poco da fare, mancava ancora troppo tempo, e la brutta sensazione che aveva non faceva che aumentare: c'erano anche altri marinai sui moli nei dintorni, non molti ma c'erano, e se davvero i Cuffaro avessero risposto con il fuoco -come temeva-, il rischio che ci finisse di mezzo un innocente era alta. Al tempo stesso, tuttavia, non avevano potuto isolare l'area, altrimenti i trafficanti si sarebbero insospettiti e non avrebbero attraccato. Buttò fuori un pesante getto d'aria, afferrò il thermos, bevve un sorso di thè -efficace quanto il caffè per restare svegli, ma con meno effetti, per così dire, collaterali- e dopo averlo posato si voltò a guardare Mimì, ricevendo la conferma di ciò che aveva ipotizzato quando aveva iniziato a sentire il suo respiro farsi più lento e pesante. Nonostante fosse ancora arrabbiato con lui, non poté trattenere un soffio divertito mentre scuoteva il capo con bonario disappunto.
 
"Eh, troppe fimmine, Mimì. Certe cose iniziano a farti male, non hai più l'età."
 
Commentò nel più totale silenzio, la voce divertita, ma bassa per non svegliarlo. Si lasciò sfuggire una risatina pensando a cosa in cui l'amico gli avrebbe replicato se l'avesse sentito, qualcosa del tipo: 'Io le fimmine le ho sempre avute e sono sempre stato benissimo, piuttosto è questo appostamento che mi farà invecchiare anzitempo!', con il tono della virilità offesa. Era strano, comunque, che Mimì si addormentasse nel mezzo di un'operazione, non era la prima volta che lo sottoponeva ad appostamenti lunghi e snervanti, ma del resto tutto negli ultimi giorni era strano in lui. Preferì lasciarlo dormire, sia perché comunque non sarebbero potuti intervenire in alcun modo durante gli arresti -Paluzzo in questo era stato categorico, era già tanto che gli avesse concesso di essere lì-, sia perché dormire gli avrebbe fatto bene, qualsiasi cosa fosse a turbarlo quando era sveglio. Lo vide stringersi nelle braccia e lo sentì mugolare per il freddo: il cappotto scuro che indossava non era adatto al gelo inusuale che aveva ghermito Vigata già da qualche giorno. Come al solito, Mimì aveva preso sottogamba la situazione e adesso rischiava di ammalarsi.
 
"Peggio di un picciriddu."
 
Mormorò, tra l'esasperato e il divertito, senza nascondere a se stesso una punta di tenerezza. Armeggiando quanto bastava riuscì a sfilarsi il giubbotto -quello sì che, foderato di lana, era adatto al freddo e al vento- e si sporse per stenderlo su Mimì, così da farlo stare al caldo. Proprio mentre glielo rimboccava all'altezza del collo -esattamente come avrebbe fatto con una coperta-, venne colpito da una strana sensazione e si bloccò di colpo: Mimì, seppur profondamente addormentato, stava strofinando la guancia contro la sua mano come un cane che riconosce quella del padrone. Per un solo, brevissimo, istante, fu tentato di rispondere con una carezza vera, su quella guancia liscia o magari tra i capelli perfettamente impomatati, ma poi l'autocontrollo e la ragione ebbero la meglio e ritrasse la mano, come se si fosse scottato.
 
"Mimì, mannaggia a te!"
 
Mugugnò, a denti stretti. Tornò a sedersi composto e prese a fare profondi respiri per calmare il cuore che aveva cominciato a battergli all'impazzata. Non poteva succedere, non doveva succedere, soprattutto non con un fimminaro come Mimì, che chissà chi tra le sue tante donne stava sognando e che di certo non stava cercando, e mai avrebbe cercato, lui con quel gesto.
 
Si impose di ritornare lucido e di concentrarsi sul compito che aveva, quindi raccolse il binocolo, che nel frattempo era caduto, e riprese ad osservare il porto, cercando con tutto se stesso di tenere lontano qualsiasi altro pensiero. Ormai mancava poco e i primi piccoli movimenti cominciavano ad animare il molo in modo quasi impercettibile fino all'arrivo di un motoscafo che sfrecciava nel buio del mare. La squadra dell'antidroga colse i trafficanti sul fatto, e come previsto questi reagirono con le armi, ma Paluzzo e i suoi uomini non erano sprovveduti, e risposero adeguatamente.
 
Il tutto si esaurì nel giro di pochi minuti, poi sul porto ricadde di nuovo un pesante silenzio interrotto soltanto dalle onde del mare. Abbassò il binocolo, buttò fuori un pesante sospiro per rilassarsi -ormai il più era fatto- e tornò a guardare Mimì che, incredibilmente, non era stato minimamente disturbato dalle urla e dagli spari, e dormiva placidamente sul sedile con un'espressione beata stampata sul viso.
 
Rimise in moto la macchina, guidò senza particolare fretta tra le strade buie e deserte, anche se cominciava ad avvertire una certa stanchezza che gli chiedeva a gran voce di raggiungere il letto quanto prima, e solo quando arrivò sotto casa del vice commissario si decise a svegliarlo, non potendo fare diversamente.
 
"Mimì, sveglia! Oh!"
 
Esclamò e per rincarare la dose lo punzecchiò al fianco in maniera ben poco delicata.
 
Mimì sussultò risucchiando l'aria in un sospiro spaventato e sgranò gli occhi che posò subito sull'amico, senza mettere a fuoco i dettagli.
 
"Salvo! Mi hai fatto prendere un colpo!"
 
Esclamò infastidito, con voce impastata.
 
Salvo mise su un'espressione dispiaciuta palesemente finta, tanto che gli occhi gli brillavano divertiti.
 
"Oh mi scusi dottor Augello, le chiedo umilmente perdono! La prossima volta provvederò a servirle caffè e cannolo, la aggrada?"
 
Replicò con la solita ironia, lasciandosi andare in una risatina alla fine. Era stanco, ma tutto sommato era di buon umore: i Cuffaro, adesso, avrebbero avuto un'importante difficoltà a riorganizzare lo spaccio, data l'impossibilità di recuperare la materia prima, e questa era indubbiamente un'ottima notizia. Volendo essere davvero ottimisti, poi, con un po' di fortuna qualcuno degli arrestati avrebbe collaborato e fatto qualche nome importante per scontarsi qualche anno di carcere, ed anche questa era un'ottima notizia. Doveva pensare soltanto a questo e scacciare altri tipi di pensieri fastidiosi come mosche.
 
Mimì arricciò il naso, bofonchiando un verso di disappunto. Si passò una mano sul viso pesante, liberò uno sbadiglio e solo allora si accorse che non si trovavano più al porto. Si accigliò, perplesso.
 
"Ma dove siamo?"
 
Biascicò, ancora un po' intontito. Guardando in basso, si accorse inoltre di avere un cappotto non suo addosso.
 
"Questo non è il tuo, scusa? Perché ce l'ho io?"
 
Chiese ancora, tornando a guardarlo.
 
Salvo soffiò una risatina, divertito.
 
"Ma come, Mimì, non riconosci casa tua?"
 
Indicò poi il proprio cappotto con un cenno del capo.
 
"Ti sei addormentato, avevi freddo, e te l'ho messo addosso, semplice."
 
Aggiunse con una scrollata di spalle.
 
Mimì saltò a sedere più composto -dal momento che, dormendo, era scivolato sul sedile-, sentendosi invaso da un profondo senso di vergogna.
 
"Come addormentato? Ma potevi svegliarmi, no?"
 
Esclamò, prendendosela più con se stesso che con l'amico. Era andato lì per aiutarlo e invece era crollato come un fesso, senza nemmeno accorgersene. Perfino Catarella avrebbe fatto di meglio!
 
Salvo sollevò l'angolo delle labbra in un sorrisetto ironico, ma non tagliente come suo solito. Non era arrabbiato.
 
"E perché avrei dovuto? Dormivi così bene, sarebbe stato un peccato."
 
Replicò con una punta di sarcasmo, ma con una calma che contrastava contro l'agitazione dell'amico, così da fargli capire -a modo suo, naturalmente- che non era successo nulla di grave.
 
Mimì lo guardò accigliato, perplesso. Si sarebbe aspettato come minimo una predica degna di una messa domenicale, e invece niente! Se ciò fosse un bene o un male, però, non era in grado di stabilirlo.
 
"Mi stai pigghiando po culu?"
 
Salvo ridacchiò e sollevò le mani in segno d'innocenza.
 
"Non mi permetterei mai!"
 
Accennò un sorriso, distendendo appena le labbra.
 
"Si vede che ne avevi bisogno."
 
Aggiunse, più gentile.
 
Mimì buttò fuori un lungo sospiro, poi gli porse il cappotto ed immediatamente si sentì attraversato da una sottile lama di freddo che lo fece rabbrividire.
 
"Grazie, comunque."
 
Replicò a bassa voce, guardandolo riconoscente.
 
Salvo accettò il cappotto, ma non lo indossò, se lo lasciò semplicemente sulle gambe.
 
"Di niente. Adesso però vai a dormire, siamo stanchi tutti e due..."
 
Mimì rispose con un cenno affermativo del capo, ma non accennò a muoversi. Si sentiva ancora in colpa.
 
"Prima però dimmi qualcosa, insomma... è andato tutto bene?"
 
Domandò, incerto.
 
Salvo prese un profondo respiro per chiamare a raccolta tutta la propria pazienza e annuì.
 
"Mimì, Paluzzo sarà pure un cornuto, ma non è un cretino. Se qualcosa fosse andato storto te ne saresti accorto pure tu, fidati. Adesso, se non ti dispiace..."
 
E con un eloquente gesto della mano gli indicò di uscire.
 
Mimì, non potendo fare diversamente, si decise a tirare la maniglia dello sportello, che aprì leggermente, ma non scese ancora dall'auto.
 
"Va bene Salvo, ci vediamo domani, allora. Immagino ci saranno parecchie scartoffie da sbrigare..."
 
Replicò, abbozzando un sorriso incerto.
 
Salvo scosse leggermente il capo.
 
"Non è un problema che ti riguarda. Rimani a casa domani, riposati. È meglio così."
 
Disse tranquillo, pensando di dargli una buona notizia.
 
Mimì, invece, si mise subito sulla difensiva, allarmato. La sua lingua si mosse più velocemente di quanto la mente impiegò a realizzare che Salvo gli aveva appena proposto ciò che cercava di ottenere da giorni.
 
"E perché questa novità? Ho sbagliato, mi sono addormentato e mi scuso, ma avresti potuto svegliarmi e…"
 
Salvo sollevò gli occhi al cielo e sbuffò, interrompendolo bruscamente.
 
"Ma ti vuoi calmare? Non è per quello che te lo sto dicendo! È che negli ultimi tempi sei strano, pensavo ti facesse comodo avere una giornata, o anche due o tre se proprio ti servono, per riprenderti! Ti sto facendo un favore, sta a te decidere se accettarlo o no."
 
Mimì serrò la mascella, resosi conto di aver parlato troppo in fretta. Effettivamente, un po' di riposo non poteva che fargli bene.
 
"Però se hai bisogno d'aiuto mi chiami."
 
Ribatté, guardandolo negli occhi, ma conscio del fatto che non sarebbe mai accaduto.
 
Salvo annuì rapidamente, già promettendo a se stesso che non l'avrebbe fatto nemmeno in caso di invasione aliena. Sperava soltanto di riavere il suo amico com'era prima, dopo quelle ferie forzate.
 
"Sì, te lo giuro sul mio onore di commissario. Buonanotte, Mimì."
 
Disse, categorico.
 
Mimì colse l'antifona -Salvo era stanco, meglio lasciarlo andare a riposare prima di indispettirlo gravemente- e si decise finalmente ad aprire la portiera con uno scatto.
 
"Buonanotte a te, Salvo."
 
Mormorò prima di scendere e di incamminarsi verso casa.
 
Salvo lo vide allontanarsi fino a sparire dietro al portone, e solo allora sollevò il cappotto e, con un po' di fatica, se lo infilò. Venne investito dal profumo famigliare e vagamente silvestre della colonia di Mimì, un odore che sentiva ogni giorno e a cui quasi non faceva più caso, eppure in quel momento gli fece uno strano effetto: gli salì alla testa come un liquore mandato giù troppo in fretta e per qualche istante lo lasciò piacevolmente stordito. Forse l'odore era troppo forte o forse lui era troppo stanco, o forse entrambe le cose.
 
Fece un respiro profondo e mise in moto l'auto, guidò fino a casa e una volta entrato non accese nemmeno la luce, si mosse al buio, avanzando a memoria, e si fermò accanto al divano. Si liberò rapidamente dai vestiti, che gettò disordinatamente lì sopra, e si lanciò dritto a letto, pronto ad abbandonarsi tra le braccia di Morfeo. Il rumore delle onde imbizzarrite arrivava attutito dalle imposte chiuse, era quasi rassicurante ascoltare quel suono lontano, e non c'erano altre fonti di disturbo che avrebbero potuto inquinare il proprio sonno. Il letto era vuoto, e così tirò a sé il cuscino libero, quello che Livia aveva usato fino alla notte passata, e vi si avvinghiò per stare più comodo.
 
Gli bastò un secondo di quel contatto, tuttavia, per provocargli un sonoro starnuto che gli fece sbarrare gli occhi nel buio. Pensò si trattasse di un caso e si impose di dormire, ma non appena si avvicinò di nuovo a quel cuscino starnutì nuovamente, per ben due volte. Capì, allora, che a dargli fastidio era quel caldo odore di rose, lo stesso che solitamente respirava sulla pelle nuda di Livia, e si tirò su a sedere, sbuffando.
 
"Che bella novità..."
 
Mugugnò tra sé e sé, passandosi una mano tra i ricci, già immaginando il momento in cui avrebbe dovuto spiegare a Livia di cambiare profumo perché all'improvviso quello che aveva sempre usato gli faceva prudere il naso. Questa volta accese l'abat-jour sul comodino, si alzò, prese il cuscino della discordia e, continuando a sbuffare, lo portò fino al divano per allontanarlo il più possibile; l'indomani avrebbe chiesto ad Adelina di lavare la federa e di far arieggiare la lana, per il momento non poteva fare altro.
 
Tirò un paio di volte su col naso, che ancora si sentiva pungere, e lo sguardo gli ricadde sul cappotto abbandonato sullo schienale. Non riusciva a credere a ciò che stava pensando, ma quel profumo di bosco fresco e leggero forse avrebbe potuto aiutarlo a purificargli, per così dire, le narici, e così lo prese e se lo portò a letto, affondandovi il viso: certo, se qualcuno lo avesse visto in quel momento, si sarebbe vergognato peggio di un ladro, ma era da solo e non correva questo rischio, oltre ad essere troppo stanco per discutere con se stesso. Fece un bel respiro, lasciandosi inebriare dalla provvidenziale colonia di Mimì, e scivolò in un sonno profondo con una naturalezza che gli era del tutto sconosciuta.
 
*****
 
Mimì si richiuse la porta alle spalle ed avanzò per qualche metro nel buio, fino a quando si scontrò, cogliendolo in pieno, con una piccola cassettiera che era in quel corridoio da quando aveva preso in affitto quella casa e di cui puntualmente dimenticava l'esistenza. Mugugnò un'imprecazione a denti stretti mentre cercava a tentoni l'interruttore della luce con una mano e si massaggiava il fianco colpito con l'altra, poi, ancora dolorante, si spostò in camera promettendosi come ogni volta che avrebbe tolto quell’inutile mobile di mezzo, perfettamente consapevole che, come ogni volta, non l'avrebbe fatto.
 
Si spogliò in fretta, abbandonando i vestiti su una sedia, ed un attimo dopo il letto lo accolse con un caldo abbraccio; lui, tuttavia, non si lasciò accogliere. Prese a girarsi e a rigirarsi più e più volte tra le lenzuola sempre più aggrovigliate come un pesce fuor d'acqua, ed esattamente come un pesce fuor d'acqua si sentiva privato del proprio elemento: il mare.
 
Gemendo stizzito si tirò su a sedere, accese la lampada sul comodino e con gli occhi ridotti a due fessure per il fastidio provocato dalla luce lesse le lancette della sveglia lì accanto: erano ormai le quattro passate, aveva trascorso più di un'ora a cercare un sonno che non voleva sapere di arrivare, dunque si rassegnò ad una notte passata senza dormire. Solo perché doveva essere insonne, però, non voleva dire che quella notte non potesse essere piacevole, e allora sì rialzò, si rivestì in fretta e si infilò in auto con una meta ben precisa in mente. Era troppo tardi per andare in giro a cercare di fare conquiste, non era nemmeno dell'umore adatto per farlo ed oltretutto non voleva perdere tempo, ma conosceva un posto dove il giorno e la notte facevano a cambio e dove avrebbe ottenuto ciò che richiedeva senza il minimo sforzo.
 
Quando arrivò alla Mannara, trovò altre tre auto parcheggiate lungo la spiaggia, segno che non era l'unico disposto a sfidare il freddo per trovare una fuga dai pensieri. Il bordello, di cui poteva dirsi un discreto frequentatore -anche se solitamente prediligeva un altro modo per riempirsi le serate-, era gestito da uno che per tutti si chiamava Gegè -neanche lui conosceva il suo vero nome, né gli importava saperlo- e l'unico motivo per cui non era ancora finito in carcere era perché le informazioni che passavano da lui, attraverso le sue picciotte, spesso erano di vitale importanza per la riuscita di un'indagine, e così il commissario Montalbano, che era l'unico con il quale Gegè si confidava, chiudeva entrambi gli occhi quando si trattava di lui.
 
Fu proprio Gegè ad accoglierlo, uscendo da una casupola più piccola delle altre, venendogli incontro a braccia aperte.
 
"Dottor Augello, che piacere vederla qui! Era da un po' che mancava..."
 
Disse cordiale, ma a voce bassa perché in posti come quelli la riservatezza era fondamentale.
 
Mimì sfoggiò un sorriso sghembo che non si sentiva dentro, ma tenne le mani bene in tasca e non accennò nessun tipo di saluto.
 
"Eh, caro Gegè, hai ragione, ma sono stato impegnato."
 
Replicò, mantenendosi sul vago. Con un cenno del capo, poi, indicò i due filari di casette in mattoni, vecchie abitazioni di pescatori che erano state riadattate a case di piacere, che si aprivano su un piazzale più ampio illuminato da qualche fuoco, ed intanto allungò una banconota ripiegata.
 
"Mi servo da solo?"
 
Aggiunse, mostrandosi più sicuro di quanto fosse. La verità era che voleva soltanto spegnere la mente per qualche ora.
 
Gegè accettò il denaro con un gesto elegante, lo fece sparire in tasca, e poi annuì così profondamente da fare quasi un inchino.
 
"Ma certo, Dottore, lei qui è padrone!"
 
Mimì accennò un mezzo sorriso di circostanza, la cosa non lo lusingava così tanto.
 
"Grazie."
 
Ribatté, giusto per dire qualcosa. Avanzò un poco, poi tornò sui propri passi.
 
"Naturalmente posso contare sulla tua discrezione, vero?"
 
Domandò a bassa voce, guardandolo negli occhi. Salvo non sapeva che di tanto in tanto frequentasse quel posto e doveva continuare a non saperlo: già normalmente non approvava che si accompagnasse a donne sempre diverse, figurarsi come avrebbe reagito se avesse scoperto che talvolta ricorreva alla compagnia a pagamento! E poi non era un lato di sé di cui andava particolarmente fiero, per cui preferiva mantenere il segreto.
 
Gegè allungò le labbra in un sorriso furbo che, insieme ai capelli rossicci che spuntavano a ciocche sotto al cappello, contribuiva a dargli un aspetto volpino.
 
"Non si preoccupi, Dottore. Il nostro amico in comune non saprà mai che è stato qua, ha la mia parola!"
   
 
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