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Autore: Afaneia    09/04/2024    1 recensioni
Link viene condannato ingiustamente per alto tradimento.
Impa e i Campioni escogitano l'unico, folle piano possibile per salvarlo.
Succedono cose.
La mattina del terzo giorno Zelda è stata confinata nei suoi appartamenti dalle guardie e a Link è stato ricordato senza mezzi termini che, rifiutando un ordine diretto del re, rischiava la corte marziale. Senza scomporsi, Link ha pranzato con calma, ha indossato la divisa della guardia reale, ha congedato il suo attendente e si è seduto nei suoi alloggi ad aspettare che venissero ad arrestarlo; ha scritto qualche lettera, nel frattempo, e ha annotato delle idee sulle mappe che campeggiano da mesi sul suo tavolo da lavoro. Quando i soldati mortificati si sono presentati con l’ordine d’arresto, ha chiesto solo la cortesia di non essere ammanettato, ha deposto la Spada sul tavolo e li ha seguiti senza opporre resistenza.
Revalink, ovviamente.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Impa, Link, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo X – Vigilia
 
Metti la tua mano nella mia,
e le nostre dita si stringano,
il tuo collo sulla mia spalla,
e i nostri cuori si ascoltino battere,
lascia poggiare la tua fronte
e i nostri sguardi si confondano.
Ma non arriviamo fino al bacio
per paura che l’amore ci distragga.
 
André Gide, I quaderni di André Walter
 
Va un po’ meglio, ultimamente. Davvero. Anche se Link non sarebbe in grado di spiegare perché.
Il giorno si allenano al Volodromo sfruttando le ore di luce, quando non nevica eccessivamente; talora persino con la pioggia: Link sguazza nel fango che gli arriva a mezza coscia, coi capelli bagnati appiccicati al viso come serpenti scuri annidati sulle sue guance, gli abiti fradici che gli aderiscono addosso mentre la pioggia gelata ruscella sulla sua schiena insinuandoglisi lungo la nuca e sulle clavicole; a parte il fango, Revali condivide il suo stesso destino di ghiaccio e di pioggia, così come con lui condivide il pane e l’acqua: a sera, quando tornano a casa, Revali non si sconvolge neppure più per la sua presunta nudità quando abbandona gli abiti infangati sulla soglia prima di entrare in casa.
Mantengono il patto che hanno fatto: s’allenano alternando le armi di giorno in giorno. I giorni in cui Link si allena con l’arco, seguendo i consigli di Revali, sono i più pesanti, eppure gli sembra di percepire dei miglioramenti, a poco a poco. Riesce a sollevarsi in volo con la paravela sfruttando le correnti d’aria, quasi alla maniera dei Rito; quando si lascia cadere, riesce a prendere la mira, anche se per un solo colpo, prima di dover riaprire la paravela. Quest’ultimo passaggio è il più difficile, ovviamente: la maggior parte delle volte finisce per rotolare a terra all’interno della voragine al centro del Volodromo. Riesce a risalire solo aprendo di nuovo la paravela, perché la buca è troppo profonda per arrampicarsi lungo le pareti. La sua mira però è migliorata: Revali ha frugato in casa per un po’, mettendo a soqquadro casse che avevano l’aria di non venire aperte da una decina d’anni, nei giorni in cui erano bloccati dalla neve, e ha tirato fuori alcuni vecchi archi di varie forme e dimensioni. Glieli ha fatti provare uno alla volta: la prima volta Link ha alzato lo sguardo su di lui con aria interrogativa.
«Abbiamo appurato che era il tuo arco a far schifo, il che è un bene, visto che è più facile cambiare l’arco che l’arciere» ha detto Revali alzando le spalle. «Proviamo a cambiare l’arco, quindi. Questi li ho costruiti quando non ero molto più alto di te, perciò facciamoli andar bene per allenarti finché non avremo trovato una soluzione definitiva.»
«Proviamo» ha risposto Link poco convinto, perché i patti sono chiari: nei giorni in cui segue il suo allenamento, deve dar retta a Revali. S’è rigirato tra le mani quegli archi per giorni, uno per volta, quasi per il puro gusto di sperimentarli: sono adatti a essere usati in volo, sono più flessibili e più rapidi di quelli che ha sempre usato nell’esercito Hylia. S’accorge di scoccare molto più rapidamente quando li usa.
 Revali osserva i suoi progressi con soddisfazione, in gran parte perché, ovviamente, li reputa come progressi conseguiti da se stesso, dalla sua arte e dalla sua tecnica contro la natura degli Hylia. Link non glielo dirà mai, ma sa essere un buon insegnante, quando vuole; è importante che non lo sappia, però, perché a questo dannato Rito non occorre altro che un altro motivo per andar fiero di se stesso; e Link non intende esser quello che glielo fornirà.
A sera, dormono insieme. Non ne parlano neppure più.
«Hai freddo?» gli ha chiesto Revali soltanto, le prime sere, quando la neve ghiacciata ostruiva la porta e le finestre e persino il fuoco pareva congelare nell’aria troppo fredda della notte di Hebra.
«Certo che ho freddo» rispondeva Link immancabilmente, tremando mentre sistemava scaldaletto bollenti nell’amaca; Revali non ha mai risposto, ma ogni notte s’è infilato piano al suo fianco, sotto le coperte, lo ha circondato con le ali, e ha taciuto nervosamente aspettando che s’addormentasse. Dopo un po’ di notti non ha chiesto più. Il suo corpo è caldo come brace, e Link si sorprende a cercarlo accanto a sé nelle notti infinite di Hebra.
«Ho notato che Revali non si alza più così presto per andare al Volodromo» gli dice Kagan, quasi distrattamente, un giorno che viene a trovarli in mezzo alla neve per accertarsi che sia tutto a posto: a quanto pare, tutto il borgo è preoccupato che lui patisca troppo il freddo di Hebra. «Non si sente bene?»
Poiché la sua domanda era tendenziosa, Link esita prima di rispondere. «Mi stai davvero chiedendo della sua salute?»
«Ovviamente no» risponde Kagan. «Devo supporre che sia cambiato qualcosa, quindi?»
Link si accerta che Revali non sia da nessuna parte a portata d’orecchio, prima di rispondere; in verità è soltanto a pochi metri di distanza, nella stanza da bagno, ma può correre il rischio ugualmente. Per precauzione, comunque, si premura di parlare molto piano. «Dormiamo insieme, ora.»
Kagan attende che a queste parole ne seguano altre per un po’. Poiché altre, tuttavia, non ne seguono, è costretto a domandare le informazioni che non è in grado di inferire da queste parole solamente. «Avete fatto anche altro, oltre a dormire?»
Link non ha mai saputo fino a questo momento di poter arrossire fino alle orecchie, comprese le orecchie, cioè: a questa domanda si rifiuta di rispondere, a dire il vero non riesce a credere neppure che gliel’abbia posta, e distoglie lo sguardo facendo finta di non aver sentito nessuna domanda e di non poter conseguentemente formulare alcuna risposta. Kagan osserva la sua reazione con occhio esperto, cercando di stabilirne l’origine esattamente come un medico farebbe con una serie di sintomi nella speranza che gli illustrino la natura della malattia.
«No, direi di no» è la conclusione cui giunge. A Link non è dato sapere come ci sia arrivato, ma, a maggior ragione perché è la verità, non deve né intende correggerlo in alcun modo. «Ma va bene, sai, Link, davvero. Alcuni direbbero che dormire insieme è per certi versi ancora più intimo che fare l’amore, perché…»
«Kagan» sbotta Link quasi senza fiato, convinto che la faccia non possa bruciargli più di così. «Potevi anche fermarti quando hai detto che andava bene. Non importava la spiegazione.»
«Che c’è? Mica ti vergognerai» ribatte Kagan sorridendo amabilmente di un sorriso spietato. «Comunque, non sei tornato a parlarmi, dopo quel giorno. Sei riuscito a fare un po’ di chiarezza dentro di te?»
Link tiene nervosamente d’occhio la porta da cui teme di vedere spuntare Revali da un momento all’altro. «Non lo so, in realtà. È solo che…»
Kagan lo incalza dolcemente dopo qualche istante. Tutta la sua ironia scompare, in questi momenti. «Solo che?»
Link non è ben sicuro di sapere come esprimerlo. «Che ora va tutto così bene, Kagan. Ho paura di cambiare le cose.»
Con sua grande sorpresa, e a dispetto di tutta la sua scarsa eloquenza e del suo ostinato rifiuto di dar voce ai suoi sentimenti in modo più chiaro di così, Kagan riesce a comprendere dalle sue parole molto più di quanto dicano effettivamente. «Sei felice così, quindi.»
Felice? Link si sorprende a soppesare quella parola tra sé nei momenti di veglia, con Revali che dorme di fianco a lui: non aveva mai pensato di poter essere felice. È un pensiero così profondamente avvilente che la sua mente si rifiuta talora di soffermarvisi troppo a lungo, come al ricordo di un’ingiustizia: non gli è stato mai detto che poteva pensare a esser felice, in passato. Hyrule è stata al primo posto nei suoi pensieri sempre, per tutta la sua vita cosciente, e Hyrule ha assunto tante forme collaterali, nella sua mente, a misura che il tempo e le necessità passavano e cambiavano, come diverse forme assunte dalla medesima divinità: talora era la Spada, talora era Zelda; Hyrule è rimasta, certo, perché a Hyrule Link sente che non potrebbe negare neppure la sua stessa vita, quando il momento della Calamità verrà; ma quelle diverse incarnazioni assunte dal suo dovere sono sparite, ora. Ora che né i teologi né le leggende parlano più al suo orecchio incessantemente, ricordandogli in ogni momento chi è e chi dovrebbe essere, e a chi e a che cosa devono andare tutta la sua lealtà e il suo amore, e che Zelda non è più l’unico punto costante al centro dell’orizzonte verso cui convergono tutti i suoi pensieri, Link si sorprende a chiedersi davvero se potrebbe esser qualcosa di diverso mai dall’eroe che brandisce la Spada che esorcizza il male; e gli viene da domandarsi se anche Revali potrebbe essere qualcosa di diverso dall’orgoglio dei Rito.
Sono pensieri stupidi, si dice con rabbia la mattina al risveglio, quando la necessità degli allenamenti lo incalza ogni giorno di più, perché ogni giorno di più li avvicina al compleanno di Zelda e al ritorno della Calamità; non ha senso neppure pensarci, perché la Calamità è un termine di tempo al di là del quale egli neppure riesce a proiettare se stesso. Se fallirà, se Hyrule soccomberà al male, non esisterà neppure più uno spazio all’interno del quale poter pensare a qualcosa di diverso: i ricordi del piccolo guardiano lo hanno mostrato anche troppo bene. Si trova a vivere in un tempo nel quale ogni egoismo non è solo impossibile, ma è persino inutile: va bene così, per il momento. Tutto sommato è una fortuna che in vita sua non abbia avuto occasione d’essere egoista mai.
Verso la fine dell’inverno Kagan li convoca entrambi a casa sua: è una convocazione ufficiale in modo inusuale per qualcuno che di solito si presenta a casa loro non invitato a ironizzare sulle loro abitudini notturne. Ci vanno di primo mattino, prima ancora di andare al Volodromo, aspettandosi chissà cosa: in verità, è solo una lettera. Kagan, però, è insolitamente grave.
«Il re di Hyrule ha scritto per chiedere ai Campioni di prendere posto sui rispettivi colossi sacri prima del diciassettesimo compleanno di Zelda» dice. Nella sua voce Link non ricorda d’aver mai sentito tanta serietà. Porge loro la lettera senza dirigerla verso nessuno dei due in particolare: dato che Revali non accenna a tendere le braccia che ha incrociato sul petto, Link la prende al suo posto e la scorre rapidamente. È una lettera formale, in carta intestata, col sigillo di ceralacca e tutto quanto. «Mancano quasi tre mesi, ma penso sia opportuno rispondere subito. Non posso decidere per voi, ma risponderò solo quello che mi direte.»
«Hai detto a Zelda che avremmo mantenuto la parola data» gli fa notare Revali.
«Certo. Prima che lei m’informasse che il re intende offendere un mio concittadino offrendogli la grazia per un reato per cui non può essere condannato non avendolo mai commesso» risponde Kagan. «Da un punto di vista diplomatico, ce n’è più che a sufficienza per ritirare il nostro appoggio alla Corona. Non intendo obbligarvi a fare niente: io scriverò solo quello che voi mi direte di scrivere. La scelta spetta solo a voi.»
«La lettera non parla del ruolo di Link?» domanda Revali.
Kagan scuote il capo. «No. L’ho letta più volte e non fa neppure un accenno al ruolo di Link in tutto ciò: sembra quasi che il re abbia voluto rimuovere totalmente ogni riferimento a te o alla tua Spada dall’intera strategia militare che era stata concordata in origine, il che è folle. Questo ti lascia comunque la piena scelta su come agire, Link» aggiunge guardando verso di lui.
«Noi difenderemo Hyrule» risponde Link macchinalmente rendendogli la lettera. Si accorge solo in quell’istante di aver parlato al plurale: si volta d’istinto verso Revali per fare almeno un cenno di scusa nei suoi confronti, ma Revali annuisce per sottolineare le sue parole senza neppure guardarlo. In fin dei conti, tutto era stato deciso già molto tempo prima che Kagan li convocasse qui: ma quando torna a guardare verso il capovillaggio, Link si stupisce di vederlo appena un po’ più triste di prima. Forse sperava che la loro risposta sarebbe stata diversa; che avrebbe potuto risparmiare a se stesso di mandarli a combattere e a morire. Ma anche Kagan, esattamente come loro seppure in modo diverso, deve fare quello che bisogna: e bisogna che anche lui difenda la sua gente. Riprende la lettera in silenzio.
«Questo comporta che vi dividerete, quindi» dice a bassa voce senza rivolgersi a nessuno di loro in particolare. La sua voce suona immensamente triste. «Ve ne rendete conto, sì?»
«Quanto ti dobbiamo per questa lezione di tattica militare per principianti?» sbotta Revali alzandosi per andarsene. Kagan rimane in silenzio senza rispondere al suo sarcasmo, forse per la prima volta da quando Link lo conosce. La durezza improvvisa nella voce di Revali dice chiaramente che fino a quel momento non ci aveva pensato, o aveva evitato di pensarci, ma è la verità: Link è un soldato di fanteria. Con la Spada che esorcizza il male, con il ruolo che, indipendentemente dal re e dai generali, è destinato ad avere nella guerra che verrà, non può combattere che a terra: il giorno in cui Revali dovrà salire su Medoh, si divideranno. Era per questo che Kagan avrebbe voluto che dicessero di no.
Quel giorno al Volodromo Revali è una furia: non gli rivolge neppure la parola. Link incassa le sue frecce schermandosi dietro lo scudo più preoccupato per lui che per se stesso, senza saper che dire: vorrebbe trovare parole per parlare alla sua rabbia, ma non sa neppure di cosa sia fatta questa sua rabbia o verso chi sia rivolta: se sia arrabbiato con Kagan o col re, con la Calamità o con se stesso. Lo lascia stare. Non si fermano neppure per riposare né per mangiare qualcosa, oggi: solo nel pomeriggio, quando le nuvole cominciano ad accendersi di colori infuocati e i loro volti a divenire liquide pozze indistinguibili nel calare del sole, sembra rendersi conto di quante ore sono trascorse.
«Scusami» dice solamente. È la prima volta in vita sua che Link lo sente chieder scusa per qualcosa in un modo che non sia ironico, e la cosa rischia di provocargli un piccolo arresto cardiaco. «Ero sovrappensiero. Andiamo a casa.»
Non tornano sull’argomento neppure dopo cena: a quello che ha detto Kagan non c’è niente da aggiungere. Non ne parlano più; Revali lavora al suo arco solo un po’ più a lungo del solito, dopo cena, ma, quando il fuoco nel braciere inizia ad affievolirsi, s’infila sotto le coperte e lo circonda delicatamente con le larghe ali calde come sempre. Link, che ha smesso di tremare da qualche settimana, non ha nulla da obiettare. Il giorno dopo non ci pensano più.
Continuano ad allenarsi. Link si sente più sicuro di sé ogni giorno che passa: lascia andare la paravela quasi per istinto prima di scoccare, senza neppure riflettere; i bersagli paiono delinearsi di fronte ai suoi occhi in un rallentamento del tempo che esiste solo per lui, la sua mano si muove rapida come il suo sguardo; cade ancora, ovviamente, di tanto in tanto, quando non è svelto abbastanza da riaprire la paravela al volo subito dopo aver scoccato, ma molto meno. Revali non dice nulla, ma neppure critica: osserva soltanto, e, di tanto in tanto, dà ancora qualche indicazione, ma sempre meno via via che passano i giorni. Un giorno scende persino nella voragine, dopo una caduta improvvisa, forse per controllare che non si sia fatto troppo male: è la prima volta che lo fa da quando si allenano. Link ne rimane tanto sorpreso che scoppia a ridere.
«Ti sei reso conto soltanto oggi che rischi di uccidermi?» chiede mentre si sfila la paravela dalle braccia per controllare i danni. Non è nulla di troppo grave: solo una lunga scorticatura lungo il braccio sinistro, dal gomito alla spalla, dove ha strisciato contro la viva roccia mentre cadeva. Ci ha rimesso giusto un po’ di pelle. S’è fatto di peggio.
«Fammi vedere» dice Revali. Sentendosi un po’ a disagio, Link si sfila la tunica e gli porge il braccio. Revali osserva con occhio esperto i lunghi graffi sottili che percorrono la pelle spurgando sangue e siero. «Ti sei sbucciato come un bambino. Brucerà un po’ quando farai il bagno.»
«Sopravvivrò» borbotta Link un po’ imbarazzato, sfilando con delicatezza il braccio dalle sue mani. Revali sorride appena.
«È capitato anche a me di cadere, qualche volta, sai?»
È la prima volta che Revali ammette di fronte a lui di essere fallibile. Link lo guarda un po’ sorpreso nella penombra delle pareti di roccia. «Mentre mettevi a punto le tue tecniche?»
«Sì.»
«E non hai pensato che potrei usare quest’informazione contro di te, adesso che la conosco?»
Revali aggrotta la fronte sorridendo. «Per esempio come?»
«Non so… potrei ricattarti» propone Link. «Potrei raccontare in giro che il grande Revali, una volta, è caduto. Oppure potrei rinfacciartelo tutte le volte che cado durante gli allenamenti.»
«Piccolo Hylia ingrato» ribatte Revali ridendo mentre gli porge una mano per aiutarlo ad alzarsi. «Stavo per chiederti se pensi di farcela a uscire di qui da solo, ma ho appena cambiato idea. Se non ce la fai, penso che ti lascerò qui.»
Link prova a sollevare cautamente la paravela per accertarsi che le braccia possano reggere il suo peso. La spalla gli duole un po’, ma nulla d’insopportabile. «Ti è andata male, allora. Ti toccherà dormire con me anche stasera.»
È la prima volta che parlano ad alta voce del fatto che ormai dormono insieme, ma anche quel riferimento, come ogni altro accenno a qualsiasi cosa in grado di metterli in imbarazzo, passa sotto silenzio.
«Sopravvivrò» gli fa il verso Revali. «Comunque, stai migliorando, sai. Mi spiace non poterti insegnare a volare.»
L’ha detto così, senza pensare né riflettere; forse non intendeva dire nient’altro che questo, che se sapesse volare sarebbe in grado di fare tutto quello che fa lui, che non si sarebbe ferito cadendo; eppure le sue parole risuonano di una strana confortevole intimità, come se Revali avesse voluto metterlo a parte di quell’ultima parte della sua vita, il volo, che finora è appartenuta solo a lui.
«Mi piacerebbe» risponde guardandolo negli occhi. Per una volta Revali non distoglie lo sguardo.
La notte fa sempre più caldo. Rimuovono i pannelli isolanti dalle finestre, le coprono solo di tendaggi sovrapposti: l’aria di primavera s’è fatta tiepida, il vento notturno profuma d’erba tagliata e di polline. Link ormai non indossa più strati su strati per dormire: una notte si sveglia nel buio sentendosi soffocare, sudato, e senza riflettere si rigira nell’amaca, si sfila la tunica e si rimette a dormire. Quando apre gli occhi al mattino si rende conto con orrore d’essere a petto nudo; guarda Revali attendendosi una sua reazione, ma Revali non se n’è neppure accorto: le sue piume sfiorano la sua pelle nuda, gli solleticano l’ombelico, eppure questo dannato Rito che provava vergogna alla sola idea della sua nudità persino quand’era coperto fino al collo non ci bada neppure. Link rimane sveglio a guardare il soffitto finché Revali non si sveglia.
Al toccare la sua pelle nuda, Revali chiede soltanto: «Hai avuto caldo, stanotte?»
Hanno evitato di parlarne per settimane, nascondendosi dietro la scusa del freddo e della neve; ma mentirsi, ora, non è più possibile. «Un po’.»
«Bene» risponde Revali alzandosi. «Allora ricordiamoci di togliere un paio di coperte, quando torniamo.»
Non era propriamente la risposta che Link si era aspettato, ma non è sua intenzione obiettare. Quella sera si limitano a sfilare un paio di coperte dall’amaca e non sollevano più l’argomento.
A misura che l’aria si riscalda, il tempo gocciola via dalle loro mani come acqua. Link vorrebbe poter chiudere le mani, trattenerlo; ma anche se lo facesse, proprio come acqua, scivolerebbe via ugualmente. Talora vorrebbe voltarsi, e guardando indietro vedere dov’è che il tempo è fuggito, ma anche voltandosi non lo troverebbe: neppure di questo parlano mai.
Alla fine lo sapevano che questo momento sarebbe arrivato. I Campioni saliranno sui colossi sacri per metterli in posizione prima del ritorno della Calamità al fare dell’alba, proprio come ha ordinato il re: è come la notte che precede una battaglia, eppure mai Link s’è sentito così inquieto. Forse è perché domani non lo aspetta la lotta: quando Revali salirà su Medoh, a lui non resterà altro che restare sulla terraferma e attendere, attendere. Non può fare nient’altro. La prospettiva dell’attesa lo spossa più di quella del combattimento: d’un tratto gli pare d’essere tornato in carcere; di vedere i movimenti di Revali, e forse anche i suoi, come attraverso uno strato d’acqua che li separa. Vorrebbe saper dire qualcosa, ma gli mancano le parole: osserva Revali in silenzio per tutto il giorno. Se la cosa lo infastidisce o lo mette a disagio, quantomeno oggi Revali è così paziente da non darlo a vedere.
Non sono andati al Volodromo, oggi: Revali è preso dai preparativi. Si reca a casa loro un pellegrinaggio di Rito pronti a salutarlo: portano regali, frutta, coperte, qualunque cosa pensino che possa accompagnarlo sul colosso. Revali li ringrazia con la sicurezza fiera, un po’ sfrontata, di sempre: se ha paura, non la dimostra.
Rimangono soli soltanto a sera. Link prepara qualcosa da mangiare, ma non ha fame: si sente nauseato, angosciato, e gli chiude lo stomaco una morsa come una grande mano che lo stringe.
«Siediti con me, per favore» dice Revali d’un tratto.
È seduto vicino al fuoco, col suo arco in grembo. Sentendosi il cuore martellare in gola più forte di quanto l’abbia sentito mai, Link obbedisce senza sapere perché: si siede in silenzio di fronte a lui. Revali l’osserva per un poco.
«Ti ricordi, un po’ di tempo fa, quella volta che ti sei stupito perché ho iniziato a preparare un nuovo arco subito dopo aver finito il mio?»
Link ne ha un ricordo vago, a dire il vero, però ce l’ha: gli torna in mente d’un tratto, ora che glielo chiede. È stato il giorno dopo il matrimonio di Avaris: quel giorno Revali gli ha concesso l’enorme onore, quantomeno nella sua mente, di provare l’arco Aquila. Annuisce senza parlare.
«Bene» riprende Revali dopo un momento. Sembra un po’ impacciato. «Non te ne ho mai parlato perché non ero sicuro di fare in tempo a finirlo, prima di… comunque, ecco qui. Visto che il tuo arco faceva schifo, te ne ho fatto uno io. Tieni. Consideralo un regalo d’anniversario un po’ in ritardo.»
Link fissa l’arco che Revali gli porge senza capire: quello è il suo arco Aquila. Revali non ha mai permesso a nessuno neppure di toccare – no. Un momento. Quello non è il suo arco: è più piccolo. Link non riesce a credere di aver osservato Revali lavorarci per tutto l’inverno e di non essersene mai accorto: quello è a tutti gli effetti un arco Aquila, ma dell’esatta misura per un cavaliere Hylia.
«Non posso accettare» riesce a dire soltanto quando ritrova voce.
Gli occhi di Revali si illuminano dello spettro di una risata. «Sapevo che l’avresti detto. Per curiosità, perché no?»
Perché è troppo, vorrebbe dire Link se solo gli venissero in mente le parole; perché è l’arco del tuo genio e della tua fierezza, che nessuno a parte te è in grado di maneggiare, neppure tra i Rito. Invece, frugando nel vuoto che in questo momento pervade la sua mente, dice la cosa più stupida del mondo: «Perché io non ti ho fatto un regalo per l’anniversario.»
«Avevo già previsto che saremmo stati una di quelle coppie sbilanciate in cui uno dei due fa tutto il lavoro per tenere in piedi la relazione» risponde Revali. «Cosa che, in effetti, siamo sempre stati davvero. Ci sono altre motivazioni, oltre a questa sciocchezza che ti farò il piacere di considerare una forma di delirio?»
A questo punto Link ha ripreso contezza di sé a sufficienza da riuscire ad articolare una risposta coerente e quasi ragionevole. «Revali… è un onore troppo grande. Non posso accettare.»
«Lo so che è un onore troppo grande per te: l’ho fatto io.» Questa volta Revali sorride senza più ironia. «Link, ascolta… avremo bisogno di tutte le armi a nostra disposizione contro la Calamità. Ti ho allenato perché tu fossi in grado di utilizzare questo arco, perciò prendilo. Sarò più tranquillo sapendo che l’avrai con te quando non sarò qui per proteggerti.»
Link lo prende con delicatezza senza sapere cosa dire. Ora che lo tiene in mano gli sembra impossibile non essersi reso conto in tutti questi mesi che era della misura esatta per le sue braccia, per la sua statura: si sente profondamente sciocco per non averlo realizzato prima. Se lo rigira tra le mani senza parole. Revali osserva i suoi movimenti con soddisfazione.
«Lo so, lo so. È più di quanto potrai mai fare per me, eccetera. Risparmiamoci i soliti discorsi, d’accordo?»
«I ringraziamenti rientrano nei soliti discorsi?» s’informa Link levando gli occhi su di lui.
Revali esita un momento. «Quelli sono consentiti, direi. Ma non esagerare.»
Prima che Link faccia in tempo ad aggiungere qualsiasi cosa, sentono bussare piano contro lo stipite della porta aperta nell’ultimo sole del tramonto. Quando si voltano, Kagan è affacciato sull’uscio. Ha l’aria stanca, vagamente imbarazzata, e profondamente triste. Link non ricorda d’averlo mai visto così.
«Ehi» dice. «Sono ancora in tempo per salutare l’orgoglio dei Rito?»
Revali si alza per andargli incontro e gli fa cenno di entrare, ma Kagan avanza di un passo soltanto e rivolge a Link appena un cenno di saluto. Si stringe Revali al petto come la prima volta che Link lo ha visto, quella sera in cui li ha accolti al borgo, ma stavolta mormora con voce rotta: «Per favore, non andare.»
«Ehi» lo riprende Revali a bassa voce, senza districarsi dal suo abbraccio. «Mica avrai paura, capo?»
«Sì» risponde Kagan senza mezzi termini. «Ho paura di non rivederti più. Volevi proprio sentirmelo dire, eh?»
«Forse sì» dice Revali. L’ironia nella sua voce, per una volta, suona un po’ forzata. «Dobbiamo fare quello che bisogna, Kagan. Tu sei il capo. Devi mostrarti coraggioso.»
«Ma davanti a voi non ce n’è bisogno.» Kagan si passa una mano sugli occhi per un momento. «In questi momenti penso che non avrei dovuto accettare di diventare capovillaggio, sai. Avresti dovuto accettare tu quando te lo hanno proposto. Saresti stato molto più adatto di me. Se dipendesse da me, non ti manderei mai a rischiare la vita su Vah Medoh.»
«E tu che avresti fatto allora? Il campione dei Rito? Non riusciresti a colpire una roccia ferma con una freccia.» Revali riesce quasi a strappargli una risata. «Abbiamo fatto entrambi quello che ci riusciva meglio, Kagan. E poi, abbiamo avuto capi peggiori di te. Ora non me li ricordo, ma…»
«Ora mi sento meglio» lo interrompe Kagan. «Tutto sommato, riesci a essere così antipatico che quasi non mi dispiace più lasciarti andare.»
Revali sorride come per una vittoria conseguita; poi, a voce appena più bassa, riprende: «Siamo sempre d’accordo per quelle questioni, sì?»
Kagan gli fa cenno di sì col capo. «Certo che siamo d’accordo. Non sono mica cretino.»
«Questo è da vedere» risponde Revali. Lo stringe a sé ancora per qualche istante. «Ti fermi a cena con noi?»
«Meglio che vada a dar da mangiare ai miei due bricconi» risponde Kagan. La voce gli trema ancora un poco. «Link, vieni da noi, domani? Possiamo aspettare insieme.»
Domani non ci sarà nulla da aspettare: se i calcoli di Pruna sono esatti, mancano ancora due giorni al risveglio della Calamità, e domani sarà solo un giorno come un altro, interminabile; ma proprio per questo Kagan lo sta invitando a non trascorrerlo da solo a chiedersi che cosa debba accadere.
«Grazie, Kagan» risponde Link. Ha il cuore pieno di gratitudine, perché Kagan sta cercando di aiutarlo in ogni modo in cui gli è possibile farlo: e se non ha altro da offrirgli che la sua casa e i suoi figli vivaci e rumorosi, allora è quello che gli offrirà. «Verrò non appena Revali sarà partito.»
«Bene. Quand’è così, allora…» Kagan non si decide a uscire. Guarda Revali ancora e ancora, come se potesse convincerlo a cambiare idea e a restare con la sola forza del suo sguardo: ma Revali è un guerriero che ha votato tutto se stesso a difendere la sua gente sempre.
Posando una mano sulla sua spalla, Revali dice: «Ci vediamo quando tutto questo sarà finito, Kagan. Te lo prometto. Bacia i tuoi spiumatelli da parte mia e di’ a quello grande che quando torno gli insegno a volare.»
Kagan fa per dire qualcosa per salutarlo, ma non trova parole. Si sforza di accennare un sorriso che non si allarga ai suoi occhi prima di uscire.
 
Nessuno dei due riesce a dormire, questa notte. D’improvviso è come se l’amaca si fosse fatta stretta e scomoda: Link si sente consapevole di ogni frazione dello spazio in cui i loro corpi si toccano, di ogni minuto che trascorre. Vorrebbe che fosse in suo potere accrescere il tempo e lo spazio: vorrebbe che non tornasse la Calamità, che Revali non dovesse salire su Medoh mai. Vorrebbe prorogare questo tempo infinitamente, trattenerlo; vorrebbe tenere Revali qui per sempre, dove può vederlo. Non sa cosa accadrà domani, tra un giorno, un mese; ma in questa notte in cui ancora le braci scricchiolano le une contro le altre, gli par quasi di poter tenere la Calamità lontana in eterno.
«Dormi?» sussurra Revali nel buio.
Per una volta non suona come un ordine. «No. Neanche tu, mi sembra.»
«Bene. Link… ho tre cose da chiederti per domani. Tre favori, se vogliamo chiamarli così.»
Link sente se stesso deglutire dolorosamente nell’oscurità. «Ti ascolto.»
«D’accordo. La prima… non venire a vedermi partire, domani. Sarà più facile se ci salutiamo adesso.»
Revali vuole partire da solo. Link riesce quasi a vederlo di fronte a sé, nello squallore livido delle prime luci dell’alba, completamente solo. Non pensava che questa richiesta gli avrebbe fatto tanto male: è come se Revali volesse tenerlo lontano da sé, recluderlo da qualche parte dove la sua presenza non possa toccarlo; ma è lui che deve partire, dopotutto. Su di lui, su quel preciso momento della sua vita, Link sa di non poter accampare alcun diritto.
«Ne sei sicuro?»
«Sì, Link. Ci ho pensato. Non rendiamo le cose più patetiche di quanto già non siano.»
«Va bene» risponde Link; ma si sente la bocca improvvisamente molto asciutta. È lieto che Revali non possa vederlo in questo momento. «La seconda?»
«Giusto. La seconda. Link, se io, per qualsiasi motivo, non fossi in grado di scendere da Medoh…» Se io morissi, vuol dire Revali: è la prima volta che Link gli sente ammettere d’essere mortale. La cosa lo spaventa più di quanto sia in grado di dire a parole, perché significa che è la prima volta che ce n’è bisogno. «Per favore, fai evacuare la mia gente. Kagan è un bravo capo, ma sarà solo e tutti saranno in preda al panico. Il borgo è pieno di bambini che ancora non sanno volare. Avrà bisogno di qualcuno che gli dia una mano. In fondo ti hanno accolto come hanno potuto…»
«Revali» lo interrompe Link. «Perché pensi di dovermi convincere?»
Revali tace a lungo. «Hai ragione. Non è molto giusto nei tuoi confronti. È solo che…»
«È anche la mia gente, adesso» gli fa notare Link a bassa voce.
Per un po’ Revali non sa come rispondere a quest’osservazione.
«Sì» dice dopo un poco. «Non l’avevo mai vista così. La nostra gente.»
«E la terza cosa?» chiede Link per cambiare argomento. Sente un groppo formarglisi in gola, minacciare di farlo piangere; ma non può permetterselo adesso.
«Non è proprio un favore, in realtà. È più una cosa che devi sapere. Il mio testamento ce l’ha Kagan. Tu sei il mio unico erede, naturalmente, e non è che io possieda chissà quali beni… ma ho ritenuto più prudente scriverlo comunque. Non si sa mai. Qualunque cosa accada, quando a situazione si sarà stabilizzata, ti spiegherà tutto lui e si prenderà cura di te, se ce ne sarà bisogno.»
Questo è talmente inaspettato, incredibile, che Link neppure sa come rispondere. Si tira a sedere incredulo sull’amaca, in silenzio, e rimane immobile a considerare quelle parole.
«Sai cos’è un testamento, vero?» domanda Revali dopo un po’, in assenza di una risposta più precisa da parte sua.
«Certo che lo so» ribatte Link duramente.
La freddezza improvvisa della sua voce lo sconcerta solo un momento. «Bene. Allora di certo capirai perché bisognava che tu lo sapessi.»
«Revali» esclama Link. «Vuoi per favore smetterla di parlare come se tu da Medoh non dovessi mai più uscire?»
«Perché?» ribatte Revali. «Tu di morire non l’hai pensato mai?»
Link torna a distendersi lentamente al suo fianco. Certo che ci ha pensato alla morte: è il futuro dopo di lui, dopo la sua morte, che non ha mai preso in considerazione. Di tornare vivo da una battaglia non l’ha dato mai per scontato, ha visto morire troppi uomini; ma non si è mai chiesto cosa sarebbe accaduto dopo di lui. Neppure quando l’hanno condannato a morte ha pensato a qualcosa di concreto, tangibile, reale come un testamento; e d’improvviso gli sembra d’esser stato molto miope e molto sciocco.
Tutto preso da questi pensieri, non risponde; allora Revali parla ancora. «A questo proposito, Link… c’è un’altra cosa. Non te l’avrei detta se non avessimo sollevato l’argomento, ma…»
«Che cosa c’è?» chiede Link a bassa voce, senza aspettarsi altro.
«Se io dovessi morire, e tu volessi risposarti… non sposare Derdran. È l’unica cosa che ti chiedo.»
Link impiega un tempo assurdamente lungo a realizzare che stavolta Revali lo sta prendendo in giro. Gli scaraventa addosso un cuscino, e Revali scoppia a ridere.
«Ti sei offeso? Per caso volevi sposare proprio lui?»
«Voglio scoparmi tutta la guarnigione di Hebra» ribatte Link. «Contento?»
«Beh, non posso dire che mi farebbe piacere, ma rientrerebbe nei patti» deve riconoscere Revali. «Purché non Derdran, puoi fare quello che ti pare. Dopo che io sarò morto, però. Non prima, siamo intesi?»
«Mi fai venir voglia di andare a cercare proprio lui solo per farti dispetto. Come se poi la regione di Hebra pullulasse di Rito tutti pronti a venire a sposare proprio me tra tutti.»
«Beh, di certo lui ti sposerebbe per far dispetto a me» commenta Revali cupamente.
Link torna a distendersi di fianco a lui. Poiché gli ha scaraventato addosso il cuscino e non ha la minima intenzione di frugare al buio per trovarlo, è costretto ad appoggiare la testa direttamente contro la sua spalla. Revali s’irrigidisce appena, ma non si sposta.
«Pensi ancora a quella scena al matrimonio?»
«Non penso a nulla. Dico così, per dire.»
Questa è probabilmente la bugia più grossa che Link abbia mai sentito. Decide di affrontarla con una strategia meno diretta.
«Va bene. Farò tutto quello che mi hai chiesto, ma in cambio ho anche io una richiesta. Ci stai?»
«Mi sembra equo» conviene Revali. «Cioè?»
«Ti farò una sola domanda, ma tu devi rispondere sinceramente. Se mentirai, me ne accorgerò. E chiederò a Derdran di sposarmi, anche. Va bene?»
«Mi sembra un po’ meno equo. Comunque, vai avanti. Chiedi.»
«Quella sera, dopo il matrimonio, a un certo punto stavi per chiedermi qualcosa. Che cosa volevi chiedermi?»
Revali rimane in silenzio tanto a lungo che si potrebbe quasi pensare che non abbia sentito la domanda; ma che l’abbia sentita Link lo sente dalla rigidità del suo corpo, dalla lentezza del suo respiro. Sta pensando: comunque, lui non ha fretta. Aspetta.
«Ricordo di averti chiesto se ti avesse fatto piacere che Derdran avesse provato a toccarti» inizia Revali lentamente.
«Non è questo che ti ho chiesto» osserva Link. «Non divaghiamo.»
«Va bene. Avrei voluto chiederti che cosa avresti pensato se invece avessi provato a toccarti io.»
Link si sente improvvisamente molto consapevole del suo corpo, dell’aria nei suoi polmoni, dei grilli che cantano eternamente nella notte, delle piume di Revali che sfiorano la sua pelle. S’accorge di non respirare da qualche secondo.
«Avresti voluto toccarmi?» chiede. Gli sembra di impiegare un’infinità a pronunciare queste parole.
«Qualche volta» risponde Revali. La sua voce è bassa, nervosa. «Forse sì.»
«Era per questo che non volevi dormire con me all’inizio?»
«Anche. Non solamente.»
«Perché non hai mai provato a toccarmi?»
Il silenzio si prolunga tanto a lungo che Link quasi potrebbe sentirlo con la mano. Quando Revali parla di nuovo, le sue parole sono tanto flebili che è come sentire di averle immaginate. «Sei così diverso da me. Non avrei saputo come toccarti, come raggiungerti. Ho pensato che avrei potuto farti male.»
Link si tira bruscamente a sedere sull’amaca e dice con voce sorda: «Farmi male. Revali, mi hai crivellato di frecce.»
Revali scoppia a ridere trascinandolo di nuovo giù. Link torna a distendersi piuttosto indispettito. «Ho crivellato il tuo scudo, non te personalmente. E poi non è la stessa cosa.»
«No» riconosce Link alquanto contrariato, non del tutto convinto. «Immagino di no.»
«E poi…» La sua voce si tinge di una melanconia che Link non gli ha sentito mai: suo malgrado, Link si ritrova ad ascoltare. «Che senso avrebbe avuto iniziare qualcosa, con la Calamità? Perché uno dei due rischiasse di rimanere solo, senza l’altro, e dovessimo separarci comunque domattina?»
La Calamità ovunque nei loro discorsi, tutta intorno a loro, prima di arrivare: per la prima volta nel sentirla nominare da Revali Link prova d’un tratto tutta la sciocchezza e la follia d’avervi sacrificato tutta la sua vita. Nessuno di loro s’è concesso mai di vivere, in nome della Calamità che ancora doveva arrivare, che neppure esisteva; e ora che finalmente Link ne sente la miopia e la sciocchezza, è troppo tardi, anche per i rimpianti, per i rimorsi. Va bene così, o quantomeno questo è quello che Link si ripete: non è in suo potere cambiare le cose, allontanarle dal corso che hanno seguito.
«Abbiamo vissuto come abbiamo potuto, vero?» chiede a bassa voce, e Revali, che deve aver seguito in qualche modo lo strano tortuoso percorso dei suoi pensieri, risponde: «Abbiamo fatto quello che potevamo con quello che sapevamo.»
Non c’è altro da dire. Link sente d’essere arrivato a quel termine di tempo al di là del quale non è mai riuscito a proiettare se stesso: non è mai stato in grado d’intuire cosa sarebbe stato di lui dopo la Calamità; non lo è neppure ora, eppure c’è una parte di lui, una parte che appartiene a lui solamente e che non ha scoperto che dopo la condanna a morte, che dice quasi per sfida: «Vedi di sopravvivere su quel Colosso, e dopo... si vedrà. Siamo intesi?»
«E tu vedi di cavartela con quella Spada che esorcizza il male, o come si chiama» replica Revali. E poi, a voce più bassa, aggiunge: «Promettimi che starai attento.»
«Prometto» risponde Link. «Promettimi che tornerai.»
«Prometto» mormora Revali.
 
Disteso col volto affondato contro il cuscino, Link sente Revali levarsi piano dal suo fianco e alzarsi dall’amaca piano, delicatamente, per non farla oscillare troppo. Rimane immobile mentre lo sente muoversi e affaccendarsi in silenzio per la casa: sente solo il fruscio dei suoi movimenti. Vorrebbe alzarsi, dirgli qualcosa; vorrebbe trattenerlo, soprattutto, e chiedergli di non andare, ma Revali gli ha chiesto di non farlo; e Link non vuol rendergli le cose più complicate di così. Si sforza di fingere di dormire mentre Revali si lava e si veste nell’alba grigia, fredda, come acciaio: non sa se gli creda davvero, o se piuttosto faccia solo finta per non doverlo salutare di nuovo. Non importa. Mantiene la parola. Tiene gli occhi chiusi nel buio del primo mattino.
Revali rimane a lungo fermo accanto all’amaca, Link sente dall’esitazione del suo respiro che vorrebbe dire qualcosa; suo malgrado, Link trattiene il fiato.
Revali gli sfiora i capelli, poi esce.
 
Quando Link va a casa di Kagan,  così presto nel mattino da risultar quasi indecente, lui e sua moglie sono già svegli, seduti a tavola a sbucciare mele per farne conserve. Lo stavano aspettando: gli hanno persino tenuto in caldo la colazione. Sapevano che sarebbe venuto. Link li ringrazia e si siede con loro, mangia quello che gli hanno preparato, poi prende un coltello e inizia a sbucciare la sua quota di mele per aiutarli.
Passano così tutta la mattina. Non nominano mai Revali. Quando si alzano i bambini, Link si offre di dar da mangiare al più piccolo. Quello grande sta per chiedergli, come sempre, qualcosa su Revali, ma Tara lo fulmina con uno sguardo che potrebbe gelare il Monte Morte, perciò ritiene più prudente dirottare la sua domanda su altro. Link, che avrebbe risposto volentieri anche a una domanda su Revali per fargli piacere, si sorprende di quanto sia più facile parlare d’altro rispetto a lui.
Non succede niente per tutto il giorno. A sera, dopo cena, Kagan cerca di convincerlo a restare a dormire da loro: non vuole che rimanga solo, coi suoi pensieri, nell’attesa di qualunque cosa debba accadere domani, ma questo non lo dice. «Facciamo venire i piccoli a dormire con noi, così puoi stare nella loro camera» dice, come se si trattasse di un’offerta che non può rifiutare. «Per favore, Link. Non costringermi a stare in pensiero per te.»
«Hai paura che ci sia un grublin sotto la mia amaca?» risponde Link, ma Kagan non ride. «Kagan, va bene così. Sono così stanco che non avrò le forze per restare a torturarmi a letto, non preoccuparti. Ci vediamo domattina.»
È stanco davvero: quelle giornate trascorse a non fare niente lo spossano più di sei ore di allenamenti. Link torna a casa, si spoglia e s’infila nell’amaca senza neppure guardarsi attorno, sforzandosi di non sentire troppo attorno a sé l’insolita leggerezza dell’amaca e l’assenza di Revali. Si addormenta all’istante senza concedere a se stesso di rimuginare neppure un minuto sul dolore che pare volergli dilacerare il petto.
Il mattino seguente, quando torna da Kagan, Tara non c’è. Si è alzata presto per andare a pescare col ragazzino, spiega Kagan: non ne poteva più di aspettare senza far niente, dice. È agitata anche lei: vuole molto bene a Revali, e il ragazzino cominciava a diventare incontenibile.
Kagan ha gli occhi cerchiati di scuro: Link dubita molto che abbia dormito nelle ultime due notti. Continua a guardare fuori dalla finestra, nervosamente, come se si aspettasse di vedere qualcosa, ma il quadrato di cielo che s’intravede, al di sopra del Volodromo, non è quello che in questo momento sta sorvolando Medoh. Il colosso sacro non è visibile da lì.
Link si siede di fronte a lui e si versa una tazza di tè.
«È prevista per oggi» dice Kagan senza guardarlo né specificare a cosa si stia riferendo.
Link assente gravemente. «Secondo le informazioni del piccolo guardiano e i calcoli di Pruna, per stasera. Oggi è il compleanno della principessa Zelda.»
Kagan torna a sbucciare la mela che ha tra le mani senza rispondere. Link l’osserva con preoccupazione: decisamente questo capovillaggio non è fatto per le battaglie.
«Davvero avevano proposto a Revali di diventare capovillaggio?»
«Cosa?» chiede Kagan distrattamente guardando fuori dalla finestra, prima che la sua mente faccia in tempo a processare la domanda. Si riscuote bruscamente. «Oh… quello. È stato tempo fa, però. Il nostro capovillaggio dell’epoca, il mio predecessore, stava cercando qualcuno da formare perché prendesse il suo posto. Era ovvio che lo chiedesse a Revali, all’epoca. Era già il nostro migliore guerriero.»
«Però?»
Parlare sembra alleggerire l’angoscia sul volto di Kagan. «Come c’era da aspettarsi, non ha voluto, naturalmente. Queste cose non gli sono mai interessate, sai. È stato lui a proporgli il mio nome, e poi… beh, è andata come è andata.»
«Revali ha molta stima di te» dice Link cautamente prendendo una mela dal mucchio.
«Oh, lo so.» Kagan sorride appena. «Io sono bravo in molte cose in cui Revali è assolutamente negato, tipo le relazioni umane, e viceversa. È per questo che…»
È in questo momento che il figlio più grande di Kagan rientra in casa di corsa, tutto trafelato, e grida: «Papà, devi venire a vedere!»
Il volto di Kagan si trasfigura.
«Resta in casa con tuo fratello» ordina precipitandosi fuori. «Non uscire per nessun motivo.»
Link lo segue fuori correndo: non è possibile, gli dice la sua mente. Il ritorno della Calamità era previsto per questa sera: questo lo indicavano chiaramente le immagini recuperate dalla memoria del piccolo guardiano. Un anticipo di così tante ore…
Kagan cerca cogli occhi l’enorme sagoma scura di Medoh stagliata contro l’alba, puntata in direzione del Castello. Link segue il suo sguardo. Rimangono immobili, impotenti, nel borgo dei Rito bagnato dal sole, a guardare mentre il Colosso Sacro viene ricoperto dai viticci scuri della corruzione della Calamità.

   
 
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