Serie TV > House of the dragon
Segui la storia  |       
Autore: pampa98    15/04/2024    0 recensioni
[Questa storia partecipa alla challenge “Gruppo di scrittura!” indetta da Severa Crouch sul forum “Writing Games - Ferisce più la penna” – aggiornamenti ogni 15 del mese]
What-if? 1x10 ~ Aegon/Jace, Aemond/Luke.
Quando Jace si presenta al cospetto di Borros Baratheon per ricordargli il giuramento fatto a sua madre, Aemond decide di sottrarre ai Neri ciò che hanno di più prezioso: il loro erede. Jace diventa prigioniero nella Fortezza Rossa, dove i Verdi sentono di avere la vittoria in pugno – purché lui accetti di inginocchiarsi al cospetto di Aegon, che, da parte sua, è più propenso a rivedere in lui l’amico di infanzia che non il figlio della sua nemica.
La vicinanza forzata tra Aegon e Jace riuscirà a ricucire il loro rapporto? E che conseguenze avrà per il futuro del regno?
(Warning: Character death)
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aegon II Targaryen, Aemond Targaryen, Jacaerys Velaryon, Lucerys Velaryon
Note: What if? | Avvertimenti: Incest, Violenza
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 13



 

Estrasse il disegno di Jaehaerys da Duemila navi, dove lo aveva conservato fino a quel momento, e si fermò un attimo a rimirarlo. Non era più riuscito a guardarlo dopo la discussione avuta con Aegon: pensare a quanto quelle linee ingenue raccontassero una storia che non si sarebbe mai potuta avverare era troppo doloroso. Tuttavia, adesso che la speranza aveva ripreso a sbocciare nel suo cuore, Jace non riuscì a trattenere un sorriso mentre lo arrotolava e lo riponeva in una tasca interna del suo mantello, appeso allo schienale del letto insieme agli abiti con cui era giunto nella capitale. Il pensiero che l’indomani li avrebbe indossati nuovamente per tornare a casa lo rese ancora più felice. 

Si guardò poi intorno nella stanza, cercando di capire se c’era qualcos’altro che stava dimenticando. Aveva quasi pensato di portare il libro con sé, ma sarebbe stato un inutile ingombro. Convinto dunque di aver preparato tutto per la partenza, andò a sedersi al tavolo e attese. Non sapeva quando la riunione del Concilio si sarebbe conclusa, ma era certo che Aegon sarebbe tornato da lui. L’entusiasmo che aveva mostrato nell’accettare il suo invito era stato molto eloquente. Forse avrebbe anche potuto proporgli di cenare insieme? 

Si passò una mano dietro la nuca, sospirando. Stava rischiando di cadere di nuovo negli stessi errori. Non poteva bastare qualche scusa giunta dopo giorni di silenzio e la promessa di restituire il trono a sua madre – a determinate condizioni – per fargli riguadagnare la sua fiducia. Inoltre, Jace era quasi certo che, non fosse giunta prima da Arryk – con motivazioni valide, suo malgrado –, la richiesta di posticipare la partenza sarebbe stata fatta dallo stesso Aegon. Non era felice di lasciarlo partire e una parte di lui voleva credere che fosse dovuto al fatto che avrebbe sentito molto la sua mancanza; ma un’altra gli suggeriva di fare attenzione e di non dare per scontato che non potesse nascondere qualche motivo più oscuro. 

Finché non fosse tornato a casa, non avrebbe potuto sapere con certezza se sarebbe stato saggio fidarsi ancora di Aegon.

Sospirò. Tendenzialmente, la situazione aveva preso una piega positiva; ma non sarebbe stata la prima volta che le cose procedevano bene, prima di degenerare. A tal proposito, sapeva che Aemond era tornato da Grande Inverno, dove di certo il colloquio con Cregan si era risolto molto diversamente da quello con Lord Borros, ma non lo aveva ancora visto e non sapeva se Aegon gli avesse confidato del suo intento di incontrare Rhaenyra. Anzi, era pronto a scommettere che non lo avesse fatto: Aegon sapeva essere un vero stronzo, ma fino a quel momento era stato Aemond l’unico a scagliarsi attivamente contro la sua famiglia. Dubitava che avesse sviluppato un improvviso moto di affetto nei loro confronti.

Si passò una mano sugli occhi. Stava iniziando a rendersi conto che, anche se l’idea di Aegon sembrava valida, avrebbero dovuto affrontare non poche difficoltà per attuarla. Jace era certo che non solo la maggior parte dei Verdi si sarebbe opposta, ma anche qualcuno dei Neri avrebbe rifiutato tale proposta – Daemon, per esempio.

Jace si era trovato in mezzo tra il desiderio del patrigno di scendere subito in guerra e la riluttanza di sua madre ad agire contro una parte della sua famiglia. E, anche se inizialmente la bussola aveva penduto verso Daemon, adesso era più indirizzata verso Rhaenyra. Forse insieme sarebbero riusciti a contenere la rabbia del re consorte – ma se avessero fallito? O, peggio, se Daemon si fosse finto accondiscendente, lasciando credere ad Aegon che avrebbe risparmiato la sua famiglia, per poi attaccare quando meno se lo aspettavano?

Jace scattò in piedi, iniziando a percorrere la stanza avanti e indietro. Alicent lo aveva messo in guardia da ciò e, di tutte le cattiverie che aveva detto, quella era l’unica che non poteva smentire con assoluta certezza. La vita di Helaena non era a rischio, di questo ne era certo. E così quella di Jaehaerys e dei suoi fratelli.

Ma Aemond e, soprattutto, Aegon… 

Si fermò, scuotendo la testa. Non voleva nemmeno provare a concepire un mondo senza di lui. Aegon era stato il suo punto di riferimento per tanti anni, il suo migliore amico. Il suo primo amore.

Primo – e unico.

Strinse i pugni. Ormai non aveva più senso cercare di mentire, almeno a se stesso. Probabilmente non avrebbe mai potuto dirglielo – di certo non avrebbe dovuto –, ma nel suo cuore poteva permettersi di iniziare a lasciare libero quel sentimento che si era sempre sentito in dovere di nascondere.

Gli venne quasi da ridere: tutto sommato, qualcosa da Laenor lo aveva preso.

I suoi pensieri vennero fermati da un dolore lancinante dietro la testa. Lo colse così all’improvviso da fargli perdere l’equilibrio, lasciandolo steso a terra. Impiegò qualche secondo a sollevare la mano sinistra verso il punto dolente, scoprendo con orrore che era sporca di sangue.  

«Guarda, il principino si muove ancora» ghignò una voce acuta alle sue spalle. 

Jace avvertì il sangue gelargli nelle vene. E la sensazione peggiorò quando, voltandosi, vide un uomo gigantesco che brandiva una mazza proprio sopra di lui. 

«Bene» disse lui, con voce gutturale. «Così sarà più divertente.»

Jace ebbe la prontezza di rotolare di lato, riuscendo a schivare la sua arma per un soffio. Afferrò la sedia vicino a sé e la utilizzò per aiutarsi a rimettersi in piedi. Aveva il respiro affannato e la testa che pulsava, ma doveva restare lucido.

«Chi siete?» esclamò. «Cosa volete da me?»

«Oh, siamo solo due umili servitori che cercano di svolgere il loro dovere» rispose l’uomo magro. «Che, però, non era ucciderlo. Mi sembra.»

«Bah, non era l’ordine preciso, ma secondo me è uguale.»

Jace inarcò un sopracciglio, ma approfittò dell’incertezza di quei due per individuare un’arma nella stanza; ricerca vana. Tuttavia, era abbastanza vicino alla porta: gli bastò uno scatto per raggiungerla e afferrare la maniglia. 

Tirò. 

La porta non si aprì.

Aggrottò le sopracciglia e tentò di nuovo, ma senza risultato. 

«Ehi, ehi! Non puoi scappare!»

Il più mingherlino dei due gli mise una mano sul braccio, cercando di tirarlo indietro. Jace lo lasciò fare; poi, con tutta la forza che aveva in corpo, gli scagliò un pugno in piena faccia. Il rumore delle ossa che si rompevano echeggiò per la stanza. 

«Formaggio!» esclamò il gigante, guardando il compagno che si lamentava a terra, tenendosi le mani sul volto insanguinato. «Idiota incapace!» sbraitò, sbattendo un piede, gesto che fece tremare il pavimento sotto di Jace. «È un moscerino, come ha fatto a farti male?»

Chiunque avesse assoldato quei due individui non aveva valutato la loro intelligenza. Jace si avvicinò nuovamente alla porta, ma scoprì che non era cambiato niente da prima. 

Sembrava bloccata. Dall’esterno.

Quando Arryk era uscito, non aveva sentito il rumore di alcuna chiave. E poi perché avrebbe dovuto rinchiuderlo nella sua stanza? Cos’era accaduto?

«Ser Arryk!»

Fece appena in tempo a pronunciare il suo nome, prima di sentirsi afferrare per la collottola e venire scaraventato contro la pediera del letto. Avvertì la sua schiena scricchiolare e pregò di non essersi rotto niente. Stavolta, però, quando il gigante si avventò su di lui, non fu abbastanza veloce da schivarlo del tutto. La sua mazza gli colpì il braccio sinistro, facendogli digrignare i denti per il dolore.

«Non crederai mica di scappare, eh?» 

Jace si trascinò dall’altro lato del letto, dove riuscì a rimettersi in piedi. Era solo e senza armi, perciò le sue possibilità di difesa erano molto basse. Aegon quando sarebbe tornato? Sarebbe stato utile guadagnare tempo in attesa del suo arrivo? 

Ammesso che non fosse stato qualcuno dei Verdi a tendergli quella trappola. 

L’improvvisa assenza di Arryk e la porta sbarrata sembravano un buon indizio in tal senso.

«In trappola come un topo» commentò il gigante, avvicinandosi a lui. Jace si rese conto di essersi davvero messo in trappola, bloccato tra il letto e il muro. L’unico oggetto a sua portata era il comodino, ma non era certo che sarebbe stato utile, specie contro quell’uomo che sembrava duro come un pezzo di ferro.

«È la fine giusta per un bastardo

Il gigante sollevò la mazza e, in quell’istante, Jace gli lanciò il comodino addosso, che andò in pezzi impattando contro la sua arma. Tuttavia, quel piccolo diversivo gli permise di saltare sul letto e atterrare dall’altra parte, riacquisendo così libertà di movimento. 

Fu allora che notò la tenda sul retro della stanza. Di solito era completamente tirata, ma in quel momento era scostata, lasciando intravedere il muro sottostante. Doveva essere l’ingresso del passaggio che lui e Arryk avrebbero dovuto percorrere l’indomani. 

Jace spostò lo sguardo sul mantello, in cui aveva già riposto il messaggio di Aegon. 

Stava per correre a prenderlo, quando avvertì qualcosa penetrargli nel fianco destro. Stavolta non riuscì a sopprimere un urlo, mentre cadeva a terra. Cercò di tamponare la ferita con le mani, facendo forza sulle gambe per rimettersi in piedi, ma l’unico risultato che ottenne fu riuscire a strisciare verso il tavolo. 

«Brutto stronzo! Guarda cosa mi hai fatto!» 

Jace riuscì a sollevare lo sguardo, riconoscendo Formaggio in piedi davanti a sé. Il suo volto era ricoperto di sangue e così anche il pugnale che teneva in mano. Avrebbe voluto dirgli di non lamentarsi, dal momento che lui si era limitato a difendersi dal loro attacco, ma anche solo respirare gli risultava faticoso, in quel momento. 

«Fanculo» sputò Formaggio. «Sangue, ammazziamolo e basta.»

Jace cercò di allontanarsi, ma non aveva molto spazio per muoversi e sentiva le sue forze iniziare ad abbandonarlo. Era dunque finita? In un modo così improvviso e ingiusto? Com’era accaduto a Harwin e Laenor…

La porta si aprì con un colpo secco, attirando l’attenzione dei suoi assalitori.

«Jac-»

Non lo vide, ma sentì la voce di Aegon bloccarsi, probabilmente colto alla sprovvista come lui. Jace ebbe un sussulto: se fosse morto mentre era sotto la custodia dei Verdi, niente avrebbe potuto impedire lo scoppio di una guerra. 

«E voi chi siete?» chiese il gigante. «Sciò, qui abbiamo da fare.»

Jace avvertì lo stridio di una spada che veniva estratta dal fodero.

«Chi siete voi?» esclamò Arryk. Jace fu rincuorato dalla sua presenza. «Dov’è il principe Jacaerys?»

«Ah. Il bastardo è qui» annunciò Formaggio. Lo afferrò per un braccio, tirandolo in piedi. Jace strinse i denti. Avrebbe voluto liberarsi dalla sua stretta, ma non si fidava della stabilità delle sue gambe. «Ma, non ho capito, volete ucciderlo anche voi?»

«Non credo, quello lì ha il mantello bianco» disse Sangue, indicando Arryk. 

«Eh. Quindi?»

«Quindi difende la famiglia reale, imbecille!»

«Sì, ma questo è bastardo, no? Sta’ fermo, tu!» esclamò, strattonandolo. Jace gemette: era riuscito ad afferrare il tavolo con una mano, ma non a scrollarsi di dosso quell’uomo. Le sue dita erano abbastanza vicine alla brocca d’acqua e si chiese se avrebbe avuto la forza di usarla. A meno che i nuovi arrivati – tra cui aveva scorto anche Aemond – non avessero agito prima. 

«Lascialo andare.» La voce di Aegon riecheggiò nella stanza. Jace avvertì un brivido lungo la schiena. Era fredda e atona – come il suo sguardo. «Me ne occupo io» aggiunse, avvicinandosi a loro.

Jace inarcò un sopracciglio. Sembrava sicuro di ciò che stava facendo, anche se lui non riusciva a comprenderlo. Decise però di volergli credere, almeno un’ultima volta.

Formaggio ghignò. Lo spinse contro il tavolo, su cui Jace si accasciò, facendo cadere la brocca a terra. La ceramica andò in frantumi, riempiendo il pavimento di cocci e acqua. 

«Tu buono lì» sentenziò Sangue. Jace sollevò lo sguardo e notò che Aemond si era mosso nella sua direzione, prima di venire fermato dal gigante. «E tu non fare stronzate. Non sappiamo nemmeno chi sono questi.»

Formaggio inclinò la testa di lato, poi spostò lo sguardo scettico verso Aegon.

«In effetti…»

«Io sono il re» rispose Aegon, sempre con la stessa voce. «Il bastardo è mio.» Tese la mano destra verso l’uomo, in un tacito invito a fornirgli un’arma.

Jace sgranò gli occhi. Non poteva dire sul serio. Non era… Non era stato Aegon a ordire quell’attacco. Vero?

«M-Maestà?» Anche Arryk sembrò preso in contropiede, mentre Aemond si limitò a fissare il fratello. 

Formaggio tentennò un momento, poi gli offrì il suo pugnale.

Jace sospirò, chinando il capo. Se Aegon aveva deciso di tradirlo in quel modo, non c’era più niente che potesse fare per salvarsi. Poteva solo pregare che la sua famiglia non patisse troppo dolore a causa della sua debolezza.

Un grido straziante lo spinse a sollevare lo sguardo. Aegon aveva afferrato Formaggio alla gola e gli aveva piantato il pugnale nel basso ventre. L’uomo cercò di liberarsi, ma la presa del suo avversario era salda e la pozza di sangue sotto di loro andava ad allargarsi a ogni secondo. Jace si rese conto che la mano di Aegon stava risalendo lungo il corpo dell’altro.

Sangue urlò e cercò di aiutare il compagno, ma Arryk fermò il suo attacco, riuscendo a respingerlo indietro. Il tavolo accanto a sé svanì, facendo barcollare Jace tra le braccia di Aemond. Notò che portava la spilla del Primo Cavaliere.

«Allontaniamoci» gli disse, iniziando ad accompagnarlo verso la porta. Jace lo seguì, cercando di muoversi il più possibile in autonomia. Tuttavia, quando giunsero di fronte alla porta, si voltò.

Formaggio giaceva ai piedi di Aegon, il corpo sventrato fino alla gola. Il braccio destro del ragazzo era ricoperto di sangue e a Jace sembrò che tremasse – anche se la sua vista era talmente sfocata che non poteva esserne sicuro.

«Aegon.» Aemond lo chiamò, facendogli cenno di andare con loro. 

Lui li guardò e per un momento sembrò intenzionato a seguirli. Poi i suoi occhi si posarono su Jace, sulle ferite che gli costellavano il corpo, e si rabbuiò nuovamente.

«Portalo al sicuro» sentenziò. 

Si avvicinò ad Arryk e Sangue, ancora intenti a combattere. Il cavaliere sembrava in difficoltà e, anche se Aegon aveva avuto la meglio contro Formaggio, Jace dubitava che un pugnale sarebbe stato di grande aiuto contro quel gigante.

«Aegon!» Il suo richiamo venne oscurato dal rumore della mazza che si infrangeva contro la spalla di Arryk. L’uomo cadde a terra, tenendosi il braccio ferito, la spada abbandonata accanto a lui. 

Sangue si preparò a colpire ancora, ma Aegon riuscì ad affondargli il pugnale nel fianco scoperto, facendolo gemere e allontanandolo da Ser Arryk. Il gigante si voltò verso di lui, livido in volto. Non sembrava soffrire troppo per la ferita subita, né la sua forza parve indebolirsi: afferrò Aegon alla gola e lo scagliò dall’altro lato della stanza. Il ragazzo andò a sbattere contro la mensola del camino, atterrando prono sul pavimento. 

Sangue proruppe in una risata.

«Volevi usare lo stesso trucchetto anche con me?» sbraitò. «Io non sono gracilino come quel buono a nulla. O come il tuo amichetto» aggiunse, indicando Jace con il capo. Gli rivolse un sorrisetto compiaciuto, come se avesse già la vittoria in pugno, e Jace avanzò d’istinto verso di lui. 

«Oh, allora ti sei deciso a morire?» ghignò Sangue.

«Sempre che tu riesca a uccidermi» rispose. Fu felice di scoprire che la sua voce uscì più ferma di quanto si aspettasse. 

Le sue parole cancellarono il sorriso dal volto di Sangue. In parte, gli fece piacere; ma quando la sua mazza si eresse sopra di lui, Jace si rese conto che non sarebbe stato abbastanza veloce da schivarla.

Tuttavia, non ebbe nemmeno bisogno di provarci: Aemond bloccò la sua avanzata con la spada, mentre Aegon colpì il polso di Sangue con due cocci affilati. Lui urlò e cadde in ginocchio, reggendosi il braccio ferito, mentre la sua mazza rotolava a terra. 

Aegon la raccolse. La soppesò un momento tra le mani, poi la sollevò sopra il cranio del gigante. 

«Fermo.» Aemond lo afferrò per un braccio, cercando di allontanarlo da Sangue.

«Che stai facendo?» esclamò Aegon.

«Non puoi ucciderlo.»

«Certo che posso. Ha fatto del male a Jace!»

Jace si sentì avvolgere da un piacevole tepore e si sentì in colpa per aver dubitato di Aegon. Dopotutto, gli aveva confessato di volerlo proteggere solo poche ore prima.

«Non sappiamo chi lo ha mandato o perché» insistette Aemond. Aveva lasciato cadere la spada per tenere suo fratello con più forza. «Potrai ucciderlo dopo che avrà parlato.»

I tentativi di Aegon di liberarsi si arrestarono. Sembrò riflettere sulle sue parole, forse riconoscendone la sensatezza. Jace si avvicinò a loro, intenzionato a unirsi ad Aemond: aveva capito che ucciderlo non era stato il piano iniziale, ma questo non rendeva meno grave l’aggressione subita.

«Mi hai rotto la mano?» esclamò intanto Sangue. All’improvviso, era diventato un bambino piagnucolante. «Mi hai veramente rotto la mano, stronzo?»

Sia Aegon che Aemond strinsero le palpebre, e il primo rinsaldò la presa sulla mazza.

«Un colpo con questa dovrebbe metterlo a tacere» suggerì Jace, indicando con il piede il pomello della spada. L’avrebbe raccolta lui stesso, ma temeva che, se si fosse chinato, non sarebbe riuscito a rialzarsi.

All’improvviso si sentì afferrare il volto e si ritrovò faccia a faccia con Aegon, che lo osservava e tastava freneticamente.

«Sei ferito» disse, e tutta la freddezza di poc’anzi svanì in un sospiro tremulo. «Dobbiamo chiamare il Maestro.»

Jace posò una mano sulla sua spalla, un po’ per conforto, un po’ per sostegno. Avrebbe voluto dirgli che non era necessario, ma sarebbe stata una bugia.

«Sei ferito anche tu» rispose.

Lui scosse la testa. Lo strinse a sé e iniziarono a incamminarsi verso la porta. 

«Ma cosa…?»

Arryk fissava sorpreso un punto alle loro spalle. Jace udì il rumore di una spada che veniva sguainata, prima di voltarsi insieme ad Aegon e scoprire una figura identica al cavaliere intenta a fronteggiare Aemond.

Jace aggrottò le sopracciglia. Ser Erryk?

«Non sono venuto qui con l’intento di combattere» annunciò il cavaliere. «Consegnatemi il principe Jacaerys e non torcerò un capello a nessuno di voi.»

Aegon si posizionò di fronte a lui, cingendolo con un braccio. Jace spostò lo sguardo tra tutti i presenti, aggressori inclusi – e capì che non sarebbe stato saggio ritardare ancora la sua partenza. 

«Sei venuto qui per riportarlo da sua madre?» chiese Aemond. Lentamente, incominciò ad abbassare la spada. Erryk lo fissò guardingo, ma non sembrò intenzionato a fare altrettanto. Spostò invece lo sguardo tra i presenti, e un lampo di preoccupazione saettò nei suoi occhi alla vista del fratello che si reggeva la spalla rotta. In quel momento, Jace si rese conto di quante amicizie, famiglie, vite fossero state stravolte a seguito della morte di Viserys. Il futuro del regno era in bilico, ora più che mai, ma non era ancora troppo tardi. Doveva raggiungere sua madre e consegnarle il messaggio di Aegon; in modo che, qualunque cosa fosse accaduta a lui, lei avrebbe saputo di poter riportare la pace nel regno. 

Jace posò una mano sul braccio di Aegon, aggirandolo per mettersi davanti a lui. 

«Devo andare» annunciò.

Aegon sgranò gli occhi.

«Cosa? No, non puoi!»

«Certo che può» sentenziò Erryk, giunto accanto a lui. Teneva ancora la spada alzata, puntata verso Aegon. «Andiamo, Vostra Altezza.»

Jace annuì.

«È ferito!» esclamò Aegon. «Stai perdendo sangue, hai bisogno di-»

Jace gli circondò il volto con le mani, avvicinandosi a lui fino a far aderire le loro fronti. Aegon si aggrappò alle sue braccia, tremando.

«Lo so» mormorò Jace. «Andrò subito da maestro Gerardys… te lo prometto. Ma devo tornare a casa. Ser Erryk sarà con me. E avrò anche Vermax. Viaggerò sicuro.»

Aegon sospirò.

«Non… Non era così che lo avevo immaginato.»

Jace si ritrovò a sorridere.

«Nemmeno io» confessò. Si scostò da lui, abbastanza da poterlo guardare in volto. Gli passò i pollici sulle guance, asciugando le sue lacrime. Si rese conto di averlo macchiato di sangue e provò a toglierlo con la manica della giacca, ma Aegon lo fermò. Strinse le dita attorno alla sua mano destra, fissandolo con occhi tremanti.

«Ti rivedrò. Vero?» chiese.

Jace deglutì a vuoto. Quella timida richiesta gli riportò alla mente la prima volta che lo aveva lasciato – l’unica in cui avesse avuto la possibilità di salutarlo. Allora era stato certo della sua risposta, forte della sincerità della loro amicizia e dell’unità della loro casa. Adesso le loro mani erano sporche di sangue, il loro rapporto una costellazione di crepe riempite d’oro e la loro famiglia sull’orlo di una guerra. 

Eppure una speranza c’era ancora; un filo sottile che avrebbe potuto ricucire finalmente i legami che da tempo si erano spezzati. Jace aveva bisogno di aggrapparsi a quello, almeno per un altro po’.

«Certo» rispose, trovando la forza di sorridere. «Dobbiamo ancora volare insieme, no?»

Aegon sgranò gli occhi e un’ultima lacrima gli rigò il volto. Gli accarezzò il dorso delle mani, annuendo, e quando sollevò di nuovo lo sguardo su di lui, una nuova sicurezza illuminava le sue iridi viola – la tacita promessa che, questa volta, sarebbero riusciti a realizzare il loro sogno. 

 

~

 

Aegon li guardò sparire attraverso il passaggio segreto. Si sentiva stordito, ancora incredulo che ciò che aveva appena vissuto fosse reale. Ma forse non lo era. Forse si era addormentato nella Sala del Concilio e aveva avuto un incubo, da cui presto sarebbe uscito per scoprire Jace al suo fianco, pronto a rassicurarlo che andava tutto bene.

«Va’ a chiamare Manston e Cole, si occuperanno loro del prigioniero e del cadavere.»

La voce di Aemond gli giunse forte e chiara, infrangendo la sua illusione, ma non fu il significato delle sue parole a ridestarlo. Strinse i pugni, fino a conficcarsi le unghie nella pelle. Si guardò intorno freneticamente in cerca della mazza di Sangue e la trovò tra le mani di Aemond.

Si avvicinò a lui, intenzionato a riprendersela, ma il ragazzo la nascose dietro la schiena.

«No» sentenziò.

Aegon inarcò un sopracciglio. 

«Dammela» disse. 

«Non sei abbastanza luc-»

Aegon gli assestò un pugno in piena faccia, che suo fratello non riuscì a schivare. Barcollò, ma non perse la presa sull’arma. Quando sollevò il volto per fronteggiarlo di nuovo, Aegon si rese conto di avergli spaccato un labbro. Frenò il colpo che aveva già ricaricato.

«Come dicevo» continuò Aemond, passandosi la lingua sul taglio. «Non sei abbastanza lucido.»

Aegon serrò la mascella. Tremava, bruciando dal desiderio di vendicarsi su chiunque gli capitasse a tiro; ma una parte di lui gli suggeriva che non sarebbe stato giusto prendersela con Aemond o con Arryk. Lo avevano aiutato a salvare Jace – ed erano probabilmente gli unici di cui potesse fidarsi all’interno della fortezza.

«Qualunque cosa tu voglia fare, la farai senza armi» sentenziò infine Aemond. 

Quelle parole lo fecero rilassare. E, senza ulteriori indugi, si precipitò fuori dalla stanza. 

«Sì, sì, è qui! Pad- Padre?»

Aegon si arrestò all’istante. Avvertì un vuoto allo stomaco trovandosi faccia a faccia con Helaena e i gemelli. Jaehaerys spostò i suoi occhi spalancati lungo tutto il suo corpo, fermandosi infine sul braccio destro. Aegon lo nascose dietro la schiena, ma l’orrore sul volto del bambino non lasciò spazio alla speranza che non avesse visto il sangue che lo ricopriva.

«Aegon?» Helaena teneva la piccola Jaehaera stretta contro di lei. Aveva le sopracciglia aggrottate, ma non sembrava spaventata. «Che sta succedendo?»

Lui deglutì a vuoto. Spostò lo sguardo verso la porta della stanza di Jace, trovando Aemond sulla soglia. Il ragazzo non aveva ucciso nessuno e l’unica traccia di sangue sul suo corpo era una striscia rossa sul labbro inferiore. Aegon gli indicò la sua famiglia con un rapido cenno del capo. Lui annuì e si avvicinò a loro.

«A quest’ora dovreste essere a letto» disse, posando una mano sul braccio di Helaena e l’altra sulla spalla di Jaehaerys. Si posizionò in modo da nascondere loro la vista di Aegon. Lui intanto cercò di ripulirsi la mano come meglio poteva, strusciandola sulla sua giacca. Dicevano che il sangue divenisse nero nella notte, perciò sperò che sarebbe riuscito a mimetizzarlo con la stoffa scura.

«Scusa, zio. È colpa mia» mormorò Jaehaerys. Il suo tono mesto fu una pugnalata al cuore di Aegon. «Volevo augurare la buona notte a mio padre, ma siccome non era in camera sua, ho pensato che fosse qui. Ma non volevo disturbarlo.»

Aegon posò una mano sulla spalla di Aemond, scostandolo in modo da potersi inginocchiare davanti a Jaehaerys. Il bambino sollevò gli occhi verso di lui e, quando scorse le lacrime che li riempivano, Aegon lo strinse a sé con il braccio pulito. Serrò le palpebre, ingoiando il suo stesso dolore. Aveva giurato a se stesso che non avrebbe mai fatto sentire suo figlio come una nullità o un peso per lui – e stava fallendo anche in quello. 

Jaehaerys ricambiò l’abbraccio, circondandolo con le sue piccole braccia, e Aegon lasciò andare un sospiro tra i suoi capelli. 

«So di essere stato molto assente ultimamente» mormorò, scostandosi da lui, «ma sappi che vederti è sempre motivo di gioia per me. Perciò non scusarti mai, chiaro?»

Lui annuì. Si passò il dorso della mano sugli occhi, asciugandosi le lacrime, poi sollevò le sue sei dita a sfiorargli una guancia.

«Perché hai questi segni rossi?» chiese. «Stai bene?»

Aegon ebbe un momento di esitazione, in quanto non credeva che il sangue di Formaggio fosse schizzato fin lì; poi ricordò a chi appartenesse e sentì la furia che lo aveva guidato negli ultimi minuti riemergere dentro di lui. 

«Sta bene, non preoccuparti» rispose Aemond. «Ma non posso garantire lo stesso per te, se non andrai subito a dormire. Domattina non hai lezione?»

Jaehaerys emise uno sbuffo plateale. «Non ho mica intenzione di stare sveglio tutta la notte!» borbottò. Spostò poi lo sguardo alle sue spalle, alzandosi sulle punte per vedere meglio. «Jace dorme già?»

Aegon si morse le labbra e si alzò in piedi. Si voltò verso la stanza e fu lieto di vedere che la porta era chiusa: suo figlio aveva già visto abbastanza sangue per quella notte.

«Certo» rispose Aemond. «Lui è un ragazzo diligente.»

Aegon abbassò lo sguardo. Aveva già raggiunto Vermax? Era riuscito ad attraversare la città incolume? Le sue ferite sembravano gravi, ma probabilmente non lo erano davvero, altrimenti Jace sarebbe…

Sentì una mano posarsi sulla sua spalla e, quando si voltò, vide il viso di Helaena accanto a sé. Trattenne a stento un singhiozzo. 

«Andrà tutto bene» disse lei, accarezzandogli la schiena. «Dormiamoci su.»

Lui strinse i pugni. Sentiva che i suoi fratelli avevano ragione – non era nelle condizioni di fare niente –, ma sapeva anche che non sarebbe riuscito a riposare, né il terrore che albergava nel suo cuore si sarebbe placato fino a quando non avesse rivisto Jace. Vivo.

Sentì una piccola mano afferrare la sua e il sorriso di Jaehaerys lo aiutò a rasserenarsi. 

«Allora andiamo tutti insieme?» chiese. 

Aegon sospirò. Gli strinse la mano e cercò di ricambiare il sorriso.

 

~

 

Carissima Rhaenyra,

Spero non ti arrabbierai per questa mia lettera, ma era necessario che ti contattassi. Quando ho ricevuto il messaggio di Daemon, ho temuto il peggio: credevo che fosse successo qualcosa di grave a te o ai ragazzi. Invece, sono lieto di sapere che state tutti bene – e siete quasi tutti al sicuro.

Purtroppo, le notizie qui giungono lentamente e non sono stato informato prima di quanto accaduto. Altrimenti, vi avrei contattati di mia iniziativa. Insultare la memoria del buon re Viserys, insediando un usurpatore sul Trono di Spade… Gli Hightower sono senza vergogna e pagheranno per il loro affronto.

Ma è meglio che non mi dilunghi. Non ti sto scrivendo per confermarti la mia lealtà, di cui sono certo che non dubiti. No, la mia preoccupazione, in questo momento, è per Jace. So che è prigioniero dei Verdi da molto tempo ormai e ho bisogno di sapere se hai avuto sue notizie o se hai già in mente un piano per riportarlo a casa. In caso contratio, noi abbiamo molti amici qui e non avremmo difficoltà a trovare qualcuno in grado di introdursi nella capitale per liberare Jace. Andrei io stesso, ma dubito che nostro figlio sarebbe felice di vedermi, considerato che… be’, sono morto. 

Una soluzione però la troveremo. Se avessi bisogno di me, di persona, e se ritenessi utile aggiungere un altro drago al tuo esercito, ti basta una parola e sarò al tuo fianco. Ho anche già pensato a cosa dire ai miei genitori e ai ragazzi per giustificare la mia scomparsa – tenendo te e Daemon fuori da questa storia, naturalmente.

Ti prego, fammi avere notizie al più presto. Daemon sa bene come potermi contattare, può farci da tramite per ogni comunicazione. 

Sempre tuo.

 

Nessuna firma – ma il contenuto era abbastanza eloquente da rendere chiaro a chiunque chi fosse il mittente. 

Rhaenyra ripiegò la lettera e la tenne stretta tra le mani, ricacciando indietro le lacrime che si erano formate attorno ai suoi occhi nel sentire l’affetto che ancora Laenor provava per la loro famiglia. Sospirò e si appoggiò allo schienale della sedia.

Quando Daemon le aveva detto di averlo contattato e di aver appena ricevuto la sua risposta, lei si era infuriata. Se qualcuno avesse intercettato la loro comunicazione, scoprendo che il suo primo marito era ancora vivo, la loro vita sarebbe stata distrutta. Rhaenyra non voleva nemmeno immaginare come avrebbe potuto reagire Rhaenys a una simile scoperta. Per non parlare dei suoi figli, che erano stati costretti ad affrontare un falso lutto, mentre quello reale veniva loro negato. 

Per questo motivo, nonostante la gratitudine che provava nei confronti di Laenor, non avrebbe mai accettato che tornasse. Il modo migliore in cui poteva aiutarli era continuare a restare morto. 

Sospirò e lesse nuovamente il contenuto della lettera. Avrebbe voluto evitarlo, ma era necessario che gli inviasse una risposta: il silenzio lo avrebbe solo spinto a tornare. 

I suoi occhi si fissarono sull’ultima parte della lettera. Si permise di immaginare la storia che avrebbe potuto raccontare per essere nuovamente accolto a casa, a quanto sarebbe stato bello riunire la loro famiglia. Ma fu solo per un attimo. 

Era uno scenario impossibile e sognarlo sarebbe stato inutilmente doloroso. 

«Vostra Maestà!»

Rhaenyra gettò la pergamena nelle fiamme e si alzò di scatto, posizionandosi di fronte al camino. Il cuore le galoppava nel petto e aveva i palmi delle mani sudate, strette dietro la sua schiena. La sua unica consolazione fu constatare che la persona che l’aveva interrotta era forse l’unica che, anche se avesse sospettato qualcosa, non l’avrebbe mai tradita.

«Elinda» disse, cercando di tenere sotto controllo la sua voce. «Non ti ho mandata a chiamare.»

La ragazza scosse la testa e si avvicinò a lei. Rhaenyra notò che stava sorridendo e inarcò un sopracciglio, non capendone il motivo.

«Vi chiedo scusa, Altezza» disse lei. «Io… Io spero di non essermi sbagliata. Né che lo abbia fatto il principe Joffrey.»

La sua confusione aumentò.

«Va tutto bene?» chiese.

«Penso di sì. Il principe… ha visto un drago, volare in questa direzione.»

Rhaenyra sgranò gli occhi. Il suo corpo si rilassò all’istante, anche se una parte di lei le suggeriva di restare all’erta. Poteva essere Caraxes o Moondancer, uscito per un volo notturno; poteva essere un’imboscata dei Verdi, che avevano scelto di sfoderare un attacco da vigliacchi; poteva…

«Era lontano e ovviamente di notte non si può distinguere bene il colore delle scaglie, ma… lui è convinto fosse Vermax. Confesso che l’ho pensato anch’io, anche se potrebbe essere solo-»

Rhaenyra non si preoccupò di ascoltare oltre. Corse fuori dalla stanza, scendendo le scale a due a due, diretta verso l’altura in cui abitavano i draghi. Se anche Jace non fosse stato lì, sarebbe comunque riuscita a individuarlo da lassù. 

Le sembrò di udire dei passi alle sue spalle. Si voltò un momento, scorgendo Elinda, Daemon e Ser Steffon che la seguivano, questi ultimi due con una torcia in mano. Suo marito allungò il passo e le si affiancò, tenendo la fiamma alta sopra di loro per illuminare il percorso. Rhaenyra gli sorrise, un tacito ringraziamento per la sua presenza; poi tornò a rivolgere la sua attenzione verso il cielo.

Madre. Ti prego.

 

~

 

Sentiva dei suoni attorno a sé, ma non avrebbe saputo dire con esattezza se fossero voci, musiche o rumori. Vedeva dei piccoli punti bianchi in mezzo all’oscurità, che danzavano assumendo varie forme di fronte ai suoi occhi. A un tratto sentì un grido animalesco e un peso che gli si posava sulla schiena. 

«…ipe, riuscite…»

Il suo corpo sobbalzò, ma lui non cadde a terra. Si rese conto di essere seduto su qualcosa che lo teneva saldo, nonostante l’ondeggiamento sotto di lui. Sbatté le palpebre, cercando di mettere a fuoco l’ambiente circostante. 

«Siamo arrivati, principe.» La voce alle sue spalle si fece nitida e ben presto Jace riuscì anche a riconoscere le scaglie di Vermax. Il suo ringhio si propagò, andando a unirsi ad altre voci simili, anche se più distanti. C’erano altri draghi vicino a loro. E là, illuminato dalle torce, Jace scorse il profilo delle torri di Roccia del Drago.

Casa.

Sbatté le palpebre, aspettandosi di risvegliarsi nel suo letto ad Approdo del Re – ma non accadde. 

Era a casa. Era finalmente tornato a casa.

Un sorriso si aprì sul suo volto e il desiderio di correre ad abbracciare la sua famiglia si fece largo nel suo cuore. Ma, nel momento in cui si mosse per scendere dalla sella, il tepore che lo aveva avvolto durante il volo si dissipò, riportando a galla il dolore di tutte le sue ferite in un unico, cocente attacco. Gli girava la testa e dovette trattenere un conato di vomito. 

«Permettete che vi prenda in braccio.»

Jace abbassò lo sguardo su Erryk Cargyll, che lo aveva preceduto a terra e adesso lo aspettava a braccia aperte. L’uomo si era offerto di portarlo in braccio anche fino alla Fossa del Drago, ma Jace si era rifiutato. Forse non era stata un’ottima idea.

«Ce la… faccio» disse. Lentamente, sollevò la gamba sinistra e scivolò lungo il fianco di Vermax.

Il drago voltò il muso nella sua direzione e ringhiò. Era arrabbiato e Jace non poteva biasimarlo: lo aveva abbandonato per giorni e, anche se lo aveva trovato felicemente accoccolato insieme a Sunfyre, sapeva che doveva aver apprezzato la prigionia ancor meno di lui. 

«Sei stato… bravo» mormorò, passandogli una mano sul fianco. Vermax sbuffò e non protestò. Forse aveva compreso anche lui lo stato delicato in cui verteva il suo cavaliere. «Poi ti porto… una bella… capretta…» promise. Avrebbe voluto specificare “domani”, ma non era certo che sarebbe stato nelle condizioni di alzarsi dal letto. 

Si tastò il fianco ferito e, come temeva, la fasciatura usata da Ser Erryk non era bastata a fermare il sanguinamento. Se voleva parlare con sua madre, e non morire nel mentre, doveva sbrigarsi a raggiungerla. Si allontanò da Vermax e, senza più un sostegno, le sue gambe cedettero, incapaci di reggere il suo peso. Erryk lo afferrò all’istante e si portò il suo braccio destro sopra le spalle. 

«Non è necessario che facciate l’eroe, principe» lo rimproverò. Jace annuì, ma l’idea di presentarsi al cospetto della regina come una damigella indifesa era troppo umiliante per essere presa in considerazione.

«Non voglio farlo» lo rassicurò. «Però intendo… andare con le mie gambe. Dammi… solo il tuo sostegno. Va bene?»

Erryk storse la bocca, chiaramente contrario al suo piano. Quel gesto gli ricordò Ser Arryk.

«Bene. Perdere tempo a discutere sarebbe controproducente» concesse infine.

Ebbero appena il tempo di muovere qualche passo, prima di udire il rumore di persone in avvicinamento, accompagnate da alcune fiamme. Jace ed Erryk si fermarono, attendendo i nuovi arrivati. Una figura comparve di fronte a loro prima di tutte le altre e, nonostante la luce fosse ancora distante, Jace non ebbe alcun dubbio sulla sua identità.

Si scostò da Erryk e mosse un passo verso di lei.

«Madre…»

Gli sembrò di scorgere il suo sorriso e la sua voce familiare che chiamava il suo nome, prima che l’oscurità calasse su di lui.




 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > House of the dragon / Vai alla pagina dell'autore: pampa98