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Autore: pansygun    20/04/2024    1 recensioni
My first obsession is you.
My second is having sex with you.
• • •
DISCLAIMER: questa storia ha rating 🔞 per i contenuti espliciti in essa descritti (sesso).
A mio discapito, se siete sensibili vi invito a non affrontare questa storia.
• SPOILER per chi non avesse letto il fumetto o guardato l'anime! •
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{Deku x Bakugo}
Angst
Mild-spicy
• • •
Tutti i diritti riservati ©️ veciadespade | 2023
I personaggi originali di My Hero Academia sono di proprietà di Kōhei Horikoshi.
Genere: Comico, Erotico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou
Note: Lemon | Avvertimenti: Non-con, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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...and goodbye for now | outro



Il girasole che Van Gogh dipinge è Van Gogh, anche se Van Gogh ha bisogno del girasole per dipingere se stesso.
~ Fabrizio Caramagna ~

🌻

Un anno e mezzo dopo

La sala da ballo era elegante, illuminata da luci calde e diffuse; le tovaglie damascate in una tenue tonalità crema facevano risaltare piatti d'acciaio lucido e bicchieri senza neppure un alone. La condensa sugli champagne spezzettava la luce in piccoli diamanti effimeri.

I tecnici stavano finendo di allestire il piccolo rialzo sul fondo la sala, dove stava un leggio sfacciatamente bianco e contornato di fiori altrettanto bianchi, mentre vecchie canzoni commerciali riempivano i vuoti lasciati dal chiacchiericcio degli eroi accorsi al grande evento.

Per una volta avevano dismesso i panni variopinti delle loro tute da lavoro per lasciare spazio a smoking dai revers di raso lucente e abiti eleganti che fasciavano i fianchi tonici delle donne presenti come una seconda pelle.

Lui, però, odiava le cravatte.

Odiava ancor di più il papillon che sua madre gli aveva comprato e che aveva messo solo per non offenderla. Però ci stava: il grigio di quel piccolo accessorio risaltava sul candore della camicia e si abbinava perfettamente al panciotto grigio, a contrasto con i revers sciallati in raso nero sul suo smoking in lana rasata grigio scuro.

Il suo nervosismo era palpabile e lo si notava dal modo in cui la gamba sinistra tremava o da come si torturava le pellicine del labbro inferiore sfregandole sul bordo liscio del bicchiere, senza aver toccato ancora un goccio di champagne.

«Ehi!», sobbalzò a quel richiamo, rischiando di far cadere a terra la flûte.

«E-ehi...», salutò con titubanza, voltando il capo a sinistra. Kirishima era un cazzo di sole e invidiava quel suo sorriso incoraggiante. Sembrava che si fossero scambiati i ruoli, loro due, perché il suo, di sorriso, mancava sempre più spesso.

«Sei agitato?».

«Un po'. Credo sia normale, no?», e tornò a far finta di sorseggiare champagne con noncuranza. Vi si bagnò le labbra e provò fastidio su una pellicina più sollevata delle altre. La sapidità del vino gli arrivò alla lingua e gli fece fare una piccola smorfia, guardando il bicchiere, ondeggiandolo tra le dita, prima di berlo in un unico sorso.

«Vacci piano, Midobro!», esclamò il rosso, inarcando entrambe le sopracciglia e guardandolo con una certa preoccupazione. Di contro, Izuku fece fatica a sostenere quelle iridi rosse.

«Scusa. È che queste cose mi mettono ansia.».

«Lo so.», gli sorrise di nuovo l'amico, posandogli una mano sulla testa e scompigliandogli i ricci. «Ma vedi di non esagerare col vino per scioglierti, ok?».
Izuku annuì e si tranquillizzò un po' sotto quel tocco pesante.

Kirishima era sempre stato molto fisico, fin dalle superiori. Il loro supportarsi era fatto di abbracci virili, pacche sulle spalle e scompigliate di capelli. Ma, in quel momento, quel tocco sembrava più una carezza rassicurante.

Izuku tirò le labbra in un sorriso mesto, mentre fermava un cameriere in livrea e faceva un cambio di bicchiere. Vuoto per pieno, allungandone uno anche a Kirishima, una muta richiesta di supporto.

«Hai una domanda sulla punta della lingua, lo so.», lo incalzò il ragazzone, allentando il bottone della giacca nera, mettendo una mano nella tasca dei pantaloni del medesimo colore, lasciando scoperte solo le bretelle bordeaux, come la sua cravatta e la pochette sulla giacca. Perché lui era così a suo agio?

Izuku scosse il capo. «Nah.».

«Non vuoi...».

«No. Preferisco le sorprese.».

«No. tu preferisci l'ansia, 'kero!», sentì alla sua destra, mentre una piccola mano guantata gli toglieva dalle dita il calice e prendeva un generoso sorso di champagne. «Mh! Questo sì che è buono, 'kero!», poi Tsuyu si sporse oltre Izuku e regalò un sorriso all'ex compagno di classe: «Ciao Eiji-chan!».

«Che bello vederti Tsu-chan!», le sorrise Kirishima, di rimando. «Hai visto gli altri?» e lei gli indicò un punto lontano della sala, lasciando che si allontanasse con passo lieve verso quelli che erano stati i loro compagni di classe.
In quell'angolo defilato rimasero lei e Izuku, in silenzio, a passarsi il calice dall'uno all'altra, un sorso alla volta.

«Pensi di parlare, 'kero?».

«Scusami... Sono solo agitato.».

«'kero! Ci credo. È una bella decisione quella che hai preso e siamo tutti molto fieri di te!»

«Fieri? Tutti chi?».

«Mina, Ochaco-chan. Iida-kun... Shoto-kun...», poi fece una piccola pausa e gli sorrise: «A proposito... 'kero! Congratulazioni!», e allungò una mano nella sua direzione, stringendola in un piccolo pugno in attesa che lui ricambiasse quel saluto.

Izuku sospirò e le sorrise, di rimando, raccogliendo tutta la gioia che possedeva in quel momento di ansia pura. Ricambiò il pugno con un tocco leggero. «Grazie.», fece, prima di portare indietro la testa e bere l'ultimo sorso di champagne.

«Sembra tu stia andando al patibolo!», e la smorfia che Izuku fece la portò ad assumere un'espressione seria e ancora più composta.

Stavolta fu lei a fermare un cameriere e a prendere un nuovo bicchiere, ma solo per Izuku, strappandogli dalle mani quello vuoto con un moto di stizza.

«Vedi di farti passare quel muso lungo, 'kero! Guardati attorno: una cerimonia come questa molti se la sognano, lo sai?», e Izuku chinò il capo, osservando il perlage che saliva dal fondo della flûte. «Già.», poi tornò ad osservarla in quei suoi occhi scuri e sinceri. «Verrà, vero?».

Tsuyu sbattè un po' le palpebre: «Che razza di domande fai? Sembra che tu ti sia preso una bella commozione cerebrale, 'kero! Sicuro che ti hanno dimesso e non sei scappato dall'ospedale?».

Izuku sorrise. Stavolta per davvero. Un sorriso genuino per quella battuta e perché Tsu-chan era sempre la stessa e l'adorava per quello.

Si sentì strattonare per il mento e se la ritrovò davanti, che lo costringeva a piegarsi alla sua altezza, un cipiglio risoluto sul volto: «Bevi quella cosa, fai un respiro e raggiungi me e gli altri lì in fondo! Voglio la prima fila per la cerimonia e non voglio vedere musi e musetti, intesi?».

«Sissignora!», e la colse di sorpresa lasciandole un bacio tenero sul naso che la fece arrossire di colpo e fare qualche passo indietro, prima di voltarsi e andare a passo spedito dagli altri «Idiota! 'kero!».

Izuku seguì il consiglio, sorseggiando con calma lo champagne, rischiando però di strozzarsi quando il suo sguardo cadde verso l'entrata della sala.

La vista di Kacchan, in un impeccabile smoking, attirò la sua attenzione come una calamita fa con la polvere di metallo, tanto da farlo rimanere momentaneamente senza fiato.

L'aura di autorità che trasudava Katsuki Bakugō ad ogni passo lo faceva spiccare su tutti gli altri, un eroe tra gli eroi; ma Izuku conosceva il lato vulnerabile che si celava dietro a quell'immagine pubblica. Avevano camminato insieme, fianco a fianco, per un breve tratto, ma la strada da percorrere sembrava troppo lunga e tortuosa.

Accanto a lui notò una ragazza che forse aveva già visto nell'agenzia che gestiva con Kirishima. Ricordava fosse la sua segretaria, o forse era una sidekick assai meritevole, se si trovava ad una serata di gala come quella a fianco del favoloso Dynamight. Poteva essere anche la sua ragazza, magari, ma gli sarebbe importato poco in ogni caso.

Mise le mani in tasca, pulendo una macchiolina sulle scarpe lucide strofinando la punta destra sul polpaccio sinistro, dissimulando per un momento l'insistenza del proprio sguardo per controllare se le lunghe fughe delle piastrelle fossero dritte e pulite a dovere, tirate a lucido come ogni singolo eroe in quella stanza.

Lui aveva deciso di non presentarsi con un più uno.
Avrebbe anche avuto un paio di persone a cui chiedere, ma sarebbe stato controproducente a livello di stampa, di spiegazioni, di sguardi...

Sorrisi.

Katsuki elargiva sorrisi tirati e inchini distratti a chi lo fermava e gli rubava l'attenzione, due parole, un po' di tempo.

Ma lo sguardo di Katsuki non era per nessuno dei suoi interlocutori, perché passava febbrilmente in rassegna ogni volto che vedeva nella sala. Sapeva che ci sarebbe stato.

Entrambi sapevano che ci sarebbe stato l'altro. Lo sapevano, fin da quando era stato recapitato loro un invito su elegante carta vergata color crema, brevi manu direttamente da Hawks.

Fu uno sguardo, un singolo sguardo a cancellare i metri di distanza, le altre persone attorno a loro, i mesi di silenzi.

Katsuki chiuse gli occhi per tornare a dare attenzione alla biondina al suo fianco, distogliendo l'inopportuno contatto visivo per primo, lasciando in Izuku qualcosa di amaro dentro, come la consapevolezza che neppure quella sera avrebbero potuto seppellire un'immaginaria ascia di guerra.

Lo speaker richiamò l'attenzione di tutti con l'apertura formale della serata e con l'invito ad accomodarsi ai tavoli assegnati per la cena.
Izuku si ritrovò a sperare di essere abbastanza vicino a Kacchan per non sembrare un inquietante stalker.

I camerieri scortarono gli eroi, ciascuno al proprio tavolo, e Izuku si lasciò guidare fino a una tavola rotonda a cui erano sedute personalità di spicco del QSNC, Hawks compreso.

Il suo bicchiere fu riempito da gorgogliante vino rosso, corposo e tannico, come spiegò il cameriere.

Con lo sguardo cercò Kacchan, ma non lo scorse da nessuna parte nella grande sala, finendo per rivolgere l'attenzione al suo capo. «Bene, Deku! Che ci racconta il nostro adorato golden boy?».
Un sorriso finto gli curvò le labbra, il tono della voce era allegro e parole melense uscivano dalla sua bocca solo per compiacere i presenti al tavolo, vendendo se stesso e una buona dose di menzogne e fumo su un vassoio d'argento.

•••

Alla fine della cena, i rebbi della forchetta torturavano la superficie ricoperta di cacao di quella invitante fetta di torta che troneggiava sul piatto, bianco con un sottile bordo dorato.

Aveva parlato tanto e aveva cercato di lenire la secchezza della gola con un bicchiere di vino di troppo, le guance arrossate e la testa piacevolmente alleggerita rispetto a inizio serata.

Trasalì a sentire il microfono gracchiare e uno degli stuart deputati all'organizzazione lo prese delicatamente per un gomito, schiodandolo dalla sua staticità e dai ghirigori sul cacao. «Mi segua, Deku. La faccio accomodare vicino al palco.».

«Ma la torta?».

«Le lasciamo la torta, non si preoccupi...», disse il ragazzo, abituato a sentire richieste strane, mentre lo accompagnava e lo lasciava accanto al palco.

«Buonasera a tutti! È con immenso piacere che apro ufficialmente la cerimonia di premiazione di questo sesto Japanese Hero Award!».

I convenevoli che Hawks fece appena salito sul palco erano vuoti e sterili e neppure la sua naturale propensione ad avere la battuta sempre pronta riuscì a strappargli mezzo sorriso.

Attese con pazienza che sul palco tutti ritirassero i propri premi, le medaglie al valore per missioni o imprese speciali avvenute nell'ultimo anno, prima che partissero le premiazioni, quelle vere.
Quelle fatte più per il pubblico che si godeva quello spettacolo da casa; quasi tutto il Giappone si fermava per quell'evento che, negli anni, era diventato elegante ed esclusivo e non aveva nulla a che vedere con ciò che Izuku aspettava di vedere quando era solo un ragazzino.

Accanto a lui, Shoto attendeva a braccia conserte e gambe allargate, la stessa posa che assumeva spesso suo padre, a cui, suo malgrado, sembrava assomigliare sempre di più, soprattutto con quei capelli corti ai lati e un ciuffo laccato in maniera impeccabile verso l'alto.

«Ti dona il grigio.», si sporse l'amico verso di lui, facendolo trasalire e voltare del tutto il capo nella sua direzione.

«Grazie!», bisbigliò, un po' stranito da quell'uscita che aveva tanto il sapore di una conversazione fatta solo per attaccar bottone. «Anche a te il blu.».

Katsuki stava dall'altro lato del palco, le braccia incrociate al petto e il capo abbassato, cupo e pensieroso.

Quando poi l'occhio di bue lo illuminò, il suo cuore perse un battito nel ricevere da Kacchan uno sguardo strano, indecifrabile, con le iridi rosse che sembravano brillare sotto la luce mentre sorrideva.

E Izuku un po' si illuse che quel sorriso pieno, non tirato, fosse tutto per lui, quando invece non era così.

Saliva i tre gradini del palco con eleganza, una mano in tasca e ancora il sorriso sul volto, come se quel terzo posto non gli pesasse più di tanto, come se ormai non gli importasse più di punti o bonus o soldi.

Uno scroscio di applausi lo accolse, qualcuno dei partecipanti si alzò in piedi: i suoi amici più stretti ed eroi veterani che lo fischiavano e lo incitavano.

Izuku a stento trattenne un risolino nel vedergli il collo arrossarsi sotto i riflettori, l'imbarazzo che raggiungeva la punta delle sue orecchie e lo faceva borbottare al microfono ancora prima di prendere la parola.

«Sei riuscito a parlarci assieme?», chiese di nuovo Shoto, sporgendo appena il mento in un gesto delicato ad indicare l'eroe biondo.

«Non ci sono riuscito...»

«Pensi di farlo?».

Si guardarono negli occhi e, per un momento, Izuku vi lesse un giudizio di stupidità nei propri confronti. E questa cosa gli fece male.

Perché lo sapeva, di essere stato stupido eh.

Solo che percepirlo in qualcuno di vicino, in un amico, era peggio della mera autoconsapevolezza.

«Dovrei?», ma ricevette solo una scrollata di spalle in risposta, prima che il bicolore fosse investito da un fascio di luce e richiamato sul palco dalla voce calda e squillante di Hawks, che lo annunciava al secondo posto nella classifica.

Si stupì di vedere lui e Kacchan scambiarsi un saluto e un mezzo abbraccio, mentre gli applausi continuavano ad inondare la sala e i flash scattavano, illuminando pure lui, a tratti.

Sentì i ringraziamenti di Shoto, probabilmente rivolti ai fans o alla sua famiglia, come faceva ogni anno, ma non li ascoltò per nulla, troppo preso dall'arrovellarsi il cervello e ad osservare le mani dietro la schiena di Kacchan che si torcevano, preda di una strana agitazione, mentre la gamba destra tremolava e lo rendeva inquieto ai suoi occhi.

La sua figura era imponente se paragonata a quella di Hawks al suo fianco, che probabilmente non si era reso conto di nulla.

Ma lo capiva. Capiva l'agitazione di Kacchan, perché la stessa ansia l'aveva avuta anche lui, i giorni precedenti; e ce l'aveva tutt'ora, frammista ad un sentimento di corretta paura del giudizio degli altri e di orgoglio per essere tornato sulla vetta, come un...

«...un eroe tra gli eroi, degno successore del nostro compianto All Might. Ho l'onore di presentare di nuovo qui, su questo prestigioso palco, il nostro amato eroe Deku!».

Il fascio di luce colpì anche lui, costringendolo a chiudere gli occhi per una frazione di secondo prima di tirare le labbra in un sorriso e salire a sua volta sul palco, la sala che si alzava tutta in piedi, le voci che chiamavano il suo nome.

Ma era solo di una persona che lui voleva avere l'attenzione e che, in quel momento, gli aveva concesso solo uno sguardo di sottecchi.

«Grazie! Pe-per me è un vero onore essere qui!», iniziò, la voce rotta dall'emozione e gli occhi che cercavano un volto amico nella sala da poter fissare per sentirsi meno in ansia. Fu Ochaco a sorridergli, a fargli un gesto di coraggio con i pugni chiusi e a permettergli di continuare. Portò una mano al petto, un gesto istintivo, che anche chi lo stava guardando in televisione (come sua madre) potesse capire e sentire vero. «Vi ringrazio tutti, dal profondo del mio cuore, perché è grazie a voi che sono qui stasera. A voi, alla vostra fiducia e al mio impegno per rendere il Giappone più sicuro per ognuno di noi.».

Un nuovo applauso, un nuovo incitamento, mentre ritirava il trofeo, una piccola statua dorata di All Might nella sua posa classica, col pugno alzato. «Dedico questo premio a tutti voi! Plus Ultra!», aggiunse, prima di stringere ancora una volta la mano ad Hawks e passare a salutare Shoto con un abbraccio, un po' rigido, ma pur sempre confortante, accompagnato da gridolini, applausi e la caciara tipica degli ex studenti della sezione A.

Si stupì, quando anche Katsuki allargò le braccia e si lasciò abbracciare, un mezzo sorriso sul volto e un sussurro giocoso nell'orecchio che lo fece rabbrividire: «Bravo Deku.».

Come avrebbe dovuto prendere quell'affermazione? Come una presa in giro? O come un complimento? Cosa voleva dire quel ghigno strafottente?

La serata era iniziata in modo formale, con Deku che cercava di nascondere la propria incertezza dietro un sorriso gentile. Kacchan, invece, sembrava circondato da una barriera impenetrabile e gli era risultato sfuggente per tutta la serata, oltre che per tutto l'ultimo anno.

Allora perché quel gesto? E perché in quel momento?

C'era solo Shoto tra di loro, la sua fisicità a separarli. Eppure, era come se il divario si fosse ampliato. Di nuovo.

Ma si erano lasciati di comune accordo, no?

Allora perché aveva ancora questa sensazione amara che gli allappava lingua e gola e gli continuava a rivoltare lo stomaco, con l'unico desiderio di vomitare tutta la cena?

La voce calma di Hawks e un gesto delle mani placò la platea, prima che prendesse di nuovo in mano i suoi cartoncini e ci scorresse velocemente gli occhi sopra: « Signore e signori, stimati ospiti... Abbiamo premiato molti eroi questa sera. - volse un sorriso a Izuku - E ritrovato vecchie glorie proprio sul gradino più alto del podio...», un applauso timido partì dal fondo della sala, accompagnato da un "Vai Deku!" urlato quasi in contemporanea.

Hawks fece un gesto con la mano per calmare un po' gli animi: «Ma dopo queste premiazioni è un onore per me lasciare il leggio e la parola al nostro stimatissimo Dynamight.». Ci fu un chiacchiericcio diffuso, prima che un altro lungo applauso partisse quando l'eroe biondo si avvicinò al leggio e, con un cenno del capo, ringraziò Hawks per la gentilezza e la disponibilità nel dargli la parola.

Izuku gli guardava le spalle e ne avvertiva la tensione anche sotto gli strati di tessuto pregiato che lo avvolgevano. Notava il luccicore del sudore sulla pelle scoperta della nuca e la gamba che, traditrice, muoveva con impercettibili piccole scosse, tipiche di quando era nervoso. E, come se quello fosse un flusso invisibile, si ritrovò ad essere nervoso a sua volta, agitato, tanto che dovette mettere le mani nelle tasche per non torturarsi le dita.

Cos'era quella sensazione di freddo che provava alla base della schiena?

Lo notò pure voltare appena la testa, uno sguado fugace nella sua direzione prima di estrarre dalla tasca un piccolo blocco di foglietti. Si era scritto un discorso? Perché?

Katsuki si schiarì la voce e sistemò il microfono perché fosse un po' più alla sua altezza e non dovesse chinarsi troppo, le sopracciglia aggrottate mentre guardava il pubblico e prendeva un profondo respiro.

«Vai Bro!», urlò Kirishima dalla platea, strappando al biondo sul palco un mezzo sorriso.

«Voglio ringraziare tutti voi per lo splendido lavoro che avete fatto quest'anno. No. Che abbiamo fatto. Per la perseveranza che abbiamo avuto nella ricerca del bene e della giustizia.», e alzò gli occhi dai foglietti fino ad osservare un punto imprecisato tra il pubblico: «E ringrazio tutti i cittadini del Giappone, per il loro incrollabile sostegno nel nostro operato.».

Un applauso lo interruppe, accorato e reso breve dal suo schiarirsi di nuovo la voce, mettendo di nuovo tutti in soggezione.

Izuku pensò che fosse un bel discorso e fu fiero di Kacchan, della sua crescita, del suo essere un eroe e un uomo così intelligente e rispettato. Gonfiò il petto, in un sentimento di orgoglio positivo, buono, piantando gli occhi su quella schiena dritta davanti a lui, immaginandola sostenere tutti quanti con grazia e dignità. Non era un'immagine che avrebbe accostato prima a Kacchan, ma ora...

La voce di Katsuki tornò a diffondersi nella sala in penombra: «La serata di oggi non serve solo a celebrare i nostri risultati attuali; lo scopo di eventi come questi è anche quello di aprire la strada a un futuro migliore, per noi e per tutti quanti nel Paese.». Il frusciare dei foglietti veniva registrato dal microfono e sembrava essere l'unico suono presente in quella sala, come se tutti fossero col fiato sospeso, rapiti da parole tanto serie e vere, che pure Izuku si preoccupò che non si sentisse il battito pesante del suo cuore.

«Non è che molla, vero?», gli sussurrò all'orecchio Shoto, sbilanciandosi appena verso di lui, facendolo irrigidire.

Kacchan non può mollare. Eppure, quel pensiero era come un piccolo tarlo, entrato dal timpano per divorargli il cervello.

No. L'avrebbe saputo. Magari non dal diretto interessato, ma l'avrebbe saputo.

Strinse le labbra e alzò il mento nel tempo di un respiro più profondo, le mani che si serravano a pugno nelle tasche.

Kacchan non può mollare.

«Essere un eroe non è un'impresa facile, lo sappiamo tutti. E non parlo di allenamenti, di scontri o inseguimenti. Parlo di fiducia. Quella dei singoli cittadini. Quella della polizia. E la nostra, una fiducia reciproca che ci spinge sempre a dare il meglio. Ed è proprio la fiducia che la gente comune e che alcuni... - deglutì – Che alcuni di voi hanno riposto in me che mi ha spinto a voler raggiungere nuovi traguardi. A cambiare rotta.»

Il battito cardiaco di Izuku accelerò, un nodo si formò nel suo stomaco. Le parole di Katsuki sembravano pesanti, quasi minacciose.

«Con effetto immediato», continuò Katsuki, con voce ancora più greve, graffiata e seria, «ho deciso di intraprendere uno stage internazionale per il prossimo anno. Mi è stata proposta una collaborazione con l'agenzia di Cathleen Bate a Washington e ho accettato.».

Sussulti e grida di eccitazione e incredulità riempirono la sala, ma Izuku li sentì a malapena. Poteva sentire le pareti intorno a lui chiudersi, una sensazione soffocante che gli stringeva il petto.

Nonostante la confusione che si era creata, gli applausi, i fischi di contentezza, Katsuki non smise di parlare, lo sguardo tornò su quei foglietti sudaticci su cui le parole stampate iniziavano a confondersi: «Andrò in America, per imparare dai migliori del mondo e riportare indietro tutto ciò che ho imparato per rendere il nostro amato Giappone ancora più sicuro.»

Si ritrovò a guardare il sorriso debole di Katsuki mentre stringeva la mano di Hawks e quella degli altri membri del consiglio, saliti sul palco per congratularsi.

«Io... So che potrebbe essere inaspettato.», aggiunse Katsuki, notando solo la reazione del pubblico, sorpresa e contenta, piuttosto che l'espressione indecifrabile che mascherava il dolore opprimente provato da Izuku. «Ma so nel mio cuore che questa è la cosa giusta da fare. Il Giappone ha bisogno di qualcosa di più... Il Giappone merita una versione migliore di me, e sono disposto a fare qualsiasi cosa affinché ciò accada.».

Mentre le ultime parole di Katsuki si confondevano tra il casino, mentre Shoto si avvicinava mettendogli una mano sulla spalla e allungandogli l'altra mano per complimentarsi, la mente di Izuku tornò al tempo trascorso insieme. Tornò alle parole che lui gli aveva rivolto quando era tornato dalla sua esperienza europea.

Izuku si morse l'interno della guancia, quasi a farlo sanguinare, mentre gli occhi sembravano torturati da tizzoni ardenti per evitare che fuoriuscissero lacrime.

Era fiero di lui. E triste. Tanto triste.

Di quella tristezza che ti avvolge come una morbida coperta di lana e ti tiene caldo e ti fa prurito. Ovunque.

Fu un solo sguardo, quello che si scambiarono mentre Katsuki si girava. E i suoi occhi di rubino sembravano chiedergli scusa.

Però sapeva di meritarsi quel dolore e quella tristezza. Era il giusto contrappasso, no?

Forzò un sorriso e un cenno del capo e, con un passo e un piccolo salto, scese a ritroso dal palco, sparendo nella penombra della sala, mentre Katsuki veniva preso e stritolato da Kirishima in un abbraccio che aveva ben poco di formale o di adatto per una cerimonia ufficiale.

Izuku aveva le gambe come di gelatina mentre camminava. Aveva bisogno di aria. Aveva bisogno di respirare, perché gli sembrava di non averlo fatto fino a quel momento.

I tacchi delle scarpe buone calcavano il pavimento lucido del corridoio fino a raggiungere il bagno degli uomini; pure quell'ambiente era elegante nelle sue superfici scure, con i lastroni di marmorino nero e luccicante sotto i riflessi giallastri delle lampade a muro.

Di fronte allo specchio, Izuku lasciò che la diga si rompesse, come non faceva da un po'.

Vide le lacrime scorrere lungo le sue guance nel suo riflesso, mentre si puntellava con le mani sul ripiano del lavabo. Non staccò gli occhi da se stesso, osservando la propria faccia contorcersi nel pianto.

Era questo?

Era questo ciò che aveva provato Kacchan quando lui se n'era andato?

Nella sua mente le parole di Katsuki risuonavano come un disco rotto. Alzò un pugno, con la chiara intenzione di sbatterlo sul ripiano. Ma lo posò, con calma, stringendo le dita tanto da conficcarsi le unghie corte nel palmo, un singhiozzo che gli uscì troppo forte e il naso che gli colava come quando aveva sedici anni.

Un altro sguardo allo specchio.

"Sii fiero di lui."

Non riuscì a riconoscere a chi appartenesse la voce nella sua testa. Ma non importava, perché quella era la frase giusta al momento giusto.

Sii fiero di lui. Si ripeté.

Il pugno si allentò e la mano andò ad aprire il rubinetto.

L'acqua era gelida e ci mise sotto le mani a coppa, chinandosi per sciacquarsi la faccia.

Una.

Due.

Tre.

Tre volte. Prima di gocciolare dal mento fin sulla giacca grigia e sulla camicia, prima di raggiungere con la mano il dispenser di salviette e asciugarsi con lentezza estenuante, la mente in un momentaneo arresto per la temperatura troppo fredda sulla pelle.

Un respiro.

Due respiri.

Un tiro di sciacquone e un mezzo cigolio.

Passi che lo avvicinavano.

Tirò via la salvietta dagli occhi e si soffiò il naso. Non fece molto caso a chi lo affiancò e si lavò le mani.

Un saluto di cortesia, un inchino abbozzato solo per deferenza. Probabilmente chi era in bagno non si aspettava di trovarsi proprio di fianco al grande Deku.

Izuku trovò il coraggio e si guardò di nuovo allo specchio: le guance erano arrossate, gli occhi avevano subìto la stessa sorte. Si ravvivò con una mano i capelli e tirò su le spalle prendendo un profondo respiro.

Si voltò e fu un momento, uno sguardo verso il basso a notare il laccio allentato della scarpa destra.
Si chinò con un sospiro rassegnato e rifece l'asola, alzandosi senza nemmeno guardare.

Mai errore fu più grande.

«Ehi.».
Quella voce...

Alzò il volto: «Oh. E-ehi!».

A un metro di distanza c'era Katsuki, in piedi di fronte a lui. Bello come il sole in primavera.

«Come stai?».

Izuku alzò le spalle con noncuranza, anche se, dentro, si stava sgretolando tutto. Da quanto non si parlavano? «Sto... E tu?».

Lo vide scuotere le spalle e spostarsi verso il lavabo.
Acqua scrosciante.
Tre dosi di sapone.
Trenta secondi.
Li contava sempre, Izuku. Per vedere se era sempre uguale il tempo in cui Kacchan si lavava le mani o se sforava o se lo accorciava. Trenta-fottuti-secondi.

Il cuore rallentò quando lo vide osservarlo dal riflesso mentre scrollava l'acqua dalle mani prima di asciugarle.
Palmo. Dorso. Faceva una pallina con la carta e la gettava distrattamente nel cestino.
Non lo mancava mai.

E tutti questi piccoli gesti gli fecero stranamente bene; furono un toccasana per i suoi nervi, gli calmarono il cuore, permettendogli di respirare un altro po'. Giusto per non morire.

«Non... Non volevo prenderti alla sprovvista.».

«Non mi hai preso alla sprovvista, Katsuki.».

Vide il riflesso stringere la mascella.

Entrambi avevano deciso di concentrarsi sulla propria carriera e di crescere individualmente.
Entrambi avevano deciso che era meglio lasciar perdere la loro relazione per non arrivare a distruggersi e per non dare più modo a nessuno di trovarli deboli.

Entrambi i loro occhi, però, raccontavano una storia diversa.

Tra loro gravava un silenzio pesante e carico di parole non dette. La mente di Izuku correva, cercando di trovare qualcosa da dire, qualcosa per spezzare quella tensione imbarazzante. Qualcosa per tenerlo ancora un po' lì. Ma prima che potesse farlo, Katsuki parlò.

«Izuku...» iniziò, la sua voce più dolce di quanto lui avesse mai sentito prima. Lo vide perfino curvare le spalle mentre rilasciava un respiro trattenuto. «Volevo solo trovare il modo per dirti che sono fiero della tua vittoria di oggi. Te la meriti.».

Il cuore di Izuku si gonfiò per quel complimento genuino, ma una parte di lui non poté fare a meno di sentirsi amareggiata. Essere di nuovo il primo non era così soddisfacente come aveva pensato. «Grazie.», riuscì a rispondere Izuku con un piccolo sorriso. «Tu non...».

Il biondo alzò le spalle, quasi con rassegnazione: «Non mi interessa. Primo, secondo, terzo... È sempre stato un pro forma.». Lo vide ghignare. «Tanto lo sanno tutti che il migliore sono sempre io!».

Quell'affermazione strappò un sorriso a Izuku, che abbassò la testa per un momento, i riccioli verdi che gli ricadevano sulla fronte mentre si osservava la punta delle scarpe. «Giusto... Te ne vai davvero, quindi...», disse, a voce tanto bassa che Katsuki fece quasi fatica a sentirlo.

«Ah?».

«Qui-quindi te ne vai davvero, eh?». Izuku ruppe il breve silenzio, la sua voce tremava leggermente dietro il sorriso tirato.

«Sì.» Il tono di Katsuki era burbero, ma il suo riflesso tradiva un accenno di vulnerabilità negli occhi.

«Credevo non ti piacessero i gaijin.».

«E continuano a non piacermi. Ma io... Devo farlo. Credo che tu possa comprendere meglio di chiunque altro.».

Ed era vero. Gliel'aveva urlato, tempo prima. Aveva sottointeso che lui non avrebbe mai avuto il coraggio di farlo. Quella scelta smentiva ogni sua parola, dalla prima all'ultima. Ed era davvero felice che fosse così, felice di essersi sbagliato.«Sono contento della tua decisione. Lo meriti più di tu-».

«Me lo sono guadagnato.», sbottò. «Ed è da Urakawa che ci pensavo.».
Il suo sguardo era intenso, carico di tante emozioni che Izuku non riusciva ad allineare. Ma ci vedeva tanta determinazione e ne fu contento.
Col cuore stretto in una morsa, ma contento per lui.

«Scusa.», disse con tono fintamente scherzoso. «Credo sia colpa mia...».

Rimasero lì ancora per qualche istante prima che Katsuki rompesse di nuovo il silenzio, abbassando il capo per poi tornare con gli occhi in quelli di Deku. «Dovrei andare...» disse, voltandosi lentamente verso la porta. Izuku provò una fitta di tristezza al pensiero che Kacchan se ne andasse, che uscisse da quella porta così come dalla sua vita. Nonostante le difficoltà passate, teneva ancora profondamente a lui e odiava il pensiero di averlo così lontano per un anno intero.

«Aspetta!», sbottò prima che potesse trattenersi, prima che il raziocinio gli tappasse la bocca e mettesse a zittire i sentimenti. Katsuki si voltò nuovamente verso di lui, con le sopracciglia aggrottate per la confusione.

«Tu... hai qualche programma per stasera?» chiese Izuku, sentendosi improvvisamente audace e desideroso di passare un po' di tempo con Kacchan prima che se ne andasse. Non aveva idea di cosa fare o di cosa proporgli; sperava solo che accettasse, che anche lui volesse passare del tempo assieme. Solo un po', come una volta. Fosse anche solo una chiacchierata sul terrazzo, spalla contro spalla.
Avrebbero contravvenuto alle loro stesse regole, ma era un evento unico, era una giusta causa, si disse.

E, poi, cosa gli costava tentare? Il no c'è l'aveva già in tasca, giusto?

L'espressione di Katsuki si addolcì in un piccolo sorriso. «Nessun piano, in realtà.», rispose semplicemente.
La tensione tra loro era palpabile, densa come l'aria prima di un temporale.

«Neppure con...».

«No. Dai... Lo sai che è solo la mia segretaria.», fece il biondo, tornando sui suoi passi con esasperante lentezza. «Quindi? Avevi pensato a qualcosa?».

«Io... Non lo so...», e abbassò il capo per un momento, colto alla sprovvista e preda del battere incessante del suo cuore, manco fosse uno scolaretto alla prima cotta.

Così tornò a guardarlo, mentre lui era ancora un po' più vicino di prima, con le mani che si levavano dalle tasche e l'indice della mano destra che s'incastrava sotto il papillon di Izuku, tirandolo leggermente con l'intento di sbilanciarlo. L'espressione di Kacchan era seria, ma in quei suoi occhi color rubino ci vide un fuoco, letteralmente. Un fuoco che gli scaldava le guance e le labbra e ogni centimetro del corpo ancora vestito su cui, volente o nolente, lui posava lo sguardo.

«Sei carino...», pronunciò Katsuki con voce bassa, eco di un pensiero che era sfuggito al filtro del cervello, torturando tra le dita il tessuto pregiato del papillon.

«A-anche tu...», si ritrovò a balbettare come un deficiente, la gola riarsa e una paralisi immotivata quando Katsuki gli aveva sfiorato il naso col proprio, alzandosi di poco sulle punte dei piedi.

Izuku non seppe dire chi si fosse mosso davvero per primo, ma all'improvviso furono premuti l'uno contro l'altro, le labbra che si scontravano in un bacio disperato. I loro cuori battevano l'uno contro il petto dell'altro, scoppiando fuori sincronia come un tuono in un cielo tempestoso. La lingua di Izuku danzava con quella di Katsuki, affamato ancora di quella passione ardente che consumava le labbra di entrambi. Katsuki aveva bisogno di quelle labbra, di quelle guance calde e lentigginose. Ne aveva bisogno come l'aria, come un tossicodipendente fa con la sua dose; aveva bisogno del tocco di Izuku per stare bene.

Izuku afferrò la cintura di Kacchan, attirandolo più vicino, i fianchi a scontrarsi rudemente, a sfregarsi, a simulare qualcosa che avevano perso per troppo tempo.

Le mani che vagavano, afferrando il tessuto, cercando la pelle nuda sotto strati di abiti scomodi.

Un mugolio sfuggì dalle labbra di Izuku quando Katsuki spostò le mani sul suo sedere, afferrandoglielo a palmo pieno da sopra il tessuto, stringendolo fermamente prima di rilasciarlo per trascinare le mani verso l'alto, verso il centro della schiena, ad aggrapparsi alla sua giacca elegante. Erano spinti contro il ripiano nero dei lavandini ad ogni passo che facevano, scambiandosi la posizione, cercando una dominanza sull'altro che in realtà non c'era.

Katsuki scacciò ogni pensiero di esitazione o preoccupazione e se lo trascinò con sè.

Inciamparono all'indietro di qualche passo, nel vuoto del breve corridoio, senza interrompere il loro bacio anche quando entrarono in un angusto bagno e chiusero la porta dietro di loro. I vestiti venivano tirati a casaccio, sbottonati con foga, rivelando pelle pallida e muscoli definiti. Izuku non poteva credere che stesse succedendo tutto questo, che dopo tutto questo tempo separati e cercando di voltare pagina, adesso erano lì, aggrovigliati l'uno all'altro come se nulla fosse mai cambiato, come i tralci di un'edera che sa esattamente dove aggrapparsi.

Katsuki armeggiò con la chiusura della porta prima di spingerlo contro il muro di mattonelle fredde, con una forza tale da far sussultare Izuku di piacere.

Era un tornare all'inizio, a quando avevano il desiderio di esplorarsi, di cercarsi e viversi come mai avevano fatto.

Era rimettere in fila i giorni spesi ad ignorarsi e calciarli, uno a uno.

Le dita di Izuku affondarono tra i capelli biondi e profumati di Katsuki mentre le sue labbra scendevano lungo il collo, pizzicando tra i denti la pelle sensibile lungo il percorso di discesa.
Succhiandola nel punto più morbido tra la gola e la clavicola.

Le mani di Katsuki gli esploravano frettolosamente il torace, torturando appena i capezzoli rosei di Izuku, mentre la bocca era impegnata a tracciare linee che univano la miriade di efelidi che aveva tra lo sterno e la pancia; Kacchan gemette piano sulla pelle tesa del suo addome, slacciando con ferocia la cintura di pelle, armeggiando con il bottone e la zip e il gancio...

Imprecò a mezza voce, un po' perché stava maledicendo i vestiti eleganti e tutti i relativi orpelli, un po' perché il vociare di persone entrate nel lussuoso bagno lo stava infastidendo. Con un gesto rude abbassò i pantaloni e le mutande a Izuku, che gemette di soddisfazione nel sentirsi finalmente libero da quelle costrizioni di tessuto; solo che la voce gli uscì di mezzo tono più acuta del previsto e Kacchan si affrettò a infilargli un paio di dita in bocca, lasciandosele succhiare per farlo stare buono. «Zitto!», gli intimò in un sussurro, prima di tirare fuori la lingua, assicurandosi di avere gli occhi verdi solo su di sé, e iniziare a leccargli la punta del membro lentamente.

Li vide, quegli occhi verdi che si ribaltavano all'indietro mentre glielo succhiava ancora un po', prima di staccarsi da lui, risollevarsi afferrandogli la vita per girarlo in modo che Izuku fosse rivolto verso il muro. Mani forti e leggermente umide gli afferrarono saldamente i fianchi mentre Katsuki si aggrappava a lui da dietro, brividi che si dipanavano dai suoi polpastrelli ruvidi come una ragnatela sulla schiena e sui fianchi di Izuku. Il fresco delle piastrelle, premute contro la guancia e il petto, penetrò nella pelle nuda di Izuku solo per un attimo, donandogli sollievo, prima di essere obliterata dalle labbra morbide di Kacchan che gli si posavano sul collo, i suoi denti che gli graffiavano dolcemente la carne sensibile della nuca, mentre veniva torturato dal membro di Katsuki, sfregato con decisione nel solco delle natiche.

«Ti prego...», supplicò sottovoce.

«Taci!».

Erano ansimi, più che sussurri.

Katsuki ringhiò, basso e primordiale, mentre spingeva Izuku contro il muro, i loro fianchi che si stringevano insieme in una danza familiare.

Katsuki gli afferrò i capelli e lo costrinse ad inarcare la schiena, voltandogli la testa con forza, sporgendosi verso di lui in una posizione scomoda solo per dargli un bacio lento, umido e così ricco di saliva da averne abbastanza per sputargli tra le natiche e torturarlo con un dito, prima di avvicinarlo ancora.

Izuku gemette in quel bacio, mentre Kacchan affondava in fretta le dita in profondità per prepararlo.

Le dita di Izuku afferrarono il freddo, immacolato distributore di carta igienica, le unghie che avrebbero voluto affondare nel metallo mentre i fianchi di Katsuki sbattevano contro i suoi, implacabile nella sua ricerca di liberazione.

«Kacchan...», piagnucolò Izuku mentre Katsuki era dentro di lui, caldo ed esigente. «Più veloce.», supplicò in un sussurro.

Ansimò mentre lo penetrava, più forte e più veloce.

Il mondo si ridusse a loro due, la musica e le chiacchiere fuori dalle porte che venivano aperte, i rumori di chi entrava in bagno e poi scappava subito, intuendo cosa qualcuno stesse facendo... tutto ciò che era fuori da loro fu soffocato dai loro respiri pesanti e dai gemiti trattenuti di piacere. La mano di Katsuki si avvolse attorno al cazzo di Izuku, accarezzandolo a tempo con le sue spinte.

La vista di Izuku si offuscò e si sentì vacillare sull'orlo del baratro, pronto a cadere nell'abisso.

I loro nomi cadevano l'uno dalle labbra dell'altro come una preghiera sommessa, sembrava che tutto il resto svanisse: le loro discussioni passate e le parole offensive sembravano insignificanti rispetto all'amore e al desiderio che condividevano in quel momento.

I loro corpi si muovevano all'unisono, il loro respiro affannoso e caldo nello spazio ristretto del bagno. Il sudore imperlava la loro pelle.

Con un'ultima, forte spinta, Katsuki si seppellì profondamente dentro Izuku, il suo nome pronunciato contro la sua nuca, un brivido che li percorse entrambi e sembrò quasi bloccarli insieme. Entrambi si immobilizzarono, sospesi nel momento mentre la frenesia dell'orgasmo si riversava su di loro come un'onda di marea, cancellando ogni pensiero tranne il piacere che scorreva attraverso i loro corpi ancora uniti.

Katsuki si ritrasse con calma, permettendo a Izuku di accasciarsi contro le piastrelle fresche per cercare un po' di sollievo, mentre si affrettava a pulirlo con un po' di carta per non fare un ulteriore disastro, come lo schizzo dell'orgasmo di Deku che era finito sulle piastrelle scure e ora stava colando a terra in un percorso lento ed esasperante.

Katsuki si sistemò in fretta, uscendo dal cubicolo il prima possibile, gli occhi spalancati, la morte nel cuore.

Izuku fu più lento e lo raggiunse, scambiandosi un'altra occhiata presso il lavandino, da riflesso a riflesso.
Il bagno sembrava deserto e, davanti allo specchio, si diedero l'ultima sistemata prima di rientrare alla festa.

Izuku lo vide lavarsi le mani con la solita cura maniacale. «Dobbiamo parlare, Kacchan.».

«Di cosa?», il suo tono s'era fatto improvvisamente duro e serio.

«Dell'America. Di...questo.».

«Questo cosa? Non era così che funzionava con te? Una scopata e via?»

Una risatina nervosa uscì dalle labbra di Izuku: «Tu non sei tipo da una scopata e via!»

Katsuki si voltò, guardandolo volutamente in faccia, senza ausilio di specchi o altri artifici: «In realtà non so più che tipo sono...», disse, con la sua solita voce graffiata

«Allora perché non provi a restare?».

«Perché gli accordi erano altri e abbiamo già trasgredito. E poi non è quello che vuoi.».

«Accordi o meno, io voglio che resti. E tu? Cosa vuoi tu, Kacchan?».

«Non lo so. Andare. Restare. Alla fine... Non lo so cosa voglio Izuku. Perché ho capito che vorrei questo. Con te. Ma vorrei anche andarmene, perché... Forse perché hai sempre avuto ragione e il codardo tra noi due sono io. Quello troppo statico, fossilizzato su tante cose.».

L'espressione di Izuku sembrava quella di un cane bastonato, mentre si avvicinava a Kacchan, posandogli la fronte sulla spalla: «Dio se mi sei mancato...».

«Lo so, nerd.», gli rispose il biondino, posandogli una mano sulla testa, premendoselo contro nell'unico gesto di affetto che aveva ricevuto da lui nell'ultimo anno. «Come tu sai bene che ho bisogno andare in America...».

Un grugnito di disapprovazione fece vibrare Izuku, strappando un debole sorriso a Katsuki.

«Lo so. - mugugnò - E non te lo impedirò...», e rialzò la testa, scrutandolo in quei suoi occhi rossi che sembravano quasi brillare sotto le luci.

Una carezza inaspettata gli fece piegare la testa a posare la guancia sinistra sul palmo ruvido di Kacchan, prendendosi quella rara coccola fino alla fine. «Ma puoi portarmi in aeroporto, nerd. O venirmi a trovare...».

Adorabile.

Kacchan era adorabile anche dopo tutti gli anni che avevano trascorso più o meno vicini, con le punte delle orecchie arrossate e lo sguardo sfuggente per aver detto qualcosa per lui troppo dolce.

Izuku sorrise, prendendogli il volto con entrambe le mani e stampandogli un bacio leggero sulle labbra.

Ma a Katsuki non bastava.
«Cazzo se mi manchi anche tu...», sussurrò prima di premere le labbra contro quelle di Izuku.

E quel loro bacio era un misto di desiderio, dolore e riconciliazione. Era come se stessero cercando di recuperare in un attimo i mesi persi. Il suono dei loro respiri affannosi riempì la stanza mentre gradualmente si staccavano dal loro intenso bacio.

«Io... Ti amo ancora.» sussurrò Izuku, con la fronte appoggiata a quella di Kacchan. Le lacrime salirono agli occhi del biondino mentre annuiva, non fidandosi della propria voce per rispondere.

Un anno.
Avevano infranto una promessa che s'erano fatti un anno prima.
Ed entrambi sapevano il motivo.
Sapevano che, per quanto si sforzassero, per quanto ci fossero miglia a separarli o assurdi accordi, tornavano sempre l'uno dall'altro.

Fosse per un favore di lavoro, per restituire qualcosa di vecchio o per incrociare uno sguardo in una sala gremita di persone.

Calamite dietro un vetro, che si attraggono senza mai toccarsi.

Rimasero lì ancora per qualche istante, le braccia lungo i fianchi, le dita delle mani intrecciate, prima che Katsuki si allontanasse, passandosi furiosamente le mani sulle guance a scacciare quelle insulse lacrime. «Cristo... Devo andare.», disse piano, lo sguardo rivolto all'amico di una vita, al compagno mai perduto, all'amore ritrovato.
Il cuore di Izuku perse un battito al pensiero di lasciarsi e si strinse con forza l'interno della guancia per evitare di scoppiare a piangere.

«Mi prometti una cosa, Izuku?».
Era serio.
Mortalmente serio.
Anche se si era avvicinato di nuovo e con i pollici gli sfiorava le guanciotte che teneva schiacciate tra i palmi, rilasciandole solo per farlo parlare. «Se posso...», riuscì a borbottare.

Katsuki deglutì. «Aspettami.», pronunciò con un filo di voce e lo sguardo sfuggente.

«Aspettarti?» e lo vide annuire. Izuku ne sorrise, il cuore gonfio di sollievo.

«Accompagnami e aspettami, Izuku

Attesa.
Da parte di entrambi.
Gli occhi che si scrutavano, scintillando, umidi di lacrime, sotto quelle luci basse e fastidiose.

«Va bene.», disse infine Izuku, con filo di voce e un sorriso dolce, uno di quelli che scioglievano il cuore a Katsuki e lo rendevano malleabile come creta. «Ti accompagno e ti aspetto da una vita. Un anno in più cosa vuoi che sia?».

Katsuki emise un sospiro di sollievo prima di trascinarselo contro in un altro bacio, pieno di speranza e di promesse per un loro futuro insieme.

Per davvero questa volta.

 

Oh once in your life you find someone
Who will turn your world around
Bring you up when you're feelin' down
Yeah nothin' can change what you mean to me
Oh there's lots that I could say
But just hold me now
'Cause our love will light the way
And baby you're all that I want
When you're lyin' here in my arms
~ Brian Adams ~

 

   
 
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