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Autore: DragonEnya    21/04/2024    0 recensioni
[pokemon]
Quando i destini di due persone desiderose di rialzarsi si incontrano, ecco che tutto può cambiare. Lui si chiama N ed è l'ex re del Team Plasma, reduce da una reclusione in carcere, l'altro si chiama Virgil, membro della squadra di soccorso con una tragedia alle spalle. Una storia di amicizia tra due giovani ragazzi, che attraverso difficoltà oggettive imposte dai ruoli e dalle esistenze opposte che conducono, si farà prepotentemente strada tra la compassione e la durezza della vita. Vagheranno alla ricerca di sé stessi per potersi redimere e tentare di fare la differenza in quel mondo che sembra avercela con loro e di riabbracciare con impegno, l'amore per la vita. Reduci dalle sofferenze che tentano di lasciarsi alle spalle, si scontreranno e si supporteranno a vicenda per superare le difficoltà che il destino, come un tranello sadico gli metterà davanti, sfruttando un meccanismo di complementarietà che li plasmerà rendendoli molto uniti; attraverso il perdono e la difficile accettazione delle idee dell'altro, lotteranno con complicità e fiducia in una cosiddetta "terza crisi plasma" provando inoltre a realizzare i sogni abbandonati nel cassetto e l'incrocio dei loro destini cambierà per sempre le loro vite.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Unima ...
mia terra ... lieve e soffice accoglie le stanche membra, ottimista e briosa guida con dolcezza materna per i sinuosi sentieri ove per sempre amerò perdermi, onesta e gentile mi conforta soffiando le lacrime; unica maternità che mi è stata concessa, perché solo tu sei stata leale con me nonostante tutto, malgrado il desiderio di amore soffocasse i miei pensieri più innocenti mutandoli in rabbia che sfuma sulle ferite. Colui o colei che ha scelto il tuo nome stava di sicuro pensando all'anima, perché si, tu sei l'anima della vita delle tue creature, la loro forza vitale, il mio sostegno ed è per te che mi sono sempre battuto e continuerò a farlo anche quando sarò imprigionato contro la mia volontà e torturato dai tuoi nemici affinché io ti tradisca; finché ci sarà vita in me mai accadrà, nessuno potrà privarmi dell'amore infinito che mi hai donato e della fedeltà nei tuoi confronti che custodirò in eterno.
   
    Riflettevo sulla mia esistenza, osservando le ombre della riviera al porto di Soffiolieve inchinarsi sulla tavolozza azzurra, adornata di vele bianche oscurate dall'ombra della motonave da crociera delle coste del sud di Unima.
Il mare tingeva il manto ondulato di rosso sotto la luce crepuscolare e i suoi cristalli di schiuma luccicavano come diamanti sulla costa frastagliata. Una moltitudine di bambini giocavano felici e inconsapevoli correndo tra gli attracchi del molo, e riuscivo a sentire anche da lontano il sussulto delle loro madri terrorizzate all'idea che potessero cadere in acqua. Ascoltare la voce di una madre che grida spaventata per la sorte di un figlio è la musica più bella in cui sovente mi perdevo per giornate intere; le mani strette dei padri, che quasi sul punto di stritolare quelle minuscole dei pargoli, preservando con coraggio l'anima dei loro doni più preziosi, mi fa rimpiangere di non essere mai diventato sordo o storpio per amore.
    Quando mi trovo innanzi a tali bellezze, chiudo gli occhi pensando che in quella mano stritolata o nel raggrinzimento improvviso provocato da quella voce preoccupata, potrei esserci io. Non saprò mai se ci fossi passato ma speravo un giorno di provare almeno per una volta, cosa significasse essere un figlio amato, prima di poter diventare un padre disposto ad amare.
    Mi chiamo Natural Harmonia Gropius e tutti ad Unima mi conoscono come N l'ex sovrano del Team Plasma. La mia storia è parecchio complicata e volevo fare un po' di chiarezza.
Raccolto ed adottato dal peggior criminale della storia di Unima, sono stato cresciuto con un'educazione regale e severa, per poter essere destinato come re alla successione della nobile casata degli Harmonia, di cui Ghecis Harmonia Groupius, il mio padre adottivo, è uno degli ultimi discendenti. Chiuso per quasi quindici anni all'interno della mia stanza, privato di ogni contatto umano per affinare la mia capacità di sentire le voci interiori dei Pokémon e probabilmente per tenere nascoste le mie vere origini, sono stato cresciuto inseguendo un sogno: liberare tutti i Pokémon dal malvagio giogo degli esseri umani, che mio padre mi aveva sempre descritto come elementi malvagi e sfruttatori di queste povere ed indifese creature.
Durante gli anni della mia reclusione in casa, non ho avuto nessun contatto umano, a parte le due ragazze che mi hanno cresciuto, affinché potessi mantenere un cuore puro ed uno spirito arricchito da un ideale di libertà: creare un mondo dove umani e Pokémon potessero vivere separati, per il bene di tutti. Una vera e propria follia quella di dividere due razze che coesistono da sempre e non possono fare a meno l'una dell'altra, perché congiunte da un legame naturale. Io per primo non riuscirei a separarmi da Zoroak.
Ogni giorno, Ghecis portava nella mia stanza, Pokémon feriti o sofferenti a causa dell'uomo, per struggermi l'essere ed alimentare l'astio verso i miei simili. Le notti insonni passate ad accudire quelle creature ferite, mi avevano consumato l'anima forzandomi a scardinare i miei ideali. Una volta adulto, avevo preso la decisione di aiutare mio padre a realizzare quel sogno, senza sapere che invece era lui che stava sfruttando me per realizzare il proprio: sottrarre i Pokémon alle persone affinché solo il Team Plasma potesse disporne per governare Unima.
Quando finalmente mi era stato concesso di uscire dalla mia stanza, avevo viaggiato per la regione, seguendo mio padre nella predicazione dei suoi ideali, che io appoggiavo perché ritenevo nobili. L'unico modo per raggiungere il nostro obbiettivo era quello di convincere quante più persone possibile - facendo leva sulla loro coscienza tanto da indurli a provare dei sensi di colpa - a liberare i Pokémon spontaneamente. Non tutti però erano disposti a separarsi dai loro compagni e per abbattere questa resistenza, il Team Plasma aveva iniziato a ricorrere a dei veri e prorpi furti. Quando ero divenuto campione della Lega, gli allenatori che venivano a sfidarmi per tentare di strapparmi il titolo in caso di sconfitta, come regola da noi imposts, dovevano lasciare i propri Pokémon.
Nessuno aveva il diritto di rinchiuderli nelle Pokéball o tenerli per sé quindi la soluzione, l'unica possibile era quella di provocare quella frattura. Dietro a tutta quella apparente benevolenza tuttavia, si nascondeva il falso profeta, il mostro che aveva dilaniato la mia vita, e quella della mia gente con l'inganno. Quello che io desideravo era la libertà dei Pokémon non comprendendo invece che essi amavano stare con i loro allenatori, proprio come Zoaroak ama stare con me.
Per aiutare mio padte nell'impresa, dovevo accumulare potere agli occhi della gente ed avere al mio fianco Pokémon potenti. Avevo risvegliato Zekrom dal suo sonno millenario presso la Torre Dragospira, utilizzando lo Scurolite sottratto dal museo di Zefiropoli, diventando l'eroe degli ideali. Avevo conquistato la Lega Pokémon come campione assoluto in modo da rendere la mia figura di re un simbolo in cui credere, affinché la gente mi vedesse come un esempio da seguire.   
Dopo il mio scontro con l'eroe della verità, il quale aveva risvegliato Reshiram dal Chiarolite - e mandato dalla popolazione per sconfiggermi - i miei ideali erano stati abbattuti e la verità mi aveva aperto gli occhi. Mio padre, la persona che più amavo e in cui per anni mi ero rifugiato alla ricerca di amore mi aveva tradito. A lui non importava nulla dei Pokémon e di me, il suo scopo era quello di ottenere un potere indiscusso. Quel giorno ero crollato, fuggito, scomparendo per due anni, ricercato dalla polizia.
Dopo quel lungo periodo del mio girovagare alla ricerca di me stesso, ero tornato per fermarlo, perché non aveva abbandonato il suo sogno di potere e si era rifatto vivo con un nuovo piano di conquista. Insieme all'eroe della verità, il ragazzo di nome Alcide che al fianco di Reshiram aveva sconfitto me e Zekrom in combattimento due anni or sono, avevo messo fine ai piani di conquista di Ghecis, il quale nel frattempo aveva sparso terrore ad Unima congelando le città ed i loro abitanti, servendosi del potere di Kyurem, il drago originario che domina il ghiaccio.
Una volta sconfitto il Team Plasma mi ero consegnato alla giustizia. Dopo essermi ripreso dalla battaglia in cui Ghecis aveva tentato di uccidermi per il mio tradimento, ero stato condannato a cinque anni per i crimini commessi. Avevo avuto una pena molto ridotta per la mia collaborazione con e per il fatto di essere stato considerato quasi al pari di una vittima, ma per motivi che non ho mai confidato a nessuno, dopo un anno di detenzione mi era stato concesso di scontare la pena presso il centro di recupero per Pokémon di Alisopoli.
Vi starete chiedendo allora che cosa ci faccio in giro per Unima invece di starmene al mio posto. Ho lasciato il rifugio perché ho una missione, che come la voce delle sirene per i marinai è un richiamo irresistibile e non riesco ad ignorarlo, e sono disposto a portarla a termine anche al costo della mia libertà o della mia vita. Scappo continuamente dalle mie paure ma non si può fuggire in eterno, quanto piuttosto continuare a correre verso qualcosa che però sembra scivolarmi incessantemente tra le dita.
    Dopo il mio modesto pranzo in compagnia del mio soccorritore preferito che a malincuore avevo dovuto abbandonare, ero rimasto a corto di soldi. Offrirgli il pasto era il minimo per sdebitarmi per tutto quello che aveva fatto per me. Andai alla ricerca di lavoro, - arrancando a fatica dopo quel giorno terribile all'ex deposito - in lungo ed in largo per la regione visitando aziende e privati, sperando che a qualcuno servissero le mie competenze informatiche, ma non avevo avuto molta fortuna. Lavoravo in nero e la cosa non mi aiutava ed in più dovevo stare attento a non farmi riconoscere a causa della segnalazione fatta dal capitano Evan. In passato avevo fatto il cameriere ed avevo un po' di esperienza nel settore, ma col braccio in quelle condizioni nessuno mi avrebbe fatto lavorare.
Dopo la mia sfortunata (o fortunata) visita alla mia città natale Forteverdepoli, avevo preferito spaziare verso orizzonti più lontani. Avevo una spalla fuori uso e grossi lividi su tutto il corpo dopo gli scontri con il Team Plasma. Le ferite erano quasi guarite ma avevo bisogno di un posto sicuro in cui riprendermi in tranquillità, così avevo preso la decisione di ritornare momentaneamente ad Alisopoli, l'unico posto in cui non avrei dovuto nascondermi. Non mangiavo decentemente da quattro giorni ed ero andato avanti nutrendomi di frutta, bacche e radici che per fortuna conosco bene; iniziavo a sentire però la debolezza per la mancanza di proteine. 
    Avevo saputo che sulla motonave da crociera Regina dei Mari, in transito dal porto di Soffiolieve, cercavano una figura con competenze informatiche ed elettroniche, così, spinto dalla fame e dalla voglia di riposo, ero andato dal comandante supplicandolo di prendermi a bordo fino allo scalo di Alisopoli, in cambio dei miei servigi. Il comandante, forse vedendomi in difficoltà, aveva accettato senza null'altro chiedermi se non il mio nome e questo era stato davvero grandioso, un colpo di fortuna. Non mi avrebbe pagato granché ma almeno sarei potuto andare avanti giusto il tempo di arrivare ad Alisopoli.
    Finalmente m'inerpicai  su quella scaletta, sostenendomi con il braccio buono e mentre salivo, sentii alcuni ragazzi dietro di me parlare delle leggende di Unima. La cosa mi incuriosì parecchio.
Discutevano proprio di Reshiram e di Zekrom, i due draghi che in origine erano stati scoperti sottoforma di pietre dette chiarolite e Scurolite, nelle profondità del Castello Sepolto, un'antica struttura sotto il livello del Deserto della Quiete e su cui molte persone assetate di potere, tra cui il Team Plasma, avevano tentato in passato di mettere le mani, iniziando guerre e creando scompiglio in quella meravigliosa e florida terra. Si dice anche che i due draghi considerati leggendari, fossero all'origine della creazione di Unima e per questo motivo ne erano considerati tutt'oggi i protettori. Mi venne da sorridere e per come ne parlavano si capiva che non fosse gente appassionata.
    Giunto quasi in cima alla scaletta senza nemmeno rendermene conto, mi ero fermato bloccando la fila, incuriosito dal loro parlottare a ruota, così si scontrarono con me.
Mortificato cercai di scusarmi.  
«Perdonatemi ragazzi, ero sovrappensiero e mi sono fermato. Sono desolato».
    Alzarono gli occhi e mi sorrisero, imbarazzati, ridendo tra di loro. Non gli avrei dato più di sedici anni ciascuno ed ognuno di loro portava un Pokémon con sé.

    «Non preoccuparti, è colpa nostra; eravamo così ansiosi di salire a bordo che non abbiamo badato a nient'altro» disse quello più alto, seguito dalla ragazza e dall'altro suo amico.

    Spinti dalla calca di persone dietro di noi che si erano spazientite, completammo insieme la scalata e giungemmo a bordo. Una volta sul ponte ci furono le presentazioni.

    «Io sono Liam e sono un allenatore di Pokémon e lui è il mio compagno Raichu».

    Liam era un ragazzo di sedici anni dagli ispidi e sempre spettinati capelli castani e profondi occhi corvini. Mi raccontò che viaggiava da cinque anni e che avesse visitato molte regioni per realizzare il proprio sogno di trionfare almeno una volta alla Lega Pokémon. Quell'anno ad Unima era arrivato tra i primi quindici ma malgrado non fosse ancora riuscito nel suo intento, aveva un atteggiamento determinato ed ansioso di imparare. Il suo Raichu era un Pokémon di altissimo livello e lo affiancava da molto tempo. Ogni qualvolta parlava del proprio sogno, i suoi occhi si accendevano come fari nella tempesta e con il suo temperamento era capace di inondare di ottimismo anche le coste più aride, in cui il sole batteva per tutto il giorno fino a sgretolarle. Raichu sprizzava energia elettrica da tutti i pori, le sue guance si contraevano di orgoglio ogni volta che il suo allenatore parlava di lui. Era una coppia molto affiatata e anche se non me lo avessero raccontato, sarebbe stato evidente perché i pensieri di Raichu parlavano da sé.

    «Che bel Pokémon Liam ... » mi complimentai con un elogio sincero e che mi veniva dal profondo del cuore. «È un nativo della regione di Kanto se non sbaglio».

    «Esatto, io vengo da lì. Sono in viaggio e loro sono gli amici che mi affiancano».

    La ragazza fece un passo avanti per presentarsi. «Io mi chiamo Akiko e vengo da Jotho, mentre Gareth, che sarebbe lui ...» cantilenò indicando l'altro ragazzo, «è originario di Unima».

    «Grazie per avermi presentato Akiko» intervenne l'interpellato tentando di porgermi la mano ma io non ricambiai la stretta.
   
    Salutai nel modo che mi rispecchiava di più: chinai il capo portandomi una mano al petto.

«Molto piacere ...» rispose il ragazzo biondo «lui è il mio Pokémon Leavanny».

    Gareth non sembrò offeso dal mio gesto. Era il più grande del gruppo. Aveva diciotto anni ed il suo sogno era quello di diventare un allevatore di Pokémon specializzato nella cura delle uova. Scoprii in seguito che nello zaino portava un'incubatrice con uovo che accudiva costantemente e teneva al caldo, appuntando nel suo blocchetto ogni passaggio delle sue cure ed ogni osservazione sui cambiamenti che notava. Era molto serio e meticoloso mentre Liam ... beh, si vedeva che fosse ancora un ragazzino desideroso di tuffarsi nelle avventure più di ogni altra cosa al mondo, esponendo sempre ad alta voce le sue emozioni, il che faceva costantemente arrossire i suoi compagni di viaggio, i quali comunque non smettevano mai di sorridere. Mi piacevano molto.
Il Pokémon di Gareth, Leavanny, era un esemplare davvero fuori dal comune, molto più alto di lui. Arrivava quasi alla mia altezza e per un Leavanny era tanto. Possedeva un'energia interiore che come un' onda a cerchi concentrici veniva fuori dalle sue foglie sempre lucide e ben curate; aiutava il suo allenatore a prendersi cura dell'uovo.
    «Piacere di conoscervi ragazzi, il mio nome è Noah».

    «Ciao Noah, il piacere è tutto nostro» risposero quasi in coro. Sorrisi.
   
    Akiko invece era una ragazza sui quindici anni, dai lunghi e folti capelli neri ed una carnagione olivastra che spiccava su un viso affusolato ma dolce e che incorniciava degli splendidi occhi verde scuro. La sua famiglia era originaria di Ebanopoli, nota anche come Villaggio dei Draghi che è situato in una valle nella parte nord orientale della regione di Jotho. Aveva iniziato il suo viaggio per diventare allenatrice specializzata nei Pokémon drago, dato che nel suo paese il tipo più allevato era proprio il tipo drago; qualche anno dopo, la sua famiglia si era trasferita qui, fondando il villaggio satellite omonimo a nord di Unima, perché suo padre voleva studiare i Pokémon drago di questa regione. Unima infatti è la terra dei Draghi e ce ne sono moltissimi. Lei non competeva nei tornei delle leghe ufficiali regionali, perché il suo sogno era quella di estendere la sua esperienza qui come esperta di Pokémon drago, una bella sfida, infatti i Pokémon di tipo drago sono difficili da allevare. Mi presentò il suo draghetto, che aveva ricevuto in dono dai genitori per la sua iniziazione, prima di partire per il suo viaggio di formazione.

    «Questo è il mio Pokémon, sia chiama Deino» mi informò molto entusiasta, con lo sguardo ammaliato e le gote tinte di un tenue rosato. Oserei dire che per tutto il tempo che passammo insieme sulla nave, non mi avesse mai staccato gli occhi di dosso e questo mi aveva messo un po' in imbarazzo. Non lo faceva apposta, forse non se ne accorgeva nemmeno e quando le sorridevo, le sue guance si irroravano ancora di più e distoglieva lo sguardo imbarazzata. Devo ammettere che per essere solo una ragazzina, era davvero bella e attraente fisicamente, ma sarebbe stato molto più pertinente se avesse rivolto le attenzioni al suo compagno di viaggio Liam, il quale invece sembrava innamorato soltanto del proprio indistruttibile sogno.
Gareth dal canto suo, con quei capelli biondi e tirati elegantemente all'indietro, dava l'impressione di un tipo serio e tutto d'un pezzo e spesso si ritrovava a mettere d'accordo i due ragazzini che, presi dalla loro voglia di spaccare il mondo intero, si perdevano in azioni spesso esagerate ed avventate, come la voglia di lottare giorno e notte di Liam e quella di fare continuamente shopping di Akiko, anche se non vi era nulla di utile da acquistare.

    «Che cosa hai fatto alla spalla?» mi chiese Gareth incuriosito dal tutore che portavo e dalla sofferenza per le sollecitazioni che lo spostarmi per la nave, o il sedermi o qualsiasi altro movimento quotidiano mi provocava.

    «Oh questo? Sono scivolato su un sentiero che stavo percorrendo e mi sono slogato la spalla, non è niente di grave».
    Ecco che ricominciava la farsa. A dire il vero le mie ombre comparivano non appena dicevo di chiamarmi Noah e mi resi conto che la mia vita dal giorno in cui avevo lasciato il rifugio, non sarebbe stata semplice da gestire. In realtà cercavo una persona ed indagavo molto facendo domande agli sconosciuti che incontravo, per capire se tra loro ci fosse quella giusta per me ma non fraintendetemi, non sono alla ricerca di una fidanzata o almeno non è la mia priorità.

    «Una lussazione è una cosa seria» sentenziò Gareth focalizzando la fasciatura. «Sei diretto ad Austropoli?»

    «Oh no, farò scalo a Zondopoli per ...»
Mi bloccai per non farmi scappare altre informazioni e improvvisamente pensai che fosse meglio tagliare corto. « ...potete scusarmi per adesso? Vado a sistemarmi nella mia cabina, ci si vede in giro».
    In realtà avevo anche una buona scusa per andare: dovevo defilarmi per presentarmi dal comandante ed iniziare il mio lavoro, ma Liam mi fermò per chiedermi una cosa. 

    «Aspetta Noah, che cosa ne dici di stare insieme a cena?»

    «Non saprei ... io ...»
    Ero indeciso se dare altre informazioni su di me ma dopo l'invito a cenare con loro, avendo scoperto che Akiko era anche una cuoca appassionata che aveva preparato casualmente il mio piatto preferito - carne speziata con riso basmati aromatizzato con spezie e contornato di verdure di stagione - mi fece venire l'acquolina in bocca. Visto che ero praticamente a digiuno da quattro giorni e che il ristorante a bordo era costoso, accettai di buon grado di unirmi a loro quella sera. Mi videro un po' esitante all'inizio perché avevo timore di stare in mezzo alla gente. Pensai tuttavia che se dovevo trovare una determinata persona, sarei dovuto stare con le persone e così alla fine accettai l'invito.
Li salutai momentaneamente e dopo essermi presentato dal comandante, egli mi fece vedere la cabina dove avrei alloggiato, una di quelle riservate ai membri dell'equipaggio. Non erano granché come stanze da letto ma per me andavano più che bene dato che non avrei dovuto pagare. Dopo aver affiancato il comandante e i suoi ufficiali per una ventina di minuti, raggiunsi i ragazzi presso una sala molto grande con tanti tavoli, ed una spaziosa cucina attrezzata, in cui i passeggeri che non avevano acquistato la pensione completa, potevano cucinare e gestire in autonomia. Ero in ritardo di ventiquattro minuti ed Akiko aveva già cominciato a spadellare le sue prelibatezze.

    «Scusate per il ritardo ma ho dovuto conferire con il comandante».

    «Non preoccuparti Noah, arrivi giusto in tempo».

    Akiko mi indicò il mio posto invitandomi ad accomodarmi. Il profumo che veniva da quella sala era così inebriante che la mia salivazione incontrollata per la gran fame mi impastava la bocca, mentre i crampi mi facevano contorcere l'intestino assalito invano dai succhi gastrici.

    «Ti senti bene Noah?»

    «Oh sì Gareth ... è che in realtà ho dovuto lavorare prima di venire a cena».

    «Che lavoro fai?»

    «Sono un tecnico informatico e la nave stava ricercando una figura come la mia prima di prendere il largo. Mi occupo della manutenzione dei sistemi informatici della nave, non sono salito a bordo per fare una vacanza».

    «Ah capisco ... beh ... sarai affamato, quindi direi di onorare la mensa prima che tutto si raffreddi».

    Inizia a gustare quel tripudio di sapori che mi fecero dimenticare ogni cosa, il mio palato esultava di gioia ad ogni boccone e poco alla volta il mio stomaco ebbe la pace. Non mangiavo così bene da settimane e riempii di complimenti quella piccola ma stupenda cuoca, emozionata all'idea che la sua cucina fosse così apprezzata da tutti e soprattutto dal sottoscritto e sperai egoisticamente che mi invitassero per i ricevimenti successivi. Non so se mi spingesse più il fatto di dover indagare a voler stare in loro compagnia, oppure l'idea di poter soddisfare il palato in quel modo. Mi resi conto che la fame gioca dei gran brutti scherzi ma mi trovavo spesso in queste situazioni, quindi c'ero abituato.
    Dopo aver assecondato il mio bisogno primario, li interrogai un po'.
    «E voi dove siete diretti? È da tanto tempo che viaggiate insieme?»

    «Solo da settembre dell'anno scorso in realtà» prese la parola Garet; «ci siamo ritrovati tutti e tre alla palestra di Levantopoli in cui Liam ha conquistato la sua prima medaglia. Ho osservato la sua lotta mentre sorseggiavo un buon caffè e sono rimasto lì per tutto il tempo a godermi lo spettacolo».

    Gareth aveva conosciuto Liam e Akiko a Levantopoli dove sorgeva da pochi anni una delle palestre ufficiali della Lega Pokémon. La palestra di Levantolpoli, gestita da tre fratelli capipalestra era anche un raffinato ristorante. Potevi andare lì per mangiare e subito dopo sfidare i fratelli per ottenere la medaglia tris, battendo almeno uno dei tre.

    «Circa a metà incontro entrò Akiko» continuò Gareth. «La vidi guardarsi intorno alla ricerca di un tavolo ma considerato che erano tutti occupati, la invitai a sedersi accanto a me e così facemmo amicizia. Iniziammo a commentare la lotta di Liam e quando finalmente dopo una estenuante combattimento ottenne la medaglia, la sala balzò in piedi per complimentarsi con lui. Lo invitammo a sederci al nostro tavolo e pranzammo insieme e da quel giorno non ci siamo più separati. Lo abbiamo accompagnato fino alla Conferenza di Unima e adesso siamo arrivati alla fine del nostro viaggio».

    «Ah ... quindi andrete via da Unima?»

    «Certo che si!»

    Il tono deciso di Liam con la solita luce che contraddistingueva le iridi confuse con le pupille, scosse i miei pensieri. Anche se scuri, quegli specchi riflettevano i suoi desideri più profondi e agognati ed era una grande gioia osservarli brillare. Tuttavia se stavano per andare via, non poteva esserci tra loro la persona che cercavo.
Balzò in piedi sulla sedia senza inibizioni, promulgando con enfasi che il suo sogno non si sarebbe mai fermato, mentre tutti i commensali fuori dal nostro tavolo si ammutolirono e si girarono verso di noi. Sorrisi molto divertito nel vedere quella gioia in quegli occhi così determinati. Akiko e Gareth che già lo conoscevano da quasi un anno, lo riportarono letteralmente con i piedi per terra, soprattutto Akiko che non sopportava la sua irruenza e diventava rossa per l'imbarazzo che inconsapevolmente Liam provocava nei suoi amici. Ma lui era così e non ci faceva caso, nessuno poteva ostacolare il suo sogno, nemmeno la timidezza.

    «Prima però andremo a visitare il Castello Sepolto» aggiunse lei dopo aver svuotato il suo bicchiere d'acqua.

    Il Castello Sepolto ... luogo primordiale della creazione di Unima, culla delle nostra civiltà e rovina dei nostri tempi. Quel luogo ormai diventato uno spettro che emergeva in sella alle tempeste di sabbia del deserto, rimaneva per me una ferita ancora aperta. Era lì che tutto aveva avuto inizio tantissimi anni fa, quello era il luogo che mi aveva incatenato al mio destino. Tanti erano i visitatori che per turismo amavano addentrarsi nei meandri diroccati e crollati su se stessi - anche se l'accesso è tuttora vietato - di quello che una volta era la splendida dimora dell'antico Re fondatore di Unima, in cui la sua discendenza aveva dato vita agli spiriti leggendari e creatori: i draghi di cui io ero la guida.
    Quella sera lasciai il gruppo, pensieroso, con la consapevolezza che anche quell'amicizia non potesse continuare. Mi ritirai nella mia cabina non prima di aver ammirato le stelle che finalmente facevano capolino indiamantando la volta del firmamento, come una cascata luminescente che scorre sopra l'elegante scafo della Regina dei Mari, sovrana di tutte le imbarcazioni, la quale giorno e notte solca le scie imbiancate delle onde tra le tempeste. Le luci del porto erano ormai lontane, così come il punto di partenza della mia vita a cui ormai non sarei mai più potuto tornare, sempre che lo sia stato davvero ... l'origine. Ero tornato libero, per quanto mi fosse concesso dalla mia condizione di fuggitivo e avevo imparato a considerare il viaggio stesso come la meta, per riuscire ad assaporare, anche se con difficoltà ed in solitudine, la vita che mie era stata donata e che nella consapevolezza della passione o della disperazione della mia umanità distorta, avevo gettato via. I segni sulle mie braccia mi ricordavano che se anche accadono cose terribili, la vita merita di essere vissuta in pienezza e da quelle maledette ultime settimane in carcere, il mio desiderio era quello di rinascere come un bocciolo che deve ancora schiudersi nel meraviglioso albero della mia vita.
Non appena poggiai la testa sul cuscino in gommapiuma e avvolsi il mio braccio ferito nelle fresche lenzuola bianche di cotone, la foschia della notte che faticava ad entrare dal minuscolo boccaporto, mi avvolse in un abbraccio di speranza, cullando l'anima e afferrando il cuore come in un ratto d'amore e follia. Sognai a lungo in un sonno agitato da spasmi di timore, sognai colui che mi aveva cresciuto, sognai l'inganno del tempo, l'incertezza dell'esistenza, sognai la falsa ricchezza dell'avidità, mi contorsi nel sudore e nell'umidità dei pori senza che un filo di brezza marina riuscisse a sfiorarmi la pelle in quel caldo soffocante che sapeva di metallo.
    Un suono grave e molto lungo mi fece trasalire, così come i colpi di manganello battuti con violenza sulle sbarre della cella per svegliare quella parte di umanità dimenticata dagli uomini e dalle donne per bene. Un rumore metallico, freddo, ostile. Non ero in prigione, non ero braccato, non in quel momento almeno. Ripresi fiato. Stirai istintivamente le braccia dimenticandomi di essere infortunato e il mio lamento si alternò con la sirena della nave, che si avvicinava allo scalo passeggeri dell'arcipelago a largo di Soffiolieve. La mia giornata stava per ricominciare ma era ancora presto per montare il turno di lavoro e così dopo essermi rimesso con immane fatica la maglietta attraverso il tutore - quel tutore che più osservavo e più mi ricordava la nostalgia di non avere una bella famiglia in cui rifugiarmi nei momenti più cupi dell'esistenza - mi recai al ponte superiore per andare a fare colazione, dimenticandomi che non l'avevo compresa nel biglietto che non avevo mai pagato. Non appena uscito dalla cabina, incrociai un macchinista con cui avevo scambiato qualche parola durante il mio breve turno di lavoro in sala macchine la sera prima, che mi invitò a fare colazione con i suoi colleghi. Credevo che mi stesse proponendo una consumazione al bar e stavo per declinare l'invito pensando di non potermi pagare nemmeno un caffè. Non sapevo quando avrei ricevuto il mio compenso e avrei dovuto temporeggiare, ma quando anche se sei una persona in fuga da ogni dove, hai rivolto almeno un sorriso sincero a qualcuno nella tua vita, quel qualcuno viene da te per ricambiare. Mi accompagnò nella saletta adiacente a quella dove lavorava e dove si riunirono altri membri dell'equipaggio; vidi il tavolo in ferro verniciato di bianco con pittura industriale adatta agli interni delle navi, imbandito di ogni sorta di colazione dolce e salata. Rimasi stupito quando mi dissero senza esitazione di unirmi a loro, peraltro senza pretendere nulla in cambio. Era la mia prima colazione a bordo di quella maestosa nave e non ero al corrente del grande spirito di collaborazione che intercorreva tra persone che svolgevano un lavoro molto duro. Gli uomini e le donne che lavorano sulle navi, stanno fuori per molto tempo, lontano dai propria cari e quindi per loro è importante vivere questi momenti di convivialità, fondamentali per reggere il peso di quella vita. Anche questa era famiglia del resto.
    Dopo aver fatto colazione ci mettemmo a lavoro, ognuno col proprio ruolo. Io risalì in cabina di pilotaggio e mi misi a disposizione degli ufficiali, passando tutta la mattina a monitorare le attrezzature di bordo e a correggerne le anomalie. Pensavo che fosse un bel lavoro in fondo e che avrei potuto fare davvero per vivere se non fosse per quel piccolo particolare che lo rendeva impossibile. Pazienza.
    Verso mezzogiorno potei uscire per la pausa pranzo e mi recai sul ponte principale per rilassarmi ed incontrai di nuovo i ragazzi. I loro Pokémon quando mi videro mi corsero incontro. Vidi Raiuchu e Deino balzare verso di me in un danza spericolata e gioiosa mentre si inseguivano stuzzicandosi a vicenda, ma furono subito richiamati dai rispettivi allenatori, per paura che potessero farmi male al braccio.

    «Raichu! Deino! Non è questo il modo di comportarsi con le persone e poi non vedete che Noah ha il braccio infortunato?»

    In altre circostanze avrei aperto le braccia ed accolto quelle creature divine per sentirne il calore, ma anche se Deino era piccoletto e con meno di un anno di vita, Raiuchu era abbastanza grosso e fui grato che Liam ed Akiko li richiamarono prima che potessero saltarmi addosso. Mi avvicinai ai loro musetti intristiti dal rimprovero per consolarli, accarezzando la folta pelliccia blu di Deino ed il morbido pelo corto e arancione di Raichu. La sua lunga coda a forma di saetta scintillò per la contentezza, muovendosi in tutte le direzioni e spargendo dorate ed innocue scintille nell'aria.

    «Buongiorno ragazzi, avete dormito bene?» Chiesi sollevandomi dalla mia posizione accovacciata e andandogli incontro.

    «Insomma» piagnucolò Gareth con il volto sbiancato, dello stesso colore che ha la mia pelle in situazioni normali. «Non ricordavo di soffrire in questo modo il mal di mare, è stata una notte terribile».

    Anche se la nave era grande, le vibrazioni si facevano sentire, soprattutto quella notte in cui il mare era stato un po' agitato per poi ritornare piatto la mattina presto.

    «Mi dispiace Gareth ... spero che la prossima notte andrà meglio visto che avete davanti ancora due giorni di navigazione».

    «Ti prego non ricordarmelo Noah, non prenderò mai più una nave in vita mia!» esclamò trattenendo un conato di vomito ed il suo viso virò dal pallido al verdino.
A quanto pare non ero stato l'unico a passare una brutta notte mentre gli altri due non sembravano affatto stanchi, probabilmente avevano dormito delle grossa.

    «Sembra proprio che i Pokémon ti adorino» esordì Akiko mentre li osservava felici volteggiarmi intorno.

    «In realtà è il contrario» precisai   
    «sono io che adoro loro».
    Gareth e Leavanny mi fissavano, mentre con molta naturalezza guardavo intensamente i Pokémon, senza sapere che invece stavo parlando ai loro cuori.
Passeggiammo lungo il ponte principale verso poppa, discutendo animatamente della breve esercitazione di salvataggio fatta la sera prima. Al solo sentire tutti i potenziali disastri che potevano accadere su una nave come quella  - incendio, guasto all'impianto elettrico, collisione e nel peggiore dei casi anche inabissamento - Akiko si era davvero agitata.

    «Non voglio nemmeno pensare che possano succedere queste cose!»

    Un brivido evidenziato dalla pelle d'oca, percosse la sua pelle liscia e colorita.
Lo aveva detto con voce tremante ed io le avevo poggiato una mano sulla spalla per rassicurarla.

    «Sta tranquilla. Con le tecnologie all'avanguardia è davvero difficile che accada qualcosa del genere, le navi sono dotate di sistemi di sicurezza molto sofisticati. Sono rimasto tutta la mattina a controllare che non ci fossero guasti ai sistemi, quindi devi puoi stare serena». 
    Alle mie parole si era tranquillizzata e non capivo se fosse perché si fidava della mia maturità o perché fosse attratta da me. La cosa mi faceva sorridere. Mi piaceva vedere le sue gote olivastre irrorarsi di quel rosso di cui faticavano a tingersi a causa della pelle scura. Ovviamente il mio affetto nei suoi confronti, così come verso gli altri era amichevole e fine a se stesso, non avrei mai potuto approfittare dei sentimenti di una ragazzina molto più piccola di me.
    Passammo davanti alle scialuppe ripetendo a memoria tutto quello che il personale di bordo ci aveva spiegato, commentando ironicamente il modo in cui le avrebbero calate in mare in una situazione di emergenza. Ne uscì fuori anche qualche battuta divertente ed una buffa simulazione. Fu molto rigenerante e quando arrivammo in fondo, dove si estendeva una bellissima piscina rivestita di mattonelle azzurre e blu e ci sistemammo sulle sdraio.
I ragazzi si misero in costume e invitarono anche me a bagnarmi ma io dovetti rifiutare perché "non lo avevo previsto dato che ero lì per lavoro". Trovai questa scusa e rimasi all'ombra ad osservarli. Akiko come una sirena ben proporzionata si tuffò leggiadra e fece capolino dall'acqua e ancora una volta mi invitò per il pranzo.

    «Allora, ti unisci a noi anche oggi?» mi chiese posando il mento sulle mani appoggiate a bordo piscina.
   
    Chissà perché me lo aspettavo. Tuttavia mi sembrava davvero poco carino approfittare della loro spontanea gentilezza, quando invece era l'unico modo per poter mangiare.

    «Non voglio che vi disturbiate per me, pranzerò per conto mio».
    Fui assalito da uno sguardo dolce e penetrante, gli occhi verdi di Akiko mi fulminarono piacevolmente. Non seppi resistere. Quelle gemme luccicanti come il mare nell'acqua bassa delle spiagge dorate, mi fecero tornare in mente le esperienze da adolescente del mio passato. I primi amori. Presi un bel respiro e scacciai quei ricordi che non erano altro che tristi; pensai che dovendo rimanere su quella nave ancora per qualche giorno, forse sarebbe stato meglio comportarsi normalmente e senza operare misteri, per evitare di attirare troppo l'attenzione su di me, così ringraziai portando la mano sana al petto e accettai l'invito.
    Verso l'ora di punta i ragazzi uscirono dall'acqua per asciugarsi prima di andare in cucina. Akiko si distese sulla sdraio e indossò gli occhiali da sole, poi iniziò ad interrogarmi.

    «Sei un allenatore?»

    In un mondo dove un'altissima percentuale di persone possiede almeno un Pokémon al pari di un animale domestico, la domanda era più che legittima.

    «No, le lotte non mi interessano in realtà» risposi calmo.

    «Quindi non hai nessun Pokémon?»

    «No».
    Incredibile con quanta naturalezza ero diventato capace di dire bugie. Che grande squarcio di sofferenza si apriva dentro di me, senza avere nessuno che provasse a guarire quella ferita.

    «Strano» commentò Gareth che prese ad osservarmi meglio «a giudicare da come ti rapporti con i Pokémon, non ci avrei mai scommesso».

    E come dargli torto?
    «Ci sono diversi modi di sviluppare il proprio rapporto con codeste creature al di là della lotta. Faccio il tecnico informatico; giro per la regione per portare assistenza alle aziende che lo richiedono, quindi non ho tempo di dedicarmi alle competizioni».

    «Io avrei scommesso che fossi un allenatore ... mi sono sbagliato allora».

    Sospettavo che Gareth, il quale più di tutti s'intendeva di rapporti tra allenatori e Pokémon per la sua natura di allevatore, non credeva del tutto alle mie parole. Se lui era di Unima poi, la paura che potesse riconoscermi era così grande che evitavo un contatto visivo prolungato con lui, ma l'argomento per fortuna non venne mai più ripreso. Mi ero definitivamente convinto che tra loro non ci fosse la persona che stavo cercando, perché erano intenzionati a lasciare Unima. Colui o colei a cui avrei riservato tutta la mia attenzione, doveva essere una persona legata a questa terra, a cui sta a particolarmente a cuore la vita altrui e con un grande conflitto interiore di ideali che non riesce a risolvere. Loro non erano i candidati ideali e la mia fortuna era che sarebbero scesi al porto di Austropoli e non ci saremmo mai più rivisti.

   
 
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