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Autore: LubaLuft    23/04/2024    1 recensioni
Dal testo:
"Con le sue esperienze da giocatore e quelle successive legate al suo ruolo nella JVA, Tetsurō aveva affinato le sue capacità e si era trasformato in un vero cacciatore di talenti, quasi una figura manageriale, fortunato nel suo lavoro perché amava ancora la pallavolo con la stessa intensità di quando era piccolo.
E continuava ad amarla nonostante ne conoscesse bene anche gli aspetti più stressanti: c’era infatti sempre una sottile barriera a separare il successo dall'insoddisfazione, l’armonia dai conflitti. Sottile come una rete. Alla fine, si giocava sempre su un filo teso, che poteva spezzarsi da un momento all’altro.
Che cosa si era spezzato, per esempio, in Kei Tsukishima?
Tetsurō se lo chiedeva giusto quella sera, mentre osservava il Quattrocchi vestito in giacca e cravatta in piedi davanti all’ingresso del Museo della città di Sendai."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kei Tsukishima, Tetsurou Kuroo
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Terza Parte



Tetsurō restò ancora qualche minuto in contemplazione davanti a Godzilla.

In primo luogo, per lasciare che le emozioni smettessero di vorticare nel suo cuore e si stabilizzassero. Kei aveva accettato il suo invito e per come si erano ritrovati quella sera, per la piega complicata che gli eventi sembravano aver preso, il fatto stesso che si sarebbero rivisti finalmente da soli - senza direttori, rettori, imperatori - già di per sé lo elettrizzava. 

Non sapeva esattamente che cosa volesse ottenere, forse solo parlare, avere una possibilità, o semplicemente voleva essere sicuro una volta per tutte che non ne avrebbe mai avuta una -  ma gli avrebbe detto chiaro e tondo che cosa gli scatenava la sua semplice vicinanza. Ogni lasciata è persa e lui aveva lasciato troppo al vento, al caso, all’indecisione.

E poi, c’era quello scheletro così imponente che lo affascinava davvero.

Kei aveva avuto un ruolo fondamentale in quel progetto, e la magnificenza che emanava da quel mastodonte perfettamente ricostruito era davvero incredibile e lo aiutava a formare piano nella sua mente un’altra considerazione: il dinosauro aveva il potere di trasportarlo indietro nel tempo, ancora una volta. 

Era incredibile come i dieci anni passati da quando aveva conosciuto Kei fossero trascorsi sovrapponendosi l’uno all’altro, stratificandosi come una roccia. 

Era incredibile come i ricordi che riaffioravano, strato dopo strato, avessero per lui un sapore familiare ma anche nuovo, sconosciuto. 

Dieci anni prima avrebbe voluto sfiorare le labbra di Kei, e voleva farlo anche in quel preciso istante, ma il sentimento che provava ora era del tutto diverso. 

Una consapevolezza nuova si faceva strada e comprendeva finalmente per quale ragione quell’animale preistorico lo avesse colpito così profondamente: così come le antiche ossa, montate insieme alle parti ricostruite, restituivano una figura completa, allo stesso modo i ricordi scavati fra le rocce del passato si combinavano insieme agli attimi del presente in maniera armoniosa.

In quel momento si sentiva bene, come se fosse arrivato a un punto tale da potersi aspettare di tutto.

Ripensava a Kei sotto rete, magro e affaticato nella palestra numero 3 dello Shinzen. Kei che non mangiava mai abbastanza, l’ultimo ad arrivare dopo una corsa. Un pesce fuor d’acqua, sottile come un giunco, piegato alla loro volontà di giocare nonostante ogni schiacciata che non riusciva a murare incrinasse un po’ di più la sua fragile sicurezza.

Rivedeva Kei alla partita dei Jackals, con la sua giacca chiara e i suoi jeans a pelle, elegante e aristocratico. E lui, che dopo si faceva caricare in un taxi da Bokuto, ufficialmente per divertirsi con il suo Bro ma nella realtà perché, nonostante tutta la gente che aveva intorno continuamente per lavoro o per diletto - adesso lo capiva chiaramente - senza qualcuno da amare, senza Kei Tsukki Tsukishima sentiva di essere solo un corpo, mosso da esigenze note solo ai propri istinti. 

E poi Kei senza occhiali, bello come la luna piena, un uomo ormai, che lo aspettava per un drink. Kei, che avrebbe voluto spogliare e toccare ma non come faceva con Bokuto o con chissà chi altro, Kei che lo faceva impazzire perché sembrava lontano e silenzioso, fra rocce preistoriche, eppure finalmente così vicino.

Si alzò e si diresse alla caffetteria, non ne poteva più di aspettare lì sotto, ormai aveva tutto chiaro.

Non voleva però disturbarlo, avrebbe trovato qualcuno con cui chiacchierare e così fece, in disparte.

Nel mentre, lo osservava e il suo cuore batteva più forte quando vedeva apparire un sorriso sulle sue labbra - e incredibilmente Kei sorrideva e rideva anche, a suo agio nello spicchio di universo che si era finalmente guadagnato, nel suo nuovo sistema solare.

La pallavolo era un fatto lontano, quello sì, ma non cambiava nulla per lui perché questo nuovo Kei lo attraeva ancora di più. 

Attese pazientemente che anche gli ultimi ospiti andassero via e poi intercettò il suo sguardo e si avvicinò al tavolino un po’ defilato che aveva scelto per loro. Era accanto alla vetrata del roof, affacciato su una luna mozzafiato.

_____

Dal canto suo, Kei si era chiesto a lungo se quella specie di appuntamento fosse una buona idea. Arrivato a quel punto, avrebbe dovuto cercare di disintossicarsi e non rischiare con una dose maggiore, e invece ne voleva di più perché era da tempo che non ne assumeva. 

Kurō, si ripeteva continuamente, non Tetsurō.

Non sarebbe mai riuscito a pronunciare normalmente il suo nome davanti a lui, perché sapeva che avrebbe avuto lo stesso tono che aveva quando lo sognava o lo invocava, da solo, al buio.

Il tono di un’ossessione.

Fissava intanto la luna piena dietro il vetro e aspettava. La caffetteria aveva abbassato l’intensità delle lampade per non interferire con la luce naturale che pioveva dal cielo.

 

E poi lui arrivò. 

“Cosa bevi?” Gli chiese chiamando con la mano un cameriere, mentre era ancora in piedi.

“Un Martini andrà bene.”

“Ti seguo.”

 

Billie Holiday, a volume basso si fece spazio con discrezione. Aveva gusti raffinati, il barman.

 

Furono serviti subito.

“Come è andata allora la tua serata?” Indagò Tetsurō.

“Direi piuttosto bene. La tua?”

“Anche la mia. Ho riconosciuto un paio di persone del Dipartimento per lo Sport della Prefettura e ci ho fatto due chiacchiere. Complimenti, il vostro dinosauro ha davvero colpito tutti.”

“Non è il nostro dinosauro. Noi non abbiamo fatto granché, l’abbiamo solo tirato fuori dal passato.” Puntualizzò Kei.

“Mi piace questa cosa del tirare fuori dal passato. Un po’ come con i ricordi, vero?” Chiese Tetsurō.

“Non amo molto il passato, nonostante ci lavori ogni giorno.”

“Invece io penso che in fondo tu sia come me.”

Kei bevve un sorso del suo drink. Gli occhiali iniziavano a scivolare di nuovo sul naso. Le dita, subito veloci in soccorso.

“E come sarei?”

“Sei uno che ama ricostruire. Anche io di recente l’ho fatto. Sono tornato indietro nel tempo alla nostra Golden Week e ho provato a ricostruire che cosa mi ha portato qui, a questo tavolo. E credo di averlo finalmente capito.” 

“Vuoi forse parlare con me dei tuoi successi professionali? Di quanto la pallavolo sia importante per te? Vuoi parlare delle tue vittorie con un perdente?” Commentò Kei con un sorriso divertito e amaro allo stesso tempo.

Tetsurō allungò una mano fermandosi a un centimetro dalla sua e scosse la testa 

“Io non credo affatto che tu sia un perdente!”

“Lo credono tutti, perché tu non dovresti? Alla fine non ho resistito neppure in V2, ero un mediocre e un mediocre sono rimasto.”

“Ma.. Guarda che cosa hai messo in piedi stasera! Io non credo che tu sia un perdente, credo piuttosto che tu sia riuscito ad andare oltre e che abbia trovato la dimensione giusta per te. Questo non è perdere, semmai è il contrario.”

Si protese verso di lui, sorridendo alla reazione dell’altro, che impercettibilmente si era fatto indietro.

Kei, infatti, non era abituato a quel tipo di complimenti ma solo a quelli che gli faceva Tadashi fin dalle elementari: acritici, pieni di trasporto, nemmeno fosse un supereroe. Con Tetsurō gli sembrava invece di riceverli per la prima volta e, come con tutte le novità, si metteva sulla difensiva.

“E qui dentro risplendi, esattamente come quella luna!” 

E il gatto allungò una zampa verso il disco ormai giallo che splendeva silenzioso e si avviava verso il tramonto. 

Kurō, non Tetsurō! mormorava intanto Kei a bocca chiusa, intestardito nel suo inutile mantra. Il suo profumo era ancora più intenso, si mescolava ai fumi dell’alcol, lo stordiva.

Perché era lì? Perché non era piuttosto con Bokuto? Cercava davvero una distrazione? Se era così, perché proprio con lui?

Gli occhiali, le dita nervose. E poi le mani di lui che scattarono verso il suo viso, verso le asticelle. Un secondo e via, glieli tolse.

“Kurō! Ma… che… fai?” Disse Kei a bassa voce, stizzito ma non abbastanza per essere credibile.

“Ti prego, puoi chiamarmi per nome? Tetsurō. Vorrei sentirlo così… rivestito solo della tua voce…”

“A che gioco stai giocando?”

“Non sto giocando.”

“Cos’è, Bokuto ti ha dato buca e questa sera non sai come occupare il tempo? Come divertirti?”

Tetsurō spalancò i suoi occhi, diventati di colpo incredibilmente grandi.  La piega che la conversazione aveva preso era ormai surreale, oppure fin troppo reale. 

“Bokuto…?”

“Hai capito bene! Io… vi ho visti quella sera, dopo la partita dei Jackals…vi siete baciati e avete preso insieme un taxi.”

Tetsurō non credeva alle proprie orecchie. La stessa identica sera in cui si era posto il problema se allungare una mano sulla sua spalla semplicemente per salutarlo, lui lo aveva visto amoreggiare con un altro. Ma visto che erano in ballo, non sarebbe rimasto in silenzio!

“Se è per questo, anche io anni fa ti ho visto in uno spogliatoio mentre baciavi Tadashi Yamaguchi! Avevate appena perso contro il Kamomedai, e io… io mi ero fatto un giro perché volevo parlare con te. Anche noi avevamo perso - era la mia ultima partita prima del diploma, avrei saputo trovare le parole se tu ne avessi avuto bisogno! - ma tu avevi già chi ti stava consolando…”

Kei ora aveva le guance in fiamme. A ventisei anni quasi compiuti, arrossiva ancora. Provava imbarazzo per essere stato visto con Tadashi e soprattutto per essere stato visto da lui.

“E comunque sono io che ho dato buca a Bokuto, e devo anche dirti alcune cose e se non te le dico ora, quel dinosauro al piano di sotto collasserà sotto il suo stesso peso e i pezzi che hai tirato fuori torneranno sottoterra!!...”

“Ma di che cosa stai parlando??”

“Del fatto assolutamente trascurabile che dieci anni fa mi sono innamorato di te!!” 
 

And then there suddenly appeared before me

The only one my arms will ever hold

I heard somebody whisper "Please adore me"

And when I looked, the moon had turned to gold!


Per infiniti secondi, si fissarono. Uno stillicidio di respiri, e battiti, finché Kei riuscì a dire “Ridammi gli occhiali, per favore.”

“Non hai nient’altro da dire?…” 

“Tetsurō… ridammi gli occhiali. Io…ho bisogno di vederti ...”

Tetsurō ora lo guardava con occhi che finalmente straripavano d’amore. Gli occhi di un gatto che aveva appena toccato la luna.

Gli porse gli occhiali e prese fiato mentre l’altro lo metteva a fuoco.

“Hai bisogno anche che te lo dica di nuovo? O che ti dica che sono tuttora innamorato di te?”

“No…”

“Hai bisogno di tempo?”

“No… ho bisogno di te.”
 

_____

 

Un bottone dopo l’altro, per scoprire piano che cosa si nascondevano ancora. 

Un neo sulla scapola di Kei, un puntino che risaltava sul biancore della sua pelle, una cicatrice sull’addome di Tetsurō - lascito di un’avventura un po’ pericolosa vissuta da bambino per recuperare l’ennesimo pallone finito nel filo spinato.

Le mani di entrambi, così diverse eppure simili, per via dei polpastrelli e dei palmi induriti da anni di contatto con la palla, vagavano, si fermavano. Ci andavano piano.

Che fretta potevano avere? 

Kei, soprattutto, aveva bisogno di tempo. Tetsurō lo aveva immaginato, aveva intuito che, per come era fatto, preferisse starsene da solo piuttosto che cercare avventure per riempire la solitudine. 

Lo capiva dalle sue reazioni, dalla sorpresa, dai tentennamenti, e il tutto era una miscela esplosiva che glielo faceva desiderare ancora di più.

Kei doveva esserne consapevole perché nonostante tutto era impaziente e i suoi occhi a tratti sembravano ordinargli di farlo e basta ma Tetsurō rispondeva con i suoi con calma… 

E così restavano fermi a lungo, e poi ricominciavano, e poi di nuovo fermi.  

E parlavano. Tetsurō non aveva mai parlato così tanto fra le lenzuola, con Bokuto parlava molto dopo, anzi il Bro gli smontava le orecchie a forza di chiacchiere, ma erano amici da una vita, per quanto strana fosse quell’amicizia mescolata al sesso.

Fare l’amore invece era un’altra cosa, era proprio questo: sentirsi insicuri, chiedere, sorridere delle proprie e altrui inibizioni e prendere l’iniziativa gustandosi l’abbandono dell’altro. 

E poi, tenere gli occhi aperti, come aveva sognato Tetsurō per tutti quegli anni, con la dolcezza selvatica del suo primo amore che lo investiva in pieno e lo lasciava senza parole.

Kei, che fino a qualche ora prima si sentiva ancora il ragazzo inchiodato sotto rete, partita dopo partita, ad ammirarlo, così sicuro di sé, scanzonato, sarcastico, invadente e inconsapevole di tutto, non lo riconosceva quasi, o forse lo conosceva finalmente per come era davvero. Fatto di fuoco, come lui.
 

_____
 

“Bro… ieri sera mi hai lasciato da solo e sono ripartito subito per Tokyo!”

Il lamento di Bokuto, che riusciva a sentirsi solo al mondo anche in mezzo all’incrocio di Shibuya.

“Bro… a proposito, devo raccontarti un po’ di cose.” disse Tetsurō.

“Anche io!! Sai chi ho incontrato alla stazione, al mio arrivo? Akaashi! Non lo vedevo da anni e… non so, aveva una faccia strana che mi ha messo un sacco d’ansia. Ma ansia buona… e ho provato anche una strana sensazione, bella… cioè, siamo andati a bere qualcosa e siamo rimasti a parlare tipo fino alle tre. E lui mi guardava in un modo…”

“Bro. Keiji è sempre stato innamorato di te. Sei un caso disperato!”

“Eeeeeh!? Dici?”

“Dico, dico…. Vi siete scambiati i numeri?”

“Sì. Oggi ci vediamo. Ma cos’è che volevi raccontarmi?…”

Da dove iniziare?

“Ecco, ho scoperto che mi piacciono i dinosauri…”

(FINE)

 
   
 
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