Di aprile si ama e si muore
Erano passati appena tre anni dal momento in cui Giuliano aveva raggiunto la gloria tanto meritata, ma mai sufficientemente assaporata. Tre anni dalla giostra di piazza Santa Croce, in cui aveva magistralmente trionfato con Simonetta al suo fianco. La stessa Simonetta che un anno prima, proprio nel mese di aprile, gli era stata strappata dalla fredda morte, mettendo fine ad ogni sua velleità sentimentale.
Tuttavia, il destino era curioso, insolito, e aveva riservato al principe della gioventù una seconda possibilità per essere felice, per amare ancora.
“Sotto il plauso della folla, bruciava la gloria della vittoria
Ma una fiamma ben più ardente sussultò il mio cuore.
Una candela presto consumata dal tempo doloroso
Che a conforto di un fiore dal cuor gentile mi fece dono.”
***
Dopo un sonno agitato e strani sogni che avevano turbato il suo riposo, Giuliano si svegliò presto quella mattina del 26 aprile 1478, con il sole che non era ancora sorto. Tra mille pensieri, si alzò dal letto e si affacciò alla finestra, guardando il cielo stellato sopra Firenze. Nella penombra della sua stanza, si sentì circondato da un’insolita quiete prima della tempesta. I suoi sensi erano acuti, percepivano ogni singolo respiro, ogni singolo movimento intorno a lui. Tuttavia, la strada era silenziosa e deserta, sebbene il rumore cupo dei suoi pensieri riecheggiasse prepotente nelle mura della sua mente.
Pensava alla sua famiglia, a Fioretta, al loro bambino, alle sue responsabilità e al futuro incerto che lo attendeva. Era ormai da tempo che sentiva i sussurri dei traditori, gli sguardi furtivi e i complotti orditi alle spalle.
“Col tradimento che si consumava nel santuario di poteri,
Pensieri di alleanze infrante e sentimenti ingannati
Mi correvano tormentati nella mente come le mani che
una volta si strinsero amiche ed ora si voltano contro ostili.”
***
Sentiva il freddo acciaio dei pugnali affondare nel petto, nella schiena, penetrare nella sua carne e il calore del sangue che scorreva copioso ovunque. Tradito dall’abbraccio di colui che chiamava amico, decine di fitte lancinanti lo attraversarono come un fulmine. Mentre l’agonia si faceva sempre più acuta e il dolore dilaniante che percorreva il suo corpo diventava insopportabile, la mente di Giuliano si trasportò altrove e il suo pensiero vagò alla gioventù spensierata, ai momenti felici passati con i suoi cari, alla sua amata Firenze, alle speranze e ai sogni mai realizzati.
Le immagini del passato si affollavano davanti ai suoi occhi mentre il suo respiro diventava sempre più affannoso. Ricordava le risate con il fratello Lorenzo, le lunghe conversazioni con il padre Piero, la tenerezza di sua madre Lucrezia, i momenti di gloria e di tristezza che avevano segnato la sua breve esistenza. La vita gli scivolava via e i suoi pensieri si intrecciavano, come in una spirale, verso il passato e verso il futuro. Consapevole che stavano pugnalando non solo il suo corpo, ma anche il suo orgoglio e la sua eredità, quello che lui e Lorenzo rappresentavano per Firenze, afferrò con forza l’immagine sfuggente del figlio che non avrebbe mai conosciuto, che non avrebbe mai stretto tra le braccia, che non avrebbe mai ricevuto il suo affetto. Si aggrappò con le ultime energie rimaste alla speranza che il suo sacrificio non sarebbe stato vano, che suo figlio avrebbe potuto crescere forte e valoroso, portando avanti il nome della famiglia de’ Medici con onore e coraggio, che, se ne avesse mai avuto bisogno, avrebbe trovato l’aiuto che a lui era mancato. Desiderò ardentemente che il suo spirito avrebbe potuto vegliare su di lui da qualche parte, oltre il velo della morte, guidandolo e proteggendolo nel cammino della vita che lo attendeva.
E mentre il dolore si faceva sempre più intenso e il respiro sempre più debole, Giuliano sentì la luce spegnersi intorno a lui. La consapevolezza della propria fine imminente lo avvolse e lo inquietò. Non c’era pace o accettazione per questo. Si abbandonò alla rassegnazione che nulla avrebbe potuto cambiare il destino crudele a cui stava andando incontro, ma non senza la certezza che il suo sacrificio avrebbe segnato per sempre la storia di Firenze e avrebbe ispirato generazioni future a lottare per la libertà e per la giustizia.
E con un ultimo sospiro e una lacrima solitaria che gli solcava il viso, chiuse gli occhi e si arrese alla triste morte.
“Come i pugnali che mi trapassano feroci, bagnando
Col mio sangue il marmo sacro, dolore acuto è
Il tradimento degli amici che biechi mutano
L’abbraccio caloroso in una fredda lama assassina.
Nelle immagini sfocate e rimpiante, crucci
Ed inquietudini di amore paterno e sacrificio
Si intrecciano dolenti nel mio cuore trafitto.
Che una Firenze giusta e fiera accolga nobile
Tutti i suoi figli e lavi la colpa della crudeltà,
mentre le ombre della morte avvolgono la mia anima.”
Questa storia partecipa all'iniziativa di scrittura Le 12 fatiche dello scrittore di fanfiction indetta da LadyPalma e Mati sul forum Ferisce la Penna.
Fatica #12 - Scrivi una fanfiction angst.