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Autore: Autumn Wind    28/04/2024    1 recensioni
Hermione Granger, negli anni, aveva conosciuto entrambi i lati di Percy Weasley: quello buono del Prefetto Perfetto che l’aveva aiutata ad ambientarsi e con cui aveva scambiato consigli ed opinioni su libri e lezioni e quello cattivo dell’impeccabile impiegato ministeriale che aveva voltato le spalle alla propria famiglia per servire un regime malvagio in cambio di un po’ di potere.
Ed ora, dopo la fine della guerra, con le proprie ferite ed un bagaglio tutt’altro che facile con cui convivere lasciatole dalle torture di Bellatrix, seduta accanto ad un Percy stravolto, l’ombra di ciò che era stato, non poteva fare a meno di ammettere di non conoscere bene più nulla, nemmeno se stessa.
Genere: Fantasy, Fluff, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Weasley, Hermione Granger, Percy Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Bentornati (o benvenuti)!
Che dire, l'idea di questa storia mi è in realtà venuta scrivendo la sua precedente versione, Both Sides Now, che doveva essere una mini-long in 3 capitoli su Percy ed Hermione. Ho presto realizzato che, per delinearla come volevo, non sarebbero bastati e, così, ho deciso di farla diventare una long (con gioia, spero, di Jamie_Sand, che mi ha spesso invitata a scrivere una long).
Ho un'idea precisa di dove andrà a parare la storia, ma ovviamente tutto può succedere!
Nel frattanto, buona lettura! 

1.
“La solitudine vera è vivere in mezzo a tutte queste persone gentili che ti chiedono soltanto di fingere!”
(Edith Wharton, ‘L’Età dell’Innocenza’)

 

Il suono della smaterializzazione ruppe la quiete della notte ad Ottery St. Catchpole. Hermione, una volta raddrizzatasi, sospirò, chiudendo gli occhi e lasciandosi cullare dal silenzio della sera: in quella tiepida notte di inizio settembre, l’erba del prato era solcata da grilli e da lucciole che svolazzavano nell’aria fresca. Nel cielo oltremare, le stelle brillavano e la mezzaluna gettava una luce cupa su alberi e case. Pareva una meravigliosa notte estiva, una di quelle appena uscite dai quadri di Van Gogh.
Hermione sospirò, lisciandosi l’abito giallo a motivi che ricordavano i quadri di Klimt e la giacca blu prima di avviarsi con decisione verso la Tana.
Quella vecchia casa tutta sbilenca si ergeva ancora in mezzo al prato, sfidando le leggi della gravità e del buonsenso, nonostante gli anni trascorsi e la guerra.
Mentre entrava, si fermò per un secondo ad ammirare la quiete del soggiorno, con il legno del pavimento che scricchiolava ad ogni suo passo e la mobilia calda ed accogliente: in quel posto, chiunque si era sempre sentito a casa, anche lei, anche se ufficialmente non faceva parte della famiglia. Molly aveva sempre insistito affinché si fermasse da loro ben oltre il necessario, ma Hermione sapeva che, per quanto lo desiderasse, sarebbe stato inopportuno approfittare ulteriormente della loro ospitalità.
Dalla fine della guerra, molte cose erano cambiate e casa Weasley non era stata più la stessa: Molly cercava di riempire quel luogo il più possibile con persone, voci e storie, indaffarandosi come mai prima, mentre Arthur parlava pochissimo e, il più delle volte, quando lo faceva, finiva per avere discussioni vuote con questo o quell’interlocutore. L’unica cosa che riusciva a farli andare avanti sembrava essere la nipotina Victoire. Quello stesso, sordo, dolore aveva pervaso anche la vite dei fratelli Weasley: Bill si era buttato anima e corpo sul suo lavoro alla Gringott, su Fleur e sulla figlia, Charlie era tornato dai suoi draghi appena gli era stato possibile, Ron si era gettato a capofitto nell’addestramento per diventare auror con Harry e Ginny oramai viaggiava in tutto il mondo con la sua squadra di Quidditch, mentre George … beh, George andava avanti, ma era come un giocattolo rotto, privo di ogni scintilla vitale. E, poi, c’era la questione di Percy ...
Dal funerale di Fred non si era quasi più fatto vedere alla Tana. Scriveva sempre e, se qualcuno aveva bisogno, era in prima linea, ma, per il resto, presenziava più per dovere che altro ai compleanni ed alle feste. Portava regali quando doveva, sorrideva e rispondeva a monosillabi a chi gli rivolgeva la parola, standosene in un angolino a fissare il pavimento o l’orologio. Hermione aveva tentato di parlargli a più riprese, ma le uniche risposte che aveva ottenuto erano state scarne informazioni riguardo al suo nuovo lavoro ai Trasporti magici. Per il resto, era ancor più distante di quando aveva litigato con i suoi ed a nulla serviva il fatto che fosse tornato, disperato e con la coda tra le gambe, durante la battaglia, né che ci fosse stato lui con Fred prima che morisse. Dal funerale, sembrava a sua volta un pupazzo di pezza, inanimato e che andava avanti per inerzia.
In tutti quei drammi, Hermione non aveva mai parlato con nessuno dei suoi stessi problemi, neanche una volta, nonostante Ginny e la McGranitt avessero espresso molte volte le loro perplessità circa il fatto che stesse davvero bene, dopo tutto quello che aveva passato. Le sembrava semplicemente stupido lamentarsi quando c’era chi stava decisamente peggio: a lei, in fondo, non era andata poi così male.
Appena terminata la battaglia, si era recata in Australia con Ron, dato che Harry era ancora troppo scosso per affrontare qualunque cosa ed aveva cercato i suoi genitori. Trovarli più felici, più sereni di quando sapevano che lei era la loro figlia le aveva spezzato il cuore, ma, ancor di più, l’aveva fatto la delusione nei loro occhi quando, una volta restituita loro la memoria, l’avevano guardata come se fosse un mostro. Erano strani, intontiti, confusi ed arrabbiati, non avevano capito le sue ragioni e la consideravano completamente fuori di senno. Avevano litigato per ore, con Hermione ridotta oramai in lacrime e sua madre che aveva concluso con un secco: “Abbiamo bisogno di tempo, tesoro. Lasciacene un po’.”
Se era riuscita a tornare in Inghilterra, doveva ringraziare la bontà di Ron di averla accompagnata o si sarebbe spaccata alla prima occasione.
Aveva terminato il suo ultimo anno ad Hogwarts, superato gli esami con il massimo dei voti e, ora, aveva iniziato a lavorare al Ghirigoro, assieme a Madame Florence Botts. Tutti si erano stupiti che non avesse deciso di proseguire la sua carriera, ma Hermione non aveva voluto sentire ragioni, neanche quando a chiederglielo era stata la McGranitt: semplicemente, non voleva più entrare in politica o servire il Ministero. L’Hermione battagliera ed un po’ pedante non c’era più. Quella attuale desiderava solamente la pace e trovava conforto esclusivamente nei suoi amati libri, motivo per cui aveva deciso di rendere una professione il suo passatempo di scrivere e di bighellonare per le librerie.
Quella sera, aveva appena saputo che il suo romanzo sarebbe stato pubblicato e, così, era andata a restituire le chiavi della Tana a Molly ed Arthur: era tutto pronto e, da domani, sarebbe tornata a vivere a casa Granger, a renderla sua ed usarla come base per scrivere.
“Buonasera! C’è nessuno?” chiamò, cauta, avanzando nella penombra del soggiorno. Il suo stesso eco le rispose. Aggrottò la fronte: era strano, di solito c’erano sempre voci, persone, odori ed avventure, in casa. Che fosse successo qualcosa?
Hermione avanzò verso la cucina, sempre più dubbiosa, la mano già vicina alla bacchetta, un vecchio riflesso che si portava dietro dalla guerra. Sobbalzò, spaventata, quando, seduto a tavola, vide nientepopodimeno che Percy.
L’ultima volta che lo aveva visto era stata al funerale di Fred, dove, in scuro, era rimasto seduto tra i suoi fratelli, in silenzio, senza rispondere a nessuna condoglianza se non con un accenno di ringraziamento, per poi sparire alla prima occasione.
Allora, le era apparso evidente che era cambiato, ma solo in quel momento, trovandoselo di fronte in quella cucina, si rese conto di quanto fosse davvero diverso: era dimagrito, tanto che gli abiti, un tempo completi sgargianti, ora gli ricadevano addosso come cenci opachi e smunti. Gli occhiali di corno sopra agli occhi di un blu trapassante erano scesi vistosamente lungo il naso e le dita tremavano attorno alla tazza di tè che stringeva. Era l’ombra del ragazzo che aveva conosciuto ad Hogwarts, quando lei era una bambina spaesata, tutta capelli e dentoni e lui il fratello maggiore del suo amico, sicuro, intelligente e brillante. All’epoca, girava per la scuola nella sue vesti impeccabili, il badge da Prefetto appuntato al mantello e l’aria orgogliosa e saputa. Camminava a testa alta, con le spalle ben tese, snocciolando regole, nozioni e rimproverando a destra e a manca. Nessuno lo sopportava, neanche i suoi stessi fratelli, che lo tormentavano con i loro scherzi … nessuno, tranne Hermione stessa, forse. Erano simili, dopotutto: entrambi amavano studiare e rispettare le regole. Solo Hermione sapeva che c’era dell’altro, che a legarli era stato un lato di Percy che nessuno avrebbe mai sospettato, a suo tempo …

Hogwarts, 1993

Era la metà del suo secondo anno ad Hogwarts e, in uno dei tanti pomeriggi freddi e ventosi come solo la Scozia sapeva offrire, la giovane strega aveva deciso di rifugiarsi in biblioteca per studiare. Apparentemente, non vi sarebbe stato nulla di nuovo o di sbagliato in questo e, infatti, né Harry né Ron avevano manifestato sorpresa o indignazione alla sua dichiarazione. La verità, tuttavia, quella che nessuno sembrava voler vedere, era tutt’altra. Hermione scrisse l’ultima parola del compito di Trasfigurazione con un sospiro frustrato, osservando la pila di quaderni e libri perfettamente compilati ed ordinati: aveva terminato tutte le possibili attività scolastiche a cui avrebbe potuto dedicare il pomeriggio, per sua sfortuna. Ora non le restava che leggere i suoi romanzi …
Con l’ennesimo sospiro del pomeriggio, prese da sotto la pila un volume dalla copertina viola stilizzata: quel giorno non avrebbe sopportato la compagnia di nessuno se non dei suoi amici di carta. Non che fosse arrabbiata con Harry o Ron, ma, certe volte …
Sbuffò, sollevando lo sguardo verso il vetro solo per incontrare il proprio riflesso nella penombra della silenziosa biblioteca, in contrasto con il cielo grigio ed il vento sferzante che s’intrufolava tra le pietre del castello: una ragazzina bassa e troppo pallida, con capelli impossibili di un castano troppo indefinito. Era tutta la vita che veniva vista come quella strana, la classica secchiona bruttina ma che bisognava farsi amica per avere i compiti ben svolti e le risposte giuste suggerite nelle verifiche, ma, prima di allora, non le era mai importato così tanto. Forse, la colpa era della lontananza da casa e dai suoi genitori, in particolare dalla dolce comprensione di sua madre, che sembrava capirla come nessun altro o, più semplicemente, era cresciuta senza rendersene conto. Non che questa Hermione fosse molto diversa da quella di prima: era sempre bruttina, sempre secchiona e noiosa, senza amici. Forse, la vera differenza la faceva il fatto che aveva pensato di aver finalmente trovato una casa ad Hogwarts, un posto pieno di persone come lei, ma ne era rimasta estremamente delusa. I ragazzini erano identici, babbani o maghi che fossero e le cattiverie che uscivano dalle loro bocche erano le stesse. Come quello che le aveva detto Lavanda quel mattino ….
Al solo pensiero, lo stomaco le si contorse in una spiacevole morsa e deglutì, sentendo gli occhi inumidirsi: non voleva piangere per una cosa così stupida e si era ripromessa di non farlo mai, ma, dopo che neanche Ron o Harry si erano mostrati particolarmente toccati o interessati al suo improvviso mutismo ed al suo isolamento …
Una lacrima ricadde pensosamente sulla copertina del libro ed Hermione tirò su con il naso, riprendendo la lettura: non valeva davvero la pena perdersi così tanto d’animo per cose del genere. C’erano persone malate, mutilate o molto povere. Però …
Riprese a leggere Jane Eyre da dov’era rimasta, perdendosi nei meandri della storia. Aveva divorato i libri delle sorelle Brontë, così come tutti i classici babbani, poco tempo fa, ma aveva deciso di rileggere quello, considerato quanto le fosse piaciuto. E, risfogliandolo, le sembrava ogni volta sempre più magnifico. Per qualche minuto, le sembrò davvero di essere Jane e di percorrere i bui corridoi di Thornfield Hall alla ricerca della verità sui misteriosi rumori nell’attico, combattendo, nel frattanto, con i sentimenti per il tenebroso Rochester …
Non si rese conto di non essere più sola che dopo parecchie pagine, quando un lieve colpo di tosse la riportò bruscamente alla realtà. Richiuse il libro di scatto e sollevò lo sguardo, incontrando quello celeste di Percy Weasley, come al solito impeccabile nella sua divisa da Prefetto tirata a lucido ed i capelli rossi e mossi inutilmente tirati all’indietro.
“M-mi sono messa a leggere ed ho perso la cognizione del tempo?” balbettò Hermione, imbarazzata, cercando con lo sguardo un orologio: non poteva certamente essere così tardi ...
“Oh, no, non è … non è poi così tardi …” la frenò Percy, rivolgendole un sorriso appena abbozzato ed enfatizzando in maniera decisamente singolare da parte sua quel ‘così’. A giudicare dal rossore che gli era improvvisamente salito alle guance ed alle orecchie, era imbarazzato. Non credeva che l’avrebbe mai visto in imbarazzo ...
“Stavo solo controllando che tutti fossero usciti, dal momento che la biblioteca sta per chiudere.” concluse, senza guardarla. Hermione sgranò gli occhi, realizzando, all’improvviso, quanto fossero gonfi e come le sue guance fossero umide di lacrime. Aveva davvero pianto mentre leggeva?
“Oh …” deglutì mentre abbassava lo sguardo. “I-io … mi dispiace, davvero: non volevo davvero arrecarti problemi. T-tu hai materie molto più impegnative delle mie e richiederanno sicuramente più tempo e … e poi sei un Prefetto!” biascicò incoerentemente.
Di tutte le persone che avrebbero potuto sorprenderla a piangere, Percy era sicuramente quella meno indicata. Per lei, il fratello maggiore di Ron era un modello a cui aspirare: era così che Hermione voleva essere, seria, competente, preparata e rispettata. E lui era già stato fin troppo gentile ad aiutarla ad ambientarsi ed a prendere familiarità con il mondo magico l’anno precedente, per non parlare delle delucidazioni nelle materie più ostiche che gli aveva chiesto durante l’anno e l’estate alla Tana …
No, decisamente non era un bene che Percy l’avesse vista in quello stato.
Si asciugò rapidamente le guance e si alzò talmente di scatto da sbattere il ginocchio, raccattando i libri alla bell’e meglio. “Scusami.” concluse, facendo per andarsene. Quando sentì una mano sfiorarle la spalla, saltò e quasi rischiò di far cadere tutti i volumi che teneva saldamente tra le braccia a mo’ di scudo.
“Forse preferisci che chiami la professoressa McGranitt? O magari il preside?” domandò Percy. Hermione, nel vederlo guardarla con gli iridescenti occhi azzurri che scintillavano nella penombra della biblioteca, sentì una morsa al petto che le fece quasi perdere l’equilibrio: quand’era l’ultima volta che qualcuno si era preoccupato di come stesse, che qualcuno aveva ritenuto il suo stato d’animo importante? Non riusciva a ricordare nessuno all’infuori dei suoi genitori che l’avesse fatto, neanche alla Tana, il posto più simile a casa che conoscesse nel mondo magico e sicuramente non se l’aspettava da Percy. Possibile che, di tutti, solo lui riuscisse a vedere oltre ed a capire?
Quel pensiero fu talmente tagliente e soffocante da farle risalire le lacrime agli occhi. Senza rendersene conto, si ritrovò a combattere con tutta se stessa quel fiume in piena che le scavava le guance, gocciolandole sul petto e facendola tremare come una foglia: non doveva piangere. Si era ripromessa che non l’avrebbe fatto. Non aveva senso sprecare lacrime e lacrime per cose del genere, se l’era ripetuto almeno un milione di volte. Però ...
E, poi, di colpo, la mano di Percy le sfiorò nuovamente la spalla e, sollevando lo sguardo, incontrò i suoi occhi, profondi, blu e gentili. “Va tutto bene, Hermione?” mormorò, la fronte aggrottata e le sopracciglia molto vicine.
Non seppe se furono quelle parole o il fatto che le avesse pronunciate l’ultima persona da cui si aspettava di udirle, tuttavia, non appena Percy ebbe pronunciato l’ultima sillaba, Hermione si ritrovò a singhiozzare apertamente e senza più riuscire a trattenere tutto il magone di tristezza che aveva represso per settimane e settimane, sperando di mandare tutti quei pensieri oscuri talmente sempre più giù, fino a farli svanire. Alla domanda di Percy, però, era riaffiorato tutto, come se, tutto sommato, tutti quei problemi non se ne fossero mai andati.
In silenzio, sprofondò sulla sedia su cui era stata seduta fino a poco prima e, messi da parte i libri, si portò le mani al volto, singhiozzando oramai senza controllo, le lacrime che le rigavano le guance ed il respiro mozzato. Quasi non notò la sedia accanto alla sua che veniva lentamente spostata e l’allampanata figura di Percy che vi si sedeva, schiarendosi la voce.
“Non … non è niente. È … è solo che … Dio, mi vergogno così tanto!” sospirò Hermione, scuotendo il capo, le lacrime che le avevano bagnato persino le punte dei suoi tanto odiati capelli indomabili. L’ultima cosa che si aspettava nel bel mezzo di quell’exploit che oramai non riusciva più a fermare era la comprensione di Percy, ma dovette ricredersi quando, passandole un fazzoletto, le disse: “È per le tue compagne di dormitorio, vero?”
Hermione lo fissò, riuscendo a malapena a distinguerne i contorni tra le lacrime che le velavano gli occhi. “C-come …” iniziò. “Ho notato che non esci mai dai dormitori con loro, né vi rientri, per quel che vale. Ai pasti siedi il più possibile lontano da loro, come se volessi nasconderti … e, poi, ho colto qualche frase che ti rivolge Lavanda qua e là. Non sapevo che te le dicessero anche in faccia, ma, a quanto pare, avevo sottovalutato la loro cattiveria.” spiegò mollemente Percy, schiarendosi nuovamente la voce senza guardarla direttamente. Hermione sospirò, asciugandosi le guance. “Mi prendono in giro per tutto: per i miei capelli, per i denti, perché conosco le risposte alle domande che i professori fanno a lezione e perché ho buoni voti. Soprattutto per quello, a dire il vero. Stamattina ho ... ho chiesto se potevano sbrigarsi in bagno, perché era tardi e … e Lavanda mi ha detto che, invece di preoccuparmi tanto dei voti, dovrei pensare a curarmi un po’ di più perché … perché sono orribile e nessuno mi vorrà mai, nessuno già mi vuole adesso, se ho amici è solo perché posso agevolarli con lo studio. E so che forse non lo puoi capire, ma certe volte … certe volte penso che abbia davvero ragione ...” eruppe senza neanche pensarci, sentendo una nuova ondata di lacrime salirle agli occhi ed offuscarle la visuale. “Le ragazze sono cattive. I maschi sanno essere molto stupidi, è vero, ma non hanno tanta invidia quanto le femmine. Beh, nella maggior parte dei casi, naturalmente.” rispose pensosamente Percy, lasciando Hermione talmente esterrefatta da riuscire persino a farla smettere di piangere per qualche istante. “Con questo non voglio dire che anche tu sia cattiva o invidiosa.” sorrise brevemente il rosso, distogliendo nuovamente lo sguardo, imbarazzato. “Ma la maggior parte lo è: per gelosia, fa delle illazioni del tutto ridicole. Se ci fai caso, ne hai molti esempi anche nella letteratura babbana. Pensa all’Età dell’Innocenza, della Wharton, a come May riesce a tenere con sé suo marito in maniera del tutto meschina ...”
Si schiarì la voce prima di concludere. “Comunque, se non vuoi che chiami nessuno …”
“No.” singhiozzò Hermione, scuotendo il capo. “No, è già … è già imbarazzante così.”
Percy non disse nulla. Si limitò a restare dov’era, seduto accanto ad Hermione, finché le lacrime non ebbero cessato di colarle sulle guance, il respiro non fu tornato regolare e la situazione non le apparve per quello che era: una manifestazione di invidia, proprio come diceva Percy. E, quando si volse per restituirgli il fazzoletto e ringraziarlo, al vederlo arrossire e balbettare qualche frase sui ringraziamenti di circostanza, Hermione riuscì persino a sorridere di nuovo.

“Percy …” mormorò, senza neanche rendersene conto. Questi sobbalzò, come scottato, sollevando lo sguardo. Hermione notò con orrore che gli occhi erano arrossati e trattenevano a stento il pianto. “Hermione!” si affrettò a dire, alzandosi di scatto. “Non ti avevo sentita, perdonami. Posso offrirti un tè e dei biscotti?”
“No, grazie.” sospirò lei, avanzando cautamente nella cucina buia. “Ero venuta per restituire le chiavi a tua madre.”
“Gliele darò io, non preoccuparti. Loro sono da Victoire, stasera.”
“Grazie.”
Un silenzio imbarazzante, rotto solo dal frinire delle cicale, costellò quella conversazione. “Torni a vivere a casa dei tuoi genitori, ho sentito …” tossicchiò Percy, imbarazzato. “Sì: è la cosa migliore.”
“Sei di famiglia, avresti potuto restare quanto volevi …”
“Non sarebbe stato giusto: ognuno deve fare la propria vita, dico bene?” sorrise Hermione, triste. “E … e tu? Come stai?”
Percy si volse a guardarla, stupito. “Oh, beh … tutto sommato, bene. Grazie. Ora, se non ti spiace, devo proprio tornare a casa …”
Fu allora che Hermione notò una seconda tazza, posizionata di fronte a Percy ed ancora intonsa. “Stavi aspettando qualcuno?” chiese, indicandola. “No. No, non è … non è niente di che.” sviò lui, alzando le spalle ed affrettandosi a far sparire entrambe le tazze con un colpo di bacchetta. “Stavo andando a casa.” concluse, così, dirigendosi verso l’uscio. “Penelope ti starà aspettando.” azzardò Hermione. Quando lo vide bloccarsi, si rese conto di colpo di cos’avesse detto: sapeva di essere sembrata acida e non era sua intenzione, anche se Penelope non le era mai piaciuta. “Penelope ed io non stiamo più insieme da un anno.” disse, invece, Percy, stupendola non poco. “Ma … ma non lo sapeva nessuno!” obiettò Hermione. “Infatti. Adesso lo sai tu.”
“E … e quindi vivi di nuovo qui, ora?”
“No: ho ancora il mio appartamento ed è molto meglio così per tutti, credimi.”
“Meglio per tutti o solo per te?” azzardò la strega. Percy sospirò, le spalle incassate. “Non tutti riescono a lasciarsi tutto facilmente alle spalle.” replicò, la voce roca e lontana che quasi la trafisse con le sue parole gelide. “Davvero? Strano: tu l’hai sempre fatto senza troppi problemi, con la tua famiglia, con Penelope e persino con me, mi pare.”
Hermione sapeva di risultare davvero acida stavolta, ma non poteva evitarlo: a suo tempo, Percy l’aveva ferita davvero troppo per non replicare a tono alle sue affermazioni.
“Con la mia famiglia l’ho fatto, sì.” le concesse il rosso. “Ma stavolta è stata Penelope a lasciarmi … e, per come sono andate le cose negli ultimi anni, non posso biasimarla. In quanto a te, tra di noi non c’era proprio niente di più di uno scambio di libri perché ci facevamo pena a vicenda, perciò non vedo cosa possa essermi lasciato alle spalle. Buona serata, Hermione.”
La strega, totalmente spiazzata, lo guardò allontanarsi fino a sparire nel camino, sconvolta: Penelope aveva lasciato Percy? Stavano insieme dai tempi della scuola e, anche se lei era la classica gattamorta, a suo parere, di certo non usava Percy solo per ottenere qualcosa. Non dopo tutti quegli anni …
Con un sospiro, si diresse verso la porta: avrebbe scritto a Ron che era passata, sempre che non fosse troppo impegnato con Lavanda, quella sera. O a Ginny, sempre che non fosse impegnata con Harry. C’erano giorni in cui Hermione si sentiva tremendamente vecchia, decrepita e senza speranza: era bloccata in un’esistenza grigia, impantanata in un limbo e sola, mentre tutti andavano avanti, realizzavano sogni e creavano famiglie, amori sbocciavano e sfiorivano. Solo lei restava costantemente intrappolata nel tempo.
Mentre stava per uscire, un singhiozzo la raggiunse, raggelandola si volse di scatto verso le scale, solo per vedervi George collassato che piangeva come un bambino. Il cuore le si strinse al pensiero, ma non osò avvicinarlo: sapeva che, in certi momenti, bisognava stare soli. Solo una volta fuori collegò le due tazze alla presenza dei due fratelli ed ai loro atteggiamenti: cosa poteva essere successo?

  
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