15.
Provincia di Gorizia, Italia
La signora Claretta Passamonti metteva tutto l’impegno necessario, nel suo mestiere.
Non sopportava che qualcosa non fosse perfetto e, proprio per questo, ogni mattina controllava che ogni cosa fosse al suo posto, sul carrello: scopettoni, prodotti igienici, sacco dei rifiuti, bidone pieno di acqua già profumata per lavare il pavimento e renderlo lucente. Lei entrava nei bagni della stazione di servizio con la certezza di avere già sottomano tutto ciò che le sarebbe stato utile per renderli splendidi, pronti ad accogliere tutti i numerosi automobilisti di passaggio che avessero avuto qualche impellente bisogno fisiologico.
Dopo che lei si era presa cura di un bagno, persino la Regina d’Inghilterra avrebbe potuto adoperarlo senza trovare alcunché di cui lamentarsi. E la Claretta lo sapeva bene, quanto fosse puntigliosa e lamentosa la Regina d’Inghilterra.
Come ogni mattina, quindi, la signora Passamonti venne avanti con il suo passo da legionario romano, spingendo il carrello con l’impeto di un uragano. Del resto, per occuparsi di pulizie, ci volevano braccia e muscoli allenati. Non era certo un mestiere semplice o da prendere sottogamba, quello. Flaconi e spazzoloni tintinnavano a ogni passo, quasi ansiosi di essere presto adoperati.
Salì sul marciapiede davanti all’Autogrill, lasciandosi alle spalle il parcheggio dove erano fermi un paio di autoarticolati con targa straniera, e con un calcio poderoso spalancò la porta del bagno delle donne. Stava per entrare con il carrello, quando lo sguardo le scivolò vicino alla zona dei lavandini, in fondo al locale.
Sgranò gli occhi per la sorpresa.
Pallidi e scarmigliati, con un bavaglio sulle bocche, cinque uomini e due donne vestiti di nero cercavano inutilmente di sbarazzarsi dei legacci che gli bloccavano i polsi e le caviglie. Quando la videro entrare, cominciarono ad agitarsi e a rivolgerle mugugni incomprensibili.
«Ma tu guarda che razza di mondo!» sbottò la signora Passamonti, scuotendo il capo, contrariata. «Questi giovinastri non sanno più che cosa inventarsi, per divertirsi!»
Guardando meglio, si rese conto che, accanto alla ragazza dai capelli rossi e dagli occhi verdi, c’era un uomo robusto e con un gran paio di baffi che non doveva essere niente affatto giovane.
«Non c’è più religione!» commentò la signora. «Persino i vecchi, adesso, si mettono a fare queste cose orribili!» Ammiccò in direzione del gruppetto. «Sì, sì, agitatevi pure. Io non mi avvicino! Ma ora chiamo i carabinieri e vi faccio vedere io, vi faccio!»
Quindi, tornata sui suoi passi, uscì per andare a telefonare.
Alberto Manfredi, capita l’antifona, smise di cercare di liberarsi o di dire qualcosa.
Mi scoppia la testa, pensò, stordito dall’emicrania. E il braccio fa sempre più male. Dovranno tagliarmelo, ne sono certo.
I suoi occhi incontrarono quelli del sottotenente Bresciani e, seppure in quella situazione, non poterono fare a meno che ridacchiare, per quanto i bavagli lo rendessero possibile.
Per ora, potevano soltanto sperare che i colleghi si sbrigassero, per venire a toglierli da quella brutta situazione.
Non vedeva l’ora di tornarsene a casa e dimenticarsi al più presto di quella faccenda.
Giusto il tempo di elaborare un nuovo piano.
Il pelatone non l’avrebbe avuta vinta.