DISCLAIMER: tutti i personaggi appartengono a zietta Rumiko, io li uso solo per rendere la vita meno una merda
La pubblicità ti fa vedere solo il dito e distrugge la luna
Era venuta solo per vederlo.
Rin non si reputava un'anima estroversa, anzi; se si andava per stereotipi figurava tutt'al più come quella timida e scostante del gruppo, che si appartava volentieri sugli scalini del vecchio liceo a guardare le nuvole tentando di vedere nelle loro cangianti creste forme che non c'erano e non ci sarebbero mai state e sognando ad occhi aperti di campi estivi che profumavano di succose angurie.
Quella che uno come Sesshōmaru non avrebbe mai calcolato.
Eppure una parte di lei, la parte ostinata e caparbia che le aveva permesso di sopravvivere all'incostanza e alla fragilità della vita da orfana, non l'aveva fatta cedere allo sconforto di tutte quelle verità poco splendide del suo carattere, così si era messa un bel vestito attillato prestato da Sango che possedeva un innato stile da lei sempre invidiato, ed era andata lo stesso alla festa.
E ovviamente lui non c'era.
Forse questa era una punizione degli dei per aver parlato, per essere stata sincera e averlo tradito, aver spifferato a tutti quelli della Osuwari i misteriosi piani del Principe dei Demoni per farli chiudere, azione scellerata e non professionale ovviamente, che le sarebbe dovuto costare il lavoro, eppure un'azione che non rimpiangeva affatto, che avrebbe ripetuto in questa e in tutte le vite che il Buddha le avrebbe riservato.
Un'azione di un cuore umano in conflitto con se stesso.
Era così che lo descriveva quello scrittore americano, Faulkner, giusto? il sentimento di smarrimento e senso di colpa che provava da una settimana contrapposto alla certezza di aver fatto la cosa giusta, la sola cosa che le avrebbe permesso di guardarsi dentro e non smarrirsi, anche se questo significava sentirsi -lontana da lui- di nuovo un'orfana senza nessuno.
Più o meno senza nessuno.
Accettando un calice di vino arancione da un cameriere vagabondo, gettò un'occhiata alle due ragazze esuberanti attorno al buffet.
Potevano non essere la sua famiglia -e quando mai lei ne aveva avuta una- e di sicuro non le conosceva a fondo, tuttavia uno strano senso di lealtà le legava, una sorellanza nata da un desiderio di rivalsa contro un nemico comune.
Qualcosa che uno come Sesshōmaru non avrebbe mai disprezzato.
Tuttavia per sei lunghi giorni si era tenuta lontana dal lavoro dandosi malata, passando le giornate a guardare il vuoto e le notti a girarsi nel letto, sognando di ragazze senza volto che piangevano dietro pannelli di carta di riso, cani enormi che volavano nei cieli, e poi una luna gigantesca che con la sua ombra cadeva sulla terra schizzando pezzi grigi di sé ovunque, come una mano oscura sul viso di un'innocente.
La mattina del settimo giorno si era svegliata dandosi della stupida.
Non avrebbe risolto niente continuando così. Anzi, sarebbe solo stata licenziata.
Così il suo piccolo cuore impavido aveva trovato un'unica soluzione per uscire da quel tunnel di contraddizioni di cui era ostaggio: andare ad una festa di ricchi demoni per poterlo rivedere.
Anche da lontano, anche per qualche secondo, anche se di sfuggita.
Lo aveva aspettato per tutta la serata, in disparte, rifiutando di divertirsi con le altre che invece si davano alla pazza gioia, facendo finta di bere champagne ma in realtà fissando la mezzaluna bianca simile ad un sorriso appiccicato nel cielo scuro.
Era notte fonda quando alla fine si presentò, alto, fiabesco, con quella sua aura bianca da demone, una luminescenza attorno come se davvero un pezzo di luna vagasse per questo mondo, tanto che a Rin per l'emozione sembrò di percepire un intenso palpito emotivo in risposta a tutto quello splendore.
Vibrazione che con sua sorpresa parve propagarsi nel mondo fisico, dato che ogni cosa cominciò a traballare e scuotersi, e l'ultima cosa che vide prima che una chioma bianca le si parasse di fronte a proteggerla dall'onda sismica fu il buco latteo della luna nel nero delle tenebre.
Ayame si tolse la parrucca nera con uno sbuffo. Per gli dei, quanto prudeva!
Guardandosi attorno mentre si rinfrescava il cuoio capelluto a forza di leggeri spruzzi, rimase a fissare con la bocca spalancata il bagno per gli ospiti dei Taishō, che praticamente era grande come tutta casa sua o quasi, gemendo quasi per l'invidia.
Quello sì che era lusso. Niente di ostentato, certo, ma inconfondibilmente lusso, con dettagli squisiti molto giapponesi modellati sulla comodità e moda occidentale, senza tralasciare un'impronta femminile ad unire il tutto piccola e leggera come la luna in cielo in quel momento.
La luna.
Quella sera appariva particolarmente luminosa nel suo spicchio bianco come la neve, con quella sua gibbosità simile all'arco della schiena di una sirena che si tuffava nelle nubi veloci sottostanti. Guardarla e ammirarla sembrava quasi un dovere mistico di ogni creatura di questa terra.
Sospirando Ayame a fatica distolse il viso a quella luce abbacinante, per concentrarsi sui suoi guai.
Non sarebbe mai dovuta andare a quella festa! Miroku aveva disertato, di Sango neanche l'ombra e lei...lei preferiva fissare tutto il tempo il padrone di casa invece che divertirsi.
Così non andava, maledizione, doveva concentrasi su Kōga, voleva concentrarsi su Kōga, e pensare al suo futuro, tipo all'importante conferenza sul cambiamento climatico che si sarebbe tenuta ad Osaka la settimana seguente con tutti i maggiori esponenti della politica ed economia giapponese.
Però lui era proprio divino!
No, non Kōga, l'altro; con quella lunga e liscia chioma bianca proprio come la luna in contrasto al completo grigio indossato per l'occasione, semplicemente faceva sfigurare qualsiasi maschio presente.
Yamaragi-sensei l'avrebbe ammazzata se avesse saputo di quei pensieri folli che la stavano scuotendo, suo nonno sarebbe rimasto deluso come non mai mentre Kōga e gli altri l'avrebbero guardata schifati come minimo.
I lupi e i cani erano incompatibili. Così era stato dalla notte dei tempi e così sarebbe stato fino alla loro fine, e proprio non si spiegava questa infatuazione per il capofamiglia dei Taishō. Era semplicemente inammissibile.
Afferrandosi le tette e tirandole su affinché aderissero perfettamente al vestito azzurro ciano che indossava, si costrinse a mettere in viso un cipiglio battagliero. Lei era la nipote del Patriarca, non avrebbe ceduto allo stupido fascino verso un demone cane, per quanto bellissimo. Lei era la Figlia del Nord, non si sarebbe lasciata abbindolare da due occhi alteri e orgogliosi, anche se erano fatti dell'oro più brillante. Lei era uno dei maggiori esponenti del clan Yōrō, non sarebbe cascata tra le braccia del Generale più famoso della storia, anche se quelle braccia sembravano pericolosamente muscolose ed accoglienti.
Nossignore, tutto questo non sarebbe mai avvenuto, si ripromise, allorché la scossa di terremoto la colse e la fece piombare fuori dal bagno, spaventata ed arruffata, senza parrucca e contro il torace dell'ultima persona che si augurava.
Nel sistemarsi le mutandine di pizzo giallo, Sango alzò lo sguardo fuori dalla finestra notando che quella notte la luna era uno spicchio inquietante e sottile come una kusarigama attaccata sul tetto dell'umanità.
Avrebbe voluto scuotersi di dosso quelle sensazioni negative, lo voleva davvero, voleva godersi la serata a casa di InuYasha con le altre ragazze, gustare buon cibo, ottimo saké e magari distrarsi dai problemi che si ritrovava ad affrontare in quel periodo.
Tuttavia un conto era volerlo, un altro conto era il fatto quasi tragicomico che le stavano accadendo disgrazie una dietro l'altra.
Non bastava essere in rosso con i conti, o che il ragazzo che le piaceva non la degnasse di uno sguardo, adesso anche Kohaku la preoccupava.
Era successo per puro caso, era entrata nella sua stanza senza bussare e suo fratello non aveva fatto in tempo a cambiare lo schermo del computer, rivelando quello che stava combinando.
“Lo hanno fatto tutti nella prefettura, sorellina, perché io no? Non ho fatto niente di male, non guardarmi così. E poi, indovina? Hanno estratto il mio biglietto, o meglio, prima era di qualcun altro che lo ha rimesso in vendita, e io sono riuscito ad aggiudicarmelo subito dopo. Che sciocco quel tipo! Ha perso l'occasione di incontrare la ragazza Osuwari.”
A Sango si era gelato il sangue nelle vene, temendo che il fratello parlasse di lei. Una prospettiva inquietante a dir poco.
Il cuore aveva ripreso a battere normalmente solo quando si era resa conto che in realtà la fortunata non era né lei né Ayame né Kagome, ma la piccola dolce innocente Rin, e dall'angoscia era passata alla compassione.
Tutto voleva per Kohaku tranne che si fosse infatuato di una ragazza che non avrebbe mai potuto ricambiarlo.
“Non conosci niente di lei, è una modella da copertina, vive in un mondo diverso dal tuo, non sai neppure il suo nome!” gli aveva urlato dalla cucina mentre si preparava per la festa d'inverno a casa dei Taishō.
“Mi piace, sorellina, e ho l'opportunità di chattare con lei per un intero mese. Non mi ci devo mica fidanzare.” Kohaku era tutto rosso in faccia mentre l'aveva raggiunta nel tepore del kotatsu. “Spero di non averti deluso.”
Sango quasi sprofondò dall'alto della sua ipocrisia. Con che faccia poteva rimproverargli qualcosa se lei stessa era uno dei soggetti in causa di quella maledetta riffa? Sperava solo che un giorno Kohaku l'avrebbe perdonata per la condotta disdicevole che conduceva in segreto.
“Non lo fai mai, fratellino.” Gli scompigliò i capelli, e stava per aggiungere altro quando suonò il campanello.
“Miroku, che ci fai alla mia porta? Ti credevo alla festa.”
“Non credo di andarci. Per stasera passo.” Il ragazzo si sedette sullo scalino davanti alla porta, rifiutandosi di entrare e accertandosi che non ci fossero altri condomini che volessero passare lungo le scale. “Tu invece mi sembri quasi pronta.”
In effetti Sango era anche un po' in ritardo per colpa della vicenda di Kohaku, ma il bonzo aveva una faccia così triste che non ci pensò due volte prima di raggiungerlo e sedersi accanto a lui.
“Qualcosa non va, hōshi-sama? Posso aiutarti?”
Per un attimo fu sicura che il monaco volesse confidarsi con lei, fino a che con un mezzo sorriso lo vide scuotere la testa lentamente.
“Naa, niente di irreparabile, davvero. So solo che stasera non voglio stare in mezzo ad altre persone. La tua compagnia invece sembra dare sollievo al mio animo inquieto.”
Nel buio illuminato dalle fievoli ma allegre luci colorate del balcone della vicina di casa, il volto di Miroku risaltava pallido, scolpito, la mascella ben delineata come quella di un modello, e quegli occhi bluastri come un mare notturno. Sango si portò di nascosto una mano al petto sentendo il cuore fare una capriola e le guance arrossarsi come una scolaretta.
“Qui sei sempre il benvenuto, hōshi-sama.” Con grazia si mise il tacco mancante. Adesso era davvero pronta per la festa.
Pronta per la festa a cui sapeva benissimo che non sarebbe più andata.
“Senti, avevo lasciato una pentola di oden a Kohaku, sai, per farmi perdonare della cena solitaria che avrebbe fatto, ma scommetto che non gli dispiacerà dividerlo. In fondo nemmeno io ho molta voglia di scatenarmi stasera. Se vuoi rimanere a mangiare con noi, si intende.”
“Sarei pazzo a rifiutare l'offerta del tuo oden speciale.” Con intima gioia tutta femminile Sango osservò il viso del bonzo schiarirsi, o forse era per il fatto che la luna proprio in quel momento uscì da dietro una nuvola particolarmente malevola.
“Bene, allora entra pure.”
Un attimo dopo le scale traballarono, le luci della vicina tremolarono, e il boato oscuro del terremoto si mise tra loro come una nota di pietra.
“E' proprio una festa bellissima, InuYasha.” A Kagome luccicavano gli occhi per tutte quelle decorazioni a tema party invernale, come fiocchi di neve luminosi appesi al soffitto, pergolati pieni di vischio, bacche vermiglie, buffet pieni di canditi, cioccolata e noci zuccherate.
“A me sembra tutto un'idiozia. Questo o un piano di papà per manovrarci come al suo solito. Adesso che ci penso, mi sa che propendo per la seconda possibilità. Tutto si può dire del grande Generale tranne che commetta idiozie.”
“Sei troppo severo con lui.” Kagome gli afferrò un mano delicatamente. “Sta cercando di venire incontro sia a te che a Sesshōmaru.”
“Direi che è tardi per questo, e una festa di sicuro non risolve le cose.”
“Non è solo una festa, InuYasha.” La ragazza si guardò attorno, c'erano tutti gli amici dell'università di InuYasha, i colleghi di lavoro di Sesshōmaru, e il loro gruppo che non poteva mancare. “E' un modo per conoscervi, per entrare nel vostro mondo, per chiedere scusa dopo tutti questi anni di assenza. Dai, sii più accomodante e disponibile.”
Lo sbuffo di InuYasha fece sollevare i piattini e i bicchieri al loro tavolo e anche a quello vicino.
“Non ne sono sicuro.”
Kagome allungò il braccio e poggiò di nuovo la mano sulla sua.
“C'entra tua madre, vero? Ora lui è qui mentre lei è a New York.”
Ci era andata più piano possibile, ma le implicazioni di quelle frasi si riverberarono in InuYasha come uno tsunami emotivo, tanto che i suoi occhi si scurirono in un arancione amareggiato, nascosto fino a quel momento e venuto fuori ora contro ogni aspettativa.
“Non voglio intromettermi nelle loro decisioni, non l'ho mai fatto e non comincerò ora, se è questo che ti preoccupa.” Tossicchiò guardandosi in giro, evitando il suo sguardo. “Se mia madre vuole stare con un altro e mio padre ha accettato la cosa, a me va altrettanto bene. Non tutti sono fortunati ad avere una famiglia felice come quella delle pubblicità.”
“Poche cose che si vedono nelle pubblicità corrispondono al vero, puoi credermi,” Kagome sospirò con aria saputa visto che lei questo lo sapeva molto bene.
Era innegabile che InuYasha fosse in crisi in quel periodo, il fatto che suo padre fosse tornato dall'America da solo poteva voler dire solo una cosa. Si era arreso.
Per un anno aveva cercato di convincere la madre di InuYsha, Izayoi, a tornare con lui, a concedere ad entrambi una seconda possibilità al loro matrimonio messo alla prova dal fatto che il Generale fosse uno dei demoni più potenti della Terra e lei una donna giapponese, ricca certo, e nobile anche, ma un'umana, sempre e per sempre umana.
Questo tentativo era noto a tutti, in famiglia e alla stampa, che non faceva altro che parlare di loro come un amore impossibile e tragico- altra cosa che aveva infastidito InuYasha oltre ogni misura.
Nessuno sapeva perché Izayoi avesse rifiutato, perché avesse preferito la corte di quel viscido di Takemaru Setsuna, il motivo era un mistero e considerando la discrezione del Generale tale sarebbe rimasto.
Così InuYasha si stava mettendo sulla difensiva, come faceva di solito in queste situazioni, e nonostante Kagome sapesse come reagire per disinnescare il cortocircuito in cui il suo mezzodemone preferito cadeva per proteggere quell'emotività che rinnegava tanto, questa volta tutto sembrava molto più complesso.
Tutta colpa dei suoi di segreti.
Da quando lo conosceva non gli aveva mai nascosto niente, esponendosi sempre, giocando a carte scoperte su ogni cosa, perché la sincerità e l'onestà erano parte di lei fin da bambina, quando riusciva ad indovinare chi c'era dietro di lei a quel gioco che portava il suo nome e il mondo era ridotto a risate, gelati e ai capricci per un cagnolino che non avrebbero mai potuto prendere dato il carattere scontroso di Buyo.
Adesso invece era grande, aveva delle responsabilità, degli spazi oscuri dove ficcare a forza dei segreti che non poteva confessare, pena il futuro della sua famiglia; eppure mantenerli era come avere una spada nello stomaco, una spada affilata ma necessaria, un'arma per difendere ed attaccare chi voleva cacciarli da loro tempio senza pietà.
“Kagome, tutto a posto?”
Assorta in quelle elucubrazioni sinistre, non si era resa conto di stare naso all'aria a guardare la luna, che appesa in alto su di loro anche lei come una spada sottile ed incurvata la irrideva perfidamente.
“Abbiamo parlato solo di me, della mia famiglia disfunzionale e di questa terribile festa, ma tu non mi sembri messa tanto meglio.”
“Stai dicendo che ti sembro triste ed infelice?”
“No no...volevo solo dire...volevo solo dire che se hai dei problemi anche tu, ecco...ne puoi parlare con me. Sono qui se vuoi.”
InuYasha si stava arruffando la nuca, grattandosi la tempia con un'unghia, cosa che la fece intenerire all'istante.
Era così che faceva quando lui giocava a carte scoperte, esponendosi nel massimo che il suo temperamento ruvido ma tenero permetteva, costringendola a cedere, quel furfante cagnolino.
Sì, gli avrebbe detto tutto, alla faccia dei giuramenti fatti alle altre, gli avrebbe confessato di essere una delle ragazze Osuwari, gli avrebbe confessato dello speculatore edilizio, delle analisi del nonno che non andavano bene, dei sogni di Sōta di entrare nell'aeronautica, e di come la faceva sentire essere fotografata e pagata per la bellezza del suo corpo.
Stava per farlo sul serio, ma non fece in tempo neppure a slacciare i cordoni della lingua che il tavolo vibrò, e fiocchi di neve bianchi come la luna caddero su tutti loro.
Grazie a tutti quelli che ancora ricordano questa storia e che non si sono arresi, perdonate la mia pigrizia, vi prego