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Autore: CedroContento    09/05/2024    0 recensioni
[Bagginshield]
"Ricominceremo da capo, chiaro; siamo masochisti, quasi speriamo che la volta dopo le cose saranno diverse.
Potrebbero, perché no?
Allora, se siete pronti, riavvolgiamo tutto ancora una volta."
Sulla scia degli eventi del film "Lo Hobbit", questa fic racconta la storia d'amore che vorrei.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bilbo, Gandalf, Thorin Scudodiquercia
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Ci ho messo veramente una vita a svegliare Bombur, quella notte. Quando dorme - e ti posso assicurare che prende sonno ovunque e in qualsiasi momento della giornata con estrema facilità -, dorme di un sonno profondissimo. È da dopo l’avventura nella foresta che è così. Dice sempre che cerca di riacchiappare i magnifici sogni che ha fatto allora.” (1)
 
Bofur
 

 
 Bard l’Arciere si presentò ai Cancelli di Erebor all’alba del giorno successivo, e trovò la Compagnia di Thorin Scudodiquercia al completo ad attenderlo sui bastioni; lo hobbit compreso, pochi passi più indietro rispetto agli altri. 
 
Bilbo inspirò a fondo e guardò il cielo grigio. La cappa di nuvole basse prometteva un’altra giornata senza sole. Pensò che, dopotutto, quello era proprio il tempo adeguato a quel momento; e tanto ormai, in ogni caso, erano tutte così le sue giornate: cieli spenti, fredda pietra. Nulla gli mancava come l’erba sotto i piedi.
 
Spostò lo sguardo in basso. Man mano che Bard si avvicinava e smontava dal suo cavallo, ne registrò l’aria stanca e i vestiti sporchi e strappati. Insomma, i suoi indumenti sporchi e strappati lo erano stati sempre fin troppo per il gusto di un Baggins, ma ora se possibile lo erano ancora di più. 
 
Nonostante tutto, però, il passo del discendente di Girion era fermo e deciso, mentre copriva gli ultimi metri a piedi. E a buon diritto: alle sue spalle, alle porte di Dale, Bilbo poteva scorgere l’esercito più stupefacente che si potesse immaginare; era un vero e proprio esercito degli elfi, uno di quelli di cui aveva letto soltanto nei suoi libri e visto soltanto nella propria fantasia. 
 
“Perché il Re Sotto la Montagna si rinchiude dentro, come un rapinatore nel suo covo?” proruppe Bard, ad indirizzo di Thorin. 
 
“Forse perché mi aspetto di essere rapinato,” replicò prontamente il nano dall’alto dei bastioni, mentre con un cenno della testa dava ordine a Kili di tenere il nuovo arrivato sotto tiro, senza preoccuparsi di essere discreto nel farlo. 
 
Fra Thorin e Bard era sempre stato odio a pelle, Bilbo era certo che quella conversazione non sarebbe finita affatto bene; benedisse mentalmente ogni singolo metro che li divideva. 
 
“Non siamo qui per rapinarti, ma per ricordarti la tua promessa: una parte del tuo tesoro in modo che il popolo di Esgaroth possa ricostruirsi una vita,” proseguì Bard, alzando il mento. 
 
“Non tratterò un bel niente, finché un’armata sosta davanti alla mia porta.”
 
“Quell’armata attaccherà questa montagna, se non arriviamo ad un accordo.” 
 
“Le tue minacce non mi fanno paura,” ringhiò il Re Sotto la Montagna. 
 
“E cosa ne è della tua coscienza?” scattò Bard, incapace di trattenere oltre la rabbia. “Ti abbiamo offerto il nostro aiuto, e in cambio abbiamo ricevuto solo morte e rovina. Avevamo un patto!”
 
“Lo chiami un patto, barattare l’eredità del nostro popolo con coperte e cibo? Non avevamo nessuna scelta!” lo interruppe Thorin, con altrettanta furia. “Dimmi, Bard l’Ammazzadrago, perché dovrei onorare tali termini?” 
 
“Ci hai dato la tua parola. Non significa niente per te?” chiese Bard, incredulo davanti a tanta testardaggine e così poca ragionevolezza. 
 
Anche Bilbo - che si rese improvvisamente conto di aver trattenuto il fiato per tutto il tempo, ritrovandosene a corto - esaminò il profilo di Thorin, in attesa, chiedendosi lui stesso dove sperava di arrivare comportandosi così. 
 
Non aveva scelta, con un esercito che incombeva su di lui e nient’altro che una manciata di nani a difendere la Montagna, non patteggiare avrebbe significato sconfitta per loro. Morte, se le cose fossero andate veramente male. Thorin non poteva essere così presuntuoso o folle da non rendersene conto. Tuttavia, non sembrava nemmeno particolarmente disperato, e Bilbo temeva che il motivo fosse che avrebbe preferito farsi uccidere piuttosto che farsi catturare da Bard o, peggio, di nuovo da Thranduil. 
 
Oppure, motivo ancora più semplice, il problema poteva essere che cose come ‘ragione’ e ‘buon senso’ avevano abbandonato Erebor già da tempo, solo che nessuno tra quelle mura si decideva a dirlo ad alta voce.  
 
Bard dovette rendersene conto, perché non ebbe più nulla da aggiungere. 
 
Con il cuore che sprofondava, Bilbo lo guardò allontanarsi, consapevole che con lui stava andando via la sua ultima speranza di evitare una battaglia. Anche se forse ‘massacro’ sarebbe stato più adeguato come termine, nel loro caso. 
 
“Thorin, cerca di ragionare, non puoi entrare in guerra!” Non riuscì a trattenersi dal dire, una volta che i nani si furono dispersi per tornare ognuno alle proprie faccende. 
 
“Non ti riguarda,” rispose lapidariamente Thorin, scoccandogli un’occhiata sfuggente, prima di voltarsi e scendere dalle mura attraverso la stretta scalinata. 
 
“C’è un’intera armata di elfi là fuori,” insistette Bilbo, deciso a tenergli dietro, nonostante gli fosse evidente che Thorin stesse aumentando il passo di proposito per evitarlo. “E svariate centinaia di pescatori arrabbiati. Siamo, in effetti, meno numerosi”. 
 
“Be’, non per molto ancora,” si arrestò bruscamente Thorin, e finalmente lo guardò in faccia. 
 
“Cosa vuoi dire?” 
 
“Voglio dire,” disse, con il tono di chi fa un’enorme concessione a dare una risposta, cosa che infastidì parecchio lo hobbit, “che non devi mai sottovalutare i nani”. 
 
Bilbo lo guardò per un momento, completamente perplesso, chiedendosi che cosa diamine intendesse dire. Aveva un’arma segreta? Un esercito sotterrato da qualche parte? Un altro drago, ammaestrato questa volta, magari? 
 
Tutte quelle domande dovettero passargli sul volto, perché gli occhi di Thorin si addolcirono inaspettatamente. “Non ti preoccupare di questo. Abbiamo rivendicato Erebor, ora la difenderemo. Saremo perfettamente in grado di farlo, basta avere un pochino di pazienza”. 
 
Gli si avvicinò e gli diede un buffetto sul mento. “Ho una cosa per te, vieni,” disse, lasciandogli un bacio veloce sulle labbra.
 
Bilbo seguì Thorin nelle sue stanze, quelle che avevano cominciato a condividere, ma in cui ancora non si sentiva troppo a suo agio. 
 
“Avrai bisogno di questa,” disse Thorin, prelevando qualcosa che era stato preparato sul letto. 
 
Sembrava una cotta di maglia, ma brillava come argento ed era molto fine, dalla trama fitta e decisamente più piccola di quelle che Bilbo aveva visto nelle armerie.
 
“Indossala,” lo incoraggiò Thorin. “Questa cotta è fatta di acciaio argentato, Mithril, fu chiamata dai miei progenitori. Nessuna lama può trafiggerla,” disse, portandosi alle sue spalle per togliergli la giacca. 
 
Bilbo si lasciò scivolare la cotta sopra la camicia. Era fredda come ghiaccio e rabbrividì. 
 
Di tutti i doni di Thorin, quello era forse il più sbalorditivo. Indossandola si stupì di quanto fosse leggera, quasi fosse fatta di lino. 
 
Bilbo passò un dito sulle gemme incastonate lungo gli orli e sulle perle e i cristalli che adornavano la cinta. (2)
 
“È bellissima, Thorin,” dovette ammettere, prima che un altro pensiero gli balenasse in testa. “Forse anche troppo. Devo sembrare ridicolo”. 
 
Thorin rise alle sue spalle. “Non essere sciocco, ti sta benissimo. È un dono,” gli sussurrò all’orecchio. “Chiamiamolo un segno del mio amore,” disse, voltandogli delicatamente la testa con le dita per attirare le sue labbra. 
 
“Cominciano ad essere tanti questi doni…” mormorò Bilbo, scostando le labbra ancora umide solo quanto bastava per parlare. 
 
Si sorprendeva sempre di quanta dipendenza gli causasse Thorin. Bastava una sua parola dolce, un suo tocco e, per quanto fosse diventato complicato - o sarebbe stato meglio dire tossico? - il loro rapporto negli ultimi tempi, Bilbo si accendeva. Ogni singola carezza che riceveva, ogni bacio, gli davano alla testa. 
 
“Mi piacerebbe anche che cominciassi a portarne qualcuno,” si accigliò Thorin, accennando ai gioielli che Bilbo non osava indossare e che si stavano ammucchiando in un angolo della stanza. “Fai in modo che questa cotta di maglia sia un’eccezione. Ti proteggerà e io voglio essere certo che tu sia al sicuro. Le persone di cui potersi fidare sono difficili da trovare, lo sai?” sussurrò, passandogli il pollice sullo zigomo con una tale adorazione che gli fece sprofondare il petto. “Sono stato cieco, Bilbo, ma ora comincio a vedere: sono stato tradito”. 
 
Il cuore di Bilbo mancò un battito, e fu contento che Thorin non potesse vederlo in faccia, perché era sicuro di essere sbiancato. Dovette decidersi a controllarsi, perché poco dopo Thorin lo costrinse a voltarsi e guardarlo negli occhi. 
 
Il suo umore era cambiato così repentinamente da fare spavento, e la sua espressione era così dura e cupa che Bilbo non ebbe dubbi: lo aveva scoperto. 
 
“Tradito?”
 
“L’Arkengemma. Uno di loro l’ha presa. Uno di loro è un ingannatore”. 
 
Loro. 
 
Bilbo non seppe se sentirsi rincuorato per il fatto che Thorin fosse così clamorosamente fuori strada o se cedere alla vergogna, gettarsi ai suoi piedi, confessare ed implorare il suo perdono, e dire che era lui, era lui, il traditore che cercava; il traditore stava dormendo nel suo stesso letto. 
 
Invece ingoiò verità e senso di colpa. Sentiva di doverlo fare per il bene di Thorin. 
 
“Thorin, l’impresa è compiuta, hai avuto la Montagna, non è sufficiente?” gli domandò, trattenendosi dal chiedergli anche perché lui e il suo amore non gli fossero sufficienti, una volta tanto? 
 
“Tradito dai miei stessi familiari…” Thorin non lo stava ascoltando affatto. 
 
Bilbo si rese conto di averlo perso di nuovo. Avvertì la voglia di distruggere qualcosa per la rabbia e la frustrazione di essere tanto impotente davanti a quella pazzia che glielo stava portando via. Torna da me, fu sul punto di implorarlo. 
 
“Hai fatto una promessa a quelli di Pontelagolungo. Questo tesoro vale veramente più del tuo onore?” Valeva più di una vita serena, solo loro due, insieme? “Anzi, del nostro onore, ero presente anch’io”. 
 
“Sono pensieri molto nobili, Bilbo, ma il tesoro in questa Montagna non appartiene alla gente di Esgaroth,” disse Thorin, cingendolo con le braccia. “È nostro, solo nostro.” 
 
Fece scorrere le dita in basso, fino a raggiungere i suoi fianchi e lo attirò a sé. “Hai la mia parola che non mi staccherò da una singola moneta,” disse, continuando a trattenerlo con una mano e tuffando l’altra tra i suoi riccioli. “Proteggerò con la vita ogni singolo pezzo di esso”.
 
Solo in quel momento una raggelante consapevolezza colpì Bilbo, mentre Thorin lo attirava e lo baciava con la prepotenza a cui si stava suo malgrado abituando: lui era parte del tesoro. 
 
Non sapeva quando il Re Sotto la Montagna aveva cominciato a considerarlo tale, ma ora che ci pensava si sentiva stupido per non esserci arrivato prima. I gioielli con cui lo adornava, la necessità di saperlo al sicuro. Il bisogno ossessivo di rivendicare quanto gli appartenesse, a lui e lui soltanto, quando dormivano insieme. 
 
E questo significava anche che Thorin non sarebbe mai arrivato a dubitare di lui. Gli era troppo devoto. 
 
Ciò che doveva fare, ora, gli era chiaro come il sole. Se c’erano state volte in cui era stato tentato di accontentare Thorin, dandogli tutto ciò che desiderava, ora era sicuro che questo avrebbe significato perderlo definitivamente. 
 
Balin aveva avuto ragione: se Thorin fosse stato in possesso dell’Arkengemma, sarebbe stato completamente fuori controllo; ad attenderlo ci sarebbe stata solo la sorte che era toccata a suo nonno, e Bilbo non poteva dimenticare quanto Thorin fosse stato spaventato in passato da quella prospettiva.
 
Aveva esitato a lungo, ma era arrivato il tempo di fare qualcosa. La salvezza di Thorin poteva dipendere da lui, doveva solo capire come uscire da Erebor e raggiungere Dale. 
 
 
Bilbo era indeciso se rallegrarsi oppure offendersi per quanto era stato facile sgattaiolare non visto fin lassù, sui bastioni. Possibile che, ad eccezione di Thorin, che in quel momento era impegnato a cercare la sua adorata gemma, a nessuno interessasse un accidenti di dove fosse? 
 
Ma forse era meglio così, perché il suo piano non era un granché, in ogni caso: si era procurato una corda e con quella intendeva calarsi giù dalle mura. Sfortunatamente per lui, il tempo quel giorno non era migliorato. Aveva cominciato a soffiare un vento gelido da est, portando con sé il primo vero freddo invernale sulla vallata, e quello avrebbe reso più complicata la discesa. 
 
Tirò un’occhiata verso il basso, maledicendo le proprie dannate vertigini ed esaminò, come meglio poteva al buio, la fune da cui sarebbe penzolata la sua vita. 
 
“Dovresti stare dentro, lontano dal vento.” La voce di Bofur alle sue spalle per poco non lo uccise di crepacuore. 
 
“Avevo bisogno di un po’ d’aria,” disse Bilbo, portandosi una mano al petto. 
 
“Scusa, non volevo spaventarti,” rise il nano. Ma il sorriso di Bofur si spense velocemente, quando notò quello che Bilbo cercava di nascondere goffamente dietro la schiena. 
 
“C’è ancora puzza di drago,” fece lo hobbit, mentre la corda gli scivolava inesorabilmente dalle dita e Bofur seguiva il movimento con gli occhi, scoraggiando ogni speranza di Bilbo che non l’avesse notata. 
 
Discrezione, era tutt’altra cosa, se ne rendeva conto. 
 
Bofur avrebbe denunciato le sue attività sospette? Aveva forse capito che tramava qualcosa? In quel caso sarebbe finita, Thorin lo avrebbe ucciso con le sue mani, una volta scoperto il suo piccolo segreto. 
 
Dopo un lungo momento di perplessità Bofur si raddrizzò; distolse gli occhi da Bilbo, e si mise a fissare un punto fisso all’orizzonte: “Gli elfi hanno piazzato i loro arcieri in posizione, entro domani sera ci sarà la fine della battaglia. Dubito che vivremo per vederla”. 
 
Bilbo, sull’attenti, si chiese dove voleva andare a parare il nano con quel discorso. “Questi sono giorni oscuri,” commentò, distratto. 
 
“Giorni oscuri, davvero”. Bofur puntò gli occhi acuti dritti nei suoi. “Nessuno potrebbe biasimare chi vorrebbe trovarsi altrove”.
 
A quel punto, Bilbo comprese: Bofur era arrivato alla conclusione che lui se la stesse dando a gambe; che fosse un vigliacco con l’intenzione di scappare dalla battaglia imminente. In effetti, non avrebbe avuto motivo di pensare ad altro, men che meno all’Arkengemma che portava in tasca. 
 
Un sentimento inaspettato, buffo, si fece strada in lui, e non era di sollievo che si trattava. Era questo ciò che pensava di lui Bofur, dopo tutto ciò che avevano passato, dopo tutto ciò che Bilbo aveva fatto? Era ancora solo un povero hobbit fifone agli occhi dei nani? 
 
Provò una profonda delusione, che nemmeno la tristezza che vedeva in faccia all’amico riuscì a mitigare. Non si era reso conto di tenere così tanto all’opinione che i nani avevano di lui. 
La cosa lo ferì al punto che fu sul punto rivelare tutti i suoi segreti, lì, su due piedi, perché non era affatto giusto.
 
Tuttavia, forse passare per un disertore in quel momento era preferibile alla verità. Per quanto questo facesse male al suo orgoglio, era il momento di metterlo da parte, per il bene di tutti. 
 
“È quasi ora. Bombur ha il prossimo turno di guardia. Ci vorrà un po’ per svegliarlo,” continuò il nano, facendo per andarsene. 
 
Se non altro, codardo, traditore, o nessuna delle due, Bofur sembrava aver deciso di aiutarlo senza fare domande. 
 
“Bofur,” lo chiamò un’ultima volta Bilbo, “ci vediamo domattina,” promise. 
 
Bofur piegò le labbra alla ricerca di un sorriso che non gli riuscì troppo bene. “Addio, Bilbo”.  
 
 
Non appena Bilbo si era ritrovato al sicuro, con i piedi ben piantati sulla terra ferma, si era reso conto di aver trascurato un dettaglio non di poco conto nel suo lacunoso, pessimo, piano. La notte era buia, e lui non si era portato nulla per illuminare il sentiero che lo avrebbe portato a Dale. 
 
Fu per pura fortuna che riuscì ad arrivare al fiume che sapeva di dover attraversare - e facendolo scivolò sulle pietre ricoperte di muschio e si guadagnò un bel bagno nell’acqua gelata, che per fortuna almeno era bassa in quel punto. 
 
Quando arrivò in vista delle luci dell’accampamento, tremava come una foglia e si malediceva per le sue pessime idee e la sua totale mancanza di organizzazione, che non era mai stata una cosa da lui.
 
Nonostante l’ora tarda, Dale era  
in fermento, in previsione della battaglia che sarebbe cominciata da lì a poche ore. Nel via vai generale nessuno fece caso ad un piccolo hobbit. 
 
Se non altro, le sue doti da scassinatore erano molto migliorate; riuscì a sgusciare senza farsi vedere fino alla tenda che immaginava potesse essere quella di Thranduil - essendo la più grande e la più maestosa -, e lo fece senza dover ricorrere al suo prezioso anello. 
 
Era fermo davanti all’ingresso, chiedendosi cosa dovesse fare, come era più opportuno annunciarsi, quando una voce familiare proveniente dall’interno risollevò di molto il suo morale: Gandalf! 
 
Ora che Gandalf era lì si sarebbe sistemato tutto. Per poco non pianse per la gioia. 
 
Fu sul punto di correre a salutarlo, ma le sue orecchie registrarono il tono arrabbiato dello stregone, cosa che lo indusse a fermarsi un momento per capire cosa stesse dicendo. 
 
Anche la sgradevole abitudine di origliare non era mai stata una cosa da lui, ma negli ultimi mesi era stato costretto spesso a farlo. Sembrava essere l’unico modo per sapere tutte quelle cose che chiunque gli nascondeva. 
 
“Da quando il mio consiglio conta così poco?” stava bofonchiando Gandalf, stizzito. “Cosa credi che io cerchi di fare?”
 
“Credo che tu cerchi di salvare i tuoi amici nani,” ribatté la voce strascicata di Thranduil. “Ammiro la tua lealtà verso di loro, ma questo non mi dissuade dal mio percorso. Tu hai dato inizio alla cosa, Mithrandir, mi perdonerai se la finisco io”. 
 
Il suo percorso
 
Bilbo capì subito, e la cosa non lo sorprese affatto, che Thranduil si era presentato con un esercito a prescindere. Aspettava solo che Thorin gli offrisse un pretesto per dargli battaglia, e il nano non si era fatto pregare di fornirglielo su un piatto d’argento; prevedibile, se si conosceva almeno un pochino Thorin. 
 
Gandalf sbuffò sonoramente: “E tu, Arciere, sei d’accordo su questa cosa? L’oro è così importante per te, lo compreresti con il sangue dei nani?”
 
“Non si arriverà a questo. È una battaglia che non possono vincere,” disse Bard. 
 
“Ma questo non li fermerà,” si sentì in dovere di intervenire Bilbo. “Pensate che i nani si arrenderanno? Combatteranno fino alla morte per difendere ciò che è loro”. Si sorprese a dirlo con orgoglio. E tanta paura, perché era certo di dire il vero. 
 
“Bilbo Baggins!” esclamò Gandalf. 
 
“Se non vado errato, costui è il mezz’uomo che ha rubato le chiavi delle mie segrete sotto al naso delle mie guardie”. Thranduil si drizzò sul suo scranno. 
 
“Sì,” confessò Bilbo, perdendo tutta la sua audacia. “Mi dispiace”.  
 
Bard rise di gusto alle sue spalle, e la cosa non aiutò affatto, perché Thranduil si infastidì ulteriormente. Gli lanciò un’occhiataccia che lo avrebbe incenerito se ne avesse avuto il potere. 
 
“Sono venuto a darvi questo,” proseguì Bilbo, rivolgendosi in realtà a Gandalf, per farsi coraggio. 
 
“Il Cuore della Montagna,” mormorò Thranduil con reverenza, e il tiro mancino che gli aveva giocato Bilbo venne dimenticato all’istante, almeno per il momento. “Il gioiello del Re”. 
 
“E vale il riscatto di un Re,” disse Bard con espressione stupita. “Come mai è tuo diritto donarlo?”
 
“È la mia quattordicesima parte del tesoro,” spiegò Bilbo. 
 
Era quello che continuava a ripetersi da quando l’aveva trovata. La gemma era la parte che gli spettava, per i suoi servigi, come da contratto. Non avrebbe chiesto altro a Thorin. 
Era pur sempre uno hobbit onesto, e ci teneva a rimanere tale. 
 
“Perché questo gesto? Non ci devi alcuna lealtà”. 
 
“Non lo sto facendo per voi,” spiegò Bilbo. “So che i nani possono essere ostinati, e capoccioni, e difficili. Sono sospettosi e riservati. Hanno le maniere peggiori che si possa immaginare,” si scambiò un’occhiatina d’intesa con Gandalf, il quale sorrise di rimando. “Ma sono anche coraggiosi e gentili. Leali fin troppo. Mi sono affezionato a loro, e vorrei salvarli, se posso. 
“Thorin tiene a questa pietra più che a qualsiasi altra, in cambio della sua restituzione io credo che vi darà quello che vi spetta, non ci sarà alcun bisogno di una guerra”.
 
Mentre lo diceva ad alta voce per la prima volta, si augurò che fosse così, perché non sarebbe finita bene se non avesse funzionato, e lui non aveva un piano di riserva. 
 
Gandalf gli si avvicinò e gli poggiò le mani sulle spalle. Gli sorrise con affetto e Bilbo per un momento si aspettò che gli avrebbe detto che era stato bravo, coraggioso e che aveva fatto la cosa giusta. Ma ciò che disse, invece, lo spiazzò: “Riposa questa notte, devi partire domani”. 
 
“Come?”
 
“Allontanati da qui il più possibile”. 
 
“Ma…” a quel punto era veramente confuso. “Io non me ne vado!” Era scandaloso che Gandalf pensasse di poterlo congedare in quel modo. Dopotutto era stato proprio lui a trascinarlo in un’avventura indesiderata, non poteva di certo permettersi di disporre di lui a suo piacimento! 
 
“No?” Gandalf sgranò gli occhi chiari e le sue folte sopracciglia grigie si alzarono in un modo che in altre circostanze avrebbe fatto sorridere Bilbo. 
 
“Mi hai scelto come quattordicesimo uomo, non voglio lasciare la Compagnia!”
 
“Non c’è alcuna Compagnia,” lo stregone cominciò a spazientirsi. “Almeno, non più. E chissà cosa farà Thorin quando saprà del tuo operato”. 
 
Forse finalmente stavano arrivando al punto. 
 
“Io non ho paura di Thorin,” ribatté Bilbo con fermezza. 
 
Certo, Thorin era stato un pochino fuori di testa negli ultimi tempi, lunatico oltre ogni dire, ma lo amava e aveva giurato di proteggerlo, sempre; doveva pur significare qualcosa. 
 
“Dovresti averne invece!” scattò Gandalf. “Non sottovalutare la malvagità dell’oro. Oro su cui un serpente ha ruminato a lungo. La malattia del Drago si infiltra nel cuore di chiunque si avvicini alla Montagna! Be’... quasi chiunque”.
 
“Sei una brava persona, Bilbo Baggins, scappa finché sei in tempo,” intervenne anche Bard. 
 
“Io non vado da nessuna parte,” precisò Bilbo. 
 
Il suo posto era lì, vicino a Thorin, perché nessuno voleva capirlo? 
 
Aveva dovuto mentirgli, e sì, probabilmente all’inizio di sarebbe arrabbiato con lui per averlo fatto, ma era certo che poi avrebbe capito, che lo avrebbe perdonato. Lo aveva fatto per il suo bene, anche Thorin sarebbe arrivato a questa conclusione, ragionandoci.
 
Bilbo sarebbe stato disposto a fare questo e altro per tirarlo fuori da quella situazione, per aiutarlo a sconfiggere la malattia che gli stava consumando la mente, giorno dopo giorno. Poteva scusare Gandalf solo perché non aveva visto con i suoi occhi come ogni minuto che passava un pezzo di Thorin svaniva. 
 
No, non sarebbe scappato, non lo avrebbe abbandonato, e se Thorin avesse deciso di non rivolgergli mai più la parola, Bilbo sarebbe stato disposto a pagare anche quel prezzo. 
 
Qualsiasi prezzo. 

 
 
  1. “Bombur avrebbe dormito (riusciva ad addormentarsi in qualsiasi momento, e dopo l’avventura nella foresta cercava sempre di riacchiappare i magnifici sogni che aveva fatto allora); [...]” Lo Hobbit, Cap. 16 - Un ladro nella notte. (su)
  2. Viene descritta più o meno così ne “Il Signore degli Anelli”, quando Bilbo la dona a Frodo. (su) 
 
   
 
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