Perché l’ho fatto?
Questa storia partecipa alla challenge #MayIwrite del gruppo Facebook Non solo Sherlock – gruppo eventi multifandom
Prompt: Dio – Ma perché l’ho fatto?
Il Soldato d’inverno vagava per la città, confuso.
Nella sua lunga vita aveva sempre e solo ricevuto ordini, era soltanto un’arma letale senza anima, l’unica cosa cui gli era concesso pensare erano gli obiettivi delle sue missioni. Invece quella volta aveva disobbedito. Ma tanto ormai che importanza aveva? L’Hydra era uscita allo scoperto ed era stata sconfitta.
Eppure, non riusciva a togliersi dalla testa quello che era successo.
Quel ragazzo biondo che doveva uccidere, Steve, lo aveva turbato nel profondo. Da quando si erano incontrati la prima volta, era come se antichi ricordi lontani, ma non del tutto scomparsi, lottassero con forza per riemergere nella sua memoria. Eppure, lui era certo di non conoscerlo! Come di non conoscere quel Bucky di cui andava farneticando!
Nonostante questo, dopo l’ultimo scontro avuto sull’helicarrier, il Soldato d’Inverno lo aveva salvato da morte praticamente certa.
“Ma perché l’ho fatto? In fondo era solo una missione…” continuava a chiedersi quasi ossessivamente mentre l’immagine di Steve, che si arrendeva ai suoi attacchi ma continuava a chiamarlo Bucky supplicandolo di tornare in sé e ricordare, lo tormentava.
All’improvviso un capogiro gli fece tremare le ginocchia tanto che dovette appoggiarsi a un muro per non cadere.
Una missione in mezzo alla neve, uno scontro su un treno, l’aria gelida dell’inverno che gli sferzava il viso mentre un oscuro crepaccio si apriva sotto i suoi piedi, inghiottendolo, poi il sempre più lontano urlo di Steve “Bucky! Nooo…”
Il ricordo tornò nitido nella sua memoria, ma continuava a non capire. Provò a sforzarsi, ma non riuscì a ricordare altro. Con un urlo di frustrazione diede un pugno al muro con la mano metallica, provocando una crepa.
Con il respiro ancora un pochino affannato riprese a camminare senza meta. Che diamine avrebbe dovuto fare in quel momento?
Quando il sole cominciò a calare si fermò guardandosi intorno. Non sapeva perché, eppure la chiesetta che trovò nella piazza dove era arrivato per caso lo attirava.
In silenzio, scivolò al suo interno e si sedette su una panca in fondo.
Due bambini, uno biondo e uno castano, seduti vicini sulla panca di una chiesa, si scambiarono uno sguardo e ridacchiarono all’indirizzo del vecchio prete che stava celebrando. La mamma diede un piccolo scappellotto al bambino castano intimandogli di smetterla. Lui fece una finta faccia contrita per poi rivolgere un sorrisetto all’amico.
“Steve...” Quel nome sussurrato lasciò le sue labbra senza quasi che se ne rendesse conto.
Il Soldato si prese la testa tra le mani, cercando di concentrarsi più che poteva, ma nessun altro ricordo tornò alla sua mente. Soltanto un miscuglio di emozioni contrastanti che, forse per la prima volta da quando ne aveva memoria, lo fecero sentire vivo, che gli diedero la certezza di avere anche lui un’anima, di non essere soltanto un guscio vuoto con lo scopo di uccidere.
Una lacrima solitaria scese lungo la sua guancia.
“Dio, se esisti da qualche parte, perdona tutto il male che ho provocato e aiutami a ritrovare la strada! Dimmi che anche per me c’è ancora speranza...”
Il rumore di una porta che si apriva in lontananza lo fece scattare in piedi e scappare via da quel luogo, come se fosse un animale selvatico braccato.
Quando si ritrovò di nuovo sulla piazza era ormai buio e i lampioni erano accesi. Un improvviso venticello si alzò, smuovendo alcune cartacce sul marciapiede e facendogli volare addosso un volantino.
Stava per appallottolarlo e gettarlo via, quando l’immagine di Capitan America che vi era stampata attirò la sua attenzione. Il volantino pubblicizzava la mostra a lui dedicata che era da poco stata aperta allo Smithsonian.
Il Soldato d’inverno in quel momento seppe esattamente dove andare se voleva davvero capire quello che gli stava succedendo.
Chissà, forse le sue preghiere erano state ascoltate.