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Autore: LeanhaunSidhe    20/09/2009    5 recensioni
"I morti non cercano qualcuno che li vendichi, ma che li ricordi" Con questa frase si dice che una semplice donna riuscì a entrare nel cuore di Death Mask
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cancer DeathMask, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Ballata dei finti immortali'
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Suo fratello aveva un occhio azzurro e uno verde. Per questo gli avevano dato il nome del grande condottiero macedone.

Alexandros amava oltremodo sua sorella. Per lei, aveva scelto il soprannome di un fiore. Diceva che i suoi capelli erano i petali, gli iridi di smeraldo le foglie, il suo sorriso, che si dischiudeva raramente, aveva la freschezza dei boccioli carichi di rugiada.

A questo ripensava la straniera, mentre lavava il basamento di una statua posta all’ingresso del campo femminile.

Avevano provato a darle diverse mansioni. Per nessuna si era tirata indietro. Si vedeva che era abituata a lavorare.

Avevano anche tentato ad instaurare un rapporto, ma lei non parlava, camminava tra le persone senza curarsi di nessuno. Ormai, nessuno notava il colore dei capelli o la carnagione troppo chiara. Il suo ostinato silenzio la rendeva quasi invisibile.

Delle allieve passarono alle sue spalle, rincorrendosi. Due sacerdotesse dalla maschera d’avorio la oltrepassarono lanciando una rapida occhiata.

Lei continuava a spostare la spazzola avanti e indietro, sul marmo lucente. Su quel lastrone, ci si poteva specchiare.

Si sedette un secondo a terra a gambe incrociate, per riprendere fiato. Riavviò dietro l’orecchio una ciocca sudata.

Aveva il fiatone. Con la fatica, il suo corpo le ricordava che era viva, ma l’anima era rimasta altrove.

Il suono del suo respiro copriva le urla della gente del suo villaggio, che le rimbombavano nella testa. Con un po’ di fortuna, avrebbe smesso pure di vedere Alexandros che la seguiva ovunque, preoccupato. Quell’immagine era solo frutto della sua mente.

Suo fratello, quello vero, era rimasto tra le macerie della loro casa: quando li aveva visti fuggire, il pazzo che aveva distrutto tutto, aveva lanciato un’onda d’urto.

Alexandros, che correva al suo fianco, aveva capito che non che non sarebbero riusciti a fuggire. L’aveva abbracciata, premendole forte la testa contro la propria spalla. Le aveva ripetuto che non l’avrebbe mai lasciata sola.

Al nemico diede la schiena. Poco dopo il vento li avvolse, la terra mancò da sotto i loro piedi. Ci fu un tremendo boato. Poi l’impatto col terreno, duro, impietoso, che non si curava dello scricciolare delle loro ossa.

Prima di svenire, la straniera aveva sentito un liquido caldo bagnarle il ventre.

Dopo qualche ora l’aveva svegliata il freddo. L'aveva sentito addosso, su tutto il corpo, come un peso che le impediva di muoversi. Infatti era bloccata. Nell’istante in cui aprì gli occhi e capì, iniziò a urlare.Con tutto il fiato che aveva nei polmoni.

Si allontanò da qualche metro da dove era, mise a fuoco l’orrore che si trovava attorno e riprese a urlare.

Vide il sangue sulla propria veste: quello di suo fratello. Alexandros era nella posa in cui la morte l’aveva colto, nel disperato tentativo di proteggerla, con gli occhi sbarrati, un rivolo di sangue che colava dalle labbra delicate.

Lei negò col capo. Volle svegliarsi. Attorno a lei c’erano corpi, fumo e rovine. Era sola.

Avrebbe voluto portare via Alexandros, o almeno salutarlo, ma non vi riuscì. Gli occhi gelidi di quel morto non erano quelli di suo fratello, che brillavano come braci di cometa. Quello non era lui.

Iniziò a correre per uscire dal villaggio, poi il sentiero, la strada, il Santuario. Corse fin quando le gambe la ressero, per ore, per arrivare ad Atene.

Si chiese perché l’istinto l’avesse condotta la, dopotutto, mentre raccoglieva da terra il secchio e la spugna. L’abitudine o un’illusione, forse.

Da quell’incubo Atena non l’avrebbe svegliata e l’ombra che la seguiva ne era la prova. Avrebbe dovuto chiudergli gli occhi prima di scappare, ma non vi riuscì. Non ne ebbe la forza.

Scacciò via una lacrima solitaria, la prima dopo tanto. Neppure piangere le dava sollievo. Così riprese a lavare, per cercare di non esistere. Neppure la morte le avrebbe strappato dall’anima un dolore così grande.

Cancer l’aveva stranamente incontrata ogni giorno, per qualche attimo solamente. Caso, o forse il desiderio di capire. Perché lei aveva la stessa espressione di certe maschere nel suo Tempio, composte e perfette in mezzo alle altre che si contorcevano. Ma quelle maschere erano immobili.

Quella strana creatura, invece, respirava. Non gli riusciva di chiamarla “donna”. Tali, per lui, erano quelle che si portava a letto o sistemavano le sue cose.Lei cos’era? Da viva, aveva l’espressione de morti.

Quel giorno aveva tempo e volle osservarla più a lungo. Si sistemò sul bordo di una fontana, a pochi metri dalla statua che lei lucidava.

Probabilmente assunse uno sguardo lascivo perché un soldato, passando, lo squadrò strano.

Alla straniera la sua presenza non faceva nè caldo nè freddo, come quella di chiunque altro. Lei strofinava il marmo e basta.

All’improvviso, però, cambiò qualcosa mentre si era fermata a riprendere fiato. Accanto a lei tremolava una figura evanescente, invisibile a ogni altro. Cancer realizzò che era uno spirito, un ragazzo.

La straniera aveva alzato il viso nella sua direzione. Aveva stropicciato gli occhi, da cui scendeva chiara una lacrima, cancellata in modo deciso e fugace. Raccolse secchio e spugna e passò attraverso allo spirito come se nulla fosse, per andarsene.

Dopo un istante di umanità era tornata un automa. Eppure, ne era certo, lei lo vedeva charamente. Il cavaliere si mosse tra i passanti, che si scansarono rispettosi al suo passaggio, la raggiunse.

L’agguantò per il braccio. La costrinse a voltarsi, mentre un bambino scappava spaventato dall’irruenza del suo gesto.

La fissò per lunghi secondi. Trovò che avesse qualcosa di innaturale, come le rose di Aphrodite, belle, ma che non appartengono del tutto a questo mondo.

Fu ricambiato senza paura: lei era inconsapevole di chi avesse innanzi e le leggeva nella mente.

Cancer vide l’intensità del legame fraterno, ma c’era altro.

“Perchè ignori così Alexandros?”

Lei inarcò appena le labbra. Posò a terra ciò che aveva in mano senza staccargli gli occhi di dosso.

Era la prima volta, da quando si trovava al Santuario, che si interessava a una persona. Era già qualcosa.

Stranamente, il cavaliere non si spazientì.

“Mi stai dicendo che lui esiste fuori dalla mia mente?Chi sei tu, che puoi vederlo?”

Era sincera e fu lasciata libera. Death Mask spiegò di essere cavaliere, indicò quale.

La straniera aveva udito della sua sinistra fama. Non aveva paura.

Era un piccolo miracolo che fosse uscita dal suo mondo e lo studiasse con stupore, come un bambino che vede per la prima volta qualcosa di magico e meraviglioso, che terrà sempre come il suo più intimo tesoro.

“Come ti chiami?”

Le chiese lui a un certo punto.

La vide arrossire. Forse non era così eterea, ma certo non meno bella delle rose che crescevano nel giardino della dodicesima casa.

“Mnemosine, signore”

La sua voce era sottile come il vento che attraversa i petali di un fiore, che passa tra le sue spine, trascina via un arcano profumo e si perde nel ricordo. Troppo leggera per essere reale e resistere al calore del sole di Grecia.

“Con tuo fratello, che pensi di fare?”

La straniera ci pensò.

“Non lo so”

Davvero non lo sapeva. Cancer però aveva visto il loro dolore.

“Sei l’ultima rimasta. E’ tuo dovere vendicarlo!”

Lo ruggì con un tono solenne.

“Non sono un cavaliere, signore”

La strattonò di nuovo per il braccio. L’attirò a sè.

“Dopo tutto quello che hai passato, come puoi dirlo?Per quale motivo credi che tuo fratello sia ancora accanto a te?”

Sentiva il cuore della fanciulla battere veloce, nonostante il pallore dell’incarnato. Lasciò che si voltasse verso il fratello per cercare la sua risposta.

Sentì parole che subito non avrebbe compreso.

“La vendetta non mi restituirà Alexandros e questo lui lo sa”

Vedeva chiaramente suo fratello assumere più potere, la sua immagine diventare più piena, segno che approvava sua sorella.

“I morti non cercano qualcuno che li vendichi, ma che li ricordi”

Alexandos sorrise. Sparì il sangue dal suo corpo. Cancer la lasciò andare, basito. Semplicemente non capiva.

Per lui, quel ragazzo era scemo pure da vivo.Eppure in cuor suo qualcosa non gli tornava. Mnemosine aveva molto da sistemare ancora. La allontanò da sè con un gesto deciso, tanto da farla vacillare.

“Allora perchè sei ancora così disperata?Le tue parole dicono una cosa, il tuo cuore dimostra altro.”

Aveva fatto centro, perchè la ragazza raccolse timida le proprie cose per poi andarsene.

Il fatto strano, però, fu che Alexandros, invece si seguirla, restò al fianco di Deah Mask.

Gli indicò un punto preciso, una persona coperta da un cappuccio.

Non appena si accorse di cessere osservata, la persona in questione girò i tacchi.

Era uno dei tanti mendicanti con la gobba e coperti di stracci.

Il cavaliere ne distinse solo una ciocca di capelli, sfuggiti alla copertura del cappuccio. Erano rossi come il sangue, identici a quelli di Mnemosine, ma oltre a quello, era qualcuno di completamente innocuo, ne era certo.

Fece per chiedere allo spirito del ragazzo, ma questo sparì.

Tornò a guardare verso il mendicante, ma non c’era più neppure quello.

Alzò le spalle e riprese la strada per la quarta casa. Se era qualcosa di strano, di sicuro per gli uomini non importava.

Della protagonista, che dire...è un personaggio che vorrei svelare poco a poco e spero tanto non risulti una mary sue, cancer, in questo capitolo forse l'ho un pò trascurato,rimedierò nel prossimo. L'importante è che non mi diventi troppo OOC o perlomeno palloso. Poi ringrazio chi ha recensito perchè mi da lo spunto per migliorare, chi legge, sperando che almeno un pò si diverta come faccio io mentre scrivo...per il resto, fatemi sapere che ne pensate, magari riesco a limare più danni possibile nel corso della storia. Grazie. Baci alla prox

   
 
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