GOCCE DI FIELE E VELENO
Premessa: questa storia è piuttosto particolare
e fortemente occ. Il protagonista è molto diverso dall’originale, potreste
trovarlo addirittura irriconoscibile nei pensieri e nelle azioni. È un Andrè
disilluso, sfiduciato, disperato anche, che non crede più, non spera più. Ho
scritto questa storia in un momento un po’ negativo e ho immaginato un momento
simile anche per il nostro eroe. Forse non vi piacerà e lo capisco, ma in fondo
è una possibilità, un momento di profonda debolezza che potrebbe aver avuto.
Come sempre, lascio a voi l’ultima parola e non abbiate timore di dirmi che ne
pensate.
Ringrazio
Nisi e Audreyny che hanno letto la storia in anteprima ed espresso con
sincerità le loro opinioni.
**********
Si può mettere a
tacere il cuore? Smettere di amare, come amo io?
Si può non soffrire
per un amore che consuma l’anima, che toglie il sonno e non concede speranze?
Dal racconto “Sulla
spiaggia”
*****
La bonne nuit.
Un posto più malsano
di questo non potevamo sceglierlo; lezzo di sudore, sego di candele e
un’umanità umiliata dalla fatica.
Ho finito anche
l’ultimo bicchiere.
Liquore che mi
scalda le viscere con cui tento di sciogliere il ghiaccio bollente che
attanaglia il mio petto. Ha un sapore come di veleno che scende nell’anima;
sono le lacrime che non ho mai versato per quest’amore non corrisposto che
corrode il cuore.
Un cuore troppo
logorato, che quasi soffoca avviluppato dalle spire di un sentimento che non lo
fa volare. Come un cancro maligno che mi ucciderà alla fine.
Ma io devo trovare
il modo di salvarmi; perché questo amore mi è nemico.
Non volevo venire
qui stasera, ma è sempre lei a dare gli ordini. Comanda lei, dirige la mia
esistenza che non ha pace.
“Portami in un
locale dove si beve.” Mi dice e io obbedisco come sempre.
Non so fare altro
che obbedire, ormai.
Cerco parole per
tranquillizzarla, ma non è esattamente quello che vorrei dirle.
Non ti devi preoccupare… lui tornerà sicuramente…
In certi momenti vorrei
urlare, disobbedire. Vorrei sputare parole dure per ferirla, una volta.
Sono così cattivo
che vorrei spezzare le sue speranze e non esserle di conforto, come al solito.
Invece resto qui, in
questo locale che sa di muffa, seduto a questo tavolaccio di legno scuro con la
mia maligna speranza nel cuore che non le confesserò. Ormai non serve e non
importa più.
Lei deve solo
continuare a credermi il suo servo fedele. Ma non sono mai stato più infedele
di adesso. Da dove viene questa rabbia sorda che trattengo a stento e vorrei
sfogare su di lei?
Mi sento quasi
soffocare mentre la guardo tracannare l’ennesimo bicchiere; lei crede che serva
a dimenticare.
È più ubriaca di me,
ma regge ancora abbastanza da essere in grado di reagire ad una provocazione, e
dopo una scazzottata, uscire da qui con le sue gambe e rimontare a cavallo.
Non vorrei seguirla,
ma rientrare lì dentro, annegarmi di solitudine; troverei sicuramente qualcuno
disposto a consolarsi con me. Invece la seguo controvoglia.
È inutile che io le
dica che saprà farsi solo altro male.
Tanto ci sono sempre
io che l’aiuto a rialzarsi in piedi.
Non l’aiuterò questa
volta, non ne ho voglia. Non ne ho più voglia.
Non te lo
meriti. Arrangiati, tanto tu non hai
bisogno di me.
Fuori ci accoglie
una notte senza stelle. Tenebre senza luce, come me.
L’oscurità completa
ci avvolge e ci accompagna dalla città attraverso la campagna silenziosa.
Solo qualche grillo
ogni tanto frinisce.
L’attraverso come ho
già fatto molte volte in passato, lei davanti a me e io dietro come un cane
fedele, ma ora c’è qualcosa di diverso in me. Dev’essere questo furore che mi
invade.
Gocce di fiele e
veleno mi hanno inquinato il sangue e i pensieri.
Io mi sento uguale a
questa notte. Io sono tenebre senza luce.
Avverto poco
distante da me la sua presenza famigliare, avverto i movimenti del suo cavallo.
I piccoli rumori attorno a noi. La distinguo appena sotto un raggio di luna che
filtra tra le nubi nere. Un attimo e poi sparisce di nuovo inghiottita dal
buio.
Ma cosa faccio
ancora qui? Che senso ha la mia esistenza di ombra che cammina al suo fianco?
Sono un’ombra di
uomo.
Un baleno, potrei
girare il mio cavallo in direzione contraria e andarmene per sempre.
Penso che potrei
farlo davvero. Chi me lo impedisce?
Lei?
L’idea quasi mi
eccita. Mi tenta.
La libertà mi eccita
o mi ecciterebbe se potessi goderne.
E lei? Si
sorprenderebbe e magari mi chiamerebbe e io non le risponderei.
Lasciarla per
sempre… non tornare mai più indietro. Andare lontano, quel tanto che basta a
smarrire la strada del ritorno. Scacciare il suo ricordo. Perdersi nel mondo e
finalmente, dimenticarla.
Sarebbe così
semplice.
Forse sarei anche
felice. Perché ora non lo sono affatto.
E sono stufo di
sentirmi così, sfinito da questa attesa inutile che è come una condanna a non
vivere pienamente.
Perché
vivo a metà per colpa sua. Vivo nella paura di non essere amato, di essere
lasciato solo, senza accorgermi che lo sono già. Sono solo da sempre. Troppo
distante da lei.
Sono
troppo stanco per sperare in qualcosa di diverso dalla sua indifferenza, stanco
di nutrire sogni e desideri che sono come fossili impressi su un cuore che
sembra di pietra.
Quante mute
preghiere ho rivolto a questo manto nero che mi sovrasta; inascoltate, si
perdevano in esso come risucchiati da una voragine che nulla restituiva. Lei è
come questa notte, lei è vuoto nero, oscurità che copre tutto, che non soddisfa
speranze, ma le annulla.
Lei, il mio cancro
maligno.
Ora io mi sento come
questa notte, sono spento come se la fiamma che ardeva nel mio cuore si fosse
estinta.
In realtà sono
stanco di alimentarla; lei pretende, pretende e basta, senza dare nulla in
cambio.
Ho sempre e solo
dato e lei ha sempre preso; come un vampiro si è presa il mio sangue, il cuore,
il pensiero fino a sfibrare la mia mente. E se la lascio fare, continuerà a
farlo fino in fondo, totalmente, finché mi avrà rubato quella poca volontà che
mi resta.
Spegnere il cuore.
Ecco quello che devo fare.
Vorrei essere vuoto
da non poterle dare più niente; ho deciso di strapparmi questa gramigna dal
petto. È una pianta soffocante e io voglio tornare a respirare, liberarmi della
mia ossessione. Stasera il mio sentimento si trasforma; da bellissimo fiore che
era, è diventato una pianta carnivora che mi divora da dentro.
Tu mi divori dentro.
Perché è inutile
amare così, perché non posso amare così. Non si può amare il proprio nemico.
Non posso e non
voglio.
Non più.
Perché amare come ho
amato io, uccide e basta.
Toglie il sonno e il
senno, intorpidisce i sensi e il cuore rallenta, quasi fino a spegnersi.
Ma non lascerò che
sia lei il mio carnefice.
Sarò io a uccidere
il mio sentimento, prima che lei possa fare cenere della mia anima.
Voglio spegnere
questo cuore. Ora, in questo preciso istante.
Come si spegne un
lumicino.
Che smetta di
battere per lei, finalmente, e batta solo per me, perché sono egoista; voglio
un’emozione che sia vera, autentica, che sia solo mia e lei non possa carpire.
Voglio tutto quello
che lei non mi ha mai dato.
Che non mi darà mai.
Basta con le utopie.
Far tacere il cuore
per riprendermi ciò che mi appartiene, la mia vita.
Te l’ho data, ma tu
non la meriti.
Posso decidere così
repentinamente di smettere di amare in un solo istante?
È così che accade?
Improvvisamente non si sente più nulla e si diventa insensibili?
Bastasse solo
pensarlo per farlo diventare qualcosa di reale.
Sembra facile;
formulare un pensiero per la prima volta. Lasciare che mi sorprenda e mi sembra
quasi di sentirmi più leggero.
Io non ti amo più
perché tutto l’amore che avevo si è dissolto come la spuma del mare sulla
sabbia, come la bruma della nebbia su un orizzonte incerto che si fa sempre più
lontano.
Potrei credere che
sia vero. Forse era una malattia che finalmente ho sconfitto.
Posso negare questo
sentimento insano, voglio tagliare questo cordone che mi lega e non mi lascia
libero.
Quante donne ci sono
a questo mondo?
Lei per troppo tempo
è stata l’unica; l’unica amica, confidente, complice, sorella.
L’unica che abbia
voluto come uno stupido.
L’unica che non
posso raggiungere, che non avrò mai probabilmente.
La sola che non mi
vede eppure mi conosce molto bene.
Quante potrebbero
essere come lei?
Nessuna.
Ma lei non vede niente
e io la sua indifferenza non la merito e sono stufo di subirla.
Non la sopporto più.
Ho aspettato troppo
che lei mi vedesse per ciò che sono e che ho dentro.
Perché devo
rinunciare ai comuni desideri di un uomo? Lei non può pretendere il mio
sacrificio come io non posso pretendere nulla da lei. Ma io non voglio cercarla
in un’altra.
Ho voglia di un po’
di tenerezza, di passione o solo di sesso per una volta.
Di carne morbida e
dolce e labbra vermiglie da baciare.
Quella ragazza della
locanda, ho visto come mi ha guardato; mi invitava con lo sguardo.
Se mi fossi alzato
dal tavolo per raggiungerla lei non se ne sarebbe neanche accorta.
Potevo lasciarla lì
da sola, ad annegarsi nel suo maledetto dolore mentre io tentavo di placare il
mio.
Mentre lei si ubriacava
di vino scadente, io mi sarei ubriacato di amore fittizio, ma avrei avuto il
piacere che a lei manca e sarei stato meglio e ora tornerei a casa con i sensi
leggeri, l’animo tranquillo e il corpo appagato finalmente.
Ti fa male? Ti fanno
male le ferite del corpo?
Non sono niente in
confronto a quelle dell’anima e lì restano cicatrici che non guariscono mai,
suppurano e vanno in cancrena facendo marcire anche l’ultima debole speranza
che ti rimane.
È così che l’amore
si è trasformato in astio acido come le lacrime di cui sei indegna.
Ti sei picchiata
come un uomo. Ma per una donna è diverso. Il dolore fisico non smorza quello
che hai dentro.
Io ho un occhio nero
e il gusto del sangue in bocca, ma per la prima volta mi sembra dolce.
Ed è meglio questo
che alimentare il proprio tormento. E gioisco, perché il dolore fisico passerà,
le ferite guariranno e io domani starò meglio di te.
E tu invece sarai
ancora così. Le ferite del fisico guariranno, ma non quelle che hai dentro.
Non ho neppure
voglia di parlarti, non ho voglia di chiederti niente ora. Non ho più voglia di
darti una consolazione che non cerchi mai da me. Se stai male non mi importa
più.
Posso fare qualcosa
per te?
Ho perso il conto
delle volte che te l’ho chiesto. Ma ricordo solo la stessa invariabile
risposta: no.
Solo e sempre no.
Non posso fare
niente per te, forse pensi che io non possa capire, che non veda niente.
Ma io vedo, ho
sempre visto e ho deciso che non voglio
più vedere.
Ho deciso che da ora
in poi sarà diverso.
Sarò come te:
indifferente. Tu sarai un’ ottima maestra inconsapevole.
Ognuno di noi ha
avuto il dolore che si è scelto. Non sarò certo io a liberarti dal tuo
tormento.
È una scelta.
Una libera scelta.
Stasera dentro quel
posto sporco e misero di umanità ho avuto nausea di me stesso e non si può
trovarsi così, apatici, lasciarsi vivere ed essere come morti. Ho scelto di non
voler continuare questo calvario, non ti seguirò lungo questa strada.
Cambierò direzione.
Ed è incredibile
come sia stato facile.
Potrei dirtelo; sono
tuo amico. O forse lo ero.
Ma le mie parole non
le udresti nemmeno.
E allora resta lì,
così, a barcollare sul tuo cavallo che ti riporta a casa.
In fondo è quello
che vuoi.
Piangi pure il tuo amore
impossibile, io non l’ho mai fatto quando stavo male e mai lo farò.
Voglio sputare
questo veleno che mi scorre nelle vene e voglio ubriacarmi di miele che tu non
mi darai. Se non hai amore da darmi, non hai il diritto di chiedermi niente.
Se non hai amore da
darmi, io non voglio più sprecare il mio cuore, perderlo nel tuo sguardo di
ghiaccio che ferisce come lame taglienti.
Soffri se vuoi
soffrire. Tu lo vuoi e io te lo lascerò fare perché vedi solo il tuo dolore.
Ma io ho il diritto
di vivere anche senza di te. Ho il diritto di cercare altrove quello che non
posso aspettarmi venga dal tuo essere.
E per la prima volta
penso che sei egoista. È incredibile! Ti sto demolendo poco a poco.
Distruggo il mio
sogno e quasi sorrido di una gioia perversa. Dev’essere il tuo veleno che sta
facendo effetto. Domani sera o un altro giorno tornerò là, in quella locanda,
da solo. Sorriderò a quella ragazza dagli occhi neri e profondi più di questa
notte, che era pronta a darmi tutta se stessa; lo si capiva dai suoi occhi che
brillavano di vita. Quella vita che tu non hai.
Quella vita che tu
non concedi.
Verrò qui e mi
concederò il tepore delle sue braccia e divorerò il suo corpo con la forza
della mia frustrazione repressa. La farò mia.
Come una donna o una
cosa; pelle morbida tra le mie dita fameliche.
E forse smetterò di
amarti. Per un momento, per un ora, sarò libero.
O forse per sempre.
E forse non sarà
solo una notte. Forse nascerà un nuovo amore, sarà l’inizio di qualcosa.
Io non voglio più
vivere come ho vissuto finora. Ti sono rimasto fedele per cosa?
Avrei dovuto farlo
molto prima.
Ma ho deciso che
deve cambiare tutto.
*****
Fa
male scoprire che in realtà non cambia niente.
Ho
lasciato passare qualche giorno. Sono tornato qui da solo.
Ho lasciato il tuo
palazzo stasera con un moto d’orgoglio nel cuore. Mi sentivo vittorioso e
potente. Forse è questo strano senso di libertà che mi inebria.
Credevo che magari,
mi sarei sentito in colpa.
Ma mentre
raggiungevo Parigi, mentre percorrevo le sue strade che mi portavano alla
locanda, c’era solo il pensiero della ragazza a tenermi compagnia; occhi neri e
tentatori e labbra carnose e piene, un corpo che sembra di burro, fatto per far
perdere la testa a qualsiasi uomo.
Io non sono diverso
da un altro.
Non una volta ho
pronunciato il tuo nome, come se avessi timore che facendolo, questo coraggio
impudente e ribelle da cui mi sento pervaso potesse dissolversi in un attimo.
E oggi sono stato bravo;
mi sono comportato come al solito. Non ero nervoso, non c’era emozione che mi
tradisse, forse solo una leggera ansia da prestazione. Davvero, oggi, per la
prima volta ti guardavo e non sentivo niente. Nessun dolore per quello che
avrei fatto, nessun dubbio e la certezza che fosse giusto: il riscatto di me
stesso.
Il mio pensiero
vagava distratto e ogni tanto si metteva in moto in maniera audace se ripensavo
alla fanciulla dai capelli neri. Allora è vero, mi sono detto. Basta volerlo.
Basta avere il
coraggio di voltare pagina e la tua vita cambia in un baleno.
Cambiano le
prospettive di tutto, e quello che prima nel vissuto sembrava una specie di
condanna, ora lo guardi come se fosse una pelle morta, un fardello che ti sei
scrollato dal corpo e che rallentava la tua corsa alla vita.
E per un attimo ti
chiedi se fosse reale quello che avevi sentito fino a quel momento.
Perché sembra
incredibile questa leggerezza dell’anima, questa serenità.
È come accorgersi di
respirare.
E tu non sei qui.
Non ci sei, sei
lontana, indistinta e confusa tra le nebbie. Una sagoma priva di contorni che
non ha più potere su di me.
Stasera sono libero
per la prima volta e voglio gustarmi questa libertà fino in fondo, berne fino
all’ultima goccia di questo nettare a cui non voglio più rinunciare. Nettare al
posto del veleno misto a fiele che mi servivi.
Raggiungo la
locanda.
Entro e questa sera
il locale è quasi deserto, a parte qualche sporadico avventore.
L’oste mi versa da
bere mentre mi guardo attorno e cerco con lo sguardo l’oggetto delle mie brame.
La giovane misteriosa fanciulla è qui; incontro il suo sguardo magnetico, è lo
stesso dell’altra sera. Azzarda un sorriso che è un invito esplicito; lei vuole
esattamente quello che voglio io. Io sono qui per questo.
Forse anche lei.
Probabilmente legge
nei miei occhi la risposta al suo sguardo allusivo.
Mi si avvicina
lentamente, regge un bicchiere in una mano mentre l’altra è appoggiata su un
fianco generoso. È una giovane donna formosa di cui si intuiscono le forme strette
nel corsetto che non riesce a nascondere le rotondità dei seni. La osservo e
non tento neppure di spostare il mio sguardo concentrato sulla sua scollatura.
Ho solo voglia di stringere quelle carni opulente nelle mie mani.
“Sono venuta qui
tutte le sere nella speranza di incontrarti di nuovo…” mi dice e la sua voce ha
un suono dolce e armonioso.
Una voce di donna
abituata a sedurre. Di una che sa quello che vuole.
Finisco di bere
prima di seguirla fuori dal locale fino alla casa dove abita poco distante.
Appena soli, non
perdiamo tempo in convenevoli inutili. Sappiamo entrambi cosa siamo venuti a
fare.
L’afferro per la
vita sottile e il mio assalto ci fa finire sul letto. Non mi credevo così
audace, ma ormai la mia virilità troppo a lungo repressa ha rotto gli argini.
Col mio peso la schiaccio contro il letto e quasi le impedisco di muoversi. Lei
è arrendevole e vogliosa, bella da fare male, una tentazione che invita al
peccato. È troppo facile cedere a un veleno così dolce; hai solo voglia di
gustarlo fino in fondo e io ho tutta l’intenzione di prendermi ciò che mi viene
concesso tanto generosamente. Percorro il suo corpo ovunque, quasi le strappo i
vestiti, è morbida come velluto e il mio stordimento è tale che dimentico dove
sono e cosa sto facendo.
Lei è esperta. Sento
le mani della ragazza che mi spogliano e in poco tempo mi ritrovo nudo fino
alla cintola e la sua bocca è come fuoco che percorre la mia pelle riarsa dal
desiderio. Non penso a nulla in quel momento. Ascolto solo i miei sensi impazziti
che amplificano ogni sensazione. Sembra tutto perfetto e io mi appresto solo a
godere appieno di questo momento di estasi e infilo le mie mani sotto le sue
gonne a cercare prima le cosce piene, dopo la sua intimità segreta.
Sento i suoi sospiri
unirsi ai miei, chiudo gli occhi quando sto per baciarla e la gusto quasi
morsicandola come farei con una mela.
Le nostre bocche si
cercano, si divorano avide e si esplorano senza pudore alcuno.
Perdo la cognizione
del tempo mentre lei diventa sempre più audace.
Un lungo attimo
prima di staccarci e allora i miei occhi si aprono a cercare il suo sguardo; in
quel momento succede qualcosa che non avevo previsto e il mio pensiero sembra
tornare vigile improvvisamente.
Incontro il suo
sguardo e io non so perché mi aspetto che sia azzurro e limpido come un cielo
terso.
Invece incontro due
occhi scuri e cupi che mi osservano, profondi e neri come l’oceano. Allora mi
blocco di colpo. Improvvisamente mi sento assalire da una violenta sensazione
come di gelo che mi percorre la schiena. La mia coscienza stordita torna con
prepotenza, mi assale e non riesco a scrollarmela di dosso. Tento ancora di
baciare la ragazza, ma il piacere lascia il posto a una sorta di disgusto. Mi
blocco di nuovo in preda ad un pesante imbarazzo; ho capito che lei mi ha
seguito fin qui e ora è con me su questo letto.
La ragazza dagli
occhi scuri è scomparsa ora e al suo posto mi passa davanti l’immagine onirica
di una fluente chioma bionda e due iridi celesti che mi scuotano fino in fondo.
Un celeste che mi
incatena di nuovo.
Mi vedono fino in
fondo all’anima e mi sento nudo e vergognoso di fronte a questa estranea che
non è lei.
Non è lei,
semplicemente.
E se fino ad ora lo
avevo soffocato, se mi ero illuso di non sentire più niente, ora il senso di
colpa emerge dalle segrete oscure in cui per poco lo avevo nascosto, riaffiora
tornando a galla. E penso che non dovrei essere qui su questo letto, tra
lenzuola non troppo pulite, in una misera stanzetta spoglia con un’estranea.
Non sono libero, non
lo sono mai.
Sono suo
prigioniero, schiavo di questa ossessione che mi perseguita.
So che non riuscirò
ad andare avanti, perché qualunque cosa facessi ora, dopo il rimorso mi
seguirebbe. Mi schiaccerebbe implacabile. Il mio pensiero è invaso dalla sua
immagine che mi scruta severa. Mi sembra di vederle le sue labbra che
proferiscono parole di disprezzo. Lei è qui in questa stanza che ci guarda
beffarda e mi dice: non puoi farlo.
E capisco che non lo
farò, non posso farlo. Non riesco a farlo.
Perché anche se di
fatto non è così, io le appartengo.
Anche se non mi ha
avuto mai e forse mai mi avrà.
E capisco che lei
non mi lascerà mai libero e se io cerco di liberarmi, il cappio si stringe
ancora di più e il dolore può solo aumentare.
È la mia maledizione.
È il veleno che lei
mi costringe a bere e non esiste antidoto.
E io lo bevo perché
è dolce anche il suo veleno.
È la condanna di
questa mia vita.
E mi rendo conto che
io la voglio questa condanna, la voglio e la bramo e non saprei farne a meno.
La amo e quasi la
odio, sballottato dal maroso di questo mio sentire.
E se cerco pace io
non la trovo, o la trovo solo alla tiepida ombra del suo cuore.
Volevo cambiare
tutto e in verità non posso cambiare niente.
Non posso cambiare
il mio cuore. La ragazza con gli occhi scuri mi guarda ancora dubbiosa; non
capisce lei. Non potrebbe immaginare di quale incantesimo sono vittima. Mi
allontano improvvisamente da lei, dal suo corpo caldo e invitante, da quelle
labbra fatte per essere baciate. Una promessa di estasi che io non posso
cogliere. Il nodo dentro di me fa sempre più male; forse smetterà di stringere
se uscirò da questa stanza. Afferro i miei vestiti velocemente senza dire una
sola parola. Mi rivesto e uno strano brivido gelido mi attraversa. La ragazza continua
a guardarmi perplessa; si è alzata sui gomiti. È delusa e si vede.
Mi dispiace, perché
mi sento in colpa anche verso di lei. Stavo per usarla per tentare di guarire
dalla mia ossessione.
Sto per varcare la
soglia, quando lei parla per la prima volta.
“Perché te ne vai…
ho fatto qualcosa di sbagliato per caso?”
“Scusami…
non sei tu…” riesco solo a dire senza neppure guardarla.
Scendo in strada e
l’aria fresca della notte mi da un po’ di refrigerio, raggiungo il mio cavallo
che avevo lasciato davanti alla locanda…
la bonne nuit…
non è stata davvero una buona notte.
Sprono il mio
animale al galoppo nel buio e lascio che l’aria gelida mi plachi il sangue.
Urlo alla notte,
grido la mia rabbia e il mio dolore. Urlo e impreco contro di lei come non ho mai
fatto. E la odio in questo momento, di un odio feroce che non pensavo di poter
provare, la odio perché mi ha reso schiavo e non riesco più a liberarmi. E odio
la mia debolezza che non mi permette di liberarmi. Urlo contro questa notte che
è come lei, che non sa scaldare e mi fa sentire più solo che mai. Urlo e mi
accanisco contro me stesso anche.
Sei uno stupido
idiota!! Un povero imbecille…
E
mentre corro a perdifiato mi accorgo che questo odio è grande quanto l’amore.
Ma dura molto meno,
si perde nell’oscurità portato via dalle lacrime che escono liberatorie.
Ma domani basterà la
sua presenza ad asciugarle.
Lei è il mio
delirio, la mia magnifica ossessione.
Lei mi segue fedele
nei miei sogni e occupa prepotente ogni mio pensiero e i suoi sorrisi sono come
i baci che non mi ha mai dato.
Io amo la mia
catena. È questa ossessione che io amo, che mi fa vivere.
Ed è questo amore
immenso, disperato, ma invincibile che ora mi fa piangere come lei non ha mai
visto e mai vedrà.
Non so per quanto
tempo ho spronato il mio cavallo, lasciato che le lacrime feroci solcassero il
mio volto stanco. Rabbia e tormento se ne vanno attraverso i miei occhi.
Ho rallentato la mia
corsa fino a fermarla del tutto.
Il mio cavallo è
quasi sfinito, schiuma leggermente dalla bocca.
Anch’io mi sento
esausto.
Ho smesso di
piangere.
Mi sono lasciato
cullare per un momento dal leggero silenzio dell’oscurità che mi circonda; non
è più densa come l’altra sera. È quasi bella, magica direi.
La luna piena
illumina il sentiero che devo percorrere.
Io non saprò mai
perché la amo così.
Io capisco solo una
cosa; è solo continuando ad amarla anche in silenzio, che trovo consolazione e
forse mi avvicino a qualcosa che assomiglia alla felicità.
Perché non amarla è
solo peggio.
Osservo il cielo; ci
sono le stelle adesso e brillano luminose.
Riprendo con calma
la mia marcia.
E torno da lei.
Fine
Mi rendo conto che è un racconto forte. Spero che almeno un po’ vi sia piaciuto. Grazie anche solo di averlo letto. (5/10/2009) Ragazze, io non so davvero come ringraziarvi per le vostre parole, avevo così tanti dubbi su questa storia. Sono felicissima che sia stata capita e apprezzata. Un grazie di cuore anche a chi ha messo questa ff nei preferiti.