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Autore: Rorat    04/10/2009    1 recensioni
La donna guardò gli uomini armati, i cadaveri che ingombravano la sala, senza che una contrazione di terrore, di orrore o di oscurità, si disegnasse sul suo viso.
Ryo le si avvicinò e rimase come impietrito, turbato, incapace di scostare lo sguardo da quegli occhi, che adesso poteva vedere da vicino, per la prima volta da quando si erano incontrati.
Aveva imparato a leggere le parole senza voce, a guardare le persone dal di dentro, senza quell’ingannevole velo che le avvolge quando si nascondono dietro le apparenze, quando celano i loro sentimenti, le loro paure al mondo. Ma in quegli occhi di ghiaccio Ryo non vide nulla, non trasmettevano nessuna emozione. Compassione, dolore, tristezza, odio, felicità erano sentimenti che sembravano non fossero mai appartenuti a quella donna. Erano occhi senz’anima quelli che aveva di fronte, occhi senza voce, senza lacrime da versare.
Genere: Azione, Comico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori/Greta, Ryo Saeba/Hunter
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
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Attese

 

Ryo seguì Angel tra la folla di gente danzate.

Dove l'avrebbe condotto?

Salirono delle scale marmoree, un tappeto rosso era steso a festa.

Osservò la sala dall'alto, tutti quegli abiti che si muovevano come nuvole colorate sfiorando il pavimento. Guardò oltre i vetri delle grandi finestre cercando di scorgere Kaori, ma i suoi occhi non la trovarono, così li rivolse in avanti, in quel piano sopraelevato pullulante anch'esso di persone, che discutevano del più e del meno, con bicchieri in mano e sorrisi di cortesia sul volto.

Attraversò un corridoio quasi deserto, tappezzato di cornici dorate, di dipinti con paesaggi evanescenti. Si fermò davanti a una porta chiusa.

Angel entrò e lo spinse dentro tirandolo per la manica della giacca. Lo sweeper si ritrovò in un bagno porcellanato, con rubinetti di lusso e uno specchio che inghiottì la sua immagine, che sorrideva come un ebete, mentre la biondina sbottonava la sua lunga gonna porpora, scoprendo così gambe lunghissime, coperte da una tuta aderente. Silenziosa. Concentrata. Lo sweeper la osservò sollevarsi in punta di piedi e svitare la grata che copriva la presa per l’aerazione. Con un mezzo inchino e un gesto della mano lo invitò a farsi strada all’interno.

“Prima le signore...” disse. Non gli sarebbe dispiaciuto seguire ed ammirare da vicino il fondoschiena della 007, ma Angel pugnalandolo con un'occhiataccia lo costrinse ad andare per primo.

In quel cunicolo buio e stretto la ragazza gli fornì indicazioni precise.

“A destra, sinistra, di nuovo sinistra...” 

“Quando arriviamo?”

“Zitto, fai silenzio.”

“Ma...”

“Shhh.. ora prosegui dritto.”

E dritto Ryo proseguì finché udì delle voci e una fievole luce bianca gli permise di vedere un po’ oltre il suo naso.

“Ecco sono loro,” sussurrò Angel.

Il city hunter sbirciò oltre le sottili fessure della grata; seduto dietro una costosa scrivania d’ebano riconobbe il boss del clan Taira, Benkei Saitou, attorniato da tre dei suoi uomini armati.

“Sono in ritardo…” fece notare Saitou ai presenti, dopo aver lanciato un’occhiata alle lancette dell’orologio d’oro che portava al polso. Era vistosamente impaziente e irritato.

Passò qualche minuto, poi qualcuno bussò alla porta.

“Avanti,” disse il boss.

Entrò uno dei suoi scagnozzi.

“Sono arrivati,” annunciò.

“E allora, che aspetti? Falli entrare!” sbraitò.

Ryo si fece attento, finalmente lo avrebbe visto, Scott McCarty, l’assassino di Isabel, il luogotenente dell’Organizzazione Odino.

L’individuo che varcò la soglia, accompagnato da due uomini in nero, era un tipo vigoroso, alto, sulla quarantina, sbarbato e di colorito pallido, dai modi blandi e insinuanti, e un paio di occhi azzurri straordinariamente acuti e penetranti.

“Buonasera signor Saitou, scusi il ritardo, ma le strade di Tokyo sono un vero inferno. Sono Scott McCarty, piacere,” disse presentandosi, allungando la mano verso il boss per una stretta.

Al suono di quella voce Ryo avvertì il corpo di Angel irrigidirsi.

Benkei Saitou invece rimase impassibile. A quanto pare non era in vena di convenevoli, pensò lo sweeper.

“Dunque  passiamo agli affari? Lei non sembra il tipo d’ uomo che ama perdersi in chiacchiere,” fece McCarty, ritirando la mano senza scomporsi, quindi poggiò una valigia sulla scrivania e la aprì.

“Questo è un dono da parte del capo dell’Organizzazione,” sottolineò e nel farlo mostrò delle buste trasparenti piene di cocaina, “mentre questa,” disse indicando una busta dal contenuto nocciola, “è il nostro pezzo forte: la Valchiria. Non so se ha mai sentito parlare della Polvere degli Angeli, la nostra Valchiria è senza dubbio una versione migliorata e corretta, se così possiamo definirla… immagini soldati sempre pronti ad ubbidire ai suoi ordini, senza pietà e senza sensi di colpa, dalla forza sovraumana, privi di fatica e disposti a dare persino la vita per qualsiasi ideale lei riesca a inculcargli. Dei burattini, semplici burattini nelle sue mani, non è un’immagine fantastica?” domandò sorridendo.

Gli occhi del boss si illuminarono; a quanto pare immaginava già una sua schiera di sottoposti, pronti a morire per lui senza rimorsi.

“Il nostro obiettivo è fare in modo che questa splendida immagine diventi reale anche qui in Giappone.”

L’Organizzazione Odino pensava in grande. McCarty, affabile e sicuro di sé, sapeva bene come persuadere il proprio interlocutore, pensò Ryo sentendolo parlare. La conversazione tuttavia prese una piega inaspettata.

“Saremo felici di esaminare la vostra proposta dopo che...”

Saitou non terminò la frase che McCarty lo interruppe.

“La nostra non è una proposta,” precisò il luogotenente con sguardo pericoloso e arrogante, abbandonando le sembianze di imbonitore accattivante.

“Ci state minacciando?” domandò il capoclan con tono alterato.

“Io non la vedrei da questo punto di vista,” gli suggerì McCarty. “Più che altro direi che vi stiamo vivamente consigliando di allearci con noi.”

Benkei Saitou cominciava a perdere la pazienza. Nervoso prese a tamburellare le dita sull’immensa scrivania piena di documenti. Di certo non aveva gradito il consiglio offertogli dall’Organizzazione Odino.

 “Come osava McCarty sovrastarlo in quel modo?” pensò Saitou nel lungo silenzio interrotto dalle parole del luogotenente.

“Vi stiamo offrendo la nostra collaborazione, la nostra protezione...”

“Protezione? Sappiamo benissimo proteggerci da soli. E da chi dovremmo proteggerci poi?”

“Da noi, mi sembra ovvio,” rispose perentorio McCarty.

“Supponevo che la vostra non sarebbe stata un’offerta.”

“Signor Saitou, le stiamo proponendo di far sopravvivere il suo clan.”

“Non mi pare che lei sia nella posizione di minacciarci,” replicò il capoclan furente. Dopotutto aveva fatto disarmare il luogotenente e i suoi tirapiedi prima che entrassero nella stanza.

McCarty non si scompose di una virgola e ciò aumentò visibilmente l’ira del boss. Come si permetteva quell’uomo a dettare legge in casa sua? Sembrava urlare il volto in fiamme di Benkei. Spazientito il boss fece un cenno con la mano destra ai suoi uomini. Era il segnale per buttare fuori dalla sala quegli ospiti indesiderati.

McCarty sembrò prontamente intuire la situazione e avvertì i presenti: “Non lo farei se fossi in voi. Credete forse che io sia venuto qui senza prendere delle precauzioni? Se non uscirò da questa villa con le mie gambe salterà tutto in aria e poi…”

In quell’istante Saitou si ritrovò con un’arma puntata alla tempia; ad impugnare la pistola che lo teneva in scacco era uno dei suoi scagnozzi.

Il boss del clan Taira impallidì.

“Dovrebbe imparare a scegliere meglio i suoi tirapiedi,” suggerì calmo McCarty.

“Hisashi, traditore,” farfugliò, rivolto a quello che fino a qualche secondo prima era uno dei suoi uomini più fidati.

“Non sono mai stato dalla sua parte Benkei Saitou,” precisò l’ex tirapiedi.

“Che le avevo detto? Lei ha un disperato bisogno della nostra protezione,” ribadì il luogotenente.

Al piano di sotto intanto la festa per il compleanno del signor Natzume  proseguiva tranquillamente e gli invitati continuavano a danzare inconsapevoli.

Anche Kaori ignorava dove si trovasse in quel momento il suo collega e, a dire il vero, neanche le importava. In preda alla collera più feroce aveva preso posto in una panchina del giardino e adesso, quieta e silenziosa, pensava solo che sarebbe voluta ritornare a casa al più presto.

“Una bella ragazza come te, che ci fa qui tutta sola?”

Kaori riconobbe la voce calda di Mick, il suo accento americano inconfondibile. Si voltò verso di lui tentando di mascherare la tristezza con un sorriso.

“Quel cretino di Ryo non capisce nulla,” affermò Mick, leggendole nel pensiero.

“Già,” sospirò lei.

Mick le si sedette accanto.

“Che ci fai qui, Mick?” gli domandò Kaori, affatto meravigliata della sua presenza.

“Haruko ha dato un invito anche a me... così...”

Era una frana a raccontare balle, specialmente a Kaori. Sospirò, si sentiva un verme. Si arrese. Passandosi una mano nervosa sui capelli le domandò: “Perché non sei sorpresa di vedermi qui?”

“Ryo è venuto a trovarti due volte da quando Haruko è arrivata a casa nostra, non credo sia una coincidenza,” rispose con voce spenta.

“Ti ha chiesto di tenermi d’occhio, non è vero? Non si fida di me, vuole di nuovo allontanarmi, non vuole avermi tra i piedi, non vuole avermi come sua partner. È così, Mick? Ti ha chiesto di proteggermi perché pensa che io non sappia badare a me stessa? Lo so che non esiste nessuna Haruko Kyota, ho fatto qualche ricerca… Cosa mi sta nascondendo Ryo?”

Lo fissava con occhi interrogativi, preoccupati e imploranti. Mick non poteva sopportare quello sguardo. Kaori non meritava di essere infelice, non era giusto che si tormentasse per colpe che non aveva. Non riusciva a capire perché Ryo continuasse a fuggire e probabilmente neanche Kaori riusciva a spiegarselo. Una lacrima scivolò sul volto della city hunter e Mick la osservò scendere sulla guancia. Kaori si affrettò a nascondere la sua tristezza eclissando il viso tra le mani. Si sentiva inutile, stupida e vulnerabile.

L’ex sweeper maledì mentalmente Ryo. Era tutta colpa di quello stupido. Se le avesse detto la verità sin dall’inizio, se le avesse rivelato le sue paure, se le avesse semplicemente parlato.

“Ti prego Kaori...” le sussurrò avvolgendola in un goffo abbraccio.

La ragazza liberò il viso dalle mani e lo affondò nel petto di Mick.

Chissà se Ryo si sarebbe ingelosito di fronte a quella scena, in fondo il suo ex partner aveva amato Kaori, persino sotto l’effetto della polvere degli angeli aveva riconosciuto la sua voce, tremato di fronte alle sue lacrime, ricordati i suoi sentimenti per lei. Ma al momento il city hunter aveva altro per la testa. Scomodamente rannicchiato in un condotto per l’areazione, mentre filmava con una microtelecamera la scena che si svolgeva dietro la grata che lo nascondeva, attendeva che Angel gli ordinasse di intervenire.

Il boss del clan Taira, ancora sotto tiro, sudava freddo.

“Spero che si sia reso conto in che posizione si trovi e si troverà sempre se non verranno accettate le nostre condizioni,” disse McCarty perentorio.

“Da oggi il suo clan sarà sottoposto al controllo dell’Organizzazione Odino. Lei può decidere di ubbidire o dissentire e morire. La scelta è sua, signor Benkei Saitou.”

Saitou si morse le labbra. Intuì che, anche se avesse accettato il ricatto di McCarty, sarebbe stato ugualmente ucciso. Quell’uomo voleva solo umiliarlo, lo leggeva nei suoi occhi torvi e compiaciuti.

La situazione era critica. Angel sussurrò a Ryo che era tempo di agire. Lo sweeper non se lo fece ripetere due volte: diede un colpo secco alla grata e contemporaneamente lanciò una granata accecante all’interno della sala. Il lampo generato disorientò per qualche secondo tutti gli uomini presenti nella stanza, dando al city hunter e alla 007 il tempo di abbandonare il nascondiglio e prepararsi allo scontro.

Mentre Ryo con un pugno e una ginocchiata all’addome stendeva uno degli uomini del clan Taira, Angel con il calcio della pistola assestava un colpo alla mandibola di uno dei due scagnozzi di McCarty, lasciandolo tramortito a terra. Con due calci allo stomaco lo sweeper mise ko un terzo uomo, prima che questi potesse opporvisi in qualche modo. Intanto con destrezza da felino Angel disarmò un quarto malvivente, abbattendolo con un colpo alla nuca.

Il luogotenente dell’Organizzazione Odino in pochi istanti si trovò con due dei suoi uomini a terra; indietreggiò verso la porta.

“Hisashi, uccidi Benkei!” ordinò prima di scappare.

La luce illuminò la canna della pistola del doppiogiochista, ma un pugnale lanciato da Angel tagliò l’aria conficcandosi nel polso dell’uomo che lasciò cadere l’arma, che tintinnò sul pavimento. Saitou allungò la mano verso una scatola grigia e premette il bottone rosso al suo interno. Lo sweeper non fece in tempo a fermarlo. Era sicuramente un allarme, pensò Ryo. Presto la stanza si sarebbe riempita di uomini del clan Taira.

“Idiota!” esclamò il city hunter saltandogli addosso, mentre la 007 si lanciava all’inseguimento di McCarty.

Angel lo vide salire le scale che conducevano al secondo piano della villa, probabilmente tentava di raggiungere la terrazza. Forse di lì a poco un elicottero sarebbe venuto a prenderlo.

Imboccato un corridoio, lo perse di vista. Quella villa era un labirinto.

“Maledizione!” imprecò Angel. Non poteva lasciarselo scappare così, ora che era così vicino, ora che aveva la possibilità di vendicare sua sorella. Impugnò il calcio del revolver con maggiore determinazione e si avvicinò ad una porta socchiusa. Entrò nella stanza con cautela. Una finestra filtrava i deboli raggi della luna. Abituati gli occhi al buio, la 007 capì di essere in una camera da letto. Stava cercando l’interruttore della luce quando un’ombra, apparsa dal nulla, la disarmò, sferrandole un colpo al polso. Un istante e si sentì sopraffatta dalla forza dell’uomo che stava inseguendo. Si ritrovò a terra, bloccata dal corpo di lui, un macigno.

“Da cacciatore a preda,” sogghignò McCarty.

Angel cercò di divincolarsi dalla morsa che la teneva prigioniera. Tutto inutile.

“Chi diavolo sei?”

“La donna che ti ucciderà.”

McCarty rise divertito.

“Tu hai ucciso mia sorella!” lo zittì brusco.

“Ho ucciso molte sorelle, perché dovrei ricordarmi della tua? Aveva un seno morbido come il tuo?” la schernì sfiorandole il petto.

Angel sentì rabbia e umiliazione scorrerle nelle vene come un fiume in piena.

Riuscì a contorcersi sotto il peso dell’uomo e con la forza delle gambe spingerlo lontano da sé.

McCarty scivolò vicino alla pistola abbandonata a terra, l’afferrò, prima che la ragazza potesse avvicinarsi, premette il grilletto. Uno sparo ed Angel cadde al suolo come una bambola rotta.

  
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