ESMERALDA
APPLAUSI DA LONTANO
Caro Phoenix, manca poco al termine del tuo periodo di
addestramento, al giorno in cui riconquisterai la libertà, potendo finalmente
andartene, potendo volare via da qui. Da questo inferno in terra. Da me.
Ho seguito il tuo allenamento per tutti questi anni,
cercando di non essere vista da mio padre, perché so, per certo, che si
arrabbierebbe e mi punirebbe per averti distratto dalla tua missione, dallo
scopo della tua presenza su quest’isola. Del resto, nessuno, che non abbia
l’investitura come fine, o che non sia obbligato a restarvi, sceglierebbe mai
di trascorrere la vita qua, in quest’arida terra. Una prigione, così penso che
si possa definire, al pari della maschera che mio padre porta sul volto. Una
prigione di disperati, di rinnegati, di gente senza ideali che mira soltanto
all’ombra e al potere. Una prigione fisica che ne sottintende un’altra, più
interiore, che ognuno di questi uomini si porta dentro, un senso di
sbandamento, di vuoto, di disperazione che non riescono a vincere, logorati
dalla tenebra e dalla brama di potere. Non credi che sia così? Forse tu no, ma,
come hai imparato a conoscermi, sai bene che per me è così, che io cerco sempre
di vedere il buono in ognuno di noi, convinta che nessuno sia completamente
malvagio.
E anche quest’isola, in fondo, non è poi così inospitale.
Certo, quando ero piccola, dopo la morte di mia madre, uccisa da un gruppo di
criminali giunti sulla Regina Nera per impossessarsi delle armature ivi
custodite, ho creduto davvero di essere all’inferno, di essere morta e di
aggirarmi per chissà quale landa di Ade, pullulante di spettri e cadaveri,
laghi di lava e vapori pestilenziali. Ma poi mi sono fatta coraggio e ho
scoperto una forza nascosta dentro di me. Una forza che non fa di me un
Cavaliere tuo pari, ma che mi ha permesso di andare avanti in questi anni,
senza mai perdere la speranza che le cose, pur brutte che siano, possano
migliorare. La fede.
A questa fede verso il futuro non sono mai venuta meno e mi
ha sorretto nei momenti più bui, soprattutto dopo il cambiamento di mio padre.
È stato proprio questo sentimento a spingermi ad apprezzare quel che di bello,
pur poco che fosse, avevo intorno a me. Mio padre per primo, alcuni luoghi
della Regina Nera, non così inospitali, come il campo di fiori che ti ho
mostrato, e infine te, Phoenix. In te ripongo fiducia e speranza, in te credo e
a te mi affido affinché il mio sogno di libertà trovi realizzazione, e so che
non mi deluderai. Non puoi farlo, perché sei buono, perché il tuo animo è puro
e nel tuo cuore risiede la fiamma della giustizia e dell’onestà che arde così
intensamente da non poter essere mai spenta. Neppure da te stesso, ricordalo
Phoenix.
E perdona mio padre, ti prego. Quando sarai sulla nave che
ti riporterà in Giappone, e leggerai queste mie pagine di diario, che ho
raccolto in fretta su pezzi di carta ingiallita, e ripenserai
all’addestramento, ti prego di non portargli rancore, sebbene tu ne abbia tutte
le ragioni, per l’ostilità che ti ha dimostrato fin da quando sei arrivato, per
il modo crudele in cui spesso ti ha trattato. Non dirmi di tacere, è tardi
ormai, e non dirmi di andarmene, perché ho già visto. Di nascosto, ti ho
osservato cadere a terra mille volte, colpito dai calci e dai pugni di un uomo
che a fatica riesco ancora a riconoscere come genitore. E quei giorni in cui
non ho potuto seguire il tuo addestramento, impegnata con la cura di questa
baracca che tutto si può definire meno che casa, ne ho visto i risultati, nei
lividi e nelle ferite che costellavano il tuo corpo. Ooh, Phoenix, quanto
dolore hai sopportato in questi anni! Quanto odio mio padre ti ha instillato
dentro, al punto che spesso mi sono chiesta se non riuscisse a vincere la tua
bontà e la tua sete di giustizia! Sono una ragazza, Phoenix, perdonami se ho
avuto questi dubbi, ma anche quando si sono presentati ho saputo sempre come
rispondere loro. Con un secco no. Certa che la tua fede sia pari alla mia,
avendola percepita più volte nel tuo cuore.
Anche mio padre, un tempo, era un uomo buono come te e ha
combattuto, per anni, contro briganti e criminali, che periodicamente
giungevano sulla Regina Nera per indossare le armature oscure che la Dea Atena
vi nascose molto tempo addietro. Ne sono venuti davvero tanti, Phoenix,
credimi, e anche oggi credo che molti vi dimorino ancora, sull’altro lato
dell’isola, dove mio padre da tempo non si reca, non adempiendo più alle sue
mansioni di custode. E temo che qualcuno sia riuscito nel loro malefico
intento. Perdonalo Phoenix, e non per le suppliche di una bambina, ma perché la
verità, adesso celata da quell’orribile maschera che porta sul volto, è che mio
padre era un uomo probo, scelto dal Grande Sacerdote in persona, più di
vent’anni addietro. Per quanto ingrato compito gli fosse toccato, mio padre non
se ne lamentò mai, trasferendosi in quest’isola e impegnandosi duramente in
scontri continui. Da solo, come fu per sette anni, finché non conobbe mia
madre, la schiava di un contadino. Maltrattata, sporca, posseduta spesso da
quelle luride mani, quella donna viveva alla stregua di un animale, ma, ingenua
come spesso solo noi donne possiamo essere, speranzosa sempre che il domani le
avrebbe arriso. Come in effetti fu, quando mio padre la salvò, comprandola dal
contadino e donandole la libertà.
Furono felici insieme e continuarono ad esserlo anche dopo
la mia imprevista nascita. Imprevista perché molto si chiesero se fosse il caso
di far crescere una bambina in questa terra dimenticata dagli Dei. Ma mia
madre, che non credeva alla casualità, era convinta che vi fosse uno scopo
anche nella mia esistenza, e spesso sorrido pensando di non aver capito quale
fosse. Poiché non mi pare di aver fatto niente di eclatante, se non trascorrere
la giovinezza aiutando e curando prima mio padre e poi te, felice di poter essere
utile, anche nel mio piccolo.
Poi mia madre morì, e mio padre massacrò i criminali che la
uccisero, uno ad uno, gettando i loro corpi nel lago di lava. Non me ne ha mai
parlato, ma lo vidi con i miei occhi, avendolo seguito quella mattina. Da quel
giorno iniziò ad avere incubi e brutte visioni, consapevole di essersi
macchiato di un crimine nefando, per quanto gli eventi e la rudezza della vita
sull’isola lo avessero necessitato. Fu allora che decise di recarsi in
pellegrinaggio al Grande Tempio, per espiare le sue colpe e chiedere il perdono
della Dea Atena. Ne fui felice, quando partì, speranzosa che potesse servirgli
per ritrovare la sua tranquillità interiore, ma quando tornò capii subito che
qualcosa era cambiato. Lui era cambiato. Non era più il generoso uomo che aveva
riscattato mia madre, togliendola da una vita di solitudine e di stenti, né il
premuroso padre che temeva per l’incolumità della sua unica figlia. Adesso era
divorato dall’odio e dall’ombra, vittima di un potere immensamente più grande
di lui.
Mi sento in colpa, spesso, per non aver saputo fare niente
per aiutarlo, per non averlo potuto guarire da questa maledizione. Le poche
volte in cui ho trovato il coraggio di rivolgermi a lui, di spingerlo a
parlare, ho ricevuto in cambio soltanto schiaffi e percosse, come ben immagini.
Ma non lo odio per questo, e spero che neanche tu lo farai dopo che te ne sarai
andato. Perché tu te ne andrai Phoenix, sei la fenice della speranza, l’uccello
di fuoco, e presto spalancherai le tue ali per volare via, per raggiungere un
mondo migliore di questo. Vorrei poter venire via con te, ma mio padre non mi
lascerebbe mai andare, deciso a tenermi con sé, uniti nella stessa sofferenza,
nello stesso destino di morte.
Addio Phoenix, chiudo così, queste mie poche pagine in cui
ho riversato me stessa, la ragazza che così tanto somiglia a tuo fratello e che
ha cercato, nel suo piccolo, di rendere migliori i tuoi giorni sulla Regina
Nera, come tu hai reso migliore la mia vita, da quando vi sei entrato.
Ricordami Phoenix, quando sarai una fenice e volerai nel vento, perché io non
ti lascerò mai solo e ti applaudirò da lontano.
© Aledileo