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Autore: LeanhaunSidhe    17/10/2009    4 recensioni
"I morti non cercano qualcuno che li vendichi, ma che li ricordi" Con questa frase si dice che una semplice donna riuscì a entrare nel cuore di Death Mask
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cancer DeathMask, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ballata dei finti immortali'
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Death Mask finì d’un fiato il liquido cremisi racchiuso nel bicchiere di cristallo.

Quell’oggetto così raffinato cozzava coi suoi modi rudi, stonava con la la sua figura, con tutto ciò che lui era.

Rigirò il bicchiere vuoto tra le dita.

I riflessi del lampadario creavano strani giochi di luce rifrangendosi sulla superfice trasparente e perfetta.

Diafane figure si proiettavano sul muro immacolato innanzi a lui.

Liberò la mano dall’ingombro ponendolo sul tavolo. Concentrò l’attenzione sui giochi di luce e ombra che si paravano ai suoi occhi.

Braccia filiformi e dita che si rincorrevano, si disse. Sapeva che non era solo luce, ma anche intrecci di spiriti.

Simili manifestazioni non erano rare, all’interno della Quarta casa.

Ormai ci era abituato. Non si fossero verificati, forse si sarebbe sentito spaesato, privato. Si attaccò direttamente alla bottiglia, vuotandola del tutto.

Non aveva voglia di ubriacarsi, ma bisogno di pensare. A volte anche le belve più sanguinarie risploverano l’intelletto.

C’era un’immagine che si intrometteva nella sua mente e qualcosa che gl sfuggiva. Il mendicante indicato dallo spirito di Alexandros lo aveva colpito, nonostante tutto.

Non aveva cosmo, di questo era certo. Non era una minaccia, non per qualcuno del Santuario, almeno. Per esperienza sapeva che nella notte si celano molte “cose” che, nocive o meno, amano sfuggire all’umano sentire.

Quel mendicante, ne era certo, era uno di quelle. Mnemosine, non lo sapeva…L’aveva vista alla luce del giorno…delle tenebre aveva addosso il sentore, forse neppure lei stessa se ne accorgeva…

Il cappuccio e gli stracci del mendicante coprivano comunque un corpo che vantava i suoi stessi capelli: spruzzi di sangue fresco che schizza da un’arteria recisa, che brilla prima che soggiunga la morte.

Mnemosine pareva non avere sangue nelle vene. Per certi versi, davvero gli sembrava già morta.

Si era alzato da tavola. Aveva raggiunto la sala centrale della quarta casa, quella da cui passava chiunque chiedesse il privilegio da attraversarla.

Nel suo incedere, fu accompagnato da un turbinio di fuochi fatui. Era calmo, il custode di Ade, quella sera. Le maschere urlavano e piangevano meno del dovuto.

Si fermò dinnanzi a una di quelle senza espressione, di quelle che non tradivano la loro sofferenza.

La staccò dal muro e l’accostò davanti alla propria faccia. Cosa volesse fare, neppure lui lo discerneva con certezza.

Capire, oltre la paura e il disgusto voleva sapere.

“Spiegami”

La sua voce si perse tra quella dei fantasmi che aveva ucciso. Risuonò baritonale, profonda. Lo spirito di cui reggeva l’effige aveva udito la sua richiesta.

Gli si era portato al fianco e prendeva forma. Lo fissava con la stessa espressione della maschera. Aprì la bocca, non uscì un suono.

Cancer alzò la mano. Tutto attorno a lui si fece silenzio. All’oscuro custode importava di quell’anima solamente.

Le altre tacquero per paura e per rispetto. Anche tra i condannati vi era una gerarchia interna.

“Raccontami, fammi capire”

Cancer parlò di nuovo, a quell’anima e soprattutto a se stesso.

Il linguaggio dei morti non è lo stesso dei vivi e non è semplice da ascoltare.

Può essere un flusso di immagini che attinge a dentro di te e ti scava nel profondo. Gli spiriti vivono su un piano diverso della realtà e non hanno parole. Sono fatti d’aria, della stessa consistenza dei sogni e del pensiero. A questi si rifanno per comunicare e possono riaprire vecchie ferite.

Devi ssere abbastanza forte da non capitolare quando ti svelano nel profondo.

Cancer era sempre stato forte. Lo spirito aprì gli occhi, finalmente. Rivelò orbite vuote, da cui però sgorgavano lacrime. Inaspettatamente, aveva pure una voce.

“Cosa devo farti capire?Che sei un assassino lo conosci da te!”

Cancer ringhiò.Ricordava bene come aveva finito quella vittima.

“Tu!Tu maledetto ti sei gettato spontaneamente in Ade per mano mia!Non ricordi?Avresti potuto sottrarti al mio colpo, cosa che a pochi, fra quanti sono qui, è stata mai concessa! Allora io non volevo la tua vita. Tu!Tu spontaneamente l’hai offerta a me, tuo carnefice!”

L’anima sorrise. Se possibile, un ghigno più perfido del suo.

“Il Santo non capisce. Quale ironia in questo destino…”

“Spiegami dannazione!”

Cancer stritolò la maschera. L’aria sfrigolò come se si stesse accumulando elettricità. L’anima che lo derideva stava soffrendo. Una pantomima di dolore gli imbruttiva il volto fatto d’aria, dolore fisico e rabbia.

“Vuoi capire?E allora prova!”

Cancer si allontanò all’istante di un passo indietro. Le immagini che vedeva non erano diverse da quelle a cui era abituato: dei ragazzi spediti in Ade per mano sua, una donna che correva, un bambino.

Diverse erano le sensazioni che provava: percepiva con lo stesso cuore del possessore della maschera.

Riviveva il suo tormento. Si strinse le mani nei capelli, quasi a strapparli. Conosceva ogni più intimo recesso della tenebra che albergava in lui, l’aveva accettata con tutto il suo orrore.

I tormenti di quell’altro però non riusciva a sopportarli. Erano troppo. Urlò quando quelle persone, una a una, venivano risucchiati verso l’Ade.

Si ritrovò sudato, carponi, come le bestie che non sanno erigersi su due zampe. Scattò allora impedi, sudato, imbufalito.

Colui che era stato chiamato in causa, parlò.

“Quando tu me li hai strappati via, io sono rimasto a vederli morire, inerme. Avevo giurato di proteggerli e li ho lasciati in tua balia.

Li hai distrutti, a me non hai fatto niente. Mi hai sorpassato come se non esistessi. Io davvero non c'ero più.

Per questo ho voluto morire.Loro erano la mia vita. Adesso sai cosa si prova a morire pur avendo un corpo che respira. Maledetto ”

Cancer tremava dalla rabbia per quell’affronto, ma lo lasciò finire.

“I loro cari invocano allora il loro nome, sperando nel loro ritorno. Supplicano il Tonante e le loro preghiere si fermano a me.

Per non udirli più sono diventato pietra, più duro delle mura di questa Casa. Il prezzo era smettere di esistere. Ora non soffro più.”

L’anima tornò poi al suo posto, come maschera nelle mura. Non era per paura che si era ritratta. Il Custode lo sapeva.

Guardò innanzia sé il guscio vuoto dalla forma di volto umano. Le altre anime avevano ripreso coi loro lugubri lamenti.

Decise di sfogarsi altrove.

Sapere di essere malvoluto a quel modo lo aveva messo di pessimo umore, soprattutto perché, se uno solo così l’aveva tratto in difficoltà in quella maniera, gli altri sette otto che aveva in casa, il giorno che si fossero uniti nell’intento di fargliela pagare, gli avrebbero dato del filo da torcere.

Si allontanò quasi barcollando, anche se cercò di non darlo a vedere.

Non era ancora l’alba. Raggiunse il boschetto di fianco il campo d’addestramento.

Si sentiva ancora addosso le sensazioni di quel bastardo che aveva interrogato. Si sentì lo stomaco sottosopra.

Tossì. Un conato. Poco dignitosamente, diede di stomaco tra i cespugli. Si pulì la bocca, imprecando tutti gli dei che conosceva nella sua lingua natia.

Con tutto il cuore sperava di essere solo. Quando udì i rami piegarsi si sentì gelare. Stava ancora male per gli strascichi di quelle visioni.

“Chi è la?”

I rumori si fecero più distinti: chiunque fosse, si avvicinava.

“Vieni fuori o ti distruggo insieme a ogni cosa nel raggio di chilometri”

Qualcosa di rosso spuntò lentamente dal fianco di un tronco. Poco dopo apparve una tunica scura e la pelle troppo chiara di Mnemosine. Alle ultime tracce della notte, Cancer non ebbe dubbi sul fatto che non fosse del tutto umana.

La chiamò perentorio e lei si decise a uscire, nel suo modo calmo, senza paura.

“Che accidenti facevi la dietro? Mi spiavi forse?Razza di demone che trama nell’ombra!Che segreti nascondi, creatura immonda?”

L’aveva afferrata per il polso e inziato a strattonarla.

Aveva decisamente iniziato a sfogare la propria rabbia. La ragazza non disse nulla. Se provava dolore non lo diede a vedere. Cancer si fermò di scatto, sotto la pressione di qualcosa di morbido sul ventre.

Mnemosine, con se, aveva una borsa. Senza tante cerimonie gliela strappò e gettò lei a terra. Ne estrasse il contenuto. Una rosa bianca lo ghermì con le sue spine.

La guardà alla poca luce e riconobbe la belezza perfetta delle rose di Aphrodite.Si infuriò ancora di più, ritrovandosi ferito. I suoi occhi erano fiamma.

“Cosa te ne fai di questo fiore, strega? Come te lo sei procurato?”

Decisamente si era convinto che quella ragazza aveva un potere folle, con cui poteva trarlo in inganno. Ritrovò gli occhi di Mnemosine fissi su di lui.

“Me l’ha donato il custode delle dodicesima casa”

“Non dire assurdità: il Santo dei pesci custodisce queste rose come le cose più preziose. Mai si sarebbe separato di qualcosa di così gran valore per un essere insignificante come te!”

Gli fu risposto con la più semplice verità.

“Eppure lo ha fatto. Chiedete a lui, se non credete a me”

Furibondo lesse nella sua mente priva di barriere. Ripose il fiore nella borsa.

“Hai avuto l’ardire di chiedere una cosa così preziosa ad Aphrodite solo per portarla sulla tomba di tuo fratello?”

Mnemosine annuì, chinando il capo.

“Alzati e riprendi la tua borsa.”

La ragazza eseguì. Lo scrutava incerta, timorosa di sfiorare con la propria la sua mano. Prima di cacciarla via, fu fermata ancora.

“Che cavolo ci fai in giro a quest’ora? Un fiore puoi fartelo dare a ogni ora del giorno.”

La ragazza negò.

“Preferisco quest’ora. Al santo della Dodicesima Casa non ha dato fastidio. Poi è tutto calmo: non c’è ancora nessuno in giro e i servi non mi fanno domande, non devo dare risposte.Tutto è pace.”

“Sei un tipo da sarabanda, tu…”

Cancer si era decisamente calmato: stava ancora male e non gli conveniva fare l’idiota. L’attenzione con cui però veniva esaminato lo stava facendo alterare di nuovo.

“Se devi dirmi qualcosa fallo in fretta e vattene”

La osservò estrarre qualcosa dalla borsa. Con un fazzoletto di stoffa candida, la ragazza gli aveva pulito la guancia. Il cavaliere chiuse gli occhi un istante.

Quando li riaprì, dopo essersi dato del coglione per averlo fatto, tutto il fastidio era sparito. Stava di nuovo bene ed era sorto il sole. La ragazza se ne era andata in silenzio, senza aggiungere altro.

La vide inciampare e aggrapparsi a un ramo per non cadere. Era pallida. Malaticcia, si disse, ma di sicuro umana. Che gli avesse passato qualcosa lui?Se era stata lei a rimetterlo in sesto col suo tocco, forse non tutto gli esseri che vagano nella notte sono stati creati per recar dolore.

Stavolta mi sono dilungata più su Cancer...Come al solito ringrazio chiunque avrà voglia di raccontarmi le sue impressioni sul capitolo...Grazie a chi ha recensito e letto l'ultimo capitolo. Alla prossima.

   
 
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