Il mare nascosto
Erano
arrivati da poco più di un’ora. La casa in cui
avrebbero trascorso i dieci
giorni seguenti era linda e silenziosa. Il mare era davvero vicino e un
sentiero lungo cinquecento metri scarsi portava alla spiaggia partendo
dal
cancelletto sul retro della casa.
Donny
scese con lentezza i dieci gradini delle scale esterne; si muoveva con
circospezione, nonostante fosse ormai già fuori dalla
portata dei genitori.
Temeva comunque che si svegliassero da un momento all’altro e
lo scoprissero prima
che fosse riuscito a sgattaiolare via.
Il
fatto è che Donny era troppo ansioso di vedere il mare, la
sabbia, i pesci… le
sirene, gli squali! No, magari quelli no… al massimo da
lontano, insieme a
papà.
Aprì
il cancelletto, che cigolò sinistramente, poi
tentò di richiuderlo tirandolo a
sé con forza: in questo modo, pensò, avrebbe
rallentato l’inseguimento dei suoi
genitori. Rimase un po’ deluso perché il
cancelletto non voleva saperne di
restare chiuso, a meno che qualcuno non fosse riuscito a far scorrere
lo
sgangherato catenaccio. Il bambino ci provò, ma ci sarebbero
voluti tanta forza
o un po’ d’olio: non aveva a disposizione nessuno
dei due, così si decise a
lasciarlo socchiuso. Sarebbe stato un indizio per la mamma, quando si
fosse
messa alla sua ricerca, ma in ogni caso non ci avrebbe messo molto a
trovarlo:
l’importante era fare presto, quindi amen per il cancello.
Lasciati
alle spalle la casa e i genitori addormentati, Donny si
sentì entusiasta. Il
sentiero scendeva dritto verso quello che indubbiamente era il mare:
una
meraviglia celestiale, una tentazione azzurra. Si incamminò
motivatissimo a
raggiungerlo, a passi piccoli e svelti. Il sentiero era costeggiato da
canne,
more selvatiche e da qualche fiore dai toni accesi. Le foglie
punteggiate di spine
dei fichi d’India cresciuti a ridosso del sentiero
preoccupavano un po’ Donny,
che fece molta attenzione a non sfiorarle: non promettevano nulla di
buono. Era
tutto assorto e concentrato nell’impresa quando vide guizzare
ai suoi piedi una
lucertola, che si fermò a poche braccia da lui: in quel
momento si pentì di non
aver portato con sé la macchina fotografica.
C’erano così tante cose da
fotografare assolutamente… ma quel mattino era in missione
esplorativa, quindi
non poteva portare nulla di ingombrante. Il percorso fino alla spiaggia
gli era
sembrato interminabile. Non si dava spesso il caso che si trovasse solo
in un
posto sconosciuto, anzi probabilmente quella era la prima volta! Quando
fu
giunto alla distesa di sabbia fine e bianca della spiaggia, si
sentì invadere
dal desiderio di mettersi a correre, perché il mare era
lì, a pochi metri, ed
era bellissimo: una cosa gigantesca e azzurra e… voleva
toccarlo, tuffarsi,
guardarci dentro!
Tra
le tante cose che gli avrebbe rimproverato la mamma ci sarebbe
sicuramente
stato il bagno senza costume. Ovviamente Donny non aveva avuto la
premura di
indossarlo: non si era potuto mettere a rovistare nella valigia di
mamma, con
il rischio di svegliarli.
Così
si mosse deciso verso la riva, con i piedi che affondavano a ogni passo
dentro
la sabbia cedevole e caldissima. “Ahi, infuocata!”,
fu il commento di Donny
quando provò a camminare scalzo. Meglio avanzare con le
infradito che
ritrovarsi le piante dei piedi ustionate.
Era
ormai a metà strada tra il bagnasciuga e l’inizio
della spiaggia quando i suoi
occhi notarono qualcosa. Si accosciò per osservarla da
vicino: era una
conchiglia!
Donny
ne restò affascinato: era fatta a strisce color caffelatte,
e un tempo doveva
essere stata la casa ambulante di qualche lumacone di mare.
Nell’istante
in cui allungò la mano per afferrarla, fu preso di
soprassalto dal rumore di
voci che si avvicinavano e si mise all’in piedi di scatto:
erano voci di
bambini. Si voltò per guardarli: uno di loro aveva in mano
un pallone nero
arancio e gli altri cinque avevano preso a tracciare con i piedi le
linee di un
campo da calcio, segnalando i pali delle due porte con quattro lunghe pietre
piatte.
Donny
si allontanò istintivamente; non gradiva le occhiate di quei
bambini addosso. Dovevano
avere due o tre
anni più di lui, forse
addirittura dieci anni!E poi sembravano dei gradassi. Avevano fatto un
gran
polverone mentre segnavano le linee storte di quel campetto.
Donny
era indeciso se tornare a casa o puntare verso il mare. Dritto in
acqua:
decisione sofferta, ma ormai che c’era sarebbe andato fino in
fondo! Stando
alla larga dai pochi ombrelloni piantati nella sabbia a
quell’ora del mattino,
fatti una trentina di passi arrivò sul bagnasciuga. Che
bello… visto da vicino
era ancora più immenso… la spuma delle onde
arrivava a lambirgli i piedi. Il
fondale era abbastanza chiaro da riuscire a vedere qualche pesciolino
che
guizzava nell’acqua bassa.
Donny
si piegò in avanti e toccò l’acqua con
le dita: era calda abbastanza da
mettergli una voglia matta di fare il bagno.
Si
svestì rapidamente, si liberò delle infradito e
si fiondò in acqua con lo
slippino azzurro, che poteva benissimo passare per costume. Si spinse
fino ad
essere immerso fino al collo: sapeva nuotare a malapena,
perciò fece attenzione
a non andare troppo dentro, senza mamma e papà vicini.
Caspita, pensò. Il mio
primo bagno a mare,
il primo bagno della
mia vita! Altro che la piscina, si trattava di niente di meno che del
gigantesco, profondissimo, minaccioso mare… Ehi, aspetta un
attimo… minaccioso,
hai detto? Forse era il caso di ritenersi soddisfatti di quella prima
volta e
di uscire dall’acqua fino a nuovo ordine. Un attimo,
però. Era inconcepibile
fare un bagno a mare senza affacciarsi sott’acqua! Donny
chiuse gli occhi,
trattenne il fiato e si accovacciò sott’acqua,
voltandosi verso l’interno del
mare. Quando aprì gli occhi, oltre al pizzico
dell’acqua salata, sentì una
grande fifa: davanti a lui si spalancava un profondo abisso blu.
Vuoi
la visione magnifica e terribile, vuoi il fastidio agli occhi lo
convinsero a
risalire dopo pochi secondi di apnea. Wow! Non aveva mai visto niente
di così…
profondo! Tutto quel blu che diventava inchiostro man mano che si
inabissava.
Chissà cosa si nascondeva là sotto…
magari altre conchiglie come quella color
caffelatte, o altri pesci, molto più grandi di quelli che
scattavano nell’acqua
bassa. O tesori, e galeoni sommersi, e città fantasma. La
parola fantasma lo
fece voltare immediatamente e uscire fuori dall’acqua
abbastanza in fretta. Non
aveva portato con sé un asciugamano ovviamente, e adesso gli
toccava sedersi
sulla riva e aspettare di essere asciutto. Non poteva certo rivestirsi
subito e
inzuppare i vestiti.
Chissà
se quei bambini si erano presi la conchiglia… Donny sperava
tanto di no… prima
avrebbe fatto meglio a mettersela in tasca, forse. Si voltò
indietro: i bambini
stavano continuando a giocare, in mezzo a una nuvola di polvere contro
cui
spiccava il pallone arancione, sballottato di qua e di là.
Donny riusciva
persino a sentire le imprecazioni dei due portieri, piazzati tra i pali
di
pietra.
Era
già quasi del tutto asciutto quando vide una figura
femminile avvicinarsi
spedita ai calciatori. Donny non ci mise molto a capire che si trattava
di sua
madre. Dopo una rapida conversazione, uno dei bambini indicò
la riva e la mamma
di Donny puntò decisa in quella direzione. Non appena mise a
fuoco il proprio
bambino, la signora affrettò il passo. Donny si
alzò di scatto, in attesa della
sonora sgridata e forse di un ceffone.
“Donny!!
Ma cosa ti salta in mente?”, urlò la mamma, dando
sfogo all’ansia accumulata in
quei minuti di ricerca concitata.
“Papà
ti sta cercando sulla strada!! Rivestiti mentre gli dico che sei
qui!”
Donny
si rivestì in silenzio, mentre sua madre telefonò
al marito per comunicargli
che il bambino era in spiaggia e stava bene.
Conclusa
la telefonata, la mamma lo prese per un braccio e, senza smettere di
rimproverarlo, lo riportò a casa di filato.
Passarono
accanto ai bambini impegnati nella partita. Uno dei portieri lo
degnò di uno
sguardo beffardo e malevolo. Donny abbassò gli occhi, che
incrociarono di nuovo
la conchiglia. Era ancora lì, quei bambini non
l’avevano toccata. Donny a quel
punto avrebbe potuto chiedere a sua madre di fermarsi un attimo,
così l’avrebbe
potuta raccogliere; ma aveva in mente altri progetti per quella
conchiglia. Era
curioso di vedere se, quando sarebbe tornato in spiaggia con i suoi
genitori,
l’avrebbe trovata ancora lì. Sicuramente, alla
fine della partita, uno dei calciatori
l’avrebbe notata e se la sarebbe messa in tasca,
pensò.
Nel
pomeriggio Donny tornò in spiaggia con mamma e
papà. Notò subito che i ragazzi
non erano più lì; quattro pietre piantate nel
terreno erano rimaste a
testimonianza della partita. Ma -quello che più importava a
Donny- la
conchiglia color caffelatte… sparita, no!! C’era
ancora.
Fu
in quel momento, mentre le passava accanto, che prese la decisione:
avrebbe
atteso fino all’ultimo giorno di vacanza prima di
raccoglierla… Era rimasto
stupito che gli altri bambini non l’avessero raccolta. Forse
semplicemente non
l’avevano vista? Ma in dieci giorni sarebbe stato difficile
che qualcuno non la
notasse e non desiderasse raccoglierla e portarla a casa, per poterla
tenere
per sempre, per guardarla anche d’inverno, in un posto
lontano.
Fu
così che Donny passò i giorni di vacanza: tra un
bagno e l’altro, portando con
sé secchiello e paletta, andava a giocare in un punto della
spiaggia da cui
potesse tener d’occhio la conchiglia.
Un
giorno gli prese quasi un colpo, quando un grosso fuoristrada
passò con i
propri pesanti pneumatici a un pelo dal fragile guscio. Quando Donny
vide che
era ancora intatta, tirò un sospiro di sollievo: era rimasto
dieci secondi con
la paletta sollevata, pietrificato.
In
quella settimana e mezzo decine di persone passarono accanto alla
conchiglia,
ma nessuno sembrò degnarla di uno sguardo.
Un
pomeriggio un ragazzo e una ragazza piazzarono i loro teli proprio
lì vicino,
non molto distanti dal punto in cui Donny stava livellando la sabbia
del secchiello
con la fedele paletta.
Quando
li vide, Donny pensò: ci siamo! Adesso lui se ne accorge e
la regala alla sua
ragazza.
Invece
quei due presero a baciarsi e a toccarsi, in un modo che fece passare a
Donny
la voglia di guardare da quella parte. Dopo un po’ presero le
loro cose e se ne
andarono, proprio quando Donny aveva appena terminato un castello con
tanto di
portone e finestre, e stava tracciando con il rastrello il fossato per
difenderlo dagli attacchi nemici. La conchiglia era al proprio posto.
Il
penultimo giorno di vacanza i bambini con il pallone erano di nuovo al
lavoro
per delimitare il campo di gioco: avevano preso delle nuove pietre,
perché
quelle dell’altra volta, a differenza della conchiglia, erano
sparite, e adesso
stavano tracciando con i piedi le linee del campo. Donny
notò che uno dei
bambini stava trascinando il piede pericolosamente vicino alla
conchiglia. Ci
siamo, adesso la vede! Incredibile: il bambino passò oltre
senza farci caso,
continuando a scavare quello stupido solco che avrebbe fatto da linea
laterale.
Donny provò un misto di rabbia e sollievo: mancava solo un
giorno.
Ma
non aveva fatto i conti con il pallone, che in un’ora di
partita passò spesso
minaccioso dalle parti della conchiglia.
“Cos’ha
da guardare quello lì?”, chiese uno dei portieri,
indicando Donny con un cenno
del capo.
“Forse
vuole giocare”, suggerì uno dei suoi compagni.
Donny abbassò lo sguardo, non
contento dell’attenzione suscitata.
“Ma
no, è troppo piccolo!”, tagliò corto
quello che doveva essere il più giovane
del gruppetto, e riprese l’azione interrotta, correndo con il
pallone tra i
piedi e la polvere tra i denti.
Donny
tornò a tener d’occhio la conchiglia. La sua ansia
si sgonfiò solo quando il
pallone tornò in mano al portiere che l’aveva
indicato, e i ragazzi scesero tutti
a mare a farsi un bagno dopo le fatiche della partita.
Scese
il tramonto anche su quel giorno… quello successivo sarebbe
stato l’ultimo!
Quella
notte Donny non dormì, pervaso da un’eccitazione
che non aveva nulla a che
vedere con la fine della vacanza.
Il
mattino dopo fece un lungo bagno: l’acqua era calda e dentro
ci si stava una
favola. Che peccato uscire… ma c’era qualcosa che
non poteva più attendere!
“Mamma,
vado a giocare un po’ con la sabbia!”.
“Stai
attento”, rispose la mamma, guardandolo allontanarsi di corsa.
Donny
era quasi arrivato alla meta, quando vide una bambina in ginocchio
davanti alla
conchiglia. Lasciò cadere il secchiello e si
avvicinò a lei lentamente.
Proprio
in quel momento la bambina aveva raccolto la conchiglia e si era
rimessa in
piedi.
Donny
si fermò, a pochi passi da lei; la vide portare la
conchiglia all’orecchio ed
ascoltare, sorridendo.
Dopo
un poco si fece coraggio e le chiese: “Come ti
chiami?”.
Lei,
per nulla sorpresa, rispose senza staccare la conchiglia
dall’orecchio.
“Sarah”.
“…
cosa senti?”.
“Il
mare… vuoi ascoltarlo?”, gli chiese Sarah,
porgendogli la conchiglia.
“Sì”,
rispose lui.
Anche Donny
ascoltò. Sarah lo guardava con un
sorriso complice. “È bello,
vero?”.
“Sì”,
annuì il bambino, restituendole la conchiglia.
“Grazie.
Sei arrivato oggi anche tu?”, chiese Sarah.
“No… io
oggi vado via”.
“Peccato”.
La mamma
di Sarah la chiamò facendole cenno di tornare
all’ombrellone.
“Devo
andare adesso. Vado a fare il bagno. Allora…
ciao”, poi aggiunse: “come ti
chiami?”
“Donny, mi
chiamo Donny”.
“Che bel
nome. Ciao, Donny”, lo salutò sorridendo.
“Ciao,
Sarah”, le rispose, abbassando gli occhi.
Sarah
tornò dai suoi genitori, mentre Donny rimase a guardarla,
mentre si allontanava
di spalle. La vide portare la conchiglia all’orecchio
un’altra volta, per
ascoltare il mare.
Poco dopo,
Donny si mise un po’ a giocare col secchiello, la paletta e
il rastrello. Si
fece presto l’ora di andar via.
Qualche
ora dopo, nel tardo pomeriggio, Donny era sul sedile posteriore
dell’automobile
dei suoi, di ritorno verso casa.
“Cosa stai
disegnando?”, chiese la mamma, voltandosi verso di lui.
“Una
conchiglia!”. Donny le porse il foglio.
“Che
bella!”, commentò la mamma.
“È come
quella che ho visto in spiaggia. A casa voglio colorarla”,
disse lui.
La mamma
gli rese il foglio e Donny ammirò soddisfatto il proprio
disegno.
“Mamma, lo
sapevi che nelle conchiglie si sente il mare?”.
FINE