Anime & Manga > Saint Seiya
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Autore: Deliquium    09/11/2009    3 recensioni
Immaginate che il Fato decida, casualmente, di mescolare le carte in un modo diverso e immaginate quindi che sul tavolo da gioco, vengano messe giù altre carte. Alcune sono uguali a quelle che conosciamo, altre invece non sono mai state giocate prima d'ora. E immaginate, pertanto, che la storia così come la conosciamo, venga rinarrata nuovamente. E’ simile, ma allo stesso tempo diversa…
Le situazioni sono destinate a compiersi, ma non allo stesso modo…
Il filo del destino viene lentamente dipanato lungo l’asse del tempo verso, forse, un nuovo epilogo.
La storia è incompiuta. La nuova versione è in corso di pubblicazione con il titolo "Sincretismo"
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gemini Saga, Pegasus Seiya, Saori Kido, Scorpion Milo
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Sia fatta giustizia e perisca pure il mondo

[ IV ]



10. Imperdonabile!

Il moccioso insolente pensava di riuscire a sconfiggerla? Shaina scendeva la scarpata, rimuginando e maledicendo la sfacciataggine di quel ragazzino del cavolo. Chi si credeva di essere? Solo perché era riuscito a sconfiggere Cassios sperava di poter battere anche lei? Ma gli avrebbe insegnato, a suon di pugni, cosa significava combattere davvero...
Saltò in avanti, atterrando su una sporgenza rocciosa, chinandosi appena in tempo per evitare un'onda d'urto d'insolita potenza.
Allibita cercò di scorgere qualcosa nella profondità del crepaccio, ma era troppo buio per poter distinguere alcunché.
Che fosse stato Seiya? Scosse la testa, incredula. No, non era possibile. Era scarso, maledettamente scarso, eppure... non poteva far finta di nulla. Un cosmo potentissimo, improvvisamente, aveva preso a mulinare tutt'intorno. E non era un cosmo sconosciuto...
«Merda.» digrignò preparandosi ad affrontarlo.
Non sapeva in che modo, ma qualcosa in Seiya era cambiato. La infastidiva doverlo ammettere, ma quel ragazzo aveva il cosmo dentro di sé, come lo aveva lei, come lo avevano tutti loro...
Si guardò intorno, impossibilitata a discernere la vera posizione del suo avversario. Dove diavolo si era cacciato, quel moccioso?
Non poteva impedire al nervosismo di montarle in corpo. Per quanto si sforzasse di mantenere la calma, non poteva fare a meno di sentirsi come una lepre in un prato che salta di qua e di là mentre attende che da un momento all'altro l'aquila la ghermisca.
Quando Seiya uscì, finalmente, da quel crepaccio, sembrava esser avvolto dalla luminescenza delle stelle. Anche se era soltanto un'armatura di bronzo, il cloth di Pegasus le feriva gli occhi.
Ben presto, la sorpresa che aveva provato, fu sostituita dall'indignazione, e avanzando minacciosa, tuonò: «Come hai osato indossare quell'armatura?»
Seiya non si mostrò intimorito.
«Perché non vuoi accettarlo? Sono io il Saint di Pegasus.»
«Lo verificheremo subito.» gridò lei di rimando, avventandosi sul ragazzo.
Seiya alzò i pugni pronto a contrattaccare, ma ogni suo movimento era incredibilmente lento. Lei lo colpiva e lo colpiva e lui non riusciva neppure a muovere un dito per difendersi.
«Lo sapevo... che tu non puoi controllare quell'armatura.» gli gridò, mentre infieriva sul suo corpo ormai inerte.
Seiya la guardava sgomento. Non sarebbe mai riuscito a batterla. Ciò che ora indossava era come metallo arrugginito, così pesante da tenerlo schiacciato al terreno, impedendogli ogni movimento.
«Che cosa ti succede, Seiya? Credevi di potermi battere così facilmente... Non è in questo modo che potrai vincere uno scontro. Sei solo un inetto incapace di combattere! Dov'è la volontà di lottare? Dov'è il tuo desiderio di uccidere l'avversario?»
Seiya la guardò incredulo, con gli occhi spalancati.
«Non posso farlo...» sussurrò. Gli occhi compassionevoli che continuavano a fissarla.
Shaina piegò le labbra in una smorfia di sdegno, invisibile sotto la maschera.
«Che stai dicendo?»
«Non posso ucciderti... Perché... perché tu sei una donna, Shaina...»
Come osava? Come? Come osava dirle quelle cose.
Lo colpì con tutta la sua forza alla mascella.
«Ripetilo?» urlò la ragazza, afferrandolo per il coprispalle e tirandolo verso di sé.
«E' inutile Shaina. Tu sei forte, ma per me è impossibile combattere contro di te... Io... io non posso fare del male a una donna... non ci riesco... »
Lo allontanò di malo modo e si alzò in piedi, indignata.
«Uccidetelo!» ordinò ai suoi soldati, senza più guardarlo.
Quell'insolente non meritava neppure che lei lo sfiorasse per dargli una morte degna di un Cavaliere. Una donna? Non poteva combattere contro una donna?
Assurdo. Inaccettabile.
Si allontanò, andando a sedersi sul basamento di una grossa colonna ormai distrutta. Una decina di comuni soldati sarebbero stati più che sufficienti per dargli la morte e lei si augurava proprio che quella fosse una morte dolorosa e umiliante.
Ma non fece neppure in tempo a formulare quel pensiero, che i soldati erano già a terra insanguinati.
L'aria sfrigolava ancora in seguito al potente Ryuse Ken che Seiya aveva usato.
Si alzò di scatto.
Seiya rimase a guardarla in silenzio, attonito.
Che cosa stava guardando, quell'idiota?
Poi, lentamente, si portò la mano al volto e le sue dita lambirono la pelle fredda, realizzando ciò che era accaduto. Guardò a terra, sgomenta. La sua maschera giaceva lì, spaccata in due dallo spostamento dell'aria.
«Non ti avevo mai vista in faccia... credevo che... sì... che fossi più paurosa...»
L'aveva vista? Aveva visto il suo volto?
Il disprezzo ritornò a incendiarle nuovamente lo sguardo.
Imperdonabile. Seiya era imperdonabile.
Si voltò di scatto e prese a risalire il sentiero.
«Shaina?[
«La prossima volta che ci vedremo combatterò anch'io indossando un'armatura sacra e in quel momento ti ucciderò.» sentenziò lei, senza voltarsi.

11. Mama... Navsegda...

D'inverno, il Mar Glaciale Artico, al largo dell'Isola Kotel'nyj, si ricopre di una spessa coltre di ghiaccio e la temperatura può scendere anche a meno trenta gradi centigradi. Le gocce di vapore acqueo si cristallizzano e l'aria è così spessa che volendo si potrebbe anche affettare con un coltello. Il cielo, in questo periodo dell'anno, è sempre un cielo notturno, scuro e limpido, con una sfumatura più chiara là dove il sole riposa.
Quella mattina, Hyoga lasciò il suo rifugio presto, a un'ora che a latitudini diverse corrisponderebbe a poco prima dell'alba.
Mentre si dirigeva verso la costa, a bordo della motoslitta, le folate di vento gli sferzavano il volto, come scudisciate di cuoio, il cielo di piombo incombeva su di lui e il ghiaccio sfrigolava al suo passaggio.
Quando era arrivato in Siberia, da bambino, il freddo era un nemico contro il quale aveva iniziato a combattere fin da subito. Camus sembrava insensibile alle rimostranze dei suoi allievi e, Hyoga se lo ricordava molto bene, fin dal primo giorno, li aveva obbligati a stare fuori con indosso niente più che una maglietta e un paio di pantaloni. Lui si era preso una broncopolmonite e gli era durata un mese; mentre, Isaac, di tempra più resistente, aveva rimediato solo un "febbrone da cavallo".
Non aveva più indossato abiti pesanti da allora e, piano piano, grazie all'addestramento, il freddo aveva smesso di essere un nemico, ed era diventato il suo prezioso alleato. L'origine e la manifestazione del suo intimo cosmo.
Ogni mattina, fin da quando aveva messo piede in Siberia, Hyoga si svegliava, si vestiva e faceva sempre quella strada. Giorno dopo giorno. Senza mai mancare una volta.
Camus non gli aveva mai detto nulla. Il più delle volte non lo incontrava, neppure. E anche quando accadeva che, casualmente, s'incrociassero, egli evitava sempre di porgli domande. Hyoga però sapeva che il suo maestro era al corrente del suo segreto e sapeva anche che non approvava. Non gliel'aveva mai detto apertamente, ma lui era certo che Camus non lo avrebbe mai ritenuto un vero Saint finché non avesse abbandonato il ricordo di sua madre.
Un brivido gli percorse la schiena.
Abbandonare sua madre. La sua bellissima e meravigliosa madre. Sua madre che aveva dato tutto per lui, fino ad offrire agli dei la sua vita per la salvezza di suo figlio?
Hyoga amava il suo maestro, gli era grato per tutto ciò che aveva fatto. Grazie a lui, ai suoi insegnamenti e alla sua pazienza, era diventato il Saint di Cignus. Ma se c'era una cosa che non avrebbe mai fatto, era proprio quella di dimenticare sua madre e se, per tale ragione, egli non sarebbe stato un guerriero degno di Atena, allora egli non lo sarebbe stato.
Hyoga si morse un labbro, non appena ebbe formulato quella bestemmia e accelerò. La sua motoslitta scivolava rapida sulla neve, sobbalzando ogni qualvolta incontrava un dislivello.
Alzò il capo, spingendo il suo sguardo lontano. Il mare si schiudeva avanti a sé, tra due montagne di ghiaccio e neve. La superficie nera rifletteva la luminosità soffocata del cielo.
Parcheggiò la motoslitta e cominciò a camminare. I suoi stivali producevano un rumore attutito, quasi impercettibile. Camminò a lungo e si fermò a qualche chilometro dalla costa. Guardò in basso, tra i propri piedi. Il ghiaccio non mostrava nulla, ma lui sapeva che era lì che sua madre riposava.
Chiuse gli occhi e richiamò a sé il Cosmo. L'aria attorno a lui si fece ancora più fredda e si cristallizzò. Minuscole particelle di ghiaccio cominciarono a danzargli attorno, brillando come polvere di diamanti.
Respirò profondamente, e aprì di scatto gli occhi. Azzurro, puro, glaciale, perfetto. Il suo pugno frantumò la coltre di ghiaccio, aprendo una breccia grande abbastanza per far passare un uomo. Raccolse il respiro e si tuffò, stringendo una rosa rossa tra i denti.
Il freddo lo pungolò sprezzante, ma la sensazione svanì quasi subito. Nuotò verso il basso. Il buio degli abissi lo avvolgeva
completamente. Ovunque guardasse c'erano ombre, figure indefinibili nere e silenziose.
La nave giaceva sul fondo marino. La sua struttura era solo parzialmente intaccata dal tempo. Entrò. Un nugolo di pesci argentati si mosse spaventato. Rarissimi abitanti di quel regno senza sole.
Sua madre giaceva sul letto della loro cabina. L'abito ancora intatto così come il volto e i capelli. Il tempo e la morte non avevano avuto ragione della sua bellezza. Ella giaceva eterna in una bara di acqua gelida.
«Mama... Navsegda...» sussurrò inginocchiandosi accanto a lei.
I suoi occhi si fecero addolorati. Le sue lacrime, e ce n'erano, si mescolarono all'acqua del mare diventando invisibili.
Rimase in ginocchio per un tempo che parve eterno, sospeso in quella dimensione marina, l'acqua permeava ogni spiraglio, ogni fessura, lambendo qualsiasi cosa, sommergendola e abbracciandola con il suo tocco infinito.
Hyoga sollevò una mano verso il volto di sua madre, le dita protese verso la guancia di lei. Ma non la toccò. Non poteva toccarla. Non osava. Aveva paura che lei scomparisse. Che il suo volto, tanto bello, venisse intaccato dalla sua mano. Che la sua pelle d'alabastro si... Scosse la testa con violenza, dandosi dello stupido. Stupido, stupido, stupido. Non poteva pensare che la sua mamma, la sua adorabile madre, potesse subire l'orribile sorte della decomposizione. No e poi no. Sua madre sarebbe rimasta così per sempre. Bellissima per sempre.

12. Ciò che il ghiaccio custodisce.

Trasse un profondo respiro, non appena la sua testa fu fuori dall'acqua. I capelli fradici s'irrigidirono immediatamente al contatto con l'aria, ma lui non vi badò. S'issò con la forza delle braccia sulla calotta di ghiaccio.
«Hyoga!» lo chiamò improvvisamente una voce infantile, poco distante.
Ingobbito dagli strati pesanti d'indumenti che indossava, il piccolo Yacov se ne stava immobile sul ghiaccio. Hyoga si alzò in piedi e camminò verso la motoslitta. Aprì lo zaino che si era portato dietro e, come se niente fosse, si tolse gli abiti bagnati e ne indossò altri, asciutti.
«Sei andato a vedere tua madre?» trillò il bambino.
Hyoga lo ignorò, immerso com'era nei propri pensieri. Non che avesse qualcosa contro Yacov, ma quello... era... insomma... quello era il suo luogo sacro e nessuno poteva venirci.
«Tu vieni qui tutti i giorni Hyoga. Rompi il ghiaccio e ti tuffi...»
«Yacov, te l'ho già detto tante volte di non venire qui? Questo...»
«Lo so... è il luogo sacro dove riposa la tua mamma» lo interruppe triste il bambino.
Hyoga non aveva parlato con voce severa, ma Yacov aveva abbassato lo sguardo e pareva incredibilmente attratto dai propri scarponcini.
«Allora?» lo incitò improvvisamente Hyoga. «Per quale ragione sei venuto?»
Il bambino alzò di scatto la testa, gli occhi che gli brillavano. Si frugò rapidamente nelle tasche del giubbotto e, con fare trionfante, estrasse una busta chiusa che porse, gioioso, al ragazzo.
«Questa è per te, Hyoga, viene dalla Grecia.»
La lettera recava il sigillo del Gran Sacerdote. Era una lettera formale che, in un certo senso, aspettava da mesi... Da quando, cioè, era diventato Saint del Cigno. La sua nomina al rango di Bronze Saint, infatti, non era stata ancora ufficializzata. Camus di Aquarius, in quanto Maestro Saint, aveva ricevuto da Atena il potere di conferirgli il titolo qualora l'avesse ritenuto idoneo, ma soltanto il riconoscimento da parte del cloth concretizzava la nomina. In parole povere, finché l'armatura non avesse riconosciuto il neo Saint come suo legittimo custode, nessuna nomina poteva considerarsi valida.
Hyoga si trovava in una situazione del genere. Era stato nominato formalmente Saint di Cignus, ma non aveva ancora ricevuto il cloth.
Rimise la lettera nella busta. Il bambino continuava a guardarlo aspettandosi qualche spiegazione, ma Hyoga tirandosi su il cappuccio si avviò verso l'entroterra.
Yacov doveva quasi correre per riuscire a stargli dietro. Con la coda dell'occhio, scorgeva la sua piccola figura infagottata che arrancava in mezzo al ghiaccio. Rallentò il passo, lasciando che il bambino lo affiancasse.
Camminarono ancora per quasi due chilometri, in mezzo all'asimmetrica distesa di ghiacci, fatta di vette, conche, insenature, crepacci indisponenti, finché non arrivarono a un grande spazio.
Al centro, troneggiava una montagna altissima composta interamente di ghiaccio. La gente del luogo la chiamava "Ghiacciaio Eterno" e raccontava che fosse lì fin da quando la Siberia era nata.
«Yacov, vieni qui!» chiamò Hyoga, non appena notò che il bambino si era avvicinato un po' troppo al ghiacciaio.
Era vero che quell'immensa struttura non era mai stata scalfita da nulla, ma era anche vero che, a volte, senza alcun preavviso, lasciava cadere pezzi di ghiaccio. E non era molto chiaro a nessuno, per quale motivo il Ghiacciaio sceglieva sempre il momento in cui qualcuno gli si avvicinava. Sembrava quasi che avesse una volontà propria. Una volontà molto territoriale.
Superstizioni, questo era vero, ma in posti del genere le superstizioni, a volte, ti salvavano la vita.
Come ebbe formulato quel pensiero, uno scricchiolio, seguito da un rapido acciottolamento precedette il tonfo di un grosso lastrone di ghiaccio.
«Stai bene Yacov?»
Il bambino si guardò le mani, si tastò le braccia e il busto, per sincerarsi delle proprie condizioni, e annuì.
Hyoga lo superò, dirigendosi verso il ghiacciaio. Sollevò il capo. La vetta si stagliava iridescente contro il cielo di graffite.
«Allontanati Yacov.» disse, voltandosi verso il bambino.
Yacov lo guardò incerto, poi si affrettò a fare quanto l'amico gli aveva chiesto.
Hyoga chiuse gli occhi e respirò profondamente. Rimase ad occhi chiusi per qualche istante, mentre il suo cosmo cresceva d'intensità.
«Hyoga! Cosa hai intenzione di fare?» domandò spaventato il bambino.
Il giovane non gli rispose e continuò ad espandere il proprio cosmo. Un'aura bianca come la neve prese a danzargli attorno, mentre l'aria diventava, s'era possibile, ancora più fredda.
«Non vorrai colpire Ghiacciaio Eterno?! Hyoga... quel ghiacciaio non si è mai sciolto per migliaia di anni ...»
Hyoga era troppo concentrato per poterlo udire. Doveva espandere il suo cosmo abbastanza da riuscire a distruggere ciò che nessuno aveva mai distrutto dalla notte dei tempi. E doveva farlo in un colpo solo, altrimenti poteva dire addio alla sua investitura a Bronze Saint. Aprì gli occhi e avanzò rapidamente verso il ghiacciaio.
Il boato prodotto dal suo pugno fu assordante. Restò qualche istante, con le nocche premute contro il ghiaccio. Rivoli scarlatti scendevano sulla fredda superficie.
Si allontanò di qualche passo e davanti a lui, il Ghiacciaio sembrò fremere oltraggiato. Il rumore del ghiaccio che si frantumava sembrava un grido offeso, il lamento di chi non aveva mai conosciuto sconfitta alcuna.
Una luce accecante s'accese d'improvviso al centro della voragine aperta da Hyoga e maestoso e bellissimo il cloth del cigno scese verso di lui.
«Quello è ... è... il cloth del Cygnus!»
Yacov gli si era avvicinato ed ora guardava l'armatura ad occhi sbarrati.
«Sì, Yacov. Avevo ricevuto il titolo di Saint, ma non mi avevano dato ancora il cloth. Nella lettera che mi hai portato c'erano proprio le indicazioni per recuperarlo.»
«Allora... adesso sei un Saint a tutti gli effetti.»
Hyoga sorrise, mentre Yacov già gli aveva stretto le gambe, preso dall'entusiasmo. S'inginocchiò accanto al bambino, carezzandogli la testa incappucciata.
Il cloth del Cygnus si era auto-riposto dentro il Pandora Box, dimostrando così di possedere una volontà propria. Hyoga lo scorgeva, immerso nella neve ghiacciata, alle spalle di Yacov.
Con quel suo ultimo gesto, aveva esaurito completamente il proprio addestramento e non gli restava nient'altro che raggiungere la Grecia. Tuttavia, prima aveva qualcos'altro da fare.
Ne aveva parlato con Camus e l'uomo, pur disapprovando una simile condotta, si era impegnato a domandare presso la dea un pemesso speciale.
Il permesso era la seconda notizia contenuta nella lettera.
«Partirai per Atene, adesso?» gli domandò improvvisamente Yacov.
Hyoga aggrottò le sopracciglia.
«No, andrò a Tokyo.»
Yacov lo guardò sorpreso.
«Non... non dovresti ... beh... ecco... tu mi avevi detto... » si confuse il bambino.
Un repentino sorriso mitigò la dura espressione del neo Saint di Cignus.
«Sì, Yacov, dovrei partire per la Grecia e lì che abitano i Saint di Atena, ma, prima, ho una faccenda molto importante da risolvere.»
Yacov continuava a fissarlo con gli occhi spalancati. Due pozze verde-acqua delle più limpide.
«Vado da mio padre.» si risolse a dire, Hyoga.
Anche se non avrebbe voluto, il suo tono era risultato secco e, in parte, rabbioso.
Yacov abbassò lo sguardo. Un'ombra malinconica aveva inondato i suoi occhi.
Hyoga si avviò, ripercorrendo la stessa strada dell'andata. Il bambino gli camminava accanto, silenzioso.
Non aveva mai parlato molto di suo padre, ma quel poco che aveva detto, era stato più che sufficiente per far intendere che lui, suo padre, lo odiava. E odiava tutto ciò che a lui era legato.
Non aveva ancora ben chiaro, nella sua mente, che cosa si aspettasse da quel viaggio in Giappone. Una parte di lui si rifiutava di incontrare quell'uomo, guardarlo negli occhi, sentire le insulse spiegazioni che gli avrebbe dato. La rabbia gli ribolliva dentro, ma il suo volto era una maschera di creta, dura e immobile. E dire che da bambino, durante il breve periodo che era vissuto a Tokyo, dopo la morte di sua madre, quell'uomo gli era sembrato una così brava persona. Ma allora non sapeva che era quello l'uomo che stavano andando ad incontrare, quella notte terribile in cui sua madre morì.


Araya: Sono contenta che Atena e Seiya ti piacciono. Su questi due personaggi punto parecchio... proprio perché sono un po' bistrattati. Ma, in fondo, è solo perché sono stati colpiti dalla "maledizione dei protagonisti".
Gufo_Tave: Ammetto di amare moltissimo il personaggio di Sasha. Una dea Atena come l'ho sempre sognata... :D. Per quanto riguarda Seiya, non ho alcuna intenzione di trattarlo male, anzi... userò i guanti di velluto con lui. (Anche io detesto il bashing). Uhm... l'intenzione è mantenere un forte collegamento con le due opere originarie (Saint Seiya + Episode G) ma già il fatto che abbia deciso di intrecciarli, determina molti cambiamenti.

   
 
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