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Autore: Padme Undomiel    14/11/2009    5 recensioni
Strinse più forte al petto il fagotto immobile, coperto perché non dovesse essere scoperto. Pregava con tutta se stessa che le sue aspettative riuscissero ad essere appagate: almeno lui doveva sorridere.
Anche senza di lei. Probabilmente per sempre.
Perché il suo cuore era ancora intatto, mentre si aspettava che scoppiasse da un momento all’altro?
Sempre più vicina, sempre più vicina.
Non riusciva a fermarsi. La sua parte razionale stava vincendo su quella dei sentimenti. Non riusciva a smettere di correre a perdifiato, con il respiro corto, l’ansia visibile in ogni tratto del suo viso bianco come un cadavere, il dolore straziante nei suoi occhi scuri.
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hikari Yagami/Kari Kamiya, Ken Ichijoji, Miyako Inoue/Yolei, Takeru Takaishi/TK
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Purity cap 4

4.

 

Dimenticare

 

 

Era davanti ai suoi occhi, ed era stupenda.

Era assolutamente certa di non sbagliarsi: probabilmente, era una delle più graziose del mondo, e tutti parevano notarlo.

Un sorriso spontaneo spuntò sulle sue labbra, mentre non poteva impedirsi di assistere alla scena, troppo rapita per distogliere lo sguardo.

“Dai, mamma! Me lo compri, per favore? Ti prego!”

La piccola bambina dai capelli corti e con quel grazioso vestito rosa a fiori stringeva tra le mani un libro che aveva evidentemente preso da uno degli scaffali del suo negozio, e guardava, con i suoi grandi occhi scuri, una donna minuta intenta ad osservare la sezione dedicata ai romanzi storici, che sembrava avere la chiara intenzione di ignorare la piccola.

Era crudele. Come si faceva a rimanere impassibili quando una bambina così splendida chiedeva un favore a colei che l’aveva generata? Cercò di reprimere il suo impulso ad allontanarsi dalla cassa e a dirne quattro a quella donna, che, nonostante avesse almeno il doppio dei suoi anni, si comportava in maniera davvero crudele.

“Mamma, ti prego! Solo questo libro!”

“Ti ho detto di no, Ikuyo-chan. Te ne ho comprato uno la settimana scorsa: non posso prendertene uno ogni settimana, lo sai.”

“Ma mi piace! E l’altro libro non era così bello!”

Era così dolce, mentre tirava la manica della mamma per cercare di attirarne l’attenzione. Era così spontanea, come solo i bambini sapevano essere. Sentiva una sensazione di calore nel petto, che non sapeva e non voleva allontanare. Tutto quello che sapeva era che non voleva che quella bambina andasse via dal suo negozio.

Non si sarebbe mai stancata di guardare.

“Ora basta. Lo sai che non te lo comprerò, quindi non insistere!”

Vide Ikuyo cominciare a piangere, indispettita, e il suo cuore si strinse. Strinse con forza i pugni, sentendo il suo autocontrollo sul punto di cedere: non sopportava le lacrime dei bambini. Erano una cosa troppo dolorosa, e i piccoli di quella età non meritavano affatto di soffrire.

Era qualcosa che doveva essere solo degli adulti, come lei.

Miyazawa Rumiko sospirò, cercando, una volta di più, di non lasciarsi trasportare troppo dai suoi pensieri. Era sempre stato difficile, rimanere in silenzio a tentare di essere distaccata dai clienti del negozio: i suoi ricordi tornavano a tormentarla, e lei voleva solamente distrarsi quel tanto che bastava da non crollare proprio quando era sotto gli occhi di tutti. Aveva imparato a tenere a bada i suoi sentimenti, a non lasciar trasparire sul suo viso nulla delle sue sensazioni provvisorie, ma rimanere impassibile ad osservare ciò che più la appagava e più la faceva soffrire era impossibile.

Non era mai stata costretta a diventare una statua di marmo, e ritrovarsi in quella situazione era più che mai difficile. I sentimenti sapevano sempre travolgerla proprio quando cercava di liberare la mente.

“Vorrei comprare questo, signorina.”

La voce improvvisa della signora che prima parlava con sua figlia la fece sussultare bruscamente, mentre si rendeva conto di essersi persa nuovamente nelle sue riflessioni. Vide la piccola Ikuyo, con gli occhi rossi e un broncio più che comprensibile, accanto a lei: nel momento in cui incontrò il suo sguardo, un moto di tenerezza e di serena commozione la sopraffece. Le sorrise dolcemente, ottenendo un dolce rossore sulle guance da parte della bambina.

“Questa bella signorina è sua figlia?” domandò Rumiko, prendendo il libro che la donna le porgeva e controllando il prezzo.

L’altra annuì, sorridendo cortesemente. “Sì, è così.”

Improvvisamente, davanti ai suoi occhi, il bisticcio di poco prima avvenuto tra mamma e figlia sembrava essere dimenticato, e la donna sembrava solo completamente innamorata di sua figlia. Un senso di oppressione tornò a impedirle una buona respirazione: l’aveva visto tante volte, quell’espressione di affetto materno, e ancora non riusciva a sopportare di scorgerlo.

Si rivolse alla bambina, per cercare di distrarsi. Non riusciva a impedire ai suoi occhi di brillare. “E dimmi, ce l’hai un nome, piccola?” le chiese, mentre sentiva il suo spirito risollevarsi solo alla vista della timidezza della giovane interlocutrice davanti a sé.

Lei si nascose ancora di più. “Ikuyo” rispose solo, un piccolo bisbiglio che fece ridere Rumiko e sua madre.

“E’ molto timida con le persone che non conosce, ma quando è nel suo ambiente…” commentò la donna, accarezzando la testa della bambina. “E’ vivace solo con chi conosce bene.”

“E’ davvero stupenda” commentò rapita Rumiko, porgendo lo scontrino e ponendo il libro acquistato in una bustina di plastica. “Quanti anni ha?”

“Ne compie quattro la settimana prossima” fu la risposta, mentre la sua cliente prendeva la busta e lo scontrino.

Quattro anni. Solo quattro anni ed era così bella. La giovane cassiera non riusciva a immaginarsela quando avrebbe compiuto i suoi anni: sarebbe stata sicuramente molto ambita da ragazzi di ogni genere.

“Siete davvero fortunata” si lasciò sfuggire, mentre i suoi occhi non perdevano mai di vista quella meraviglia. Sapeva che la tristezza l’avrebbe colta in breve tempo: cercava di imporsi la calma, ma il rimpianto per ciò che non era stato e il suo desiderio irrealizzabile continuavano a trattenerla tra le loro spire, soffocandola e lasciandola senza via di fuga.

Era semplicemente troppo da sopportare.

“Grazie. E’ davvero molto gentile. Arrivederci!” rispose la madre di Ikuyo, prendendola per mano e portandola verso la porta di ingresso e di uscita.

E Rumiko osservò, impotente, ogni passo che portava via quella piccola da lei, dalla sua vista, dalla sua vita. Ogni passo che la allontanava era sempre più doloroso, sempre più difficile da accettare, sempre più ingiusto.

Era un’altra felicità negata, come quelle che le avevano distrutto la vita.

Sentì il suo cuore andare in pezzi all’uscita definitiva della coppia. Sentì il passato precipitarle addosso, mentre rivedeva l’ingiustizia del destino rivoltarsi contro di lei.

Mai nulla era andato come avrebbe dovuto.

Mai nessuno era rimasto al suo fianco.

E quella donna le aveva portato via l’unica, minuscola ancora di salvezza alla quale si era momentaneamente aggrappata. Senza motivo, senza pietà, senza riguardo alcuno.

La bambina chiamata Ikuyo non avrebbe mai compreso il suo bisogno impellente di osservare i suoi occhi, la sua voglia di stringerla a sé, il dolore che la portava a fissare, distrutta, il posto vuoto dove prima era rimasta, e dove ora non c’era più.

Chiuse gli occhi e scosse fermamente la testa, sentendola pulsare. Era arrivato il momento di tornare a calmarsi: forse una notte di riposo l’avrebbe liberata da quel senso di oppressione che non voleva lasciarla andare.

“Anche questa giornata è finita, finalmente.”

La voce improvvisa e conosciuta della signora Sato la riscosse dai suoi pensieri. Si girò, osservando i capelli ingrigiti e il sorriso gentile della donna robusta e determinata che le aveva sempre voluto bene e l’aveva capita come nessun altro mai.

Le sorrise, stanca. “Credo che dormirò per una settimana, dopo oggi” ironizzò, cominciando a chiudere il negozio. “Sono a pezzi: questa libreria fa così tanti affari che è impossibile sostenere lo stress di ogni giorno.”

La signora Sato rise, mettendole una mano sulla spalla con fare affettuoso. “Hai intenzione di lasciare tutto il lavoro per me, se dormi per una settimana?” domandò, e Rumiko rise in risposta, felice di sentire, per una volta, che con qualcuno non era costretta a fingere. Era una delle uniche occasioni in cui potesse essere serena, uno dei pochi punti fermi che sentiva di avere: lei conosceva il suo dolore, lo rispettava, ma cercava di esserle vicina e di fingere che nulla fosse cambiato dalla ragazza spensierata che era stata una volta.

Le voleva bene in maniera incondizionata, e sapeva che il suo affetto era ricambiato. E per Rumiko tanto bastava, in quel momento di grande solitudine.

“Sai che verrei anche con la febbre: non mi terrai lontana dal negozio!” ribatté la giovane, con un sorriso. “Almeno tu non ti libererai facilmente di me.”

“Mi fa piacere sapere che ci tieni così tanto: vuol dire che hai intenzione di non restare tanto da sola. E’ un bene, soprattutto per te.”

Quelle parole gelarono il sorriso sulle sue labbra, incupendo il suo spirito. Restare da sola era diventato necessario, per cambiare completamente vita. Ma mai come in quegli anni aveva sentito forte il disprezzo per la sua solitudine, e quella voglia disperata di tornare ai tempi in cui non doveva necessariamente essere così, in cui era qualcuno.

La testa pulsò ancora; si portò una mano alle tempie, sospirando. “Sarà davvero meglio che torni alla mia solitudine, Sato-san” disse, cercando il suo sguardo e non riuscendo ad impedire al suo tono di farsi triste, quasi spento. “Sono stanca.”

Lei capì, e, come sempre, non commentò le sue scelte. Si limitò a lanciarle un’aria comprensiva, e a dire: “A casa ti aspettiamo, lo sai. Appena ti andrà, saremo lì.”

La cara, vecchia confidente di quegli anni. Come si poteva non volerle bene?

La abbracciò forte, cercando di impedirsi di commuoversi. “Non mi perderò uno dei suoi deliziosi manicaretti, è una promessa.” Le disse solamente. “Le farò sapere.”

Poi si allontanò, e corse veloce, lottando contro l’oscurità della sera che cominciava a calare. Le piaceva correre: le dava un senso di libertà, la illudeva che la parte spensierata e totalmente allegra di sé potesse prendere ancora il sopravvento.

Rumiko si odiava quando pensava a quanto era stata costretta a cambiare. Si sentiva maledettamente fragile e vulnerabile, e i suoi errori e le sue colpe la colpivano come ripetute pugnalate al cuore. Non era stupida: sapeva benissimo che non avrebbe mai potuto rimediare, e che le sarebbe sempre mancato quel periodo breve in cui aveva tenuto stretta la sua felicità senza mai lasciarla.

Era per questo che correva, imponendosi di liberarsi dal dolore che sempre l’accompagnava, fingendo di essere chi non era e non sarebbe mai stata.

Voleva un momento di oblio. Nient’altro.

 

***

Rumiko infilò le chiavi nella serratura, aprendo il portone del suo appartamento.

Entrò cautamente, affrontando a testa alta il rumoroso silenzio che l’assordava al suo ingresso.

Da quanto era che non si preoccupava di tentare di riordinare quella casa? Sembrava che lei non fosse l’unica abitante, e che migliaia di persone avessero deciso di ignorare il loro compito di riporre al proprio posto gli oggetti che avevano utilizzato.

Se fosse andata diversamente, a quell’ora ci sarebbe stato un motivo più che valido e giustificabile per tutto quel disordine. Se fosse andata diversamente, avrebbe riso del naturale scompiglio che ci sarebbe stato nel suo appartamento, perché certamente non avrebbe dato la colpa a lui.

Il ricordo fu così dolorosamente vivido che le mani iniziarono a tremarle, e la testa divenne pesante come un’incudine. Si appoggiò al muro, chiudendo gli occhi per un istante.

Era solo quel maledetto silenzio. Era solo la solitudine che si divertiva a prendersi gioco di lei. Ma non poteva lasciare che il pensiero della sua immensa gioia di altri tempi le rovinasse il riposo che sentiva di meritare: dopotutto, a cosa sarebbe servito?

Lui non lo avrebbe rivisto mai più. Era andato via.

Lottando contro le lacrime, la giovane cominciò a cantare addosso al silenzio, per evitare di essere sopraffatta. Si separò dal muro, intonando quella nenia che le faceva ritornare alla mente la voce dolce di sua madre quando gliel’aveva insegnata, anni e anni prima.

Si diresse verso la cucina, aprendo il frigorifero e cominciando a preparare la sua cena solitaria. Forse era meglio preparare una cena più sostanziosa: la giornata alla libreria dove lavorava da alcuni anni era stata molto impegnativa, e inoltre rischiava di portare il suo umore già perennemente disperato a livelli ulteriormente abbattuti.

Doveva liberare la mente, in qualche maniera. Almeno per qualche ora.

Afferrò una pentola, pronta ad accendere i fornelli. Sul punto di farlo, però, si fermò, sorpresa e immobile.

Osservava la sua immagine sulle pareti acciaio della pentola.

Era abituata a osservare i suoi occhi spenti: erano anni che non riuscivano ad esprimere quell’antica gioia che sempre l’aveva caratterizzata, fin dall’infanzia. Ma la sua carnagione pallida e il suo volto magro creavano uno strano contrasto con i lunghi capelli neri che lasciava sciolti sulle spalle. Rise, senza un vero motivo:  forse era divertente osservare quanto la sua prostrazione interiore fosse visibile anche a un occhio esterno.

“Non potrai mai cambiarti del tutto, sai?” disse al suo riflesso, con un sorriso amaro. “Tenta pure: rimarrai sempre la solita sciocca. Fortuna che nessuno che conosci sul serio ti vede, Rumiko.”

Scosse la testa, cominciando a preparare il necessario per saziare il suo appetito.

Proprio mentre iniziava a disporre gli ingredienti, il campanello suonò, facendola trasalire bruscamente. Diede una veloce occhiata all’orologio affisso alla parete: erano le 20:15. Strano orario, per dei visitatori. Tanto più che non aspettava nessuno.

Corse alla porta, con un timore naturale con il quale aveva ormai fatto l’abitudine, mentre si chiedeva chi mai potesse voler bussare alla sua porta. Magari era solamente la sua vicina, con qualche ingrediente che le mancava per cucinare, tentò di rassicurarsi, sentendo il cuore battere a velocità impensabile. Proprio non poteva esserci posto per l’ansia: non ora che stava meglio, non ora!

Sistemò velocemente la chioma scura, facendo attenzione che fosse a posto. Dopo aver sospirato profondamente e aver imposto alla sua mano di non tremare, abbassò la maniglia e spalancò la porta d’ingresso.

E sgranò gli occhi, mentre si sentiva mancare.

Un uomo alto e serio era davanti a lei, nell’espressione una strana immobilità. Aveva i capelli scuri, tagliati corti, e gli occhi di uno straordinario colore verde, intensi e carichi di sentimenti. Era magro, vestito in maniera semplice ma sobria, ed era immobile a fissarla.

Il respiro le si mozzò in gola, mentre gli occhi le si inumidivano e non poteva farci nulla.

“Sei proprio tu…” sussurrò l’uomo, osservandola con aria sorpresa e commossa.

E Rumiko non resse un istante in più. Gli si gettò al collo, singhiozzando e piangendo lacrime di gratitudine e gioia, ben sapendo che erano anni che aveva aspettato e sperato senza mai vedere esauditi i suoi desideri.

“Ho aspettato così tanto…” balbettò, la vista totalmente velata dal suo pianto incontrollabile. “Sei venuto a cercarmi… Oh, Iori-kun…”

 

***

 

Non ricordava molto di come fosse successo, ma qualche istante dopo Hida Iori era seduto sul divano del suo piccolo salotto, mentre Rumiko si affannava a preparargli qualcosa da mangiare. Una gioia improvvisa, incontenibile, irrazionale, aveva preso il suo cuore, e le lacrime che scendevano lungo le sue guance ogni tanto erano dolci quanto la risata che squassava il suo corpo scorgendolo a casa sua.

Iori era venuto a cercarla, nonostante tutto.

Iori era ricomparso dopo anni e anni di assenza.

E a nulla contavano i dissapori passati, le accuse rivolte dai suoi occhi verdi, la disapprovazione per come aveva deciso di condurre la sua vita e gli anni di silenzio che l’avevano fatta impazzire.

Il suo migliore amico non si era dimenticato di lei, nemmeno disapprovando le sue scelte.

“Dai, ti offro la cena, così puoi spiegarmi tutto!” gli disse raggiante, portandogli un vassoio pieno della sua porzione. La fame sembrava essere scomparsa: al diavolo, se si trattava di parlare con un amico di vecchia data qual era il suo ospite. “Devi dirmi tutto nei minimi dettagli! Come hai fatto a trovarmi? Come sta tuo nonno, e tua madre, e tutti quanti? Oh, non stare lì in silenzio! Non sei venuto per stare con me, Iori-kun?”

Iori chinò il capo in segno di gratitudine alla vista del vassoio. “Ti ringrazio molto per la cena, anche se non ce n’era bisogno” rispose, e Rumiko dovette asciugare frettolosamente un’altra lacrima spuntata dai suoi occhi alla vista del solito fare educato che mai lo avrebbe abbandonato. “E mi scuso per essermi presentato a quest’orario.”

“Non ci pensare nemmeno: figuriamoci se comincio a rimproverarti per questo, dopo che sono sette anni che non ci vediamo più!” rispose la giovane, ridendo come non faceva più da una vita e sedendosi accanto a lui. “Ma guarda come sei cresciuto! Prima non eri così alto, e non avevi nemmeno quell’aria da uomo che ti ritrovi… Solo nel carattere non sei cambiato affatto, e non sai quanto ne sia contenta.”

Il ragazzo sorrise, osservandola a sua volta. “Sembra strano che neanche tu sia cambiata così tanto… tranne che nell’aspetto” disse a voce bassa, e Rumiko abbassò lo sguardo, vergognandosi, irrazionalmente, di mostrare i cambiamenti nell’immagine che dava di sé. Iori non aveva mai dovuto guardarla dietro una maschera, come invece stava succedendo in quel momento.

“E’ stato necessario, lo sai meglio di me” tagliò corto, tenendo gli occhi bassi. Aveva paura di incontrare lo sguardo di biasimo che l’aveva accusata l’ultima volta, se solo lo avesse alzato. “Ora dimmi di te: com’è andata la tua vita da quando sono stata via?”

Calò un istante di silenzio, mentre Iori prendeva un boccone dalla cena che Rumiko gli aveva preparato e lo masticava lentamente. “Ho proseguito i miei studi, nonostante tutto” rispose infine. “Ho terminato le scuole superiori, e adesso studio legge: non ho intenzione di rinunciare al mio sogno di diventare avvocato.”

Lei sorrise. Era così rassicurante rivederlo con le stesse passioni di quando aveva quindici anni. “Chi meglio di te può farlo, d’altronde?” disse, e Iori la ringraziò con un piccolo cenno della testa e un’occhiata serena. Solo allora, Rumiko ricordò un particolare, e aggrottò le sopracciglia, allarmata. “Ma cosa significa nonostante tutto?”

L’espressione improvvisamente indurita del suo vecchio migliore amico la fece fermare, con un brutto presentimento che sembrava volerle bloccare il respiro in petto. Era sicura che tutto il buonumore di Iori era appena scemato a seguito di qualche ricordo poco piacevole che il loro discorso doveva avergli evocato.

Le lanciò uno sguardo pieno di frustrazione, e Rumiko non poté fare altro che fissarlo in silenzio. “Sai che la polizia è ancora sulle tracce di Inoue Miyako?” chiese, a voce bassa, e il cuore della giovane mancò un battito. Il panico tornò ad attanagliarla, mentre osservava la serietà che aveva assunto l’espressione del ragazzo: era possibile che ancora non si fossero rassegnati e arresi all’evidenza che Inoue Miyako non sarebbe mai più tornata?

“Non dovresti esserne sorpresa: ero sicuro che lo sapessi bene” continuò l’altro, assottigliando gli occhi profondi mentre coglieva la sua espressione sconvolta. “Sono tra gli indiziati, e indagano ancora sul mio conto. Lo sai che la polizia non ha mai abbandonato il caso, e di certo quelle strane apparizioni nei quartieri più frequentati di Tokyo non aiuta ad archiviarlo.”

Rumiko arrossì, e distolse lo sguardo bruscamente. Iori non era lì per caso, né solamente per scambiare quattro chiacchiere in tutta tranquillità: aveva compreso fin troppo bene che il suo scopo era solo quello di chiarire i misteri, di avere una risposta soddisfacente.

Ma come poteva darne? Come? Era più difficile che affrontare il suo sguardo.

“Dimmi perché sei venuto qui, Iori-kun” riuscì a dire, con voce improvvisamente bassa. In quel momento avvertiva la voragine dei ricordi tentare di riportarla indietro, ad annaspare nel loro oceano senza fine e senza via d’uscita: aveva paura di affrontare tutto. Aveva paura di sapere cosa volesse il ragazzo dagli occhi verdi dalla sua maschera, e dal suo vero essere. Ma sapeva che non avrebbe potuto scacciarlo: aveva bisogno di rivederlo, di non sentirsi più abbandonata. “Sembra che non sia una visita di piacere.”

Qualcosa sul viso di Iori cambiò, addolcendo per un istante quel viso tanto pronto a condannare ogni cosa che andasse contro i suoi principi. “Volevo sapere com’è diventata la tua vita, da quando sei andata via” spiegò. “E’ questo che mi ha spinto a venire da te questa sera. Ma… mi serve sapere quanto le tue idee sono cambiate da allora, e per quanto hai intenzione di nasconderti senza porre rimedio alla tua situazione.”

E sprofondò nell’abisso, senza possibilità di scelta. Tutte le sue decisioni, tutte le sue colpe, tutto quello che aveva omesso o dichiarato a voce alta, tutti gli anni di segretezza e di solitudine, e la sconfinata, struggente, immensa mancanza di ciò che aveva di più prezioso e che aveva perduto a causa della sua codardia esplosero nella sua mente.

Scattò in piedi, piena di un dolore e di una rabbia non possibilmente misurabili. “Vuoi sapere se sono tornata in me, se ho deciso di fare la cosa giusta, per una volta?” urlò, sentendo il petto scoppiare per lo sforzo, che pure non la liberava dalla sofferenza che sentiva dentro. “Vuoi che ti dica che hai avuto ragione tu, che sono stata irresponsabile, che avrei dovuto pensare alle conseguenze o agli insegnamenti che mi avevano dato? A quanto pare, Hida Iori è sempre stato più intelligente di me, anche con quasi tre anni di differenza, anche se avrei dovuto essere responsabile come e più di te! A quanto pare, l’unica cosa a cui io possa mai pensare è quella di nascondermi, spaventata dalla mia stessa ombra, terrorizzata all’idea che possano scoprirmi, e senza più forza per continuare! Cosa mai potrei fare? Dimmelo, se lo sai!”

Iori aveva gli occhi sgranati, e tutto quello che poté fare fu fissarla, turbato. La sua intenzione non era quella di farla sentire in colpa o di farla stare male, ma Rumiko non riusciva a smettere di gridare. Qualcosa si era spezzato in lei: la maschera era stata violentemente frantumata, e sotto gli occhi del suo amico la sua vera identità era messa a nudo senza che lei potesse farci nulla.

Corse via dalla stanza, precipitandosi in bagno. Con una furia che credeva sopita da tempo, si mise davanti allo specchio, togliendo con dita tremanti le lenti a contatto che si era costretta ad indossare, per poi frugare, mentre le lacrime cominciavano a scendere copiose dai suoi occhi, nel cassetto dove aveva nascosto il suo segreto.

Quando estrasse il suo paio di occhiali, i singhiozzi la squassarono.

Li infilò, senza trovare il coraggio di guardarsi allo specchio.

Portò le mani alla testa, prendendo tra le dita la sua chioma scura. Chiudendo gli occhi, sentendo il suo cuore lacerarsi, tirò con forza.

Cadde via, mentre sentiva ciocche e ciocche sfuggire dalla rigida posizione nella quale costringeva i suoi veri capelli ogni giorno. La parrucca non le sarebbe servita.

Aprì, tremante, i suoi occhi miopi, e scorse la sua figura.

Occhi castani, dietro spesse lenti. Capelli viola lunghi, spettinati e lisci.

Capelli viola. Come quelli di lui.

Scappò dal suo specchio, tornando ad affrontare Iori.

Quando lui scorse la sua immagine, così familiare a lui, sobbalzò, e si alzò in piedi. Ma lei piangeva, e non riusciva a fermarsi.

“Guarda!” pianse, osservandolo come poté attraverso i suoi occhi velati di lacrime. “Questo è il volto di chi ha sbagliato tanto, di chi è scappato perché credeva di fare del bene, e invece condannava altri! Questo è il volto di… una madre… che ha abbandonato suo figlio… E’ il volto di un mostro, che deve restare da solo! Credi che io abbia altra scelta, che possa aver cambiato idea? Con quale criterio?”

Cadde in ginocchio, troppo distrutta per reagire altrimenti, singhiozzante. Avrebbe voluto cancellare il suo passato. Avrebbe voluto riabbracciare i suoi genitori, i suoi amici.

Avrebbe voluto crescere suo figlio. Lo stesso figlio che aveva amato con tutte le sue forze, che il destino aveva voluto allontanare per sempre dalla sua vita. Lo stesso figlio che aveva visto dormire, mentre lei lo abbandonava per sempre.

Per sempre. Non l’avrebbe visto mai più.

“Miyako-san…”

Sussultò, sentendosi chiamata così. Alzò lo sguardo, troppo incredula a risentire quel nome. Il suo vero nome.

La mano di Iori era sulla sua, e per la prima volta la giovane scorse un sorriso di affetto, così raro in lui, comparire sul suo volto. Lo guardò, non sapendo come avrebbe risposto, se l’avrebbe biasimata o consolata.

“Non sono qui per biasimarti per il passato, Miyako-san, e non volevo farti piangere. Mi dispiace molto.” Disse, nella voce una partecipazione rispettosa del dolore che sapeva bene essere insanabile per lei. “La mia rabbia per quello che era successo mi ha spinto a prendere la decisione di incontrarti di nuovo in ritardo. So di essere stato carente come amico, e non sai quanto me ne vergogni: se non avessi parlato con Satsu, probabilmente non mi sarei mai convinto. Ti chiedo perdono.”

Miyako strinse le sue mani, grata per questo gesto. Il suo rancore le aveva fatto troppo male: se, sette anni prima, non avesse trovato conforto nella famiglia di Sato Satsu, una delle migliori amiche che avesse mai avuto, non avrebbe saputo andare avanti. “E’ grazie a lei che mi hai trovata?” balbettò, ancora scossa dai singhiozzi.

Iori annuì, grave. “Mi ha fatto capire molte cose.”

“E allora qual è il tuo intento, Iori-kun?” domandò ancora lei, guardandolo con angoscia. “Hai deciso che non puoi più proteggermi, che hai diritto a vivere la tua vita senza che le indagini su di me la rovinino?”

Lui scosse il capo, donandole un po’ di speranza. “Ichijouji Osamu non è ingenuo: continuerà a ritenermi… sospettato in eterno” ribatté, a denti stretti mentre pronunciava l’ultima parte. E solo lei sapeva quanto essere considerato un criminale mortificasse e riempisse di rabbia il suo migliore amico. “Ma non è per questo che sono qui. Ti chiedo di tornare alla tua vecchia vita, di tornare dai tuoi genitori e da chi ti vuole vedere.”

Miyako sgranò gli occhi, sentendo il suo cuore accelerare. Non poteva dire sul serio: erano otto anni che era sparita dalla sua casa senza dare spiegazioni! Le cose non avrebbero mai potuto sistemarsi, e di certo non avrebbe cambiato il passato. Come faceva a proporre una soluzione del genere?

“Tornare? Come posso?” sussurrò, ripensando al loro volto contratto dalla rabbia e dal disgusto. Scosse violentemente la testa. “No, non potrei. La mia vita con loro è finita, me lo hanno detto chiaramente. Credevo che tu fossi una persona con i piedi per terra.”

“La lontananza perdona tante cose. Soffrono molto: non sono più gli stessi, senza di te.” Replicò Iori, pacato. “Tu devi tornare, perché puoi ancora rimediare.”

Il desiderio di rivederli ancora fu così forte da farle male: un senso di repulsione verso se stessa la costrinse a non illudersi. Le lacrime scesero ancora lungo le sue guance, mentre sapeva perfettamente come ribattere al suo ascoltatore.

“Ho abbandonato una creatura innocente” disse, tremando al pensiero della bellezza del suo piccolo viso, al calore rassicurante del suo corpo tra le sue braccia. Il suo bambino. Il suo piccolo, finito chissà dove, chissà con chi. “Non posso tornare. Loro non mi avrebbero mai accettato in altri tempi, e anche se loro potessero farlo, io non mi perdonerei, perché non potrò mai farlo. No, Iori-kun: non puoi dirmi di dimenticare, perché tu stesso non ci riesci del tutto.”

Iori si irrigidì, rimanendo in silenzio, e Miyako seppe di aver vinto. Pianse lacrime amare, nella mente ancora l’immagine di suo figlio. Il suo piccolo Keiji.

Sette anni, e il dolore ancora la struggeva. Sette anni, e la sua voglia di dimenticare diventava sempre più utopica. Aveva rinunciato a vivere, abbandonandolo, e forse lo aveva condannato ad un destino atroce. Sciocca, stupida, crudele. Ecco cos’era stata.

“Allora perché ti fai ancora vedere, ogni febbraio?” chiese poi Iori, scrutandola confuso. “E’ un gesto sconsiderato. Non dovresti sottovalutare Ichijouji, lo sai.”

Lei sorrise amaramente. Era così strano spiegarne il motivo a qualcun altro che non fosse se stessa: forse era rimasta da sola per troppo tempo, dopotutto. “Chiamami come vuoi, ma… ho bisogno di farmi vedere per come sono. Lo faccio per i miei cari, in modo che capiscano che sto bene e sono viva… e lo faccio per me. Lo sai cosa significa impersonare Miyazawa Rumiko per sette, lunghi anni? Non è facile, né piacevole.”

“Giochi con il fuoco, Miyako-san” replicò l’altro, preoccupato. “Dovresti smetterla.”

Miyako scosse la testa. Era bello trovare qualcuno che ancora si interessasse a lei. Era bello ritrovare le apprensioni sicure del suo migliore amico di sempre. Lo abbracciò forte.

“Sai che non ti ascolterò, ma… Ti voglio bene, Iori-kun, e ti sono grata per tutto” disse piano, piangendo silenziosamente sulla sua spalla.

Iori ricambiò la stretta. “Sarò costretto a non farmi vedere troppo, ma voglio che tu sappia che non ti abbandonerò più: se avrai bisogno, basta riferirlo a Satsu. Mi avviserà.”

“Puoi restare con me ancora per un po’? Ti prego.” La giovane lo strinse più forte. Aveva paura di essere lasciata nuovamente da sola, aveva paura di affrontare i suoi ricordi. “Permettimi di dimenticare ancora per un po’. Solo qualche minuto.”

Il suo cuore esultò quando lo sentì dire: “Va bene.”

Rimase in silenzio, chiudendo gli occhi, mentre sentiva la testa dolerle e le mani tremarle. Sapeva a cosa aveva rinunciato, quando aveva abbandonato suo figlio e quando si era nascosta alla sua famiglia. Lo sapeva, ne soffriva, ma non poteva fate altro che cercare di proseguire la sua vita solitaria.

Se le cose non potevano migliorare nella sua vita, doveva essere felice delle poche cose che ancora le restavano. E la visita di Iori era stata così dolce da farle pensare, per un solo istante, che la sua ferita fosse stata rimarginata.

Tra qualche tempo avrebbe ripensato a tutto, avrebbe sofferto come sempre.

Ma Inoue Miyako non voleva ancora svegliarsi dal sogno idilliaco.

Non ancora.

Nuovo aggiornamento pronto per voi! :) Accidenti, questo capitolo è stato più difficile del solito da mettere per iscritto, ma ora che è pubblicato posso essere fiera di annunciare che questo è stato l'ultimo capitolo di presentazione! Dopo di questo, posso dedicarmi a mandare avanti la vicenda, senza indugiare oltre!
E' finalmente rivelata qui l'identità della mamma di Keiji ^^ ma credo che ormai non sia più una sorpresa, dato che lo avete indovinato abbastanza presto! In ogni caso, Miyako meritava una sua analisi, dato che tutto ruota intorno a lei (e anche perché l'adoro :) ), e credetemi se vi dico che ce l'ho messa tutta per rendere al meglio i suoi pensieri e le sue emozioni!
Ma lascio a voi la parola! Sarei proprio curiosa di sapere le vostre versioni dei fatti!
Per intanto, mi sembra più che giusto ringraziarti, HikariKanna, per essere tornata a recensirmi ** e anche per aver commentato insieme due capitoli! Mi ha fatto piacere pensare che tu la pensi come me, riguardo Hikari: ho deciso di rimanere il più possibile fedele all'anime, e dato che lei diventava insegnante delle elementari... ^^ Lo stesso discorso vale anche per Ken, comunque legato in qualche modo alla polizia, e per Takeru che ama scrivere! Per Osamu invece ho potuto solo inventare, per ovvi motivi (ç_ç)... Non preoccuparti, Takeru e Hikari si incontreranno ben presto: non li lascio certo così, no? ;) E per la mamma del bambino e il nascondiglio di Miyako... Beh, questo capitolo dovrebbe bastare come risposta! Grazie ancora, un bacione!
Mystery Anakin, grazie per l'entusiasmo: e chi se lo aspettava? *_* Non credevo che il caso ti sarebbe interessato tanto, e devo dire di aver temuto un tuo parere, ad essere sinceri! Anche perché lo sai che è la prima volta che mi cimento in una storia tanto ricca di generi... Solo un appunto: non puoi aspettarti che ti riveli già l'identità del padre, sarebbe troppo facile! Per quello ci vorrà un po', immagino... ;) I due fratellini Ichijouji ti sono piaciuti, quindi? Buono a sapersi :) considerando che saranno davvero importanti nella vicenda... E puoi scommettere che sentirai ancora parlare di loro, cara mia! xD Beh, che dire, sono felice e commossa del tuo interessamento, e spero di non deluderti con questo capitolo! Mi fai sapere appena puoi? Ti aspetto con impazienza! Ti voglio un mondo di bene!
Ehi, gelato sciolto... sei ancora in grado di leggere la risposta alla tua recensione? xDxD Sto scherzando, Shine, ovvio! E' solo che mi ha fatto ridere vedere tutti quegli smile... Ma cambierai mai? ^^ E cosa potevi aspettarti da una tipa come me? Non potevo certo lasciare Osamu nel dimenticatoio, o il caso Inoue irrisolto! Il maggiore degli Ichijouji doveva essere vivo, e Miyako dovrà pur essere trovata da qualcuno... ;) Quindi, sono semplicemente felice che le due cose non ti dispiacciano! Sai anche che mi piace provare diversi generi, e sapendo che i gialli ti piacciono, mi sento più motivata a continuare, sul serio! E aspettati una presenza costante del rapporto tra Osamu e Ken, sapendo che non li abbandonerei di certo al loro destino... Io cercherò, come sempre, di non deluderti! Mi dici che ne pensi di questo? Ti piace, anche se non c'è un certo ragazzo dagli occhi azzurri che conosci? xD Non sai quanto ti voglio bene, spero di sentirti presto!
Ciao, Roe: che piacere sapere che hai già provato a dare una tua interpretazione della vicenda! La tua era una recensione critica, e ne sono molto contenta (per di più fatta anche ad orari impensabili... xD Non volevo tenerti sveglia fino a quell'ora!) Sono d'accordo con te, nessuno analizza mai il povero Osamu... ed è proprio per questo che in questa ff è ancora vivo! Ma, come vedi, Miyako non è svanita nel nulla: almeno adesso sai dov'è, alla faccia degli Ichijouji! ^^ Terrò presenti le tue teorie, anche se, come sai, non posso dirti nulla... Ti toccherà aspettare! Grazie per l'attenzione, i commenti e i complimenti, sul serio: cosa mi dici di questo? Ci sentiamo, un bacione! 
Ancora una volta, vi invito a farmi sapere cosa ne pensate. Sarò ben felice di leggere le vostre impressioni, davvero! :)
Alla prossima,
Padme Undomiel
   
 
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