4.
Dimenticare
Era davanti ai suoi
occhi, ed era stupenda.
Era assolutamente
certa di non sbagliarsi: probabilmente, era una delle più graziose del mondo, e
tutti parevano notarlo.
Un sorriso
spontaneo spuntò sulle sue labbra, mentre non poteva impedirsi di assistere
alla scena, troppo rapita per distogliere lo sguardo.
“Dai, mamma! Me lo
compri, per favore? Ti prego!”
La piccola bambina
dai capelli corti e con quel grazioso vestito rosa a fiori stringeva tra le
mani un libro che aveva evidentemente preso da uno degli scaffali del suo
negozio, e guardava, con i suoi grandi occhi scuri, una donna minuta intenta
ad osservare la sezione dedicata ai romanzi storici, che sembrava avere la
chiara intenzione di ignorare la piccola.
Era crudele. Come
si faceva a rimanere impassibili quando una bambina così splendida chiedeva un
favore a colei che l’aveva generata? Cercò di reprimere il suo impulso ad
allontanarsi dalla cassa e a dirne quattro a quella donna, che, nonostante
avesse almeno il doppio dei suoi anni, si comportava in maniera davvero
crudele.
“Mamma, ti prego!
Solo questo libro!”
“Ti ho detto di no,
Ikuyo-chan. Te ne ho comprato uno la settimana scorsa: non posso prendertene
uno ogni settimana, lo sai.”
“Ma mi piace! E
l’altro libro non era così bello!”
Era così dolce,
mentre tirava la manica della mamma per cercare di attirarne l’attenzione. Era
così spontanea, come solo i bambini sapevano essere. Sentiva una sensazione di
calore nel petto, che non sapeva e non voleva allontanare. Tutto quello che
sapeva era che non voleva che quella bambina andasse via dal suo negozio.
Non si sarebbe mai
stancata di guardare.
“Ora basta. Lo sai
che non te lo comprerò, quindi non insistere!”
Vide Ikuyo
cominciare a piangere, indispettita, e il suo cuore si strinse. Strinse con
forza i pugni, sentendo il suo autocontrollo sul punto di cedere: non
sopportava le lacrime dei bambini. Erano una cosa troppo dolorosa, e i piccoli
di quella età non meritavano affatto di soffrire.
Era qualcosa che
doveva essere solo degli adulti, come lei.
Miyazawa Rumiko
sospirò, cercando, una volta di più, di non lasciarsi trasportare troppo dai
suoi pensieri. Era sempre stato difficile, rimanere in silenzio a tentare di
essere distaccata dai clienti del negozio: i suoi ricordi tornavano a tormentarla,
e lei voleva solamente distrarsi quel tanto che bastava da non crollare proprio
quando era sotto gli occhi di tutti. Aveva imparato a tenere a bada i suoi
sentimenti, a non lasciar trasparire sul suo viso nulla delle sue sensazioni
provvisorie, ma rimanere impassibile ad osservare ciò che più la appagava e più
la faceva soffrire era impossibile.
Non era mai stata
costretta a diventare una statua di marmo, e ritrovarsi in quella situazione
era più che mai difficile. I sentimenti sapevano sempre travolgerla proprio
quando cercava di liberare la mente.
“Vorrei comprare
questo, signorina.”
La voce improvvisa
della signora che prima parlava con sua figlia la fece sussultare bruscamente,
mentre si rendeva conto di essersi persa nuovamente nelle sue riflessioni. Vide
la piccola Ikuyo, con gli occhi rossi e un broncio più che comprensibile,
accanto a lei: nel momento in cui incontrò il suo sguardo, un moto di tenerezza
e di serena commozione la sopraffece. Le sorrise dolcemente, ottenendo un dolce
rossore sulle guance da parte della bambina.
“Questa bella
signorina è sua figlia?” domandò Rumiko, prendendo il libro che la donna le
porgeva e controllando il prezzo.
L’altra annuì,
sorridendo cortesemente. “Sì, è così.”
Improvvisamente,
davanti ai suoi occhi, il bisticcio di poco prima avvenuto tra mamma e figlia
sembrava essere dimenticato, e la donna sembrava solo completamente innamorata
di sua figlia. Un senso di oppressione tornò a impedirle una buona
respirazione: l’aveva visto tante volte, quell’espressione di affetto materno,
e ancora non riusciva a sopportare di scorgerlo.
Si rivolse alla
bambina, per cercare di distrarsi. Non riusciva a impedire ai suoi occhi di
brillare. “E dimmi, ce l’hai un nome, piccola?” le chiese, mentre sentiva il
suo spirito risollevarsi solo alla vista della timidezza della giovane
interlocutrice davanti a sé.
Lei si nascose
ancora di più. “Ikuyo” rispose solo, un piccolo bisbiglio che fece ridere
Rumiko e sua madre.
“E’ molto timida
con le persone che non conosce, ma quando è nel suo ambiente…” commentò la
donna, accarezzando la testa della bambina. “E’ vivace solo con chi conosce
bene.”
“E’ davvero
stupenda” commentò rapita Rumiko, porgendo lo scontrino e ponendo il libro
acquistato in una bustina di plastica. “Quanti anni ha?”
“Ne compie quattro
la settimana prossima” fu la risposta, mentre la sua cliente prendeva la busta
e lo scontrino.
Quattro anni. Solo
quattro anni ed era così bella. La giovane cassiera non riusciva a
immaginarsela quando avrebbe compiuto i suoi anni: sarebbe stata sicuramente
molto ambita da ragazzi di ogni genere.
“Siete davvero
fortunata” si lasciò sfuggire, mentre i suoi occhi non perdevano mai di vista
quella meraviglia. Sapeva che la tristezza l’avrebbe colta in breve tempo:
cercava di imporsi la calma, ma il rimpianto per ciò che non era stato e il suo
desiderio irrealizzabile continuavano a trattenerla tra le loro spire,
soffocandola e lasciandola senza via di fuga.
Era semplicemente
troppo da sopportare.
“Grazie. E’ davvero
molto gentile. Arrivederci!” rispose la madre di Ikuyo, prendendola per mano e
portandola verso la porta di ingresso e di uscita.
E Rumiko osservò,
impotente, ogni passo che portava via quella piccola da lei, dalla sua vista,
dalla sua vita. Ogni passo che la allontanava era sempre più doloroso, sempre
più difficile da accettare, sempre più ingiusto.
Era un’altra
felicità negata, come quelle che le avevano distrutto la vita.
Sentì il suo cuore
andare in pezzi all’uscita definitiva della coppia. Sentì il passato
precipitarle addosso, mentre rivedeva l’ingiustizia del destino rivoltarsi
contro di lei.
Mai nulla era
andato come avrebbe dovuto.
Mai nessuno era
rimasto al suo fianco.
E quella donna le
aveva portato via l’unica, minuscola ancora di salvezza alla quale si era
momentaneamente aggrappata. Senza motivo, senza pietà, senza riguardo alcuno.
La bambina chiamata
Ikuyo non avrebbe mai compreso il suo bisogno impellente di osservare i suoi
occhi, la sua voglia di stringerla a sé, il dolore che la portava a fissare,
distrutta, il posto vuoto dove prima era rimasta, e dove ora non c’era più.
Chiuse gli occhi e
scosse fermamente la testa, sentendola pulsare. Era arrivato il momento di
tornare a calmarsi: forse una notte di riposo l’avrebbe liberata da quel senso
di oppressione che non voleva lasciarla andare.
“Anche questa
giornata è finita, finalmente.”
La voce improvvisa
e conosciuta della signora Sato la riscosse dai suoi pensieri. Si girò,
osservando i capelli ingrigiti e il sorriso gentile della donna robusta e
determinata che le aveva sempre voluto bene e l’aveva capita come nessun altro
mai.
Le sorrise, stanca.
“Credo che dormirò per una settimana, dopo oggi” ironizzò, cominciando a
chiudere il negozio. “Sono a pezzi: questa libreria fa così tanti affari che è
impossibile sostenere lo stress di ogni giorno.”
La signora Sato rise,
mettendole una mano sulla spalla con fare affettuoso. “Hai
intenzione di
lasciare tutto il lavoro per me, se dormi per una settimana?”
domandò, e Rumiko
rise in risposta, felice di sentire, per una volta, che con qualcuno
non era
costretta a fingere. Era una delle uniche occasioni in cui potesse
essere serena, uno dei pochi punti fermi che sentiva di avere: lei
conosceva il suo dolore, lo
rispettava, ma cercava di esserle vicina e di fingere che nulla fosse
cambiato
dalla ragazza spensierata che era stata una volta.
Le voleva bene in
maniera incondizionata, e sapeva che il suo affetto era ricambiato. E per
Rumiko tanto bastava, in quel momento di grande solitudine.
“Sai che verrei
anche con la febbre: non mi terrai lontana dal negozio!” ribatté la giovane,
con un sorriso. “Almeno tu non ti libererai facilmente di me.”
“Mi fa piacere
sapere che ci tieni così tanto: vuol dire che hai intenzione di non restare
tanto da sola. E’ un bene, soprattutto per te.”
Quelle parole
gelarono il sorriso sulle sue labbra, incupendo il suo spirito. Restare da sola
era diventato necessario, per cambiare completamente vita. Ma mai come in
quegli anni aveva sentito forte il disprezzo per la sua solitudine, e quella
voglia disperata di tornare ai tempi in cui non doveva necessariamente essere
così, in cui era qualcuno.
La testa pulsò
ancora; si portò una mano alle tempie, sospirando. “Sarà davvero meglio che
torni alla mia solitudine, Sato-san” disse, cercando il suo sguardo e non
riuscendo ad impedire al suo tono di farsi triste, quasi spento. “Sono stanca.”
Lei capì, e, come
sempre, non commentò le sue scelte. Si limitò a lanciarle un’aria comprensiva,
e a dire: “A casa ti aspettiamo, lo sai. Appena ti andrà, saremo lì.”
La cara, vecchia
confidente di quegli anni. Come si poteva non volerle bene?
La abbracciò forte,
cercando di impedirsi di commuoversi. “Non mi perderò uno dei suoi deliziosi
manicaretti, è una promessa.” Le disse solamente. “Le farò sapere.”
Poi si allontanò, e
corse veloce, lottando contro l’oscurità della sera che cominciava a calare. Le
piaceva correre: le dava un senso di libertà, la illudeva che la parte
spensierata e totalmente allegra di sé potesse prendere ancora il sopravvento.
Rumiko si odiava
quando pensava a quanto era stata costretta a cambiare. Si sentiva
maledettamente fragile e vulnerabile, e i suoi errori e le sue colpe la
colpivano come ripetute pugnalate al cuore. Non era stupida: sapeva benissimo
che non avrebbe mai potuto rimediare, e che le sarebbe sempre mancato quel
periodo breve in cui aveva tenuto stretta la sua felicità senza mai lasciarla.
Era per questo che
correva, imponendosi di liberarsi dal dolore che sempre l’accompagnava,
fingendo di essere chi non era e non sarebbe mai stata.
Voleva un momento
di oblio. Nient’altro.
***
Rumiko infilò le
chiavi nella serratura, aprendo il portone del suo appartamento.
Entrò cautamente,
affrontando a testa alta il rumoroso silenzio che l’assordava al suo ingresso.
Da quanto era che
non si preoccupava di tentare di riordinare quella casa? Sembrava che lei non
fosse l’unica abitante, e che migliaia di persone avessero deciso di ignorare
il loro compito di riporre al proprio posto gli oggetti che avevano utilizzato.
Se fosse andata
diversamente, a quell’ora ci sarebbe stato un motivo più che valido e
giustificabile per tutto quel disordine. Se fosse andata diversamente, avrebbe
riso del naturale scompiglio che ci sarebbe stato nel suo appartamento, perché
certamente non avrebbe dato la colpa a lui.
Il ricordo fu così
dolorosamente vivido che le mani iniziarono a tremarle, e la testa divenne
pesante come un’incudine. Si appoggiò al muro, chiudendo gli occhi per un
istante.
Era solo quel
maledetto silenzio. Era solo la solitudine che si divertiva a prendersi gioco
di lei. Ma non poteva lasciare che il pensiero della sua immensa gioia di altri
tempi le rovinasse il riposo che sentiva di meritare: dopotutto, a cosa sarebbe
servito?
Lui non lo avrebbe rivisto mai più. Era andato via.
Lottando contro le
lacrime, la giovane cominciò a cantare addosso al silenzio, per evitare di
essere sopraffatta. Si separò dal muro, intonando quella nenia che le faceva
ritornare alla mente la voce dolce di sua madre quando gliel’aveva insegnata,
anni e anni prima.
Si diresse verso la
cucina, aprendo il frigorifero e cominciando a preparare la sua cena solitaria.
Forse era meglio preparare una cena più sostanziosa: la giornata alla libreria
dove lavorava da alcuni anni era stata molto impegnativa, e inoltre rischiava
di portare il suo umore già perennemente disperato a livelli ulteriormente
abbattuti.
Doveva liberare la
mente, in qualche maniera. Almeno per qualche ora.
Afferrò una
pentola, pronta ad accendere i fornelli. Sul punto di farlo, però, si fermò,
sorpresa e immobile.
Osservava la sua
immagine sulle pareti acciaio della pentola.
Era abituata a
osservare i suoi occhi spenti: erano anni che non riuscivano ad esprimere
quell’antica gioia che sempre l’aveva caratterizzata, fin dall’infanzia. Ma la
sua carnagione pallida e il suo volto magro creavano uno strano contrasto con i
lunghi capelli neri che lasciava sciolti sulle spalle. Rise, senza un vero
motivo: forse era divertente osservare
quanto la sua prostrazione interiore fosse visibile anche a un occhio esterno.
“Non potrai mai cambiarti
del tutto, sai?” disse al suo riflesso, con un sorriso amaro. “Tenta pure:
rimarrai sempre la solita sciocca. Fortuna che nessuno che conosci sul serio ti
vede, Rumiko.”
Scosse la testa,
cominciando a preparare il necessario per saziare il suo appetito.
Proprio mentre
iniziava a disporre gli ingredienti, il campanello suonò, facendola trasalire
bruscamente. Diede una veloce occhiata all’orologio affisso alla parete: erano
le 20:15. Strano orario, per dei visitatori. Tanto più che non aspettava nessuno.
Corse alla porta,
con un timore naturale con il quale aveva ormai fatto l’abitudine, mentre si
chiedeva chi mai potesse voler bussare alla sua porta. Magari era solamente la
sua vicina, con qualche ingrediente che le mancava per cucinare, tentò di rassicurarsi,
sentendo il cuore battere a velocità impensabile. Proprio non poteva esserci
posto per l’ansia: non ora che stava meglio, non ora!
Sistemò velocemente
la chioma scura, facendo attenzione che fosse a posto. Dopo aver sospirato
profondamente e aver imposto alla sua mano di non tremare, abbassò la maniglia
e spalancò la porta d’ingresso.
E sgranò gli occhi,
mentre si sentiva mancare.
Un uomo alto e
serio era davanti a lei, nell’espressione una strana immobilità. Aveva i
capelli scuri, tagliati corti, e gli occhi di uno straordinario colore verde,
intensi e carichi di sentimenti. Era magro, vestito in maniera semplice ma
sobria, ed era immobile a fissarla.
Il respiro le si
mozzò in gola, mentre gli occhi le si inumidivano e non poteva farci nulla.
“Sei proprio tu…”
sussurrò l’uomo, osservandola con aria sorpresa e commossa.
E Rumiko non resse
un istante in più. Gli si gettò al collo, singhiozzando e piangendo lacrime di
gratitudine e gioia, ben sapendo che erano anni che aveva aspettato e sperato
senza mai vedere esauditi i suoi desideri.
“Ho aspettato così
tanto…” balbettò, la vista totalmente velata dal suo pianto incontrollabile.
“Sei venuto a cercarmi… Oh, Iori-kun…”
***
Non ricordava molto
di come fosse successo, ma qualche istante dopo Hida Iori era seduto sul divano
del suo piccolo salotto, mentre Rumiko si affannava a preparargli qualcosa da
mangiare. Una gioia improvvisa, incontenibile, irrazionale, aveva preso il suo
cuore, e le lacrime che scendevano lungo le sue guance ogni tanto erano dolci
quanto la risata che squassava il suo corpo scorgendolo a casa sua.
Iori era venuto a
cercarla, nonostante tutto.
Iori era ricomparso
dopo anni e anni di assenza.
E a nulla contavano
i dissapori passati, le accuse rivolte dai suoi occhi verdi, la disapprovazione
per come aveva deciso di condurre la sua vita e gli anni di silenzio che
l’avevano fatta impazzire.
Il suo migliore
amico non si era dimenticato di lei, nemmeno disapprovando le sue scelte.
“Dai, ti offro la
cena, così puoi spiegarmi tutto!” gli disse raggiante, portandogli un vassoio
pieno della sua porzione. La fame sembrava essere scomparsa: al diavolo, se si
trattava di parlare con un amico di vecchia data qual era il suo ospite. “Devi
dirmi tutto nei minimi dettagli! Come hai fatto a trovarmi? Come sta tuo nonno,
e tua madre, e tutti quanti? Oh, non stare lì in silenzio! Non sei venuto per
stare con me, Iori-kun?”
Iori chinò il capo
in segno di gratitudine alla vista del vassoio. “Ti ringrazio molto per la
cena, anche se non ce n’era bisogno” rispose, e Rumiko dovette asciugare
frettolosamente un’altra lacrima spuntata dai suoi occhi alla vista del solito
fare educato che mai lo avrebbe abbandonato. “E mi scuso per essermi presentato
a quest’orario.”
“Non ci pensare
nemmeno: figuriamoci se comincio a rimproverarti per questo, dopo che sono
sette anni che non ci vediamo più!” rispose la giovane, ridendo come non faceva
più da una vita e sedendosi accanto a lui. “Ma guarda come sei cresciuto! Prima
non eri così alto, e non avevi nemmeno quell’aria da uomo che ti ritrovi… Solo
nel carattere non sei cambiato affatto, e non sai quanto ne sia contenta.”
Il ragazzo sorrise,
osservandola a sua volta. “Sembra strano che neanche tu sia cambiata così
tanto… tranne che nell’aspetto” disse a voce bassa, e Rumiko abbassò lo
sguardo, vergognandosi, irrazionalmente, di mostrare i cambiamenti
nell’immagine che dava di sé. Iori non aveva mai dovuto guardarla dietro una
maschera, come invece stava succedendo in quel momento.
“E’ stato
necessario, lo sai meglio di me” tagliò corto, tenendo gli occhi bassi. Aveva
paura di incontrare lo sguardo di biasimo che l’aveva accusata l’ultima volta,
se solo lo avesse alzato. “Ora dimmi di te: com’è andata la tua vita da quando
sono stata via?”
Calò un istante di
silenzio, mentre Iori prendeva un boccone dalla cena che Rumiko gli aveva
preparato e lo masticava lentamente. “Ho proseguito i miei studi, nonostante
tutto” rispose infine. “Ho terminato le scuole superiori, e adesso studio
legge: non ho intenzione di rinunciare al mio sogno di diventare avvocato.”
Lei sorrise. Era
così rassicurante rivederlo con le stesse passioni di quando aveva quindici
anni. “Chi meglio di te può farlo, d’altronde?” disse, e Iori la ringraziò con
un piccolo cenno della testa e un’occhiata serena. Solo allora, Rumiko ricordò
un particolare, e aggrottò le sopracciglia, allarmata. “Ma cosa significa nonostante tutto?”
L’espressione
improvvisamente indurita del suo vecchio migliore amico la fece fermare, con un
brutto presentimento che sembrava volerle bloccare il respiro in petto. Era
sicura che tutto il buonumore di Iori era appena scemato a seguito di qualche
ricordo poco piacevole che il loro discorso doveva avergli evocato.
Le lanciò uno
sguardo pieno di frustrazione, e Rumiko non poté fare altro che fissarlo in
silenzio. “Sai che la polizia è ancora sulle tracce di Inoue Miyako?” chiese, a
voce bassa, e il cuore della giovane mancò un battito. Il panico tornò ad
attanagliarla, mentre osservava la serietà che aveva assunto l’espressione del
ragazzo: era possibile che ancora non si fossero rassegnati e arresi
all’evidenza che Inoue Miyako non sarebbe mai più tornata?
“Non dovresti
esserne sorpresa: ero sicuro che lo sapessi bene” continuò l’altro,
assottigliando gli occhi profondi mentre coglieva la sua espressione sconvolta.
“Sono tra gli indiziati, e indagano ancora sul mio conto. Lo sai che la polizia
non ha mai abbandonato il caso, e di certo quelle strane apparizioni nei quartieri più frequentati di Tokyo non aiuta
ad archiviarlo.”
Rumiko arrossì, e distolse
lo sguardo bruscamente. Iori non era lì per caso, né solamente per scambiare
quattro chiacchiere in tutta tranquillità: aveva compreso fin troppo bene che
il suo scopo era solo quello di chiarire i misteri, di avere una risposta
soddisfacente.
Ma come poteva
darne? Come? Era più difficile che affrontare il suo sguardo.
“Dimmi perché sei
venuto qui, Iori-kun” riuscì a dire, con voce improvvisamente bassa. In quel
momento avvertiva la voragine dei ricordi tentare di riportarla indietro, ad
annaspare nel loro oceano senza fine e senza via d’uscita: aveva paura di
affrontare tutto. Aveva paura di sapere cosa volesse il ragazzo dagli occhi
verdi dalla sua maschera, e dal suo vero essere. Ma sapeva che non avrebbe
potuto scacciarlo: aveva bisogno di rivederlo, di non sentirsi più abbandonata.
“Sembra che non sia una visita di piacere.”
Qualcosa sul viso
di Iori cambiò, addolcendo per un istante quel viso tanto pronto a condannare
ogni cosa che andasse contro i suoi principi. “Volevo sapere com’è diventata la
tua vita, da quando sei andata via” spiegò. “E’ questo che mi ha spinto a
venire da te questa sera. Ma… mi serve sapere quanto le tue idee sono cambiate
da allora, e per quanto hai intenzione di nasconderti senza porre rimedio alla
tua situazione.”
E sprofondò
nell’abisso, senza possibilità di scelta. Tutte le sue decisioni, tutte le sue
colpe, tutto quello che aveva omesso o dichiarato a voce alta, tutti gli anni
di segretezza e di solitudine, e la sconfinata, struggente, immensa mancanza di
ciò che aveva di più prezioso e che aveva perduto a causa della sua codardia
esplosero nella sua mente.
Scattò in piedi,
piena di un dolore e di una rabbia non possibilmente misurabili. “Vuoi sapere
se sono tornata in me, se ho deciso di fare la cosa giusta, per una volta?”
urlò, sentendo il petto scoppiare per lo sforzo, che pure non la liberava dalla
sofferenza che sentiva dentro. “Vuoi che ti dica che hai avuto ragione tu, che
sono stata irresponsabile, che avrei dovuto pensare alle conseguenze o agli
insegnamenti che mi avevano dato? A quanto pare, Hida Iori è sempre stato più
intelligente di me, anche con quasi tre anni di differenza, anche se avrei
dovuto essere responsabile come e più di te! A quanto pare, l’unica cosa a cui
io possa mai pensare è quella di nascondermi, spaventata dalla mia stessa
ombra, terrorizzata all’idea che possano scoprirmi, e senza più forza per
continuare! Cosa mai potrei fare? Dimmelo, se lo sai!”
Iori aveva gli
occhi sgranati, e tutto quello che poté fare fu fissarla, turbato. La sua
intenzione non era quella di farla sentire in colpa o di farla stare male, ma
Rumiko non riusciva a smettere di gridare. Qualcosa si era spezzato in lei: la
maschera era stata violentemente frantumata, e sotto gli occhi del suo amico la
sua vera identità era messa a nudo senza che lei potesse farci nulla.
Corse via dalla
stanza, precipitandosi in bagno. Con una furia che credeva sopita da tempo, si
mise davanti allo specchio, togliendo con dita tremanti le lenti a contatto che
si era costretta ad indossare, per poi frugare, mentre le lacrime cominciavano
a scendere copiose dai suoi occhi, nel cassetto dove aveva nascosto il suo
segreto.
Quando estrasse il
suo paio di occhiali, i singhiozzi la squassarono.
Li infilò, senza
trovare il coraggio di guardarsi allo specchio.
Portò le mani alla
testa, prendendo tra le dita la sua chioma scura. Chiudendo gli occhi, sentendo
il suo cuore lacerarsi, tirò con forza.
Cadde via, mentre
sentiva ciocche e ciocche sfuggire dalla rigida posizione nella quale
costringeva i suoi veri capelli ogni giorno. La parrucca non le sarebbe
servita.
Aprì, tremante, i
suoi occhi miopi, e scorse la sua figura.
Occhi castani,
dietro spesse lenti. Capelli viola lunghi, spettinati e lisci.
Capelli viola. Come
quelli di lui.
Scappò dal suo specchio,
tornando ad affrontare Iori.
Quando lui scorse
la sua immagine, così familiare a lui, sobbalzò, e si alzò in piedi. Ma lei
piangeva, e non riusciva a fermarsi.
“Guarda!” pianse,
osservandolo come poté attraverso i suoi occhi velati di lacrime. “Questo è il
volto di chi ha sbagliato tanto, di chi è scappato perché credeva di fare del
bene, e invece condannava altri! Questo è il volto di… una madre… che ha
abbandonato suo figlio… E’ il volto di un mostro, che deve restare da solo!
Credi che io abbia altra scelta, che possa aver cambiato idea? Con quale
criterio?”
Cadde in ginocchio,
troppo distrutta per reagire altrimenti, singhiozzante. Avrebbe voluto
cancellare il suo passato. Avrebbe voluto riabbracciare i suoi genitori, i suoi
amici.
Avrebbe voluto
crescere suo figlio. Lo stesso figlio che aveva amato con tutte le sue forze,
che il destino aveva voluto allontanare per sempre dalla sua vita. Lo stesso
figlio che aveva visto dormire, mentre lei lo abbandonava per sempre.
Per sempre. Non
l’avrebbe visto mai più.
“Miyako-san…”
Sussultò,
sentendosi chiamata così. Alzò lo sguardo, troppo incredula a risentire quel
nome. Il suo vero nome.
La mano di Iori era
sulla sua, e per la prima volta la giovane scorse un sorriso di affetto, così
raro in lui, comparire sul suo volto. Lo guardò, non sapendo come avrebbe
risposto, se l’avrebbe biasimata o consolata.
“Non sono qui per
biasimarti per il passato, Miyako-san, e non volevo farti piangere. Mi dispiace
molto.” Disse, nella voce una partecipazione rispettosa del dolore che sapeva
bene essere insanabile per lei. “La mia rabbia per quello che era successo mi
ha spinto a prendere la decisione di incontrarti di nuovo in ritardo. So di
essere stato carente come amico, e non sai quanto me ne vergogni: se non avessi
parlato con Satsu, probabilmente non mi sarei mai convinto. Ti chiedo perdono.”
Miyako strinse le
sue mani, grata per questo gesto. Il suo rancore le aveva fatto troppo male:
se, sette anni prima, non avesse trovato conforto nella famiglia di Sato Satsu,
una delle migliori amiche che avesse mai avuto, non avrebbe saputo andare
avanti. “E’ grazie a lei che mi hai trovata?” balbettò, ancora scossa dai
singhiozzi.
Iori annuì, grave.
“Mi ha fatto capire molte cose.”
“E allora qual è il
tuo intento, Iori-kun?” domandò ancora lei, guardandolo con angoscia. “Hai
deciso che non puoi più proteggermi, che hai diritto a vivere la tua vita senza
che le indagini su di me la rovinino?”
Lui scosse il capo,
donandole un po’ di speranza. “Ichijouji Osamu non è ingenuo: continuerà a
ritenermi… sospettato in eterno” ribatté, a denti stretti mentre pronunciava
l’ultima parte. E solo lei sapeva quanto essere considerato un criminale
mortificasse e riempisse di rabbia il suo migliore amico. “Ma non è per questo
che sono qui. Ti chiedo di tornare alla tua vecchia vita, di tornare dai tuoi
genitori e da chi ti vuole vedere.”
Miyako sgranò gli
occhi, sentendo il suo cuore accelerare. Non poteva dire sul serio: erano otto
anni che era sparita dalla sua casa senza dare spiegazioni! Le cose non
avrebbero mai potuto sistemarsi, e di certo non avrebbe cambiato il passato.
Come faceva a proporre una soluzione del genere?
“Tornare? Come
posso?” sussurrò, ripensando al loro volto contratto dalla rabbia e dal
disgusto. Scosse violentemente la testa. “No, non potrei. La mia vita con loro
è finita, me lo hanno detto chiaramente. Credevo che tu fossi una persona con i
piedi per terra.”
“La lontananza
perdona tante cose. Soffrono molto: non sono più gli stessi, senza di te.”
Replicò Iori, pacato. “Tu devi tornare, perché puoi ancora rimediare.”
Il desiderio di
rivederli ancora fu così forte da farle male: un senso di repulsione verso se
stessa la costrinse a non illudersi. Le lacrime scesero ancora lungo le sue
guance, mentre sapeva perfettamente come ribattere al suo ascoltatore.
“Ho abbandonato una
creatura innocente” disse, tremando al pensiero della bellezza del suo piccolo
viso, al calore rassicurante del suo corpo tra le sue braccia. Il suo bambino.
Il suo piccolo, finito chissà dove, chissà con chi. “Non posso tornare. Loro
non mi avrebbero mai accettato in altri tempi, e anche se loro potessero farlo,
io non mi perdonerei, perché non potrò mai farlo. No, Iori-kun: non puoi dirmi
di dimenticare, perché tu stesso non ci riesci del tutto.”
Iori si irrigidì,
rimanendo in silenzio, e Miyako seppe di aver vinto. Pianse lacrime amare,
nella mente ancora l’immagine di suo figlio. Il suo piccolo Keiji.
Sette anni, e il
dolore ancora la struggeva. Sette anni, e la sua voglia di dimenticare
diventava sempre più utopica. Aveva rinunciato a vivere, abbandonandolo, e
forse lo aveva condannato ad un destino atroce. Sciocca, stupida, crudele. Ecco
cos’era stata.
“Allora perché ti
fai ancora vedere, ogni febbraio?” chiese poi Iori, scrutandola confuso. “E’ un
gesto sconsiderato. Non dovresti sottovalutare Ichijouji, lo sai.”
Lei sorrise
amaramente. Era così strano spiegarne il motivo a qualcun altro che non fosse
se stessa: forse era rimasta da sola per troppo tempo, dopotutto. “Chiamami
come vuoi, ma… ho bisogno di farmi vedere per come sono. Lo faccio per i miei
cari, in modo che capiscano che sto bene e sono viva… e lo faccio per me. Lo
sai cosa significa impersonare Miyazawa Rumiko per sette, lunghi anni? Non è
facile, né piacevole.”
“Giochi con il
fuoco, Miyako-san” replicò l’altro, preoccupato. “Dovresti smetterla.”
Miyako scosse la
testa. Era bello trovare qualcuno che ancora si interessasse a lei. Era bello
ritrovare le apprensioni sicure del suo migliore amico di sempre. Lo abbracciò
forte.
“Sai che non ti
ascolterò, ma… Ti voglio bene, Iori-kun, e ti sono grata per tutto” disse
piano, piangendo silenziosamente sulla sua spalla.
Iori ricambiò la
stretta. “Sarò costretto a non farmi vedere troppo, ma voglio che tu sappia che
non ti abbandonerò più: se avrai bisogno, basta riferirlo a Satsu. Mi
avviserà.”
“Puoi restare con
me ancora per un po’? Ti prego.” La giovane lo strinse più forte. Aveva paura
di essere lasciata nuovamente da sola, aveva paura di affrontare i suoi
ricordi. “Permettimi di dimenticare ancora per un po’. Solo qualche minuto.”
Il suo cuore esultò
quando lo sentì dire: “Va bene.”
Rimase in silenzio,
chiudendo gli occhi, mentre sentiva la testa dolerle e le mani tremarle. Sapeva
a cosa aveva rinunciato, quando aveva abbandonato suo figlio e quando si era
nascosta alla sua famiglia. Lo sapeva, ne soffriva, ma non poteva fate altro
che cercare di proseguire la sua vita solitaria.
Se le cose non potevano
migliorare nella sua vita, doveva essere felice delle poche cose che ancora le
restavano. E la visita di Iori era stata così dolce da farle pensare, per un
solo istante, che la sua ferita fosse stata rimarginata.
Tra qualche tempo
avrebbe ripensato a tutto, avrebbe sofferto come sempre.
Ma Inoue Miyako non
voleva ancora svegliarsi dal sogno idilliaco.
Non ancora.
Nuovo aggiornamento pronto per voi! :) Accidenti, questo capitolo è stato più difficile del solito da mettere per iscritto, ma ora che è pubblicato posso essere fiera di annunciare che questo è stato l'ultimo capitolo di presentazione! Dopo di questo, posso dedicarmi a mandare avanti la vicenda, senza indugiare oltre!
E' finalmente rivelata qui l'identità della mamma di Keiji ^^ ma credo che ormai non sia più una sorpresa, dato che lo avete indovinato abbastanza presto! In ogni caso, Miyako meritava una sua analisi, dato che tutto ruota intorno a lei (e anche perché l'adoro :) ), e credetemi se vi dico che ce l'ho messa tutta per rendere al meglio i suoi pensieri e le sue emozioni!
Ma lascio a voi la parola! Sarei proprio curiosa di sapere le vostre versioni dei fatti!
Per intanto, mi sembra più che giusto ringraziarti, HikariKanna, per essere tornata a recensirmi ** e anche per aver commentato insieme due capitoli! Mi ha fatto piacere pensare che tu la pensi come me, riguardo Hikari: ho deciso di rimanere il più possibile fedele all'anime, e dato che lei diventava insegnante delle elementari... ^^ Lo stesso discorso vale anche per Ken, comunque legato in qualche modo alla polizia, e per Takeru che ama scrivere! Per Osamu invece ho potuto solo inventare, per ovvi motivi (ç_ç)... Non preoccuparti, Takeru e Hikari si incontreranno ben presto: non li lascio certo così, no? ;) E per la mamma del bambino e il nascondiglio di Miyako... Beh, questo capitolo dovrebbe bastare come risposta! Grazie ancora, un bacione!
Mystery Anakin, grazie per l'entusiasmo: e chi se lo aspettava? *_* Non credevo che il caso ti sarebbe interessato tanto, e devo dire di aver temuto un tuo parere, ad essere sinceri! Anche perché lo sai che è la prima volta che mi cimento in una storia tanto ricca di generi... Solo un appunto: non puoi aspettarti che ti riveli già l'identità del padre, sarebbe troppo facile! Per quello ci vorrà un po', immagino... ;) I due fratellini Ichijouji ti sono piaciuti, quindi? Buono a sapersi :) considerando che saranno davvero importanti nella vicenda... E puoi scommettere che sentirai ancora parlare di loro, cara mia! xD Beh, che dire, sono felice e commossa del tuo interessamento, e spero di non deluderti con questo capitolo! Mi fai sapere appena puoi? Ti aspetto con impazienza! Ti voglio un mondo di bene!
Ehi, gelato sciolto... sei ancora in grado di leggere la risposta alla tua recensione? xDxD Sto scherzando, Shine, ovvio! E' solo che mi ha fatto ridere vedere tutti quegli smile... Ma cambierai mai? ^^ E cosa potevi aspettarti da una tipa come me? Non potevo certo lasciare Osamu nel dimenticatoio, o il caso Inoue irrisolto! Il maggiore degli Ichijouji doveva essere vivo, e Miyako dovrà pur essere trovata da qualcuno... ;) Quindi, sono semplicemente felice che le due cose non ti dispiacciano! Sai anche che mi piace provare diversi generi, e sapendo che i gialli ti piacciono, mi sento più motivata a continuare, sul serio! E aspettati una presenza costante del rapporto tra Osamu e Ken, sapendo che non li abbandonerei di certo al loro destino... Io cercherò, come sempre, di non deluderti! Mi dici che ne pensi di questo? Ti piace, anche se non c'è un certo ragazzo dagli occhi azzurri che conosci? xD Non sai quanto ti voglio bene, spero di sentirti presto!
Ciao, Roe: che piacere sapere che hai già provato a dare una tua interpretazione della vicenda! La tua era una recensione critica, e ne sono molto contenta (per di più fatta anche ad orari impensabili... xD Non volevo tenerti sveglia fino a quell'ora!) Sono d'accordo con te, nessuno analizza mai il povero Osamu... ed è proprio per questo che in questa ff è ancora vivo! Ma, come vedi, Miyako non è svanita nel nulla: almeno adesso sai dov'è, alla faccia degli Ichijouji! ^^ Terrò presenti le tue teorie, anche se, come sai, non posso dirti nulla... Ti toccherà aspettare! Grazie per l'attenzione, i commenti e i complimenti, sul serio: cosa mi dici di questo? Ci sentiamo, un bacione!
Ancora una volta, vi invito a farmi sapere cosa ne pensate. Sarò ben felice di leggere le vostre impressioni, davvero! :)
Alla prossima,
Padme Undomiel