-
Così è la vita - Demelza's Biography
- -Oh, che adorabile tesorino!-
- Questa, fu esattamente questa la prima frase che nonna Robins esclamò sul mio viso quando ero appena nata. Ovviamente non lo ricordo, ma a casa, da qualche parte, devo avere ancora una vecchia cassetta girata da Zio Earl, purosangue ma fissato con i ninnoli e le tecnologie Babbane.
- Comunque, mi presentai al mondo in tutto il mio splendore di capelli biondicci e occhi blu in una nuvolosa giornata primaverile del 1981. I primi anni della mia vita furono costellati dalle visite periodiche dei parenti, i giochi innocui con mio fratello Michael e la scoperta del mondo intorno a me, proprio come ogni bambino.
- Quel periodo fu uno dei meno movimentati e ripetitivi della mia vita. Mia madre tenne un diario giornaliero dei miei primi due anni, e sfogliandolo anche la persona più zelante del mondo si sarebbe annoiata dopo le prime tre pagine. Mangiavo, dormivo e facevo quel poco che è concesso ad un bebè.
- In realtà, nella quotidianeità ci furono dei piccoli sprazzi di ilarità, dovuti soprattutto al fatto che non fossi per nulla in grado di gestire i miei poteri. Una volta il gatto di casa quasi ci rimise un orecchio, per questo.
- A quattro anni mio padre mi regalò la mia prima scopa. Era poco più della metà di un manico di scopa regolamentare, ma si alzava fino a due metri di altezza e con quella ci si potevano fare delle virate rasoterra spettacolari.
- In generale, comunque, comincia presto ad appassionarmi agli sport. Mio fratello aveva tre anni più di me, quindi fu lui che in qualche modo contribuì alla mia formazione dal punto di vista sportivo. La maggior parte delle cicatrici che ancora ho provengono da qualche botta, taglio o spinta che mi ero procurata sperimentando un nuovo gioco.
- Uno dei suoi giochi preferiti consisteva in una sorta di Quidditch piuttosto rudimentale: io sulla mia scopa, lui su quella di mio padre, ci lanciavamo a turno un pallone da basket un po' sgonfio. Era un modo come un altro di impiegare qualche ora nei torridi pomeriggi d'estate, a Werthwall, nel Surrey.
***- Avevo poco più di cinque anni e già mi lamentavo dei vestiti che mi comprava mia madre: vestitini colorati, gonne di pizzo, scarpette di vernice e pantaloni di velluto a costine. Quando ebbi il permesso di scegliere i miei vestiti da sola, chiesi per prima cosa un paio di jeans e una felpa, proprio come Michael.
- Fin da piccola avevo mantenuto sempre un comportamento da "maschiaccio", come mi definivano i miei. La verità è che, sotto sotto, quei vestiti mi piacevano. Semplicemente mi rifiutavo di indossarli.
- L'unica cosa di cui mi importasse veramente erano i miei capelli: li portavo lunghissimi, fino a metà schiena. Li legavo quasi sempre, quindi forse era un po' inutile averli così lunghi, però mi piacevano. Ogni sera, prima di andare a dormire, mia madre sedeva insieme a me sul letto e me li spazzolava.
***- Quando avevo sette anni feci la conoscenza con quello che sarebbe diventato il mio migliore amico per quella che credevo sarebbe stata il resto della vita: Ian Lowett.
- Ian era un ragazzino paffuto, con i capelli scuri e gli occhiali per la miopia. Non era proprio un asso nel Quidditch, anzi. Spesso riuscivo a batterlo in pochi minuti, sulla mia vecchia scopa giocattolo.
- In effetti, se io ero una ragazzina piuttosto dinamica e sportiva, Ian era il mio esatto opposto: amava più di tutto le storie di Beda il Bardo, catturare le lucciole e stare sdraiato in giardino a guardare le stelle. Era estremamente affascinato dal cielo notturno, tanto quanto io lo ero delle piante e gli animali magici. Ripensandoci, forse proprio queste nostre passioni riuscirono a salvare la nostra media scolastica, ad Hogwarts.
- Una volta io, Ian e Michael ci mettemmo in testa di costruire un piccolo fortino nel giardino dei Lowett. Lavorammo tutto il pomeriggio, incastrando tra loro vecchie assi di legno e legandole fra loro con le corde che Mr Lowett ci aveva regalato. Ad usare il martello ci avevamo anche pensato, ma nessuno dei nostri genitori ci aveva dato il permesso di prenderne uno in mano. Poco prima di cena il fortino era terminato: era un po' sbilenco e mio padre dovette lavorare un bel po' con un Incantesimo Incollante per farlo reggere in piedi, ma lo trovavo bello. Ian aggiunse qualche pianta rampicante per ricoprire il tetto spoglio, e Michael ci procurò un paio di piccole sedie dal nostro garage.
- Non era più grande di qualche metro quadrato, ma io e Ian trascorremmo lì tanti pomeriggi, fantasticando di trovarci in un castello medievale da proteggere o in un vascello pirata da condurre in inesplorati mari caraibici. Michael ci teneva la sua collezione di fumetti Babbani, che consideravamo strani perché avevano le figure statiche. Io invece avevo riservato un'intera mensola per riempirla dei tesori di Ian e miei: conchiglie, sassi dalla forma particolare, qualche piuma e una vecchia stilografica d'ebano che avevo rubato dallo scrittoio di mio padre.
***- Quando avevo otto anni mio fratello partì per il suo primo anno ad Hogwarts.
- Lo accompagnai insieme ai miei genitori all'Espresso per Hogwarts, domandandomi quando sarebbe finalmente giunto il momento, anche per me, di andare con lui. Tre anni mi sembravano un periodo troppo lungo da sopportare.
- Al suo ritorno, l'estate dopo, Michael aveva un sacco di storie divertenti da raccontarmi. Io restavo estasiata ad ascoltarlo raccontare di un guardiacaccia grosso il doppio di un uomo normale, di fantasmi che giravano per i corridoio, di intere pareti ricoperte di dipinti in movimento e di lezioni di Incantesimi.
- -Ma la parte migliore sono le lezioni di Volo con Madama Bum. Oh, Demelza, sono certo che sarai la migliore del corso! Ah, e poi...- e via, continuava a raccontarmi delle meraviglie racchiuse in quel castello che ai miei occhi appariva come un luogo incantato. Michael mi raccontò anche di un torneo di Quidditch tra le Case -Grifondoro è la migliore, sono certo che anche tu finirai in quella-, di banchetti prelibati per le feste -ad Halloween ti fanno mangiare solo ed esclusivamente caramelle per cena!-, di magnifiche decorazioni per Natale e di storielle divertenti sul custode, Gazza.
- -Ci sono due gemelli identici di Grifondoro che gli danno sempre del filo da torcere. E' un vero spasso! A volte mi chiedo come diavolo riescano a farla franca. Una volta gli hanno riempito l'ufficio di palline di carta. Intendo dire che lo fecero veramente zeppo! Cioè, fino al soffitto! Mi chiedo come abbiano fatto...-
***- Avevo undici anni compiuti da poco quando ricevetti la mia lettera. Era esattamente identica a quella di Ian: pergamena ingiallita ed inchiostro verde.
- La trovai in mezzo alla posta, una mattina di metà estate. Quando vidi il logo di Hogwarts spalancai gli occhi. Era lì, sul tavolo apparecchiato per la colazione, insieme al resto della posta di quel giorno. Invece di mangiare i miei pancakes ero corsa fuori, la lettera stretta tra le mani. Avevo attraversato il giardino ed ero andata a bussare a casa Lowett. Venne ad aprire Ian. Il suo enorme sorriso mi confermò che anche lui aveva ricevuto la lettera.
- -Andremo ad Hogwarts!- Esclamai.
- Il giorno dopo le nostre famiglie presero insieme la metropolvere per fare un giro di acquisti a Diagon Alley, e poche settimane dopo io ed Ian eravamo insieme in uno scompartimento dell'Espresso per Hogwarts.
***- -Robins, Demelza-
- Quei minuti sullo sgabello sembrarono i più lunghi di tutta la mia vita. La McGranitt lasciò cadere il vecchio Cappello Parlante sulla mia testa e io rimasi rigida, con gli occhi serrati, in attesa. Ebbi la brutta impressione che stesse impiegando più tempo con me piuttosto che con gli altri.
- Una predizione nefasta stava già cominciando a farsi strada nella mia mente, quando sentii il cappello muoversi. Un attimo dopo la sua voce stridula echeggiò tra le mura della Sala Grande.
- -Grifondoro!-
- Uno scroscio di applausi mi investì mentre corsi a prendere posto accanto a Michael.
- -Grande!- Esclamò. Ian, di fronte a me, mi sorrise. Eravamo entrambi a Grifondoro e avevamo di fronte a noi sette, meravigliosi anni di scuola.
***- Ad Hogwarts imparai un sacco di cose già al primo anno.
- Non mi riferisco agli "sventolii di bacchetta", come li definiva Piton, né agli incantesimi. Certo, quello fu una parte fondamentale.
- Ma scoprii ben presto di dover evitare il bagno al secondo piano, perché c'era il fantasma di una ragazzina insopportabile soprannominata Mirtilla Malcontenta; Mi dissero di saltare sempre il terzo scalino della rampa tra il terzo ed il quarto piano, altrimenti ci sarei finita dentro; Imparai ad evitare Pix, se non volevo ritrovarmi bagnata zuppa e in ritardo per le lezioni. Insomma, le regole fondamentali che non venivano scritte, ma che ogni studente deve conoscere.
***- Negli anni che seguirono mi sentii parte di una grande famiglia.
- Le ragazze del mio anno, ad eccezione forse solo di Ginny Weasley, erano più o meno il mio contrario: intrecciavano i loro capelli in pettinature complicate, mettevano il lucida labbra e lanciavano sguardi decisi all'indirizzo degli studenti più grandi. I loro letti erano circondati dai poster delle Sorelle Stravagarie e di attori famosi nel mondo magico.
- Io invece mi limitavo a chiudere i capelli in uno chignon, odiavo il trucco e le uniche persone di cui mi importava erano Ian, Michael e chiunque avesse voluto unirsi alle nostre partite di Quidditch clandestine nel parco di Hogwarts. Inoltre, le uniche immagini che erano appese sopra il mio letto erano i poster delle mie squadre di Quidditch preferite e le foto degli animali magici che preferivo. Non riuscivo proprio a capire cosa ci fosse, alla base delle differenze tra me e loro.
***- Quando frequentavo il terzo anno ci fu il Torneo Tremaghi.
- Stuoli di studenti stranieri approdarono ad Hogwarts, e le ragazze del mio anno semplicemente impazzirono. Amanda Johannes fu la prima a trovare un ragazzo. Era un tipo alto e magro, con la mascella squadrata e folti riccioli castani. Frequentava Beauxbatons e si esprimeva così male in inglese che domandai ad Amanda come facesse a passare così tanto tempo con lui senza innervosirsi.
- -Oh, beh... Sai com'è, non passiamo poi così tanto tempo a parlare...- Aveva risposto con un risolino. Io le avevo lanciato un'occhiata e poi ero tornata alla mia partita di scacchi con Ian.
- Qualche giorno dopo Amanda era tornata a parlarmi, mentre ero immersa ne "Il Quidditch attraverso i secoli".
- -Ehi, Demelza!- Mi salutò. Si sedette accanto a me senza che l'avessi invitata.
- -Emh... Senti. Ci sarebbe un tipo... ecco, è un amico di un amico di Tobias ed è di Durmstrang e...- Aggrottai le sopracciglia.
- -Tobias?- Amanda si esibì in un risolino.
- -Tobias! Il mio ragazzo!- Esclamò.
- -Oh.-
- -Beh, insomma, ci sarebbe questo tipo che ti ha vista volare, l'altra sera, e vorrebbe tanto conoscerti.- Mi disse.
- -Lui? Conoscere... me?!- Amanda annuì.
- -Lo so! Ho avuto la stessa reazione quando me l'ha detto! Eppure... questa sera viene su, okay?- Il suo tono era quello di una domanda, anche se in realtà non sembrava per niente volesse chiedermelo. Sembrava più che altro stesse comunicandomi "stasera non andare a giocare a Quidditch oppure ti ammazzo". Io annuii, leggermente intimorita.
- Tobias salì alla Torre di Grifondoro insieme ad un ragazzo alto e muscoloso, con i capelli castani ondulati e gli occhi scuri.
- Mentre si presentava -Andreas, era questo il suo nome- in un angolo della mia mente affiorò il pensiero che probabilmente stavamo infrangendo più di un paio di ferree regole della scuola, ospitando i ragazzi nella Sala Comune.
- Andreas propose di sederci sotto una delle grandi vetrate. La pioggia quella sera ticchettava insistentemente contro il vetro.
- -Ti ho fisto ciocare a Qvidditch ieri zera. Sei daffero brafissima, complimenti.- Esordì Andreas. Io sorrisi nervosamente.
- -Ti ringrazio.-
- -Io cioco come Battitore, a Durmstrang.- Mi informò.
- In vita mia non avevo mai portato avanti una discussione tanto tediosa con un ragazzo. Di solito erano le ragazze, quelle con le quali avevo dei problemi.
- Io e Andreas discutemmo di Quidditch, di scuola e di qualche altro argomento correlato. Ad un certo punto mi resi conto di fare fatica a tenere gli occhi aperti.
- -Sei stanca?- Mi domandò.
- -Un po'...- Risposi, trattenendo a stento uno sbadiglio. Non ci riuscii.
- -Forse è meglio tornare ciù. E' tardi.- Disse, alzandosi.
- -Ma voi dormite nella nave?- Annuì.
- -Karkaroff non fuole che torniamo troppo tardi.- Si avviò verso il ritratto.
- -Aspetta, ti accompagno.-
- Uscimmo insieme in corridoio.
- -Mi ha fatto piacere conoscerti. Ho chiesto a Tobias di presentarmi perchè non zapevo come fare a parlarti.-
- -Anche a me ha fatto piacere parlare con te, stasera.-
- -Ah, zenti. Folefo zapere se hai cià un accompagnatore per il Ballo del Ceppo.-
- Già, il Ballo. La McGranitt lo aveva annunciato quella mattina stessa.
- -In realtà non so nemmeno se ci andrò, per cui... no, non ho nessuno che mi accompagni.- Andreas si illuminò.
- -Oh, bene. Allora magari ti andrebbe di...-
- -Demelza!- Era Ian, insieme a Peaks e Colin Canon. Avevano tutti i manici di scopa in spalla.
- -Ciao ragazzi.-
- Ian lanciò un'occhiata di sbieco ad Andreas.
- -Non sei venuta, stasera. Avevamo un Cacciatore di meno.- Disse. Parlava con me, ma teneva gli occhi fissi su Andreas.
- -No, stasera ero occupata.- Risposi, sentendomi improvvisamente avvampare.
- -Bene. Scusate se vi abbiamo interrotto. Andiamo, ragazzi.- Disse Ian. E i tre sparirono dietro il ritratto.
- Andreas scosse la testa.
- -Qvel ragazzo è strano. Comunque, stavo dicendo se per caso folefi fenire con me al Ballo. Se ti fa.-
- -Ah... si, certo. Va bene, verrò.- Risposi senza pensarci. Andreas sorrise.
- -Benissimo. Ci fediamo domani, allora. Buonanotte, Demelza.- Disse, e si piegò per baciarmi la guancia.
**- La scenata di Ian che seguì rimase vivida nella mia mente per parecchio tempo.
- Lo trovai ad un tavolo, intento a raccogliere la sua roba.
- -Insomma vai al Ballo con quell'idiota di Durmstrang, eh?!- Esordì quando tornai nella Sala Comune che andava diventando sempre meno affollata.
- -Già.- Risposi. Ero esausta. Avevo un mal di testa tremendo e mi sembrava di aver fatto una fatica enorme, quella sera. In realtà mi ero limitata a rimanere seduta a parlare.
- -Bene. Divertiti, allora.- Fece lui, stizzito.
- -Ehi! Dì un po', qual è il tuo problema, Ian?-
- -Nessuno, perché pensi che io abbia qualche problema? Ti sto dicendo che sono contento, che tu vada al Ballo con quel tipo. E' proprio un bel tipo, sarete una coppia perfetta.- Esclamò.
- -Se sei geloso...- Ian lasciò cadere i libri che stava riponendo nella borsa.
- -Geloso, io?! Come ti viene in mente? Puoi fare quello che ti pare. Non mi interessa. E poi, non saremmo potuti andare insieme comunque, al Ballo. La McGranitt ha dato il permesso solo a quelli dal quarto anno in su, a meno che uno più piccolo non venga invitato da uno studente più anziano. Perciò, non vedo proprio quale sia il problema.-
- Mi portai una mano alle tempie.
- -Bene, Ian. Allora io me ne vado a letto.-
**- Il Ballo fu uno spasso. Suonavano le Sorelle Stravagarie, e finalmente capii del perché le mie compagne di scuola le amassero tanto: la loro musica era fantastica.
- Le ragazze più grandi mi prestarono un abito, Amanda mi diede una delle sue otto paia di scarpe con il tacco e Ginny si offrì di farmi i capelli. Alla fine mi sembrava di indossare un bustino medievale di tre taglie troppo stretto, sentivo i piedi riempirsi già di vesciche dopo pochi minuti e le forcine in testa mi perforavano la pelle come tanti spilli.
- A fine serata Andreas mi riaccompagnò alla torre e mi salutò, questa volta con un bacio a fior di labbra. Mi fece uno strano effetto: mio padre era l'unico uomo che avessi mai baciato prima. Era anche piacevole, in un certo senso.
- Quando rientrai, trovai Ian addormentato in una poltrona con un libro aperto sul petto. Mi sedetti sul bracciolo e tolsi il libro, poi gli accarezzai i capelli. Lui si destò immediatamente. Prima di ricordarsi di essere arrabbiato con me mi sorrise, poi si rabbuiò.
- -Com'è andata al Ballo?- Domandò in un borbottio.
- -Benissimo. - Risposi sorridendo. Ian si sedette meglio sulla poltrona.
- -Mi fa piacere saperlo.- Disse. Poi prese il suo libro e si alzò in piedi.
- Fece per andarsene, ma lo fermai.
- -Ian, aspetta. Mi dispiace non essere venuta con te al Ballo, davvero.- Dissi. Lui alzò le spalle.
- -E' okay, tranquilla. Non sarei potuto venire comunque.- Sospirai.
- -Lo so. Però mi dispiace lo stesso.- Ian sorrise.
- Mi si avvicinò e mi scostò una ciocca di capelli dal viso.
- -Sei veramente bella, stasera.- Disse. Poi si voltò e tornò nel dormitorio.
***- In futuro mantenni una corrispondenza regolare con Andreas, nonostante Ian non vedesse di buon occhio i gufi che, settimanalmente, portavano le sue lettere sul tavolo dei Grifondoro.
- Al quarto anno cominciai a mostrare uno dei lati del mio carattere che mi accompagnò per tutta l'adolescenza e, in parte, nell'età adulta: l'impellente necessità di contraddire automaticamente chiunque mi sembrasse in torto. In particolare, inutile dirlo, si trattava di andare contro i professori.
- Ebbi uno degli scontri con la Umbridge più memorabili del mio corso. Quella donna mi dava veramente ai nervi. Negava con talmente tanta convinzione tutto ciò che non fosse uscito direttamente dalla bocca del Ministro che sembrava, a volte, sotto la maledizione Imperius.
- Mi spedì in corridoio e andai in punizione quasi tutte le sere a causa della Umbridge. Anni dopo sulla mano destra recavo ancora le parole Non devo dire bugie, il mantra preferito della professoressa.
- Dopo la mia prima lite con la Umbridge, Ginny Weasley mi propose di partecipare a delle riunioni per "imparare qualcosa di serio sulla Difesa."
- -Che genere di riunioni?- Chiesi io.
- -Beh, si tratta di un gruppo di studenti che si riunisce periodicamente per esercitarsi nella Difesa. Roba pratica, comunque. Nessuno stupido manuale pieno di frasi che ti mandano il cervello in pappa.-
- -D'accordo.- Assentii. -Posso portare un amico?-
- Ian ed io ci ritrovammo quella sera stessa di fronte ad un muro totalmente privo di porte o finestre.
- -Emh... Demelza, sei sicura che sia proprio qui?-
- -Certo! Ginny ha detto di pensarci su.- Risposi io, fiduciosa.
- Cominciammo dunque a passeggiare avanti e indietro, pensando intensamente alle parole di Ginny.
- "Pensa che stai cercando un posto dove fare le riunioni dell'ES." Aveva detto.
- "ES?"
- "Già. Esercito di Silente."
- Mi serve il posto dove si riuniscono quelli dell'ES. Mi serve il posto dell'ES. Devo entrare nel posto dove c'è l'ES.
- Mi resi conto di aver chiuso gli occhi solo quando sentii Ian fischiare di sorpresa. Li riaprii.
- -Eccola!- Esclamò.
- -Sei stato tu?- Domandai. Lui alzò le spalle.
- -A cosa pensavi?-
- -All'ES.-
- -Io pensavo ad una stanza dove fare esercizio in Difesa. Andiamo, dai. Avranno già cominciato.- Annuii.
- La stanza era colma di studenti -nessun Serpeverde in vista-.
- Ginny corse ad accoglierci.
- -Ciao Demelza, Ian... Venite. Stiamo lavorando sugli Schiantesimi.- Ci disse.
**- Gli allenamenti con l'ES giovarono a me e ad Ian più di tutte le lezioni di Difesa che avevamo fatto ad Hogwarts nei tre anni precedenti. (Fatta eccezione forse solo per quelle con il Professor Lupin).
- Purtroppo, però, ciò che avvenne dopo è conosciuto ai più: la Umbridge prese il controllo della scuola e Silente venne "cacciato". In realtà cosa accadde di preciso nessuno lo seppe mai: qualcuno diceva che fosse scappato, qualcun altro che Caramel l'avesse invitato a dimettersi.
***- L'estate del mio quarto anno rimase impressa a fuoco nella mia mente. Venne applicato un coprifuoco, i muri erano tappezzati di manifesti sui quali si potevano ammirare gli evasi da Azkaban dimenarsi e urlare.
- I Mezzosangue, diceva mio padre, cominciavano ad essere in pericolo. Si udivano di sparizioni, attacchi, omicidi. Molta gente abbandonò Werthwall per trasferirsi all'estero dove, dicevano, la minaccia era più debole.
- La mia famiglia ed io decidemmo di restare. Qualunque cosa sarebbe accaduta, dissi ai miei genitori, saremmo rimasti.
- Pensai spesso ad Harry Potter, durante quell'estate. Durante le riunioni avevamo parlato poco, quasi sempre e solo di incantesimi contro le Arti Oscure. Immaginai come dovesse sentirsi, ora che erano accadute tutte quelle cose. Ora che il Signore Oscuro era tornato, anche quello stupido di Caramel l'aveva ammesso.
- Nella mia anima di adolescente conservavo ancora una grande fiducia nei confronti dei sentimenti come l'amicizia e l'amore. Non sapevo nulla del padrino di Harry Potter, e così pensai, rallegrandomi quasi, che probabilmente non dovesse sentirsi poi così tanto smarrito: dopotutto, aveva un sacco di amici. La famiglia Weasley e anche Hermione Granger, Neville Paciock e Luna Lovegood. Erano proprio loro che avevano partecipato alla lotta al Ministero, a giugno. Per quell'avvenimento, li stimavo moltissimo.
- In questi termini potrebbe sembrare che fossi totalmente indifferente alla guerra in corso, oppure che la prendessi alla leggera: non era così. Anche io avevo dei momenti di panico totale.
- Quando un ragazzino di Werthwall venne preso e morso da Fenrir Greyback, mia madre andò totalmente fuori di testa. Fu un momento tremendo: dovevo cercare di mantenere la calma, e allo stesso tempo aiutare papà e Michael a tranquillizzare la mamma.
- Il giorno di Ferragosto fu l'ultima volta che vidi Ian in vita mia.
- -Mio padre è davvero spaventato, sai?- Mi disse dall'alto della sua amaca attaccata al soffitto della sua camera.
- Mi ero fermata a cena e di lì a poco suo padre mi avrebbe aiutato a tornare a casa con una Materializzazione Congiunta: anche se dovevo percorrere solo qualche metro, mia madre si rifiutava categoricamente di farmi uscire a piedi.
- Io alzai gli occhi dall'album di fotografie che stavo sfogliando. C'eravamo io, Michael, Ian e tutti i nostri familiari. Era davvero bello starsene lì, sotto il soffitto color crema e tra quelle pareti giallo chiaro, a ripercorrere la mia vita a ritrovo attraverso quelle piccole immagini in movimento.
- -Tuo padre?- Feci io. -Mia madre è sull'orlo di una crisi di nervi. E siamo solo all'inizio.-
- Ian sbuffò.
- -Già. Anche i miei dicono sempre questa frase. Siamo solo all'inizio.- Scese dall'amaca e si mise a sedere accanto a me, sul tappeto.
- -Guarda questa foto!- Esclamai. Era uno scatto di qualche anno prima. Io mi ero arrampicata sul vecchio olmo nel giardino dei Lowett, e Ian stava cercando, senza successo, di salire.
- -Che palla di lardo...- Borbottò lui.
- -Eri tenero!- Protestai. -Ora che hai messo su questo bel fisico non sembri nemmeno più tu.- Ian sorrise imbarazzato.
- Era cambiato, e tanto. Del bambino cicciottello non vi era più traccia: niente più occhiali, i riccioli castani si erano trasformati in ciuffi corti e ondulati. Ian ci giocava sempre, quando era pensieroso. Il fisico infantile aveva lasciato spazio a dei muscoli asciutti e scattanti e il viso era più affilato, più adulto.
- -Andiamo via, Dem.- Sussurrò Ian. Chiusi l'album di scatto.
- -Che cosa, scusa?- Domandai incredula. Lui annuì.
- -Mio padre vuole andar via. E' davvero spaventato, Dem. Dice che siamo ancora in tempo a lasciare l'Inghilterra prima che quel pazzo di Tu-Sai-Chi cominci a spadroneggiare sul Mondo Magico.- Non potevo credere alle mie orecchie.
- -Ma... ma... Dovremmo combattere! Dovremmo cercare di contrastarlo, non scappare via! E poi, chi ti dice che si fermerà all'Inghilterra? E' un pazzo, Ian! Potrebbe voler conquistare il mondo intero, o che ne so...- Lui scosse la testa. Il suo sguardo era così distante, ora. Così distante e vuoto, e sconosciuto, anche. Mi domandai se avessi mai visto prima d'ora quegli occhi. No, non erano gli occhi di Ian. C'era qualcun altro di fronte a me.
- -Siamo Purosangue. Mio padre è convinto che se ce ne andiamo abbastanza lontano non ci saranno problemi. Sa che lo fermeranno. Devono.-
- -E dove andrete?- Chiesi in un sussurro. Cercai di controllarmi, sebbene sentissi le lacrime che già minacciavano di uscir fuori. Tirai forte su con il naso.
- -In Giappone. C'è una grande comunità magica lì, e papà ha anche alcuni parenti. I miei troveranno un lavoro e io finirò gli studi a casa.-
- -Ah, quindi cambiare continente per tuo padre è "abbastanza lontano"?!- Chiesi, arrabbiata, scimmiottando il suo modo di parlare.
- -Dem, non posso...-
- Mi alzai di scatto.
- -Non voglio sapere! Non dirmi niente.- Sbottai.
- -Ascoltami, Dem. Ho chiesto ai miei di portarti con noi, ma loro pensano che...-
- -Portarmi con voi?! Sei scemo?!- Urlavo, quasi.
- -Sei pazzo? Io resterò qui. Combatterò, se necessario. Devo proteggere la mia famiglia, la mia casa. Devo tornare ad Hogwarts.- Dissi, calcando la voce su ogni singola parola.
- -Dem.- Mi chiamò.
- -E non chiamarmi Dem! Sei un idiota, un codardo, un imbecille! Fossi stato in te sarei scappata di casa, altro che...-
- Ian non seppe mai quali furono le altre parole che avrei voluto dire dopo. Nemmeno io lo seppi mai. Perchè placcò la mia scenata afferrandomi per le spalle e baciandomi con irruenza.
- Mi prese alla sprovvista. E io, stupida, mi abbandonai a lui.
- -Mi dispiace.- Sussurrò quando ci staccammo. Io piangevo.
- Mi prese tra le sue braccia e mi cullò per un po', lì, in piedi in mezzo a quella stanza con il soffitto color crema e le pareti giallo chiaro.
***- La mattina dopo Ian partì tanto presto che non feci nemmeno in tempo a salutarlo.
- Il quinto anno di scuola, per me, fu un oblio. Un totale oblio.
- Studiavo e andavo avanti solo perché puntavo agli esami. Studia, esercitati, prendi bei voti e passa gli esami. Era questo il programma per il quinto anno.
- Pensare significava ricordare. E ricordare significava soffrire, inevitabilmente. Così semplicemente evitavo di farlo. Scoprii che studiare era semplicissimo, senza niente e nessuno che vagasse nella mia testa. Assimilavo ogni concetto con facilità, divoravo famelica ogni libro che mi passasse di fronte. I miei voti si impennarono.
- Un pomeriggio Ginny Weasley mi indicò un avviso nella Bacheca. La scuola era cominciata da poco, eppure avevo già collezionato un paio di Eccezionale.
- "Selezioni per la squadra di Quidditch!" Diceva il volantino.
- -Quest'anno non ti ho vista volare.- Mi disse Ginny. -Io parteciperò. Vieni anche tu?-
- E così andai anch'io.
- Riscoprii il mio amore per il Quidditch. Mi innamorai di quello sport una seconda volta.
- E poi, anche qui, non pensare significava essere una vincente.
- Alle selezioni Harry scelse me e Ginny per prime, poi aggiunse alla squadra anche Katie Bell. Si complimentò con me per la mia dote innata di schivare i bolidi e di mettere a segno dei punti.
- Ma in realtà quella lì non ero io. Era la mia ombra. Era qualcosa di totalmente diverso dalla Demelza che giocava di nascosto nel parco della scuola. Prima, quando ero in procinto di tirare la Pluffa, avevo sempre un attimo di esitazione. Poco meno di un secondo, ma per me era vitale: mi serviva per mettere a fuoco la situazione e prendere lo slancio per tirare. Adesso, invece, mi muovevo senza che il mio cervello desse alcun ordine. Andavo semplicemente ad istinto, perchè la mia testa aveva chiuso bottega.
***- Quando la sua relazione con Ginny giunse al termine, Dean cominciò a ronzarmi intorno.
- -Demelza, posso accompagnarti su?-
- -Demelza, hai bisogno di una mano?-
- -Allora, vieni anche tu a Hogsmeade domani, Demelza?-
- Dopo l'incidente di Katie Bell fu alquanto appiccicoso. Io, da parte mia, non facevo altro che evitarlo. Lui, però, interpretava il mio essere sfuggente più come un invito che come una richiesta di essere lasciata in pace.
- Un pomeriggio di Maggio, davanti alla Stamberga Strillante, mi afferrò di prepotenza e mi baciò. Io piansi sulla sua spalla e parlai con lui per ore.
- Quando tornammo al castello era quasi ora di cena, e per un soffio Gazza non ci mandò dal Preside.
- Dean mi capiva. O almeno, avevo l'impressione che lo facesse.
- La verità è che nemmeno io avevo la completa consapevolezza di cosa stesse accadendo. Dean, comunque, rimase al mio fianco.
- Poco prima di tornare a casa, a Giugno, mi regalò un bracciale. Era di legno scuro, e lungo tutta la parte esterna erano intagliate delle piccole lettere in una lingua a me sconosciuta.
- -E' greco antico.- Mi spiegò Dean.
- -Il mio patrigno insegna letteratura classica all'Università di Londra. Questo alfabeto me l'ha insegnato quando ero piccolo.-
- Su un quadrato di pergamena mi scrisse la corrispondenza fonetica di ogni lettera.
- -Potrebbe tornarti utile.- Mi disse.
***- Paradossalmente, il sesto anno fu quello che mi pesò di meno.
- Ormai eravamo in guerra aperta, il Signore Oscuro prendeva velocemente il controllo del Mondo Magico e Hogwarts, ormai, non era più quella di un tempo.
- Io vivevo le mie giornate a testa bassa, più per evitare le punizioni corporali che per altro. Non che avessi perso la fiducia in Harry Potter e i suoi amici, intendiamoci. In effetti ci pensavo ogni giorno: ero convinta che presto sarebbe spuntato fuori, ovunque egli fosse, e avrebbe rovesciato per sempre Voi-Sapete-Chi e tutti i Mangiamorte.
- Ammiravo Ginny, Luna e Neville. Loro riuscivano dove io non potevo: quando cercavo di non piantare grane per evitare i guai, loro si ribellavano. Mentre passavo le serate tappata nella Torre dei Grifondoro, loro progettavano un attacco ai danni dei fratelli Carrow.
- Dean non tornò a scuola, quell'anno. Il Ministero aveva cominciato la sua campagna anti-Babbani. Pochi giorni dopo l'inizio della scuola, però, mi arrivò un gufo.
- Portava un biglietto minuscolo, vergato in fretta e furia. Era firmato "D" ed era interamente scritto in lettere greche.
- Lo decifrai il più velocemente possibile. Era Dean! Diceva di stare bene, di essere "in giro perché non poteva venire lì" e che ci saremmo visti quando tutto sarebbe finito. Diceva anche di non rispondere: avrebbero potuto intercettare il gufo. Si sarebbe fatto vivo lui, quando avrebbe potuto.
- I biglietti di Dean furono una delle poche cose che mi fece aspettare con ansia la fine della scuola.
***- Lo scontro finale arrivò, finalmente. Nessuno di noi, a scuola, dubitava che sarebbe giunto.
- Prima che me rendessi conto, la voce che Harry Potter si trovasse ad Hogwarts saettò fulminea fra tutti gli studenti. I Mangiamorte erano vicini, l'attacco imminente.
- Impiegammo così poco tempo per organizzare la difesa che mi sembrò fosse passato un attimo, ed eravamo già nel pieno della lotta.
- La McGranitt richiamò tutti gli studenti nella Stanza delle Necessità. I minorenni, disse, dovevano andar via immediatamente. I maggiorenni poteva decidere di restare e combattere, oppure passare per il ritratto e fuggire a Hogsmeade.
- Trovai Ginny nella folla e le domandai cosa aveva intenzione di fare, anche se conoscevo già la risposta.
- -Resto, ovvio!- Esclamò.
- -Anche io. Andiamo.-
- Provammo ad uscire di soppiatto, ma la signora Weasley la placcò prima che riuscisse a raggiungere la porta. Io mi aggregai al fiume di studenti che scendevano e la persi di vista.
- Sfoderai la bacchetta e cominciai a camminare per i corridoi affollati e rumorosi. Fu più facile di quanto pensassi.
- Lottai. Lottai con tutte le mie forze, evitando alcune maledizioni per pura fortuna.
- Non ero mai stata una brava duellante ma, ripensandoci, forse in quel momento accadde proprio come con il Quidditch: andavo avanti ad istinto.
- Mi unii ad un gruppo di Corvonero che fronteggiavano un paio di Mangiamorte dall'aria non molto sveglia. Mentre le maledizioni volavano da tutte le parti, vidi con la coda dell'occhio Luna Lovegood e Neville Paciock che duellavano, schiena contro schiena. Mi sentii rassicurata, non so perché.
- Uno dei due Mangiamorte si accanì contro di me.
- -Stupeficium! Accidenti... Stupeficium! Stupeficium!- Continuavo a lanciargli Schiantesimi, ma quello riusciva a bloccarle tutte con un semplice movimento di bacchetta. Rise.
- -Ragazzina, cosa credi di fare? Protego! Non sei in grado. Nessuno di voi è in grado, siete solo -Protego!- Siete solo un manipolo di bambocci!- Esclamò allegramente.
- -Stupeficium!-
- -Demelza, attenta alle spalle!- Urlò qualcuno. Non potei vedere chi.
- -Protego!-
- Un incantesimo venuto dal nulla placcò l'attacco alle mie spalle. Accadde tutto in un attimo. Il Mangiamorte contro il quale stavo lottando mi indirizzò un sorriso beffardo.
- -Cru...-
- -AVADA KEDAVRA!-
- Un lampo di luce verde, e il Mangiamorte si afflosciò a terra. Sentii il sangue ghiacciarsi nelle vene. L'avevo ucciso.
- La Maledizione era affiorata alle mie labbra senza che me ne rendessi conto. Abbassai immediatamente la bacchetta.
- -Tienila su!- Ordinò una voce. Dean Thomas era al mio fianco. Insieme a lui c'era anche Luna.
- -L'ho ucciso.- Dissi in un soffio, mentre Dean faticava a proteggerci entrambi con un Incantesimo Scudo.
- -Demelza, tira su quella bacchetta e datti una svegliata!- Urlò.
- Muovendomi come un automa, mi immersi di nuovo nella battaglia.
- Mi sembrò un'eternità, prima di sentire un urlo che proveniva dall'Ingresso.
- -Tutti fuori! Il Signore Oscuro ha preso Potter!-
- Guardai Dean e un secondo dopo stavamo già correndo a perdifiato nei corridoio.