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Autore: Happy_Pumpkin    20/11/2009    4 recensioni
Tre amici e la separazione. Si ritroveranno tanti anni dopo, scoprendo che alcune cose sono cambiate; altre, invece, sono rimaste le stesse dei loro ricordi d'infanzia.
[Personaggi: Yahiko, Nagato e Konan]
Seconda classificata al contest "Enjoy the Silence" indetto da Hiko_Chan
Genere: Malinconico, Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Konan, Pain
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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II


Anni dopo la sua partenza, Yahiko era stato accoltellato in una rissa. Quando la notizia giunse ad Ame, ebbe l'effetto di un ciclone nelle vite di Konan e Nagato.
Il ventenne Yahiko si era messo in mezzo per cercare di fermare una lite fuori dall'università e aveva ricevuto dodici coltellate al ventre; si era accasciato per strada al pari di una foglia staccata dall'albero, sotto gli occhi atterriti dei compagni.
A mesi di distanza dall'avvenimento, Konan non riusciva a trovare il fiore centrale adatto per l'hikebana, quel fiore meraviglioso da usare come protagonista delle spoglia composizione; ne aveva di diversi tipi appoggiati sul tavolo, ma nessuno sembrava adatto per meritare il posto d'onore.
Si portò una mano al ventre gonfio e sospirò, sentendo la vita scorrere e giungere, forse in un battito, al contatto con la sua pelle; guardò infine fuori dalla finestra ma non vide alcun Nagato intento a rientrare a casa, con un fiore solo per lei da infilarle silenziosamente tra i capelli.
Nagato stava male; la notizia di quanto avvenuto a Yahiko lo aveva provato e la sua salute cagionevole ne aveva risentito. Nella solitudine di quella stanza, Konan sentì un'immensa nostalgia verso i due principali uomini della sua vita.
“Dove siete, adesso?”
Nessuno le rispose.
Così ritornò all'hikebana: pensò che forse avrebbe potuto trasgredire le regole e creare un colorato mucchio di fiori, senza elevarne nessuno a protagonista.
Tanti colori per un unico vaso.

Nagato si strinse il mantello sulle spalle. Da un paio di giorni stava davvero meglio: non tossiva più, né tantomeno aveva la febbre; evidentemente lo sprazzo di sole sorto nel pomeriggio doveva avergli fatto bene, aveva dunque deciso di uscire dall'ospedale e andare dove da tempo desiderava essere.  Si era incamminato, coprendosi tanto bene che l'umidità gli sembrò soltanto un ricordo lontano.
Si arrestò davanti alla cancellata in legno e inspirò profondamente la pungente aria di bosco, infine spinse il portone ed entrò nel giardino della casa; la casa di Yahiko. Era disabitata da mesi: pareva che i proprietari non si fossero trovati particolarmente a loro agio con il luogo, ma Nagato, rimasto in coma, non era riuscito a seguire gli eventi come avrebbe voluto.
Il posto era stato lasciato andare: erbacce alte coprivano le pietre del selciato e tralci d'edera avevano iniziato ad arrampicarsi tra le assi in legno delle pareti. Si diresse verso il porticato e lì si sedette, con le gambe a ciondoloni, ignorando l'umidità che impregnava il pavimento e il muschio che lo rendeva più scivoloso.
Tanti anni fa Yahiko se ne era andato da quel luogo; ora, non avrebbe più avuto possibilità di tornarvi. Nagato si portò una mano al petto e quando aprì il palmo contemplò il ciondolo che aveva istintivamente preso solo per sé; era stato egoista ma l'aveva fatto solo per l'affetto smisurato che nutriva nei confronti del suo migliore amico.
Eppure non era sembrato bastare per proteggerlo, evitandogli di soffrire. Guardò il ritratto di loro tre insieme e accennò ad un sorriso un po' stanco: non capì come avrebbe potuto ridere per davvero, visto che aveva davanti agli occhi le persone che più amava al mondo.
Socchiuse le palpebre ma istanti dopo le riaprì di scatto perché sentì scricchiolare il legno: era un rumore che proveniva dall'interno della casa. Nagato si alzò lentamente in piedi; silenzioso come sempre si avvicinò alla porta d'ingresso, facendola scivolare con cautela.
Si sporse in avanti, scrutando il soggiorno deserto che odorava di chiuso e di umido: non c'era nulla, eccetto un fiotto di luce che lo illuminava, rendendo il legno di un colore più caldo.
Avanzò allora di qualche passo e provocò lo stesso scricchiolio udito fuori, identico a quello sentito anche anni addietro, nelle esplorazioni notturne in compagnia di Yahiko e Konan; oltrepassò gli shojo aperti, sfiorando le pareti toccate tanto tempo fa, senza che gli sembrassero così diverse da quando le aveva lasciate.
I suoi capelli lunghi fino alle spalle ondeggiavano al ritmo dei passi ponderati, al pari del mantello che avvolgeva il corpo pallido; un mantello talmente lungo da accarezzare le assi, fino a sollevare la polvere che si disperdeva danzando nell'aria satura.
Una volta giunto di fronte alla porta chiusa che dava sulla camera di Yahiko, si arrestò.
Trattenne il fiato perché sentì distintamente dei suoni provenire da oltre quella parete; un frusciare di vesti e poi un respiro, un po' affannato forse. Chi c'era in quel luogo?
Appoggiò una mano sullo shoji mentre i suoi occhi, ormai abituati alla semioscurità, dardeggiavano alla ricerca di un indizio; dopo qualche secondo infine si decise: fece scorrere il pannello e lo aprì, nonostante il cuore gli martellasse in petto.
Centimetro dopo centimetro, una luce intensa arrivò ad accarezzargli il volto ed egli dovette socchiudere gli occhi, consapevole che per quella volta i capelli non sarebbero bastati a ripararsi.
Rimase muto per una quantità indefinita di tempo perché laggiù, accompagnato dalla luce, c'era lui, seduto sul tatami con le gambe incrociate.
“Yahiko...” mormorò, infine.
Quest'ultimo si voltò di scatto e vide Nagato, in piedi presso l'entrata.
Si fissarono silenziosi, troppo sconvolti; dopo tanto tempo si erano ritrovati lì, in quella stanza odorosa di chiuso, esattamente come quando erano bambini: con le gambe infilate nel futon, una lanterna a fare da luce e una storia da brivido per spaventarsi.
“Nagato...” sussurrò a sua volta, con gli occhi sgranati.
Si alzò da sedere e tese una mano verso il suo migliore amico che lo guardava meravigliato, con indosso un mantello scuro quanto i suoi capelli. Però non lo toccò; ritrasse il braccio, rimanendo immobile.
“Non credevo che sarei mai riuscito a rivederti. Ho saputo dell'aggressione, di quello che ti hanno fatto, di...” Nagato non riuscì a continuare.
Le parole gli morirono in gola. La sua compostezza si piegò alle frustate imposte dal destino: l'immagine dell'amico di una vita era così vivida, così reale e intensa da sconvolgerlo.
Yahiko aveva gli occhi lucidi; si toccò il ventre martoriato dalle coltellate e disse con voce un po' incerta per l'emozione:
“Mi conosci, io non riesco a stare in disparte. Mi metto sempre in mezzo e... queste sono le conclusioni.”
I due sorrisero, guardandosi negli occhi con la paura di risvegliarsi e scoprire che ogni cosa era nient'altro che un sogno.
Il ragazzo, infine, faticando anche solo a deglutire si sforzò di aggiungere:
“Perché sei in questa casa, Nagato? Dopo così tanto tempo io mi aspettavo che...”
Il dolore era troppo forte; lui era lì, davanti a sé, eppure ancora una volta non sapeva cosa dire di utile. Gli parlava ma sentiva di sprecare fiato inutilmente, di bruciare quell'occasione che qualcuno aveva voluto regalargli.
Nagato strinse forte i pugni e sospirò impercettibilmente. Il ciondolo era tra le sue mani, avvertiva le venature del legno e il peso del senso di colpa che lo aveva tormentato per anni; forse alla fine gli era servito per richiamare a sé Yahiko un'ultima volta e restituire quanto gli apparteneva.
“Volevo ridarti questo e chiederti scusa per averlo preso. Io... credevo mi avrebbe aiutato a farti tornare da noi.”
Tese la mano in avanti e aprì il palmo, svelando il ciondolo che tanto a lungo aveva tenuto nascosto; i bordi erano usurati e la foto ingiallita, guardata tante volte la sera con un affetto e una nostalgia che sembravano averla consumata più della luce.
Yahiko cercò di frenare il tremito al labbro; era sempre stato un tipo un po' infantile, impulsivo, ma talmente carismatico e in grado di trascinare tutti da far dimenticare ogni difetto che possedeva. Eppure quel giorno, davanti a Nagato, non riuscì ad essere né un leader, né un dignitoso quasi uomo di vent'anni; era confuso, sperduto, travolto da tanti sentimenti che lo sballottavano al pari di quei fogli di carta immersi nei ruscelli della città.
Con la bocca semiaperta prese lentamente l'oggetto, senza sfiorare altro; strinse con forza il monile che credeva di aver perduto per sempre anni fa. Non lo aprì per guardare una foto che ancora ricordava a memoria, così come ricordava l'ilarità della sua espressione, la bellezza di Konan, il fare schivo di Nagato.
Quest'ultimo disse semplicemente:
“Mi dispiace, Yahiko. Perdonami.”
“Non devo perdonarti proprio un bel niente. Sei tu a dover perdonare me... io... io non credevo di farti tanto male; sono il tuo migliore amico e ti ho lasciato andare.” si portò una mano tra i capelli, chiudendo gli occhi per non piangere.
Nagato lo guardò senza capire di cosa stesse parlando. Mosse un passo verso di lui e mormorò:
“Ti hanno accoltellato; non potevi pensare anche a noi.”
Per diversi istanti tra loro calò il silenzio; finché improvvisamente Yahiko non si sedette a terra, venendo imitato dall'amico che si posizionò proprio di fronte.
Il primo passò una mano sul tatami e disse, guardando distrattamente il pavimento:
“In questa camera ci sono tante memorie; della nostra amicizia, di quello che abbiamo passato. Ti ricordi quando litigavamo per chi avesse ricevuto più attenzioni da Konan?”
“Sì, alla fin fine volevi sempre vincere.” rise.
“Beh, però il vero vincitore sei stato tu; l'hai sposata.” concluse con affetto.
Konan. Era a casa ora: si stava preoccupando per lui, non vedendolo tornare?
Non voleva farla agitare; era la donna che amava, che avrebbe protetto con la sua stessa vita, e non doveva soffrire.
“Aspetta un bambino, nostro figlio.” rivelò un po' emozionato, tradendo quell'apparenza di inespressività sul volto serio.
A quelle parole Yahiko non riuscì più a respirare; faceva così terribilmente male. Abbassò la testa, stringendo con più forza il ciondolo tra le mani, fino a che non rivelò:
“Non ce l'ho fatta ad andarla a trovare; mi sono diretto subito qui. Sono stato egoista, ha bisogno di me.”
Ancora una volta si era abbandonato ai ricordi; sentiva su di sé lo sguardo di Nagato, quello sguardo indagatore e ora pieno di sofferenza, forse a causa sua che gli rievocava troppo di un passato che invece era giusto dimenticare.
“Cosa stai dicendo? Ci sono io con lei.” sostenne.
Yahiko aprì appena la bocca: guardò intensamente l'amico, poi mormorò:
“Come farai? La malattia ti ha fatto lasciare questo mondo. Non ti sei più svegliato dal coma e io... – si guardò le mani – dov'ero io?”
Nagato improvvisamente si sentì svuotato; gli sembrò di galleggiare, di comprendere che i suoi piedi non potevano più toccare terra.
“Sono... morto? – le parole riecheggiarono, disperdendosi senza una risposta – E tu...”
Lui era sopravvissuto.
Sarebbe bastata una piccola spinta nel baratro e avrebbe cessato di vivere. Per tanti giorni entrambi avevano lottato, sospesi tra la vita e la morte, ma uno solo di loro era riuscito a uscirne; ora erano lì, a guardarsi, e ogni risposta che tentavano di darsi pareva essere inutile.
Forse non era giusto cercarne una. Nagato si era illuso, aveva creduto di stare meglio, di riuscire a camminare, a respirare come se in tutti quei mesi non avesse mai sofferto: di lui invece non restava altro che una forza di volontà, forte, inesauribile, talmente vivida da avergli permesso di esprimere il suo ultimo desiderio.
Ottenere il perdono e rivedere i luoghi più amati, con lo stesso entusiasmo di quando era bambino e che la convalescenza gli aveva portato via.
“Ci sei tanto mancato, Yahiko – confessò, infine, guardando l'amico con affetto – Avrei voluto restituirti sin da quel giorno la fotografia, eppure l'ho sempre conservata per me soltanto. Quando ero a letto la guardavo e sentivo di avervi vicini; ora che ti ho rivisto sono contento, perché poter parlare ancora con te era quello che più desideravo. Come vorrei ritornare a quando eravamo piccoli: col senno di poi avrei cercato di afferrare ogni singolo attimo che vivevamo, di intrappolare le emozioni e inscatolare le risate fatte insieme.”
“Anche voi mi siete mancati; continuate a mancarmi ancora adesso che ti ho accanto.”
Poi, senza preavviso, si lasciò andare, sdraiandosi con la schiena sul pavimento; allargò le braccia e le gambe, quasi a voler toccare le pareti della stanza in un unico grande abbraccio.
Nagato sorrise e seppur in modo più tranquillo si sdraiò a sua volta: la testa era accanto a quella di Yahiko, in direzione opposta. Talmente vicini da vedere i rispettivi toraci dilatarsi per inspirare aria, così poco distanti da scorgere gli occhi lucidi, le guance arrossate per l'emozione, le labbra secche perché mancava la salivazione.
“Cosa dirò a Konan?” chiese improvvisamente Yahiko, scrutando il volto pallido dell'amico.
“Che la amo, così come amo la vita che porta in grembo.”
Il compagno d'infanzia si limitò ad annuire. Sospirò.
Non servirono altre parole. I due rimasero silenziosi sdraiati a terra, a contemplare un soffitto che aveva visto tanto della loro vita; si erano perdonati gli sbagli, le assenze, le nostalgie di quei momenti che non sarebbero più tornati.
Anche in quell'occasione loro due avrebbero potuto parlarsi, approfittare del dono che avevano inaspettatamente ricevuto. Ma non lo fecero; preferirono invece restare ancora una volta insieme senza fiatare, sommersi dalle emozioni e dalla consapevolezza che in realtà la vicinanza era l'unica parola che veramente contava.
Nel silenzio Nagato svanì. Forse inghiottito dal legno intriso d'amore famigliare, forse eclissato come il vapore delle pozzanghere in un raro giorno di sole.
Sfiorò un'ultima volta il suo migliore amico, la persona con la quale aveva condiviso la felicità, il ragazzo buffo di una foto rubata; questi a sua volta si lasciò sfiorare, consapevole di non poter ricambiare il gesto in un abbraccio espansivo. Aprì gli occhi e, rimanendo immobile, contemplò Nagato dissolversi accanto a sé; il volto era sereno e i capelli scuri non coprivano più la fronte: era splendido, luminoso di una felicità che aveva finalmente trovato.
Se ne andò senza parlare, con il suo solito silenzio meditato, sapendo che accanto aveva la persona a cui avrebbe affidato ogni ricordo, tanto faticosamente custodito in quegli anni; mancava Konan ma andava bene ugualmente: era lei a dover portare avanti il futuro che non gli era stato concesso, continuando nell'intimità dei suoi sguardi di donna a coltivare un amore orientato verso il passato.
“Ora... sono felice.” mormorò; le sue uniche parole.

Yahiko bussò alla porta di casa e attese diversi secondi. Quando lei gli venne ad aprire in un primo momento non seppe cosa dire, fare, come comportarsi; Konan lo fissò per interminabili istanti, con in mano uno strofinaccio e un fiore bianco tra i capelli.
Lasciò cadere lo straccio a terra, fiondandosi tra le braccia di Yahiko che, nonostante un'incertezza iniziale, la abbracciò a sua volta con forza, nascondendo il volto tra i suoi capelli profumati.
“Mi dispiace.” sussurrò.
Lei scosse la testa e gli sfiorò le guance con un dito, replicando:
“Anche a me.”
Entrò in casa e si sedette preso il tavolino basso del soggiorno; contemplò presso l'altare un vaso colmo di fiori colorati, tutti talmente belli da sembrare dipinti.
Konan gli versò il thé con una serie di gesti pieni d'armonia, intrisi di quella perfezione che era propria della ragazza; ogni suo atto era semplice eppure straordinariamente bello, forse persino seducente. Yahiko sorseggiò la bevanda, ancora bollente, finché non posò il contenitore e guardò negli occhi l'amica; scorse il ventre tondeggiante e chiese, sorridente:
“Quanto manca?”
“Tre mesi.” rispose lei, portandosi con affetto una mano sul pancione.
“Secondo me sarà una bellissima bambina – poi aggiunse, storcendo il naso perplesso – magari non le piacerà inzaccherarsi nelle pozzanghere come facevamo noi.”
“Me lo auguro; altrimenti immagini quanti vestiti da pulire?” scherzò.
Passarono dei minuti e ormai la tazza era vuota. Yahiko trattenne diversi istanti il fiato, infine tirò fuori dalla tasca dei pantaloni il ciondolo, posandolo sul tavolo.
Prima che Konan, stupita, potesse dire qualcosa, la anticipò:
“Ha detto che ama te... e il vostro bambino.”
La donna sgranò gli occhi, portandosi una mano alla bocca; guardò il monile e lo riconobbe a prima vista, nonostante non lo vedesse da quando era stato perso il giorno del trasloco.
“E' stato lui a dirti questo?” chiese, faticando a mantenere un tono di voce neutro.
L'interlocutore annuì e la sua mente venne inondata di pensieri, sensazioni, emozioni; una giostra che la faceva vorticare ma dalla quale non sarebbe più voluta scendere.
Dopo qualche istante si alzò in piedi, rassettandosi con cura le pieghe del kimono e chiese, accennando ad un sorriso morbido, nonostante gli intensi occhi dalle ciglia lunghe fossero umidi:
“Andiamo a fare una passeggiata; ti va?”
“Certo!” acconsentì Yahiko, alzando le spalle sorridente.
Preso un ombrello blu scuro, insieme si incamminarono per la stradina, percorrendo il terreno malamente asfaltato coperto lungo i margini di foglie. La pioggerellina ticchettava leggera sulla stoffa, sulle pelli esposte, sui capelli che venivano smossi dal vento freddo del pomeriggio.
Camminarono, per una quantità infinita di tempo; continuava a piovere, mentre attorno a loro la cittadina ai margini della campagna brulicava di vita: gli abitanti sembravano tante formiche operose, intente a cercare riparo dall'acqua che minacciava di cancellare il lavoro, la frutta delle bancarelle, i manifesti della prossima fiera.
Yahiko inspirò ancora quegli odori, quell'esistenza pacifica che lontano da lì non aveva mai dimenticato e che in ospedale, costretto a inghiottire pappette inconsistenti e flebo piuttosto antipatiche, desiderava più di ogni altra cosa. Gli fece male constatare quanto spazio ci fosse sotto l'ombrello, ora che non c'era più Nagato.
Il sole tramontò e ormai avevano deciso di rincasare; anche nella breve salita da intraprendere per arrivare sino a casa, Konan non volle chiedere aiuti: era troppo orgogliosa e abituata alla sua indipendenza per farlo. Davanti al basso cancelletto d'ingresso, sobriamente recintato, si arrestarono entrambi, guardandosi negli occhi.
Era doloroso rientrare tra quelle mura e riscoprirsi, ancora una volta, soli.
“Dove te ne andrai, ora, Yahiko?”
Questi curvò appena il labbro, guardando il cielo plumbeo. Rimase in silenzio diversi istanti, infine non resistette e tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un mazzo di chiavi tintinnanti:
“Guarda.”
La donna aggrottò la fronte perplessa, poi curiosa indagò: “Cosa?”
“Ho ricomprato la casa – rivelò dopo aver inspirato l'aria, impettendosi un po' – la mia casa.” aggiunse con orgoglio.
“Ce l'hai fatta.” mormorò lei; le labbra tinte da un rossetto scuro si distesero in un sorriso: ricordarono una rosa intenta a sbocciare, radiosa dopo aver superato quasi indenne la tempesta.
Smise di piovere e il sole, prima di tramontare, regalò l'ultimo raggio di luce: le gocce d'acqua sulle foglie furono più luminose, l'erba gravida di pioggia non sembrò mai così vivida e verde, persino le strade parevano incantate da una magia che avrebbe consentito loro di cambiare ogni volta, per scoprire nuove direzioni.
Yahiko e Konan si abbracciarono, lasciando cadere a terra l'ombrello ormai inutile.

*°*°*°*

Molte volte si passa troppo tempo a cercare di capire le cose; basterebbe invece accettarle per come sono e tentare, piuttosto, di tenere ben stretta ogni esperienza di vita, ogni ricordo, persino quello più spiacevole.
Yahiko era giunto a quella conclusione, ora che la sera sedeva sul portico con le gambe a ciondoloni, un gelato in bocca e l'altro in mano da dare a Konan, non appena fosse passata a trovarlo con la bambina per dirigersi tutti insieme a guardare i fuochi d'artificio.
La sua camera da letto era rimasta spoglia: dentro c'erano solo più lo scatolone dei ricordi, una lanterna per illuminarlo e il ciondolo appeso alla parete.
Vide la figlia di Nagato avanzare lungo il vialetto seguita dalla madre: aveva i pantaloni inzaccherati di fango, il sorriso radioso e un ombrello chiuso in mano, proprio come loro tanti anni fa.
Sorrise, riparandosi con l'avambraccio da un ultimo raggio di sole prima del tramonto.

 – Non è meraviglioso? –


Sproloqui di una zucca

Eccoci con il secondo e ultimo capitolo ^^
Come al solito tardo sempre ad aggiornare, sono una cicala vergognosa <____< Spero in ogni caso che questa storia vi sia piaciuta, specie a chi in vita sua a traslocato XD Eccetto questo, sono contenta di aver parlato ancora di Yahiko, Nagato e Konan visto che insieme semplicemente li adoro!

ADarkFenner: Me felicissima che il capitolo ti sia tanto piaciuto. Ma soprattutto... che giuoia, trovare altre persone alle quali piacciono io tre ragazzi di Ame ** Grazie per le considerazioni fatte; mi lusinga sapere di riuscire a trasmettere tanto a chi legge ^^

Beat: Grazie davvero, cara ** Sapere che lo stile possa piacere mi rende felice, ho sempre paura di riusltare troppo prolissa. Vedere che invece è stata una lettura scorrevole è molto incoraggiante! Spero con questo capitolo di aver reso al meglio i tre della Pioggia, almeno qui rendiamo loro un po' di giustizia XD

Hiko_Chan: Vale, sono davvero felicissima di leggere una tua recensione ** Soprattutto perché hai espresso così tante cose riguardo la fiction da meravigliarmi. Oddei, il gatto!XDXD Nulla, povero caro, mi piaceva l'idea malsana di un gatto tirato sotto XD Mi rende tanto felice leggere queste tue righe, perché  sono riuscita a comunicare qualcosa a chi legge e perché sono cariche di ciò che pensi, di ciò che hai sentito o che ti ha ricordato la lettura della storia. Concordo anche sulla caratterizzazione dei personaggi, mi è spiaciuto non essere riuscita a renderli più "bambini" da bambini - pardon per il gioco di parole.
Spero che questo capitolo sia all'altezza del precedente e possa concludere degnamente la storia **
Grazie del commento e, ancora, del banner **
Un  bacione, carissima!

_BellaBlack_: Bella! Che giuoia leggere un tuo commento ** Volevo precisamente trasmettere le atmosfere giapponesi con la narrazione, mi rende contenta leggere dalla recensione che tu abbia proprio sentito quella tipologia d'ambientazione. Sono felice anche per come consideri la caratterizzazione di Yahiko, Nagato e Konan, sperando di mantenermi sulla stessa linea anche in questo capitolo.
Grazie mille per quanto hai scritto ^^ Un bacio e alla prossima *-*


Grazie a tutti i lettori!



   
 
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