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Autore: Jo_    20/11/2009    1 recensioni
Andrea aveva un amore, riccioli neri. Storia di adolescenti stupidi, ribelli, ormonali e confusi. Non sono capace ad impostare gli avvertimenti, comunque, si parla di cose sporche. La canzone citata nel titolo sarà di mia proprietà nel giorno in cui verrò adottata da Dori Ghezzi.
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ok, la prima parte era solo un assaggino, per dare un'idea di com'è Andrea, di come si comporta degli altri, del mondo che lo circonda suo malgrado.

Non ho la più pallida idea sulla base di cosa si modifichino i rating, quindi ve lo dico prima: faccio uso di turpiloquio, di sarcasmo, parlo di sesso, e puzzo.

L'ultima delle cose non influenza necessariamente quello che scrivo, o forse sì.

Comunque siete avvisati/e/a (plurale neutro, per chi non lo capisse).

Buon proseguimento.

 

 

4.

Lo scenario è più o meno questo.

Tutti i banchi occupati due a due, tranne il primo, completamente vuoto.

Che è stato scelto come mio posto ad vitam.

Tutti si voltano a guardarmi. Non faccio neanche finta di sorridere.

I loro occhi già mi odiano.

Zainetto Rosso è anche lei al primo banco, vicino alla finestra, affiancata da un’altra Survivor. Anche lei mi guarda. Sta già macinando vendetta per la figuraccia che le ho fatto fare stamattina.

Mi siedo, insieme al mio vicino di banco invisibile.

Ma si, ci conosciamo già. All’asilo giocavamo sempre insieme ai pirati, e alle medie ci ritrovavamo a contendere sempre la stessa ragazza.

Che puntualmente sceglieva un Altro.

Il mio amico invisibile…quanto tempo è passato dall’ultima volta.

Entra l’insegnate. Già mi odia pure lui.

“Quindi te al primo banco dovresti essere Andrea Leone Fa…”

“Andrea, basta Andrea, grazie.”

“Immagino che questo nome pomposo ti vada stretto.”
”Immagina bene.”

“E immagino anche che sei stato cresciuto come un principino strafottente”

“E immagina bene anche stavolta.”

Direi che come bilancio della prima giornata non c’è male.

Il professore tenta di introdurre un nuovo argomento, ma la classe non sembra seguirlo molto. Sembrano tutti molto concentrati a vociferare su di me.

Dio, sono già famoso.

Cambio dell’ora. Altro giro altra corsa.

“Sei te il nuovo alunno di…?”

“Si signora, in carne ed ossa.”

“Come mai sei seduto da solo? Forse è il caso che ti metta accanto qualcuno, almeno conosci…”

“Non si preoccupi, grazie mille. Non vedo tutti molto entusiasti della mia presenza.”

“Oh no, suvvia, è meglio ambientarsi il prima possibile. Alice, ti potresti spostare qua? La tua vicina può sedersi tranquillamente accanto a Garini e Petrotti.”

Zainetto Rosso fa una smorfia e raccoglie le sue cose.

Caro amico immaginario, il nostro incontro termina qui. Sono sicuro ci incontreremo di nuovo, prima o poi.

Alice si siede accanto a me.

“Ciao Alice, i nostri destini si incrociano ancora.”

“’fanculo, stronzo.”

Direi che ho fatto breccia nel suo cuore.

“Prendete il volume secondo a pagina…”

Ovviamente, il libro non ce l’ho.

Temo che Alice debba condividerlo a malincuore con me.

Sposta il volume verso il centro dei banchi e cerca in tutti i modi di evitare il mio sguardo.

In cima alla pagina c’è scritto, con la penna rossa, “SHE’S LOST CONTROL”.

“Ti piacciono i Joy Division?”

“Uh?”

“Dico, ti piacciono i Joy Division? Per questa frase qua.”

“Aah…si mi piacciono. Non li conosco da molto, a dire il vero, ma non mi dispiacciono.”

“Lo hai visto Control?”

“Uhm…che cos’è?”

Mi infastidiscono un casino questi versi che fa prima di rispondere.

“E’ un film sulla vita di Ian Curtis girato da Anton Corbijn, il fotografo. La fotografia in bianco e nero è estremamente curata e i dialoghi sono belli da starci male. Te lo consiglio, anche se non so se si trova coi sottotitoli in italiano…”

“Uhm…provvederò. Grazie mille per la dritta.”

“BEH vedo però che contrariamente alle previsioni ti sei ambientato in fretta! FATE SILENZIO INSOMMA!”

Facciamo silenzio. Anche perché tutti quei versi gutturali non li sopportavo più.

Perdo tempo ad osservarla.

È piena di tic nervosi.

Quando non si tormenta i lunghi capelli lisci, rigira la penna tra le dita o le picchietta sul banco.

Non potendo correre per la stanza…

Ricreazione. Anzi, pausa di socializzazione.

Dio come sono ironico oggi.

Tutti si alzano ed imperversano nei corridoi.

Mi alzo lentamente, alla ricerca del bagno.

Dio, ho bisogno di due cose in rapida successione: nicotina e caffeina.

Altro che vizioso. Altro che fiori.**

Dov’è il bagno in questa galera? Ah, eccolo.

Entro.

Una quarantina di occhi maliziosi si posano su di me.

Mi sa che ho sbagliato bagno.

“Scusate gentili donzelle, sapete dove si trova un bagno più adatto alla mia presenza?”

Al piano di sopra, corridoio di sinistra.

Un’altra quarantina di occhi si posa su di me. Mi sa che le antenne mi son spuntate per davvero.

Passo davanti al cartello Vietato Fumare, e mi avvicino alla finestra.

Mi accendo una sigaretta.

“Non si può fumare qua dentro.”

“Si, so leggere.”

“E allora non fumare, coglione.”

“E dov’è che dovrei fumar in pace, di grazia?”

“Da nessuna parte, di grazia. Qua dentro non si fuma e basta.”

Mio Dio, sono finito davvero all’Inferno. Esiste davvero una scuola dove non si fuma in bagno?

Non ho voglia di discutere. Spengo la sigaretta ed esco.

Speriamo che almeno non sia vietato anche il caffé.

E infatti.

Non c’è una macchinetta del caffé in tutto il piano.

Solo un distributore di bibite Coca Cola Inc.

E quindi manco la caffeina. Io non finanzio dei negrieri.

Sto qua dentro da tre ore e già non ne posso più.

Suona la campanella, corro verso la mia aula.

Strano a dirsi, sono l’ultimo ad entrare.

“Li dev’essere Andrea Leone F…”

“Esattamente.”

“Noto con piacere che dalle sue parti la campanella ha un valore totalmente arbitrario.”

“Me ne scuso, è che non riesco ancora ad orientarmi bene nell’edificio.”

“Se vuole le disegno una cartina”

“Gliene sarei eternamente grato.”

Mi siedo. Forse dovrei trovare un modo per avere un rapporto un pochino più civile con gli insegnanti.

 “Da dove viene, Signorino?”

“Dagli antipodi, compagno Sir.”

Ma anche no, adesso che ci penso.

In compenso, la classe mi trova estremamente divertente.

“Vedo che è dotato di un sottilissimo humor inglese. Quante volte è stato espulso, nella sua onorata carriera scolastica?”

“Mai finora, compagno Sir.”

Alice sta morendo dalle risate. Non riesco a capire cosa ci trovi di divertente.

“Se continua così, temo ne diventerà avvezzo, invece.”

“Me ne dispiaccio, compagno Sir.”

“Trova divertente continuare a ripetermi compagno Sir???”

“E’ una citazione, speravo l’apprezzasse.*”

Alice sta per cadere dalla sedia.

“Apprezzerei solo un suo perpetuo silenzio, signorino.”

Amen.

Peccato i professori non abbiamo un buon senso dell’umorismo.

“Non credevo potessero esistere dei tipi come te, nella realtà”

“Lo prendo come un complimento”

“Oh, lo è. Sei davvero assurdo.”

La lezione inizia, si svolge, finisce.

È come se i miei pensieri fuoriuscissero dalla testa durante queste ore inutili, e vagassero per lo spazio in cerca di qualcosa da apprendere.

Il mio corpo è seduto sulla sedia e prende appunti, ma io non ci sono.

Io sono a casa mia, quella vera, con i miei vinili che puzzano di polvere, le mie scarpe bucate, i miei libri usati, la mia chitarra, le mie sigarette, e nessuno mi rinfaccia di essere asociale.

Torno in me, raccatto la mia roba e vado fuori.

Ossigeno dannazione, ossigeno.

Finalmente posso fumare. E noto che sono l’unico studente di tutto l’istituto con la sigaretta in mano.

Dio, ma dove cavolo sono finito?

“Ehm…Andrea! Mi aspetti per favore?

Mi volto. È Alice. A quanto pare ha paura di andare a casa da sola.

“Quanto tempo. Ti mancavo per caso?”

“…dimmi la verità. Perché sei così dannatamente stronzo con tutti?”

“Non è colpa mia, è che mi disegnano così”

“Avevi amici dove vivevi prima? Perchè sicuramente qua non te ne farai se sei sempre così.”

“Non ci tengo a circondarmi di gente ipocrita con cui devo comportarmi come un altro. Sono un pessimo attore.”

“E immagino tu non abbia neppure una ragazza, a questo punto.”

“No, infatti. E dato il livello delle ragazze dalle mie parti, non è poi una così grande perdita. E, da quel che ho notato da quando sono qui, non è che voi siate meglio. Ovviamente il voi non è riferito a te direttamente, è un voi generale.”

“Oh beh, mi hai confortata parecchio con l’ultima affermazione.”

È finita la sigaretta. La butto e già mi manca.

“Come mai ti sei trasferito qui? A quanto pare non sembra una tua libera scelta.”

Era meglio quando si vergognava di guardarmi.

“No infatti. Avrei preferito incatenarmi a casa mia piuttosto che venire qui”

“Ma non mi hai ancora detto il motivo”
”Forse perché non ti riguarda”

Minuto di silenzio. Si, si è offesa.

“Io giro qui. A domani, stronzo.”

“A domani. Posso considerare Stronzo un nomignolo affettuoso?”

“’fanculo”

No, temo di no.

Dio, come detesto le ragazze così scurrili.

Non riesco l’idea di doverle trascorrere almeno il primo quadrimestre accanto. Mi si gela il sangue.

Le persiane di casa sono chiuse. Ma mamma dove cazzo sta?

Apro il portone e salgo fino a casa.

Il tintinnio delle chiavi nella toppa fa muovere qualcosa all’interno dell’appartamento.

Apro delicatamente la porta.

I rumori provengono dalla camera di mia madre.

La domestica non può essere.

I ladri, lo escludo.

Non resta che mamma stessa.

Apro la porta.

E infatti.

 

*La citazione è da Arancia Meccanica, di Stanley Kubrick. Il protagonista Alex si rivolge ripetutamente ai suoi "superiori" con questo bizzarro appellativo.

** A chi indovina questa citazione dò un bacio in fronte, giuro.

 

5.

“Scusate signore, non intendevo disturbarvi. Vado a fare il pranzo”

Potrò sembrare vanitoso, ma non è da tutti restare impassibili davanti ad una scena simile.

A tutti i bambini è capitato, almeno una volta nella vita, di irrompere nella camera dei genitori in preda al terrore dei fantasmi e di coglierli nel momento fatidico.

A me no.

Quando avevo sette anni mamma mi prese da parte e mi disse “Cuore mio, la mamma si sente tanto sola senza il papà, così una sua amica viene a farle compagnia, così cucinano insieme, guardano la TV insieme, parlano…”

A me stava bene. In fondo la tipa mi comprava sempre una valanga di vestiti.

Un anno dopo la sua amica venne misteriosamente cacciata di casa.

Io le chiedevo il motivo, e mia madre si limitava a piangere.

Quando avevo tredici anni fu assunta in un ufficio. Il suo capo era un tipo a posto, un brav’uomo. Era spesso a cena a casa nostra.

Con la moglie, ovviamente.

Dopo sei mesi venne licenziata in tronco.

Non riuscii mai a capirne il motivo.

Credo che nel frattempo abbia avuto altre storie, a mia insaputa.

Come quella attuale, ad esempio.

“Maaaaammmaaaaa…spaghetti o fusilli?!?”

“Fusilli tesoro, il sugo è in frigo bisogna solo scaldarlo”

“Siamo in tre a pranzo vero?”

“Se non ti dispiace…”

Ovvio che no.

Mamma ha sempre avuto delle bellissime amanti.

Entrano in cucina.

Oh cazzo. Ma è la vicina esibizionista!

Non l’avevo riconosciuta, in quella posizione.

Dio, questo è davvero il non-plus-ultra.

“Beh credo che a questo punto è il momento delle presentazioni…Andrea…Alessia…”

“Sia mamma, sia…il congiuntivo…”

Mi dà la mano.

Reprimo una bruttissima immagine e gliela stringo.

Mi fa l’occhiolino.

Cristo, oltre ad essere esibizionista è anche ninfomane.

Certe volte mi chiedo come faccia a trovarle, mia madre.

Iniziamo a mangiare.

“Allora…da quant’è che vi frequentate?”

Si scambiano uno sguardo fugace, come due bambini che devono confessare di aver rubato delle caramelle.

“Beh, più o meno due settimane..” mi risponde Alessia.

“E quando avevate intenzione di dirmelo? Oppure contavate di farvi beccare con le mani in pasta?”

Cosa che di fatto è accaduta.

“Cuore di mamma non ti volevo dare questa notizia troppo in fretta…sai quanto ci tengo a queste cose...”

“Mamma non sono più un bambino, non c’è bisogno di trattarmi come un cretino. Le cose le capisco tranquillamente”

Odio essere considerato un ricoglionito.

“Scusa amore ma te per me resti sempre quel piccolo bambino che si sporcava col gelato…”

Alessia ride. Dio come mi infastidisce la sua presenza.

“Senti lascia stare l’argomento eh… non mi frega niente di quello che fai con le tue amichette, basta che metti il cartello fuori dalla porta con scritto “Lavori in corso” così non vi interrompo più mentre scopate, va bene?”

Continuiamo a mangiare.

Sento qualcosa di caldo poggiato su una gamba.

Qualcosa con cinque dita. Che si muove.

“E quindi…com’è andata oggi a scuola tesoro?”

La mano sale, dal ginocchio a metà coscia.

“Oh, d’incanto, mamma. Ho conosciuto un sacco di gente simpatica.”

Il contatto viene interrotto dal pacchetto di sigarette che ho in tasca.

“Come sono i professori?”

La mano sfiora la pelle appena al di sopra della cintola.

“Oh, anche loro sono simpaticissimi, cordiali e tutto. Andremo certamente d’accordo.”

La mano torna sopra ai jeans. Più verso il centro.

Alessia continua a mangiare tranquillamente, come se niente fosse.

Cerco il suo sguardo ma non ricambia.

Ovviamente mamma non sospetta nulla: da sopra il tavolo siamo semplicemente tre persone che pranzano in tutta tranquillità.

“E, Alessia, dov’è che vi sareste conosciute? A lavoro?”

La mano scivola ancora più giù.

Mi meraviglio della mia stessa impassibilità.

“Oh no, io non lavoro.”

…però ha una bella voce, in fondo.

“Ci siamo aiutate appena dopo il trasloco. Tu non c’eri, e le serviva qualcuno che la aiutasse a togliere i vestiti dagli scatoloni…”

E anche di dosso.

L’indice e il pollice si uniscono sul primo bottone.

“…io stavo casualmente in finestra…”

Quindi è sua abitudine fare gli stacchetti mattutini.

“…e visto che quando non conosci nessuno uno vale l’altro, mi ha chiesto di darle una mano”

In tutti i sensi.

“Abbiamo chiacchierato un po’ e abbiamo capito che forse c’era bisogno di…”

Secondo bottone partito.

“…di conoscerci più a fondo.”

In fondo al ventre, ad esempio. Forse dovrei fermarla, quella mano inizia a fare il suo effetto.

“Siamo andate a cena insieme, la sera in cui sei andato al cinema, ed è scattato qualcosa.”

I ganci del reggiseno, ad esempio.

“Tua mamma è una donna fantastica.”

Tripudio d’ipocrisia.

Si scambiano un’occhiata dolce e si stringono la mano.

L’altra resta dov’è.

“Capisco…beh, volete qualcos’altro da mangiare?”

Faccio per alzarmi.

“No tesoro tranquillo, ci penso io.”

Stronza. Proprio oggi devi fare l’amorevole padrona di casa?

Il terzo bottone salta da solo. Sai com’è, la pressione.

Squilla il telefono. Mia salvezza!

“Mamma vado a rispondere!!!”

Troppo tardi. È già entrata la segreteria telefonica.

È l’operatrice di uno di quegli insulsi call center.

Questa è proprio una giornata di merda.

Ho una mano completamente dentro ai pantaloni.

Mi sa che è ora di agire. Fanculo le buone maniere.

Le afferro la mano e la tiro via.

Lei continua a far finta di nulla.

Mi sembra di esser finito nel Rocky Horror Picture Show.

Mi richiudo la patta.

“Tesoro ma cosa stai facendo? Ma ti pare il caso? A tavola con ospiti, per giunta!”

Ditemi che non sta accadendo davvero a me.

“No è che…”

…alla tua amichetta piacciono anche gli uccelli.

“…mi si sono slacciati. Sai, sono un po’ difettosi.”

“Ma non sono quelli nuovi?”

“Si ma ricordi…li abbiamo comprati in saldo…”

Alessia continua a restare impassibile. Come fanno ad esistere persone del genere?

Finisco di corsa di pranzare. La mano sembra esser momentaneamente scomparsa.

Mi alzo e mi barrico in camera.

Vengono a bussare alla porta, per dirmi che Alessia torna a casa.

Ciao, ciao.

Meglio iniziare a far finta di studiare.

Dopo una puntatina in bagno, magari.

  
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