EPILOGO
Fortezza di Alamut
Marzo 1124
Kahled fece ritorno alla fortezza da cui lui e il fratello
erano partiti agli inizi della primavera, un ritorno per lui molto più doloroso
e sconfortante di quanto avesse mai potuto immaginarsi.
Incredibilmente,
nonostante fosse stato via per quasi due mesi, Hasan-i Sabbah era ancora vivo,
e appena fu informato del suo ritorno volle subito incontrarlo.
A dire la
verità anche Kahled aveva un gran bisogno di vederlo, perché se c’era una cosa
di cui era ormai sicuro, e sulla quale aveva riflettuto per tutto il viaggio di
ritorno, era che il maestro stava nascondendo qualcosa, ed ora più che mai era
determinato a squarciare una volta per tutte il velo di menzogne che aveva
celato come un sudario l’intera vicenda da che aveva avuto inizio.
Quando furono nuovamente faccia a
faccia, Kahled stentò a riconoscere il maestro: la malattia, che ancora non era
riuscita a strapparlo al mondo fisico, lo aveva tuttavia devastato in ogni modo
possibile, riducendolo a niente più che un mucchio di pelle ed ossa.
Il solo fatto di veder ritornare un
solo Assassino, e per giunta a mani vuote, fu però sufficiente ad accendere una
scintilla di risentimento nei suoi occhi, e rimasti soli, non senza il parere
contrario dei medici, che di tutta risposta furono cacciati in malo modo, i due
restarono a lungo immobili a guardarsi, Kahled ai piedi del letto e il maestro
quasi completamente sprofondato nel cuscino a cui era costretto ad appoggiarsi
per poter stare in piedi.
Kahled voleva delle risposte, e in
un modo o nell’altro le avrebbe ottenute: suo fratello e la sua più grande
amica avevano trovato la morte in quell’impresa ai limiti del reale, e ora
voleva sapere perché.
Hasan-i Sabbah si manteneva in vita
con la forza della disperazione, e ogni suo respiro, così profondo e stentato,
sembrava sempre in procinto di essere l’ultimo.
«Che cosa è successo?» domandò con
quella sua voce catarrosa, ma tanto profonda e pungente da far gelare il sangue
«Dov’è Altair?»
«La missione non è andata come
pensavamo. Il califfo sapeva del nostro arrivo, e ci ha teso una trappola. Sono
morti tutti. Il Rafiq, Mira, Altair e molti altri confratelli.»
«E
«Perduta. Jahal l’ha distrutta per
impedirci di prenderla».
D’improvviso la fiamma che per anni
aveva dimorato in quel corpo che ormai non era nulla più che l’ombra di sé stesso
parve tornare ad ardere con tutta la sua forza, e l’espressione del maestro
venne si caricò di una rabbia sconfinata.
«Maledetto!» esclamò con la voce
più forte e furiosa che le sue forze gli permettevano di sfoderare «Come osi
ripresentarti al mio cospetto dopo un simile fallimento!».
A differenza di quanto aveva fatto
ogni altra volta in cui era stato redarguito Kahled non indietreggiò, né mostrò
alcun segno di pentimento; al contrario, i suoi occhi erano pieni di sprezzante
aggressività, e a quel punto lo stesso Hasan riuscì a scorgere l’aura sinistra
che vi albergava dentro.
«Ora voglio che voi mi diciate una
cosa, e non me ne andrò di qui finché non mi avrete risposto.»
«Chi sei tu per parlarmi in questo
modo?»
«Sono colui che ha perso suo
fratello per portare a termine una missione ti cui voi ci avete deliberatamente
nascosto il vero scopo. Se davvero eravate a conoscenza dei suoi poteri diabolici,
e so che lo eravate, perché non ci avete ordinato di distruggerlo?
Perché avete preteso che ve lo
portassimo?».
Il maestro respirò profondamente un
paio di volte, visibilmente infuriato per una così palese mancanza di rispetto
nei suoi confronti, e nonostante tutto Kahled non pareva in alcun modo
intenzionato a tornare indietro.
«Guardami.» mormorò cercando di
sollevarsi un po’ di più sorreggendosi alle sue braccia ossute «Guarda cosa
sono diventato. Il corpo putrescente di un vecchio!
Ho dedicato tutta la mia vita alla
ricerca di un modo per sfuggire all’ineluttabile destino dell’uomo. E alla
fine, l’ho trovato.»
«Quindi è solo per questo?» domandò
Kahled a denti e pugni stretti
«Sarei potuto diventare un dio! Avrei
vissuto per l’eternità su questa terra, forte di un potere inimmaginabile. Sarei
stato l’artefice di una nuova rinascita per tutto il genere umano, che mi
avrebbe adorato e osannato fino alla fine dei tempi.
Ma ora… per causa tua… è tutto
perduto. Tu sei… un disonore… per tutti noi…».
No. Anche quello no.
Allora tutte le sue convinzioni
erano davvero solo un mucchio di inutili fandonie. Aveva versato sangue per i
principi del Credo, forte nella convinzione che la sua opera avrebbe spianato
la strada ad un domani migliore per le generazioni future.
E ora che cosa scopriva? Che la
persona a cui aveva giurato eterna obbedienza, colui che avrebbe dovuto essere
il più virtuoso degli uomini, aveva tradito i precetti da lui stesso istituiti?
Non solo. Aveva messo a repentaglio
la vita dei suoi allievi prediletti per appagare il suo desiderio, e alla
notizia della loro morte non aveva provato un briciolo di rimorso.
In che cos’altro gli restava da
credere?
Aveva pregato gli dèi prima di
incamminarsi in quell’ultima, dannata missione.
Ma quali dèi? Non c’era nessun dio,
e se c’era doveva essere guidato da una mentalità davvero perversa se aveva
permesso che si giungesse fino a quel punto.
«Ditemi, maestro, che cosa
intendete fare adesso?».
Hasan-i Sabbah, lottando contro il
suo stesso corpo, riuscì a raggiungere la spada del Maestro, infoderata e
appoggiata accanto al letto, e la strinse a sé con le poche forze che aveva.
«Ho creato gli Assassini per poter
cambiare il corso della storia. Ma se non posso essere io a guidarli, allora
non hanno alcun motivo per continuare ad esistere. E così, alla fine, il nuovo
mondo che avevo tanto sognato verrà seppellito insieme a me.»
Kahled si sentì morire dentro,
completamente svuotato di tutto ciò che aveva di più prezioso: ora che anche
quel tenue bagliore si era definitivamente spento, cos’altro gli restava.
No! Assolutamente no!
Non poteva accettare l’idea che
decine di Assassini avessero combattuto e fossero morti per niente! L’Ordine
non poteva morire! Quell’uomo, quell’essere privo di morale lo aveva creato per
appagare unicamente il proprio desiderio di potere, mascherando dietro a
precetti e sacri dettami i suoi reali intenti, ma non era assolutamente detto
che le cose non potessero cambiare!
Non aveva alcuna importanza se il
maestro in persona aveva mentito. Gli Assassini esistevano per portare la pace
nel mondo, e nessuno mai lo avrebbe smosso da questa convinzione.
In quella, Hasan-i Sabbah tossì leggermente,
e sembravano davvero gli ultimi gemiti di un corpo ormai giusto al suo estremo
traguardo.
«La mia ora si avvicina
inesorabilmente.
Alla fine, nonostante i miei sforzi,
non sono riuscito ad avere quel potere. Il potere di cambiare il mondo.
Io, che dovevo essere un dio, alla
fine dovrò morire come il più misero dei pezzenti».
Il maestro era troppo infuriato e
spaventato dall’idea della morte per notare l’aura oscura che si era formata
attorno a quello che un tempo era stato uno dei suoi allievi prediletti, il
quale, avvicinatosi al bordo del letto, si mise in ginocchio. Hasan alzò gli
occhi, e i due si guardarono.
«Il potere di cambiare il mondo.»
ripeté Kahled, poi, veloce come il fulmine, colpì il suo vecchio maestro al
centro del petto.
Un colpo segreto, proprio solo degli
assassini più esperti, impossibile da riconoscere: all’apparenza poco più di
una carezza, ma capace in realtà di provocare uno shock al sistema nervoso, che
stimolato al massimo spingeva i muscoli a contrarsi allo spasimo, compresi
quelli di cuore e polmoni, fino a che la vittima moriva letteralmente soffocata
dal suo stesso corpo nel giro di pochi secondi.
Il corpo del maestro divenne
istantaneamente di pietra: cercò di gridare, ma la gola gli si serrò quasi
subito, gli occhi si colorarono di giallo e le labbra presero a diventare blu. Kahled
gli avvicinò, portandogli la bocca all’orecchio.
«Quel potere non sarà mai tuo».
Hasan-i Sabbah ebbe appena il tempo
di vedere il volto marmoreo e giudicatore del suo allievo, e subito dopo l’uomo
che aveva creato gli Assassini per riscattare i torti di tutta una vita e poter
diventare il nuovo dio del genere umano chiuse gli occhi sul mondo per sempre,
portando con sé il proprio bagaglio di oscuri segreti, segreti che nessuno
avrebbe mai più dovuto conoscere.
Qualche minuto dopo le guardie e
gli attendenti che attendevano all’esterno videro aprirsi la porta, e dalla
stanza uscì, camminando lentamente e a sguardo basso, Kahled; nella mano destra
stringeva
«Il nostro nobile maestro ha
raggiunto la sua dimora eterna».
Masyaf
Giugno 1124
Tutto ciò in cui credeva era scomparso.
I suoi
ideali, i suoi principi, lo stesso Credo: tutte favole.
Era stato
responsabile della morte dei suoi cari, aveva ucciso un maestro impostore, e
aveva visto con i suoi stessi occhi fin dove poteva condurre la brama di potere
degli uomini: aveva visto l’abisso senza fine.
Anche lui
ci era caduto, ne era consapevole, e tentare di risalire ormai era impossibile.
La sola
cosa che poteva fare era andare avanti, e impegnarsi con tutte le sue forze a
far sì che il mondo nuovo e giusto da lui tanto sognato potesse un giorno
vedere la luce.
Nessuno avrebbe
mai dovuto sapere ciò che sapeva lui, nessuno sarebbe mai dovuto venire a
conoscenza dei reali scopi che erano stati all’origine della nascita degli
Assassini.
Da quel
momento in poi, egli sarebbe stato il depositario di segreti inconfessabili,
che alla fine, in un modo o nell’altro, avrebbe portato con sé nella tomba,
proprio come il suo maestro. Quello stesso maestro di cui ora, finalmente,
stava per prendere il posto.
Non sarebbe
stato facile portare la pace in un mondo tanto corrotto e malvagio, popolato da
uomini che provavano un insano piacere nel massacrarsi l’un l’altro e guardato
dall’alto da dèi vigliacchi che da tempo lo avevano abbandonato, lasciando i
suoi abitanti alla mercé dei loro più bassi istinti.
Allo stesso
modo, non sarebbe stato facile guidare l’Ordine fuori dal fango in cui il suo
primo maestro l’aveva condotto, ma riuscire in questa impresa sarebbe stata per
lui una grande prova, al fine di dimostrare a tutti, ma soprattutto a sé stesso,
che aveva davvero la forza e il potere necessari a cambiare il mondo.
Provava
un gran disgusto per la razza umana, per quegli esseri meschini e malvagi che
pensavano solo a sé stessi, e che per nulla al mondo avrebbero accettato un
concetto tanto sublime e puro come poteva essere la pace.
Ma anche
lui era un uomo, dopotutto, e in quanto uomo non poteva fare a meno di
riconoscere che la sua specie possedeva anche pregi e virtù assolutamente non
comuni, e che se un domani la civiltà del futuro avesse potuto contare
unicamente su questi privilegi, eliminando per sempre i propri difetti, allora gli
esseri umani sarebbero divenuti un faro tanto splendente e radioso da
illuminare con la loro luce l’intero universo.
“Non
tutto è perduto.” pensò mentre, nella solitudine nella sua stanza, terminava la
propria vestizione “Altri tesori giacciono sepolti nelle profondità di questo
mondo. Io lo so. L’ho visto. Basterà portare pazienza, ma alla fine,
inevitabilmente, ne comparirà un altro”.
Un’ultima
occasione. Ecco tutto ciò di cui aveva bisogno. Un’altra possibilità per
realizzare il suo disegno. Tale disegno andava contro i precetti del Credo, ma
ormai era maturato abbastanza da rendersi conto che il Credo, così come era
concepito, non avrebbe mai favorito la causa della pace, e questo perché fondamentalmente
esso consentiva di scegliere, di decidere del proprio destino.
Solo accettando
un nuovo destino, uno che non li avesse messi l’uno contro l’altro, gli uomini
si sarebbero potuti salvare, e ora stava a lui realizzare questo nuovo,
grandioso proposito.
C’era un’altra
cosa di cui era consapevole.
Così come
Hasan-i Sabbah era stato ucciso per aver tradito il Credo, era certo che, in un
modo o nell’altro, la stessa sorte sarebbe toccata a lui.
Ma questo
non gli importava, e neppure lo faceva temere eccessivamente per il piano che
intendeva realizzare: lui, che si reputava puro e al di sopra della tentazione,
aveva visto con i suoi occhi il potere dei manufatti, divenendone consapevolmente
vittima, e dentro di sé sapeva più di qualsiasi altra cosa che al mondo non vi
era né mai vi sarebbe stato un essere umano capace di resistervi.
Qualcuno
forse lo avrebbe ucciso, ma saggiando il potere dei manufatti ne sarebbe stato
a sua volta tentato, garantendo la prosecuzione del suo sogno, e in quel caso
la morte non avrebbe potuto di certo fargli paura, perché sarebbe morto con la
sicurezza che il mondo da lui sognato un giorno o l’altro avrebbe visto la
luce.
Terminata
la propria vestizione uscì all’esterno, sollevando il largo cappuccio della
veste nera subito prima di varcare la soglia.
Il cortile
della fortezza era pieno in ogni suo anfratto, e per un attimo tornò con la
mente a quel giorno, il giorno in cui tutto era cominciato, il giorno in cui
era diventato parte di quella grande famiglia, l’unica forse che avesse mai
avuto.
Ebbe
quasi l’impressione di scorgere, tra la folla, l’uomo in nero, che gli
rivolgeva quel suo malvagio sorriso: alla fine, nonostante avesse cercato di
lottare con tutte le sue forze, quella profezia si era avverata. Era diventato
un mostro.
Sguainata
«Lode a
te, Al Mualim».
Cinquanta Anni Dopo
Autunno 1174
Quando non era immerso nella lettura dei suoi libri, Al
Mualim era solito concedersi lunghe passeggiate tra la gente di Masyaf.
I suoi
dignitari e le persone a lui più vicine gli avevano detto più volte di
viaggiare con una scorta, dal momento che persino nei luoghi all’apparenza più
sicuri e vicini a sé potevano celarsi pericoli oscuri, soprattutto alla luce di
tutto ciò che gli Assassini avevano fatto durante le crociate, e che li aveva
resi degli obiettivi sensibili agli occhi di molti potenti, ma il maestro si
riteneva ancora comunque un discreto guerriero, e poi era sicuro del fatto che
il suo momento non era ancora arrivato.
Quella mattina,
come al solito, stava passeggiando nei pressi del mercato, rivolgendo cordiali
saluti a quanti, vedendolo, chinavano rispettosamente il capo, quando di colpo
la sua attenzione fu attratta da un gran trambusto venutosi a creare davanti ad
alcune bancarelle leggermente discostante, a poca distanza dal portone d’ingresso.
«Dannato
moccioso!» si sentiva gridare «Ti faccio passare io la voglia di rubare!»
Avvicinatosi,
vide tre guardie intente a malmenare un ragazzino riempiendolo di calci;
sicuramente un ladruncolo, uno dei tanti che, nonostante la terribile
prospettiva del castigo, continuavano ad imperversare in ogni dove, persino a
Masyaf, dove qualsiasi atto criminoso, anche il più piccolo, poteva arrivare a
costare la vita.
«Che
succede qui?».
Appena lo
videro, le tre guardie cessarono subito il pestaggio, mettendosi sull’attenti.
«Maestro!
Perdonateci se avete dovuto assistere a questo spettacolo increscioso».
Al Mualim
rivolse poi le sue attenzioni alla vittima: doveva avere meno di dieci anni,
tanto appariva gracile e minuto sotto quei miseri stracci che indossava, e i
segni delle terribili percosse che aveva appena ricevuto erano più che
evidenti.
«Che cosa
ha fatto?»
«Lo
abbiamo sorpreso a rubare per la seconda volta in pochi giorni, signore. Abbiamo
pensato che una piccola lezione sarebbe servita a togliergli per sempre questo
vizio.»
«E questa
me la chiamate una piccola lezione? Ancora un po’ e lo avreste ucciso a forza
di botte. Io non perdono i ladri, ma non perdono neppure chi abusa della
propria forza, sia chiaro.»
«Sì,
maestro. Perdonateci.»
«Ora
fatemelo vedere».
Due delle
guardie sollevarono di peso il ragazzino, che malgrado tutte le botte che aveva
preso sembrava ancora in grado di reggersi in piedi sulle sue gambe, ma appena
vide comparire il suo volto Al Mualim sentì un tremendo colpo al cuore, e per
poco non svenne.
Quel volto!
Quegli occhi!
Quello sguardo
fiero e sprezzante, quell’espressione audace e insieme composta, vessillo di
uno spirito che mai e poi mai, neppure dinnanzi alla prospettiva della morte,
si sarebbe lasciato domare.
E poi la
somiglianza.
Per un
attimo gli parve di fare un salto indietro nel tempo, a decine e decine di anni
prima, ai tempi del suo addestramento. Anche i maestri più agguerriti e
violenti erano rimasti atterriti davanti a quegli occhi, a quello sguardo di
sfida, lo stesso sguardo che gli veniva rivolto ogni qualvolta ventilava l’idea
di arrendersi, e che in questo modo gli aveva permesso di diventare un
Assassino.
Era come
averlo di fronte.
Al
Mualim, dopo tutto ciò che aveva visto, non aveva più avuto voglia di credere
nel divino, nell’esistenza di un qualcosa di trascendente che regolava la vita
degli uomini, ma in quel momento gli venne quasi da sperare che davvero il
ragazzino di fronte a lui fosse davvero la seconda nascita della persona a lui
più cara, e che più di ogni altro gli aveva cambiato la vita.
«Maestro.»
disse una delle guardie, richiamandolo così dai propri pensieri «Lo facciamo
giustiziare?»
«No, non
sarà necessario. Me ne occuperò io. Potete andare.»
«Che
cosa!? Ma, maestro…»
«Questo è
un ordine.» disse Al Mualim col tono di chi non ammettere repliche
«S… sì
maestro.»
«E voi
tornate al lavoro.» disse poi rivolto alla folla.
Come tutti
si furono allontanati il maestro comprò una mela da una bancarella, insistendo
per pagarla, e tornato dal ragazzino, che lo attendeva seduto su una panca,
gliela porse. Quello, tuttavia, parve esitare, e lo guardò con i suoi occhi
fieri ed impavidi.
«Immagino
che avrai fame. Mangiala. È buona».
Alla fine
il ragazzino, vinto dai brontolii di stomaco, agguantò la mela e prese a
divorarla, e intanto Al Mualim non staccava gli occhi da lui, perso com’era a
rievocare tanti ricordi, i soli forse di tutta la sua esistenza legati a
momenti felici.
«Come ti
chiami?» domandò quando il bambino ebbe finito di mangiare, guadagnandosi una
nuova occhiata «Ce l’hai un nome?».
Quello restò
un attimo interdetto, poi fece cenno di no.
«In
questo caso, ce l’ho io un nome per te. Vuoi sentirlo?».
Questa
volta la risposta fu un sì, accompagnata anche da un impercettibile movimento
delle labbra.
«Molto
bene. Allora, da ora in poi, il tuo nome sarà… Altair».
Nota dell’Autore
Eccomi qua!
E così, siamo giunti
alla fine di questa breve avventura.
Mi sono divertito
molto a scrivere questa fan fiction, ma visto che al momento sono impegnato su
più fronti non sono sicuro di poterne produrre altre in futuro.
Anzi, a dirla tutta,
per poter trovare una nuova ispirazione vorrei aspettare di giocare ad Assassin’s
Creed II, e per poter fare questo dovrò inevitabilmente aspettare il natale.
Ringrazio quanti
abbiano letto e commentato questa storia, e prometto di farmi risentire il
prima possibile
A presto!^_^
Carlos Olivera