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Autore: PattyOnTheRollercoaster    04/12/2009    2 recensioni
Abbiamo lasciato Ellen con un'importante decisione da prendere. Che cos'avrà scelto? Seguire l'amato Murtagh e tradire Eragon, oppure abbandonare il sentimento, lasciarselo alle spalle e continuare a combattere per la libertà di Alagaesia?
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Eragon, Murtagh, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Passato Presente & Futuro'
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Capitolo sedici: Il tè di mezzanotte

La nave era molto più lenta di quanto Ellen si era aspettata, ma era il metodo più sicuro per raggiungere le isole, anche perché se avessero proceduto via terra sarebbero dovuti passare affianco alla capitale e sarebbe stato troppo rischioso. Per sicurezza Oromis aveva deciso di evitare il Gorgo, che si trovava fra le isole a sud di Alagaesia. Era realmente terrorizzato che la missione non andasse a buon fine e rischiare di cadere in mare non era certo quel che preferiva.
La vita sulla nave era alquanto noiosa per Eragon ed Ellen. Ogni mattina Dayo li svegliava presto, loro cucinavano la colazione e poi si dedicavano a pulire la nave per il resto della giornata, e ad imparare come navigare. Loro si occupavano dei pasti e dei lavori più duri, o almeno così gli sembrava. Ogni notte andavano a letto sfiniti e non potevano riposare prima delle undici a causa di tutto il lavoro che c’era da fare.
I due avevano imparato a non lamentarsi, da quando Eragon aveva provato a far notare a Dayo quanto lui ed Ellen lavorassero duramente mentre Oromis se ne stava tutto il giorno per i fatti suoi.
Quando successe Eragon stava mettendo a posto la stiva, e Dayo era passata a controllare come andava il suo lavoro. “Non credi che potrei riposarmi?” aveva chiesto.
“Ma come? Non hai ancora finito” aveva detto lei.
“Ma sono stanco. Non potrebbe farlo Oromis? O anche tu già che sei qui”.
“Io dirigo la nave Eragon, e Oromis ha da fare lavori ben più importanti di questo”. Detto quello si era voltata e aveva fatto per andarsene.
Eragon, furioso, l’aveva fermata. “Hei aspetta un attimo! Non è giusto! Perché io e Ellen dobbiamo sgobbare tutto il giorno e voi no?” aveva chiesto rabbiosamente. Poi, per rincarare la dose, aveva aggiunto: “Sono un Cavaliere dei draghi!”.
Dayo lo aveva guardato per qualche secondo, sbigottita, e in un primo momento Eragon aveva pensato che il suo discorso aveva fatto effetto. Ma all’improvviso la donna scoppiò in una fragorosa risata. “Cavaliere, eh?” aveva chiesto una volta finito di ridere. “B’è lascia che ti dica una cosa Cavaliere dei draghi. Il servizio che ti rendo portandoti su questa nave è essenziale per Alagaesia, credi che non lo sappia? Quindi dovresti ringraziarmi al posto di lamentarti come un moccioso! Io devo organizzare il viaggio, io devo alzarmi ogni mattina alle quattro per controllare la rotta, io devo manovrare il timone e affrontare le tempeste, devo stare attenta alle secche, alle navi dell’Impero, a razionare il cibo. E io non verrò pagata per il mio servizio! Quindi almeno la mia nave dovrà trarne beneficio, non credi Cavaliere?”. Aveva guardato Eragon con così tanta severità che il ragazzo non aveva avuto il coraggio di protestare. “Adesso finisci” disse seccamente, indicando con gesto secco la stanza.
Eragon, mogio mogio, era tornato al suo lavoro senza dire una parola. Aveva raccontato ad Ellen ogni cosa, ed era stato solo con un grande sforzo di volontà che lei non si era messa a ridere. Aveva fatto quello che ogni sorellastra avrebbe fatto, e aveva detto ad Eragon che Dayo si era comportata in modo vergognoso.
Circa due settimane dopo la partenza Ellen stava asciugando i piatti che avevano usato per la cena, mentre Eragon era stato inviato a fare chissà quale altro lavoro. Una volta raccolti gli avanzi di cibo Ellen li mise tutti dentro un contenitore e salì sopracoperta per gettarli a mare. Si stava recando sulla prua della nave, quando sentì un fioco lamento. Si voltò a cercare il padrone di quel suono e scorse una figura rannicchiata contro l’albero maestro, che singhiozzava silenziosamente.
Ellen si avvicinò e si chinò al suo fianco, posandogli una mano sulla spalla. “Oromis” sussurrò preoccupata.
Il vecchio elfo alzò lo sguardo verso di lei. I suoi occhi erano rossi e disperati, il suo viso leggermente stupito. Lacrime calde gli scivolavano dagli occhi e rotolavano sulle sue guancie lisce e perfette. Non aveva l’aria di uno che aveva pianto, ma era forse peggio vederlo in quello stato, perché il suo viso esprimeva solo disperazione.
Ellen non sapeva cosa fare, così posò la ciotola con gli avanzi e si sedette al suo fianco, abbracciandolo. Oromis fu felice del suo gesto, era da tanto che nessuno gli dimostrava affetto in maniera così palese. Non poteva dire di conoscere Ellen benissimo, ma era assolutamente certo che fosse una splendida persona e una donna coraggiosa.
Ellen sciolse l’abbraccio e guardò Oromis tristemente. L’elfo, che si era asciugato il viso, cominciò a giocherellare con un filo della sua camicia. Poco dopo parlò, e la sua voce uscì roca e forzata: “Da quando …” deglutì, “Da quando Gleadr è morto non so più cosa fare. Sono rimasto … solo io, e …” trasse un grosso respiro e alzò lo sguardo verso l’alto, prendendo un lungo respiro, come a purificare l’anima. Come se volesse lavare via la sua tristezza.
“Non devi parlarne per forza Oromis” lo rassicurò Ellen poggiandogli una mano sulla spalla.
“No, è da settimane che ne voglio parlare!” disse l’elfo guardandola con gli occhi spalancati. “Ma … non so con chi. Glaedr era l’unico vero amico che avevo. Con lui ho passato anni interi, dalla giovinezza fino ad ora. Non … non so se riesci a capire il legame che ci univa, ma non potrò mai provare lo stesso sentimento che provavo per lui, mai più nella vita, per nessuno. Era … eravamo uno solo. Mi sento … spezzato, mi sento diviso in due, lacerato” balbettò guardando il vuoto.
Ellen non sapeva cosa dire. Era assolutamente vero: lei non capiva che cosa provava Oromis, non aveva mai avuto con nessuno un legame così forte come era fra drago e Cavaliere. Però lei era innamorata di Murtagh, e poteva capire come si sentisse solo Oromis, era la stessa sensazione che aveva provato quando pensava che Murtagh fosse morto.
“Tu non sei rimasto solo Oromis” disse Ellen cercando di guardarlo in viso. “Lo so che nessuno potrà mai prendere il posto di Glaedr, ma non devi pensare nemmeno per un minuto di essere rimasto solo. Ci sono tantissime persone che ti amano, ci sono Eragon e Saphira, Arya, Islanzadi, Tegrish e Gylda. Ci sono io. Io ti voglio bene” disse con una crescente tristezza nella voce. Non riusciva a vedere Oromis in quello stato.
L’elfo si voltò verso di lei. Tremante, allungò una mano e la posò sulla guancia di Ellen. “Grazie” sussurrò, guardandola negli occhi.
“Ti prometto che, ogni volta che vorrai, sarò qui con te” disse Ellen con un filo di voce, stringendogli la mano sulla sua guancia.
Gli occhi di Oromis erano ancora rossi, i capelli spettinati, le mani e le guancie fredde per via dell’aria salmastra che si abbatteva continuamente su di loro. Da un lato Ellen pensò che fosse una delle persone più belle che avesse mai conosciuto, forte e indipendente. Ma vederlo così le fece male al cuore. Era debole e indifeso, lo sguardo sperduto e l’anima vuota.
Si, si sentiva proprio così. Si sentiva vuoto. Oromis non era mai stato abituato ad essere solo. Aveva conosciuto Glaedr quando aveva appena vent’anni. Pochi, per un’elfo. Per tutta la vita non aveva fatto altro che condividere. Condividere con Glaedr le sue emozioni, sensazioni. Paura, ansia, felicità, odio, amore. Tutto. Aveva condiviso la vita stessa con Glaedr, e adesso che non era più al suo fianco sentiva un dolore costante al petto. Come qualcosa che stringeva il suo cuore, e rischiava di farlo implodere. Ogni volta che non era impegnato a fare qualcosa il suo pensiero tornava a Glaedr, e a quella voragine che fino a poco fa era colma, colma di un amico. Colma di Gleadr. E ogni volta che ci pensava la gola gli si seccava, la bocca diveniva pastosa, e gli occhi scottavano.
Ma quella volta fu diverso. Quella volta c’era Ellen lì con lui.
“Ti va di venire con me?” chiese Ellen.
Oromis, comandato dalla solitudine e dalla disperazione, annuì. Tenendosi per mano andarono fino alle cucine, dove Ellen preparò un tè caldo e lo porse all’elfo. Oromis lo bevve in pochi minuti, tenendo le mani strette attorno alla tazza di ceramica. Quando ebbe finito Ellen lo portò nella sua stanza. Fece sdraiare Oromis sul suo piccolo letto.
“Non voglio dormire qui. Meglio che me ne vada” disse l’elfo tentando di alzarsi.
“No, resta. Non preoccuparti. Io non ho sonno” disse Ellen con un leggero sorriso. Coprì Oromis con delle coperte di lana grossa, gli diede un bacio sulla guancia e si sedette affianco al letto.
Oromis era stanco, ed era talmente triste da non riuscire a ragionare. Ma quando si addormentò l’ultimo pensiero che gli balenò nella testa fu per Ellen.
Per lei e per Eragon. E per Tegrish. Per Gylda e Saphira. Per Arya. Nasuada.
E si chiese come aveva fatto ad essere così cieco.
Lui non era solo.

“Oromis!”.
L’elfo si voltò, di nuovo con quella sua espressione gentile e disponibile dipinta in volto. “Si?” chiese con voce vellutata.
“Ho bisogno di un favore. Mi aiuteresti a tendere le corde? Ma non dirlo a Dayo che te l’ho chiesto io” disse Eragon guardandosi nervosamente attorno.
La risata di Oromis arrivò cristallina e lui sorrise. “Ma certo, non dirò una parola”. L’elfo seguì Eragon fino a un mucchio di corde che erano state gettate a terra. Il lavoro che quel giorno era stato affidato a Ellen ed Eragon era di disfarle e poi rifarle più strette, togliendo le parti sfilacciate che potevano rompersi. Di spalle, china su una corda, c’era già Ellen; seduta a terra a gambe incrociate e ingobbita.
Tutti e tre si sedettero attorno alle corde e iniziarono il lungo, noioso lavoro. Poco dopo arrivò Dayo, che si avvicinò ad Eragon ed esaminò la corda che stava lavorando. “Va molto bene” commentò. “Alzati Eragon, devi venire ad aiutarmi al timone”.
Ellen non voleva restare sola con Oromis. Quella mattina, quando si era svegliato, gli aveva preparato una tazza di tè e l’aveva lasciata in bella vista sul comodino, poi era uscita, pensando che l’elfo volesse un po’ di intimità. Ma non riusciva più a guardarlo negli occhi. Gli sembrava così strano che Oromis, appena poche ore prima, fosse in lacrime. Oromis! Sapeva che era sciocco da parte sua pensare queste cose. Oromis aveva sentimenti come tutti quanti, e poteva essere triste o felice. Però non riusciva a concepire il fatto che fosse così debole in quel momento. Si era abituata a pensare a lui come una roccia, come una fortezza inespugnabile. Ma ora sapeva che quella fortezza poteva essere abbattuta. E proprio dagli amici più cari.
Per alcuni minuti Oromis ed Ellen restarono in silenzio, poi l’elfo, sospirando, posò la corda a terra e guardò la ragazza. “Ellen” la chiamò.
“Si?” chiese lei con il tono più leggero che riuscì a trovare. Nonostante tutto il suo tono suonò stridulo e innaturale.
“Mi dispiace per ieri, non volevo spaventarti”.
“Oromis!” disse Ellen dispiaciuta. “Non mi hai spaventata, non ti devi preoccupare. Te l’ho detto, puoi venire a parlare con me di tutto quello che vuoi quando vuoi. Sono certa che anche gli altri vorranno ascoltarti, se solo glielo chiederai” disse calcando con tono severo l’ultima frase.
Oromis sorrise e riprese la sua corda. “Grazie”.
“E per cosa?” chiese Ellen con finto tono noncurante. “Ho fatto ciò che chiunque avrebbe fatto … per te”.
“Dicevo per il tè di stamattina” disse Oromis con un sorriso dipinto in volto e l’animo un po’ più leggero.

Dopo altre due settimane di viaggio erano arrivati in vista delle isole del nord. Vroengard era la più lontana di tutte e così ci volle un’altra settimana per arrivarci. Dayo si fermò poco lontano dalla costa e preparò la scialuppa per far scendere Oromis, Eragon ed Ellen sulla terraferma, mentre lei sarebbe rimasta lì a badare alla nave.
Prima di scendere Oromis prese Ellen da parte le chiese: “Hai pensato al vero nome di Eragon?”.
Ellen sorrise e disse: “Certo. E’ da quando siamo partiti che ci penso. Non ne sono ancora sicura ma credo di averlo trovato”.
“D’accordo. In ogni caso non me lo dire, provalo con Eragon”.
I tre salirono sulla scialuppa e si allontanarono lentamente dalla nave. Nel frattempo Eragon ebbe modo di pensare. Quale mai poteva essere il suo vero nome? In un primo momento aveva pensato di trovarlo da solo, senza l’aiuto di Ellen, ma si era reso presto conto che era impossibile: lui aveva una visione di sé stesso diversa dagli altri, per il semplice fatto che lui era lui, e non poteva analizzare con parzialità sé stesso.
Dal canto suo Ellen aveva passato molto tempo a pensare a quale potesse essere il vero nome di Eragon. Durante le settimane di viaggio si era spesso scoperta a fissare il ragazzo ad occhi socchiusi, come se il guardarlo intensamente le avesse potuto garantire la riuscita della sua missione. Alla fine cercò di ricordare Eragon dal loro primo incontro.
Era passato più di un anno e lui era cambiato molto. Da ragazzino inesperto e avventato, era diventato un uomo. Era generoso, coraggioso ma non imprudente, cercava di superare i pregiudizi, voleva essere ad esempio per molti e non sempre pensava di riuscire. Ellen aveva provato di nascosto diversi nomi, ma sembrava che ognuno di quelli avesse qualcosa che non andava, e in fondo non convincevano neppure lei.
Ma infine aveva creduto di averlo trovato. Si, era di sicuro quello il vero nome di Eragon. Il nome che descriveva tutte le sue imperfezioni e la sua volontà d’animo al meglio. Per molti versi Eragon era come un bambino, era cocciuto e a volte si arrabbiava per un non nulla, ma la sua anima era pura e irradiava una luce che Ellen non aveva mai visto in nessun’altro.
Un luce accecante.

“Non credo che dovremmo stare qui” disse Ellen nervosamente torcendosi le mani. “E se ci fosse qualcuno dentro? Non credete che Galbatorix possa aver messo delle guardie a questo posto se è davvero quel che pensi che sia?” chiese poi rivolta ad Oromis.
“Hai paura?” chiese Eragon con un mezzo sorriso.
“Certo che no!” esclamò lei stizzita fermando il passo. Poi, velocemente, raggiunse gli altri, che per i suoi gusti si erano allontanati un po’ troppo.
Si erano inoltrati nell’isola di Vroengard a piedi, e procedevano speditamente verso Dorù Araeba, la città ormai distrutta che aveva ospitato per molte generazioni i Cavalieri di Drago. Il territorio era brullo e arido, montagnoso, ma Eragon non riusciva a ritrovarvi la sicurezza che sentiva sempre quando stava sulla Grande Dorsale.
Verso sera si fermarono a mangiare qualcosa e a riposare. Oromis li svegliò molto presto la mattina dopo, e li condusse ancora per i terreni solitari dell’isola. Il giorno dopo, verso sera, giunsero alla città.
Oromis la riconobbe da lontano, vide una massa informe di rovine e un’alta torre che svettava verso il cielo. Indicò l’edificio in lontananza, forse l’unico che era rimasto ancora intatto, e disse: “Quella è la Rocca di Kuthian, Eragon. Per quanto riguarda la Volta delle Anime non so davvero a che cosa si riferisse Solembum quando l’ha nominata”.
“Per cominciare potremmo andare fino alla Rocca” propose sarcasticamente Ellen. Quel luogo non le piaceva. Non le piacevano le montagne in generale, si sentiva come rinchiusa da esse. Per di più era così strano quel luogo deserto. Si, certo, probabilmente era il luogo perfetto per Galbatorix, per nascondere i suoi eldunari, o almeno così la pensava Oromis. Secondo lui in quell’isola dimenticata da tutti il Re aveva nascosto le pietre, e probabilmente la Volta delle Anime era proprio il luogo dove si trovavano tutti gli eldunari.
Ci misero un giorno intero per arrivare fino alla Rocca. Era un edificio alto e slanciato, che finiva con una piattaforma circolare. Aveva un portone in legno massiccio alto almeno cinquanta piedi e rafforzato con fasce di ferro che lo attraversavano orizzontalmente. Era aperto e impolverato, e si notava molto bene che non era curato da tempo. I tre passarono attraverso la stretta apertura della porta, per finire in un grande salone, quasi del tutto spoglio. A lato del grande ingresso c’erano due scalinate che portavano al piano superiore e, sotto di esse, un’altra porta che dava ad un largo corridoio.
“Ma questa è una casa. Come faccio a trovare in una casa un luogo sacro?” chiese Eragon ad alta voce.
“Chi ti assicura che è un luogo sacro?” chiese Ellen.
“Sesto senso” disse Eragon compiaciuto.
“Possiamo dividerci” propose Oromis. “Teniamoci in contatto con la mente e dividiamoci. Io controllerò i primi piani, Eragon quelli in alto e Ellen … cerca dei piani inferiori, delle segrete, sono sicuro che ci saranno”.
Ellen mugugnò qualcosa d’incomprensibile, ma si avviò senza esitazioni. Gli altri due si guardarono e presero ognuno una strada diversa. Eragon cominciò a salire di fretta la scale che portavano ai piani superiori. Entrò in molte stanza lussuose, alcune enormi ma spoglie di ogni cosa, però non sembrava che nessuno di quei luoghi potesse essere un nascondiglio per gli eldunari. Man mano che andava più in alto Eragon sentiva sempre di più che avevano fatto la cosa sbagliata. Forse dovevano restare assieme agli altri per formare un nuovo esercito, forse cercare di forzare una profezia era troppo, anche se per una buona causa. Forse avrebbe dovuto attendere che la profezia si avverasse da sola, che gli capitasse per caso di scoprire che cos’era la volta delle anime.
Alla fine Eragon arrivò in cima alla torre. Non sapeva più che cosa fare, né dove andare. Oromis non ho trovato nulla, che faccio?, chiese leggermente deluso.
  Sei andato sulla piattaforma?
  No. Non so nemmeno come arrivarci.
  Trova il modo, disse severamente il maestro.
  Va bene, acconsentì Eragon un po’ spazientito.
Girellò ancora lungo le stanze e, alla fine, trovò un’angusta scala a chiocciola. Cominciò ad arrampicarvisi, e in poco tempo arrivò in cima. Il suo viso spuntò sull’enorme piattaforma circolare. Era coperta da una specie di cupola fatta di sottili fili di ferro che intrecciati formavano fiori e foglie, talmente delicata che da terra non si vedeva. Eragon cominciò ad osservarla, il naso levato in alto.
Ebbe un lampo di genio, e per un momento si chiese se non fosse quella la famosa Volta delle Anime. In fondo, la forma della volta c’era, l’unica cosa che mancava erano le anime. Tanto vale provare, si disse. Ellen, mi potresti dire il mio vero nome? Percepì Oromis allontanarsi dai loro pensieri, come se non volesse ascoltare, e sentì l’entusiasmo di Ellen.
  Quindi l’hai trovata?
  Non lo so … forse. Allora?
Ellen gli comunicò il nome. Inizialmente Eragon pensò ad uno scherzo, ma poi comprese che la ragazza diceva sul serio. Rimase sbigottito quando lei esercitò il suo potere su di lui, usando quello che era il suo verso nome. La sua essenza, il suo essere. In quel momento si chiese se Saphira sentiva che avevano scoperto il suo verso nome. Pensava di si, anzi gli piaceva pensare che fosse così. Ma Eragon ebbe solo un momento per stupirsi del suo vero nome, per quanto improbabile fosse, e lo pronunciò piano, rivolto quasi più a sé stesso che alla Rocca di Kuthian.
Fu allora che quel luogo percepì la magia, e vide il colore della sua anima; lo riconobbe come Cavaliere dei Draghi, primo della nuova dinastia di quegli eroi leggendari. E allora, come un’ostrica che si apre per mostrare la sua perla, la Rocca si aprì per lui, mostrandogli l’entrata della Volta delle Anime.





Capitolo triste per il povero Oromis T.T Alla fine della battaglia non avevo avuto l'opportunità di spiegare meglio il suo stato d'animo, e quando ho cominciato a scrivere del viaggio in mare mi è venuto subito in mente che sarebbe stato allora che avrei dedicato una parte tutta a lui! Oromis è uno dei miei personaggi preferiti, mi è dispiaciuto persino a me che fosse triste! T.T Ma avevo anche già deciso che qualcuno sarebbe morto durante la battaglia, perchè non volevo essere troppo... non saprei; ottimista, forse?
B'è, pazientate ancora un po' per il prossimo capitolo, nel quale scoprirete che cos'ha elaborato la mia mente malata per quanto riguarda La Volta delle Anime! XD

KissyKikka: ciao! Anche io fra poco ho la simulazione di terza prova, infatti la prossima settimana sarà infernale! O.O Sono felice che gli scorsi capitoli ti siano piaciuti. E' stata dura far finire la battaglia in quel modo, perchè una parte di me voleva subito far vincere l'esercito dei Varden! XD I prossimi capitoli sono decisivi per la storia e, o sono buoni, o sono uno schifo: niente vie di mezzo! XD B'è, ci vediamo al prossimo capitolo, ciao! <3

Un saluto a tutti gli altri, grazie per continuare a leggere! ^^
Patty.
   
 
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