*
Davide
Aprii
la porta di casa con un gesto stanco e stavo per entrare quando fui fermato da
un grido imperioso che mi ordinava di non farlo. Ancora fermo sull’uscio,
con un piede a mezz’aria, lanciai un’occhiata furente al mio amico Andrea
sdraiato sul divano. Lui alzò gli occhi al cielo e in risposta mi rivolse un
ghigno compiaciuto:
-
Prenditela con tuo fratello: ha appena finito di passare la cera e non credo
sarebbe soddisfatto di vedere le tue luride impronte sul pavimento. E’ uscito
di testa, Davide… più di quanto già non lo fosse-
Non
potei che trovarmi d’accordo con lui, Maurizio non era mai stato tanto
normale: quale ventiduenne di sesso maschile si comporta come una perfetta
donnina di casa? E non aveva neanche la scusante dell’omosessualità! Sia
io che Andrea lo avevamo sospettato, ma ce ne eravamo accertati: era etero, un
etero che adorava fare la massaia, ma pur sempre etero… e poi era il mio
gemellino preferito! La voce di mio fratello mi giunse dalla cucina, in un
grido che rivelava un misto di sollievo e preoccupazione:
-
Davide, sei tornato! Scusa ora vengo, aspetta ancora un attimo! Non muoverti!-
Maurizio
arrivò di corsa e mi mise sotto gli occhi due coperture per i piedi: delle
sottospecie di pantofole, erano di pile e di un verde sgargiante, quasi
fosforescente. Lo guardai in faccia cercando di capire a che livello di pazzia
potesse essere arrivato ma mi scontrai violentemente con il suo sorriso a
trentadue denti.
-
Fai sul serio?-
Glielo
avevo chiesto a denti stretti, cercando di mantenermi dall’aggredirlo
come invece si sarebbe meritato; Maurizio mi guardò: era serio ma ancora
sorridente e dopo un istante annuì convinto.
Sconsolato
arretrai di un passo per poggiarmi alla ringhiera di ferro con le spalle, velocemente
tolsi le scarpette Nike nuove nuove e presi con
brutalità le cose pelose che Muzi mi porgeva. Le misi ai piedi per quanto il
tutto mi sembrasse un affronto alla mia già scarsa dignità e quindi, scansato
con fare irritato mio fratello, mi diressi insofferente verso Andrea.
Ignorando
il fatto che spintonandolo lo avevo quasi fatto cadere dal divano gli strappai di mano il telecomando senza
alcuna delicatezza e iniziai a fare uno zapping furioso: non era una cosa
sensata ma il cambiare repentinamente canale, quasi senza aver nemmeno
identificato il programma, aveva per me un che di rilassante.
Non
mi sfuggì l’occhiata che i due si scambiarono, carica di complicità e
sostegno. Mi sfuggiva qualcosa e me ne stavo rendendo conto: ora il dilemma era
se mi andava o meno di esserne messo a parte. Non avrei saputo dirlo e in ogni
caso non volevo pensarci, così controvoglia sbottai irritato:
-
Avete qualche problema? Dubbi, perplessità?!-
Andrea
al mio fianco tossì, camuffando quella che poteva benissimo essere una risata e
mormorò a mezza voce: - Sì: puzzi maledettamente! Quanto hai corso? Una doccia
no, eh?-
Non
mi degnai di rispondergli e anzi come gesto di rivalsa puramente infantile
alzai il braccio sinistro per avvolgere le sue spalle: sentii chiaramente come
iniziò a boccheggiare cercando di prendere aria, respirando però unicamente
dalla bocca e quella consapevolezza mi divertì forse più del dovuto.
Andrea
era un vecchio amico di famiglia, quel tipo di persona che puoi affermare
tranquillamente di conoscere come le tue tasche. Mi aveva sempre ricordato un
cucciolo, non in senso cattivo, assolutamente! Era il mio migliore amico ma era
come un cucciolo: quelli iperattivi che vogliono sempre giocare, che rompono i
coglioni anche senza rendersene conto perché è nella loro natura, anche quelli
però che in qualunque situazione sono sempre al tuo fianco, che non ti
abbandonerebbero mai. Ecco: lui era il mio cucciolo! E ne andavo fiero.
Con
la coda dell’occhio osservavo Maurizio che si tormentava le mani seduto
sulla poltrona lì vicino: aveva accavallato le gambe e muoveva con fare nervoso
il piede destro, agitandolo senza sosta.
-
Sto cucinando sai? Qualcosa di spettacolare, vedrai!-
Era
stato proprio lui a parlare, mormorando quelle poche parole a mezza voce: era
tremendamente a disagio eppure continuava a sfuggirmene il motivo. Risposi con
un piccolissimo cenno del capo, quasi impercettibile, del tutto indifferente.
Andrea mi allontanò, lanciandomi uno sguardo disgustato e poi fece segno a
Maurizio di proseguire il discorso: lui mimò il gesto di aspettare con la mano
e quindi, preso un bel respiro, continuò:
-
Ricordi stasera che succede? Davide? Te ne sei dimenticato vero?-
Nell’ultima
domanda la sua voce aveva raggiunto lo sconforto più totale, l’idea di
rispondergli però non mi sfiorò neanche per un attimo. Muzi dovette intuirlo
perché senza aspettare ancora andò avanti:
-
Ci deve pur essere un motivo se sto preparando l’arrosto non trovi?
Vengono quelle due ragazze a cena-
All’ultima
frase il mio dito si bloccò e la tv rimase sintonizzata su rai due: stavano
trasmettendo un cartone animato, Tom e Jerry. Rimasi per qualche minuto in
silenzio, cercando di concentrarmi sulla coda del gatto grigio ma proprio non
mi riusciva di respirare normalmente; Maurizio, spaventato dalla mia calma
apparente e giustamente intimorito dalla mia possibile reazione, con ottimi
riflessi scattò in piedi e si avviò verso la cucina. - Te l’avevo detto che sarebbero
venute, non fare quella faccia! Sono due belle ragazze, non sei contento?
Inizialmente non erano sicure ma quando hanno saputo che eravamo gemelli quasi
facevano i salti dalla gioia...-
Si
interruppe avvertendo la mia presenza alle spalle, trasalì e voltatosi di colpo
mi fissò negli occhi supplice:
-
Davide, per favore. Che ti costa? Una cena, solo una cena. Ti prego-
Il
sorriso era scomparso dal suo volto lasciando il posto ad un espressione a metà
fra la sofferenza e l’esasperazione. Annuii forzatamente e mi avviai
verso il bagno, trascinando i piedi e borbottando fra me e me.
Non
mi ero mai sentito così abbattuto: neanche la perpetua allegria di Andrea
riusciva più a tirarmi su di morale. Non potevo andare avanti così: rischiavo
di arrivare a prendere in considerazione il suicidio.
Ed
era prematuro, poco ma sicuro.
*
Ilaria
Veronica
aumentò il passo per raggiungermi.
Il
ticchettio dei suoi tacchi sull’asfalto mi avvertiva di quanto si stesse
avvicinando, così quando mi prese di slancio a braccetto riuscii a non perdere
l’equilibrio. Lei si poggiò a me di peso, tenendo la testa sulla mia
spalla - Sai, non credevo che ce
l’avresti fatta: soprattutto verso la fine ho temuto il peggio e invece
sei stata bravissima! Voglio sperare che tutte le lacrime fossero unicamente
per il povero Leo-
La
guardai con un’aria che doveva essere offesa, aggrottando poi le
sopracciglia risposi:
-
Certo che sì! Per chi altri potevano essere?-
Lei
allora scoppiò a ridere e mi scoccò un bacio sulla guancia. Se anche sospettava
che le avessi mentito non lo diede a vedere, cambiando invece discorso e
rivolgendomi un enorme sorriso:
-
Ti va un gelato?-
Istintivamente
mi strinsi di più nella giacca, rabbrividendo per un fremito improvviso. Non
ebbi però il coraggio di rifiutare, non ora che per l’ennesima volta mi aveva
dimostrato quanto fosse unica: annuii e sempre a braccetto ci avviammo nel
vicolo a destra, verso la nostra gelateria preferita. Era poco frequentata a
causa della posizione nascosta: occupava un piccolissimo spazio fra
un’autofficina in disuso ed una scuola di ballo per anziani, faceva però
il migliore gelato artigianale della zona, cremoso e dolce al punto giusto.
Quando
entrammo era completamente deserta e il signore dietro il bancone sgranò gli
occhi vedendoci: come dargli torto? Prendemmo due coni dopo aver approfittato
in maniera quasi scandalosa della pazienza del signore: avevamo impiegato poco
meno di mezz’ora per sceglierne i gusti, cambiando idea un’infinità
di volte.
Fra
risa convulse e battiti di denti tornammo infine alle nostre macchine: prima di
salutare Veronica guardai di sfuggita il conta gradi sul cruscotto. Sbattei le
palpebre per accertarmi di non essermi sbagliata: undici.
-
Siamo due pazze! Ti rendi conto?! Tu che mi offri un gelato quando ci sono solo
undici gradi e io che accetto anche! Come si fa?-
Vero
sorrise con le labbra livide per il freddo, abbracciandomi per dimostrarmi la
sua riconoscenza, quindi, dati due frettolosi baci sulle guance scappò via,
salutandomi un’ultima volta con la mano. Nel tragitto verso casa tenni la
musica a palla: avevo bisogno di qualcosa che mi distraesse. Qualunque cosa che
mi aiutasse ad arrivare al letto e possibilmente anche ad addormentarmi prima
che potessi sprofondare ancora nei ricordi. Perché sapevo benissimo cosa
cercavo di evitare. Ero perfettamente cosciente di quale baratro si stava per
aprire sotto di me. La colpa era tutta del gelato. Di riflesso quindi la colpa
era anche di Vero. Impegnata in queste riflessioni folli raggiunsi la porta di
casa ma non appena mi fui chiusa la porta alle spalle ed ebbi posato la chiavi
sul comodino, sprofondai…
- Allora? Lo vuoi o no questo gelato?-
Era stato Davide a chiedermelo, con un
tono che voleva essere esasperato senza però buoni risultati.
Lo guardai di rimando, tormentandomi le mani.
Poi abbassai lo sguardo, messa in difficoltà.
- Non lo so-
Lui sbuffò divertito e con due dita mi
sollevò il mento. Incatenò il mio sguardo nei suoi occhioni indagatori:
- E come mai non lo sai?-
Sorrisi indecisa. Imbarazzata ancor di
più per via di quegli smeraldi che mi fissavano.
- Perché fa freddo-
Lui si illuminò. Sembrava quasi
sollevato da quella risposta, svagato per la situazione.
- Solo per questo? Ti scaldo io piccola.
Ti tengo stretta per tutto il tempo che vuoi…-
Gli diedi uno schiaffetto sulla spalla e
lui rise. Poi mi guardò con aria interrogativa, aspettando che decidessi: alla
fine annuii e con un gesto veloce afferrai la banconota che mi porgeva.
- Va bene: lo prendo. Ma vado sola, tu
aspettami qui-
Mi incamminai verso la gelateria
dall’altro lato della strada con ancora la voce di lui nelle orecchie:
- Non mi muoverò per nulla al mondo-
Scossi la testa, chiudendo gli occhi:
com’era esagerato! Esageratamente dolce…
Quando uscii con il cono in mano lo vidi
ancora nello stesso identico posto: cercava me con lo sguardo.
Non appena mi intravide fra la folla
aprì le braccia per chiamarmi a sé, non me lo feci ripetere due volte e mi
tuffai contro il suo petto. Mi osservava, con quei suoi occhioni verdi… e
poi di colpo vi si accese una scintilla.
Era uno sguardo che ormai avevo imparato a riconoscere: uno sguardo che
preannunciava una sua idea.
Un’ idea che sapeva bene mi
avrebbe messa in imbarazzo.
Lo guardai di sottecchi e a mezza voce
gli chiesi che avesse. Lui mi fissò ancora un po’, poi sussurrò:
- Sei sporca di gelato…-
Avevo già mosso la mano per prendere un
fazzolettino nella borsa, quando lui mi fermò. Si avvicinò di più e sorridendo
con aria furba concluse la frase:
-
…ci penso io-
Non ebbi il tempo di capire cosa aveva
intenzione di fare.
Mi attirò a sé e con la lingua iniziò a
percorrere il contorno della mia bocca. Cercai di allontanarmi ma lui era irremovibile e continuò finché non
mi lasciai andare a quell’ultimo bacio. Quando mi fui arresa Davide
ridacchiò e iniziò a succhiarmi dolcemente il labbro inferiore.
Spensierati come non mai. Divertiti da
quel nuovo gioco, da quel nuovo bacio… da quel vortice confuso in cui si
fondevano e mischiavano nutella, nocciola e stracciatella.
Sussultai
sentendo qualcuno che mi abbracciava da dietro. Mi voltai di scatto,
ritrovandomi faccia a faccia con il mio fratellone.
-
Mirko!-
Lo
avevo gridato, portandomi una mano al petto e cercando di riprendermi dalla
paura. Lui sorrise e mi prese per mano, trascinandomi di peso mi portò in
cucina, facendomi sedere al tavolo. Non accese la luce, prendendo semplicemente
posto di fronte a me e cominciando a studiare la mia espressione
sovrappensiero.
Odiavo
quando mi scrutava in quel modo: mi inquietava terribilmente, così con voce
neutrale domandai la prima cosa che mi venne in mente, sperando di distrarlo:
-
Come mai non sei a letto? Domani non lavori?-
Lui
scosse la testa e subito dopo mosse il capo verso di me, indicandomi
biasimevole:
-
Sei rimasta immobile in soggiorno per più di sette minuti, lo sai?-
Non
mi lasciò rispondere e continuò, sempre guardandomi torvo ed accigliato:
-
Si può sapere che ti prende? Credevo avessimo superato questa fase circa un
mese fa… Ci sei ricaduta? Cioè pensavo andasse meglio e ora ti ritrovo di
nuovo, sprofondata, come dici tu?-
Cercai
di fermarlo: non volevo che si preoccupasse per me ed era vero, l’avevo
superata quella fase.
Ma
ora… come glielo spiegavo? Non poteva capire. Gli volevo un mondo di bene
e lui nemmeno immaginava come gli fossi riconoscente per tutto l’appoggio
che mi aveva dato e che continuava sempre a darmi.
C’era
anche stato un periodo in cui avevo avuto un’incredibile voglia di fargli
leggere i miei diari, per permettergli di capire cosa stessi passando, così da
farmi comprendere appieno. Era stato durante il mio periodo più nero: quando
ero convinta che lui fosse l’unico di cui mi potessi fidare e che non mi
avrebbe tradita in un secondo tempo. Alla fine però non l’avevo fatto:
erano troppo personali e non potevo certo stare alle sue spalle chiudendogli
gli occhi quando arrivava ad una parte che non poteva leggere, o meglio che non
volevo leggesse.
Erano
miei. Solo miei… troppo privati e riservati, anche per il mio fratellone.
Interpretando
erroneamente il mio silenzio Mirko tentò un altro approccio:
-
Sai, lui sta mille volte peggio di te. Sembra abbia un aspetto orribile: che a
mala pena viva un continuo dormiveglia e…-
Non
lo feci concludere: non provavo alcuna pietà, solo rabbia ed un pizzico di
soddisfazione.
-
E tu come le sai queste cose?-
Ignorai
il fatto che fosse impallidito di colpo: che si stesse inventando o meno tutto,
non volevo sentire una parola di più! Per me lui era morto…
Mi
alzai infuriata e mi fiondai in camera, seguita a ruota da mio fratello. Lo
sentii balbettare dietro di me ma non mi preoccupai di capire cosa cercasse di
dire:
-
Se lo merita. Merita di passare tutto quello che sta soffrendo! Brutto bastardo
figlio di… !-
Il
resto della frase fu censurato a Mirko, rimasto chiuso fuori: il rumore
violento della porta sbattutagli in faccia doveva aver coperto le mia parole ma
non credo gli fosse difficile immaginarne il seguito.
*