Giochi Pericolosi.
5- Breathe no
More.
So, so you think you can tell Heaven from Hell,
blue skies from pain.
Can you tell a green field from a cold steel rail? A smile from a veil?
Do you think you can tell?
L’orologio
segnava mezzanotte e tre quarti.
“Arriva” mormorò Lee, come una nervosa preghiera.
Aveva rotto il silenzio pesante ed inquietante di
quella stanza in penombra con la musica soffusa dello stereo.
La radio sembrava conoscere la sua situazione, a
giudicare dalla canzone, quella ballata classica, che stava passando ora sulle
frequenze.
And did
they get you trade your heroes for ghosts?
Hot ashes for trees? Hot air for a cool breeze?
Cold comfort for change? And did you exchange
a walk on part in the war for a lead role in a cage?
Era tardi e lui iniziava ad avere freddo, nonostante
la temperatura della camera.
Minuscole gocce gelate, preludio della neve che
sarebbe arrivata da li a poco, graffiavano il vetro della finestra, e le luci
della città entravano dal vetro, decorando le pareti e l’arredamento con
le ombre sottili della pioggia, così simili a pennellate minute di un pittore
nervoso.
Come era lui in quel momento. Incrociò le braccia al
petto, gettando ancora uno sguardo all’orologio. “Ti prego, arriva” sussurrò di nuovo.
How I
wish, how I wish you were here.
We're just two lost souls swimming in a fish bowl,
year after year,
running over the same old ground. What have we found?
The same old fears,
wish you were here.
Quello non era il ritardo più clamoroso di Anna, ma
di certo era quello che lo innervosiva maggiormente. Perché l’attendeva senza
sapere se lei avrebbe davvero varcato quella portaconcedendogli la
sua fiducia, sciogliendosi tra le sue braccia.
Se solo l’avesse cercata meglio, quella sera di sei
giorni prima, probabilmente ora sarebbero già stati insieme, lontani da Tokio e
dai suoi sotterfugi, da quell’insulsa lotta fratricida, da quel gelo prepotente
che inghiottiva le strade in quel momento.
Anna amava i posti caldi. Il sole, il mare, il
calore sulla sua pelle abbronzata.
E lui non vedeva l’ora di regalargli tutto questo.
“Arriva, arriva, arriva arriva...”
L’avrebbe attesa tutta la notte, se fosse stato
necessario. Si concesse uno scotch, prima di sedersi su una poltroncina senza
togliere lo sguardo dalla finestra.
Chiuse gli occhi.
Leggera, come se fosse stata una farfalla, senza
fare il minimo rumore era scivolata nella stanza.
I piedi nudi sfioravano la moquette grigia in passi
inconsistenti. E le sue mani fresche si erano sciolte in una carezza sul suo
volto.
Aveva spalancato gli occhi, incredulo di trovarsela
davanti,
Era anche più bella del solito, quasi eterea nel suo
pallore, senza il pesante trucco gli occhi sembravano brillare di luce propria,
riflettendo la neve che cadeva copiosa al di là del vetro.
Si sentì rinfrancato, rasserenato dal vederla
sorridere appena. “Allora sei venuta.” Bisbigliò. Le sue dita scorrevano tra i
capelli argentati, come se stesse accarezzando un cucciolo che le ispirava
tenerezza, mentre annuiva.
“Non vedevo l’ora. Io…”
L’indice di Anna premette le sue labbra. Il suo
gesto usuale, quello di zittirlo con quel modo dolce e deciso insieme.
Le labbra della donna si unirono alle sue. Un bacio
leggero, sincero: un bacio che Anna non gli aveva mai concesso.
“Hai deciso di stare con me?”
Di nuovo, Anna lo zittì, prima di baciarlo
nuovamente. C’era qualcosa di malinconico e impalpabile nei suoi gesti, nelle
sue carezze, nel suo sapore. Qualcosa che sfiorava Lee senza rimanerne
realmente impresso.
La maniglia della porta che scattava, aprendosi, lo
fece trasalire.
Riaprì gli occhi, alzandosi in piedi.
“Anna?”
Il vetro era rigato ancora dalla pioggerellina
gelida.
…Un sogno ?
Si diede dell’idiota, prima di accendere la luce
velocemente.
La porta si aprì appena, con una lentezza
esasperante. Una figura femminile avvolta in un cappotto nero, lungo sino ai
piedi, il cappuccio alzato a coprire la testa e il volto, varcò la soglia, chiudendo la
porta alle sue spalle.
“Anna?”
Il cappuccio bagnato scivolò via dalla testa,
rivelando gli stessi occhi azzurri e gelidi che stava attendendo sotto una cascata di capelli dorati.
Il cuore di Lee mancò di un battito, mentre
tentava di mantenere la calma, appoggiandosi con la schiena ad un mobile,
incrociando le braccia al petto. Gli ci volle un istante, un sospiro, prima di
riuscire a parlare senza che gli tremasse la voce.
Perché trovarsi la Williams sbagliata davanti non
era di certo un buon segno. Affatto.
“Oh, Nina, mi sorprendi. Non ti aspettavo. In giro
con questo tempaccio?”
Nina Williams non si mosse di un millimetro, se non
fosse stato per le gocce che cadevano dal suo cappotto si sarebbe potuta scambiare
per una statua di ghiaccio dallo sguardo penetrante.
“Stavo aspettando Anna.” Incalzò l’uomo. “Hai… hai qualcosa da parte sua?”
Le labbra diafane di Nina si schiusero in un
sussurro. “Dovrei uccideti.”
“Cosa vuoi dire?”Se non fosse stato per il mobile a
cui era appoggiato, le gambe di Lee l’avrebbero abbandonato a terra.
“Sapevi quello che stava rischiando, sapevi che Kazuya non gliel’avrebbe fatta passare liscia, se l’avesse
scoperta. Ma a te cosa importava…” I passi di Nina
verso di lui lasciavano impronte dure nella moquette. “… tu avevi la tua
nottata di sesso sfrenato, e per te non c’erano altri problemi.”
Le parole dure di Nina lo ferivano. Erano il
preludio a qualcosa che non voleva sapere, che non poteva sentire. “Non è vero…” bisbigliò. Era così, era vero!
Se gli occhi della donna fossero stati letali come
le sue mani, allora lui sarebbe già stato ridotto in cenere. “Non gli sei stato
lontano, fottuto vigliacco che non sei altro.” Sibilò con odio.
“Non è così. Te lo può confermare anche tua sorella.”
Nina emise uno sbuffo freddamente ironico. “Confermare?
Anna è morta.”
Il neon del corridoio era la luce più gelida che
potesse illuminare quel luogo. Irrorava qualsiasi cosa di bianco, rendendola
asettica e spettrale.
Nina stessa, che camminava di fronte a lui, pareva
ancora più algida di quanto già non fosse naturalmente.
Farebbe
qualsiasi cosa per danneggiare sua sorella. Continuava a
ripetersi come un mantra Lee, da quando l’aveva seguita, fuori da quell’hotel,
sino agli ex-laboratori sotterranei della Mishima Zaibatsu. Si aggrappava a quella flebile speranza
disperatamente. Non le credere, non le credere. Lei ODIA Anna, ti sta facendo cadere in
trappola per farle un dispetto crudele.
La brusca curva del corridoio segnò una svolta anche
nei pensieri di Lee. E’ un trucco per
fartela incontrare di nascosto. Si, sicuramente. Al di là della porta ci sarà
Anna –viva, sana e salva- che riderà di questo scherzo idiota e ti dirà che è
stato un piano geniale.
La donna compose il codice segreto con le dita
tremanti sulla tastiera numerica posta di fianco alla porta, che si aprì con un
lieve sibilìo.
Lee conosceva quella stanza. Era il laboratorio
personale di Bosconovitch. Tra quelle quattro mura
erano state tenute criogenicamente congelate per vent’anni, era stato il loro
limbo, la loro casa. La temperatura di quel laboratorio rasentava lo zero come
allora, con la differenza delle pareti spoglie dai fogli di calcoli dello
scienziato e dai suoi macchinari per gli esperimenti.
Vi era solo il tavolo d’acciaio e qualcosa, coperto
da un lenzuolo bianco, vi era appoggiato sopra, mentre un uomo in camice bianco
compilava un foglio appoggiato alla parete.
“Miss Williams.” Salutò con voce grave, accennando
ad un lieve inchino, scuro in volto. Appoggiò il foglio e la matita sull’unica
sedia presente nella sala, indossando un paio di guanti di lattice, per poi
avvicinarsi al tavolo.
Lee si accorse di trattenere il respiro e di sentire
dolorosamente i battiti del proprio cuore.
L’uomo alzò appena il lenzuolo, piegandolo sotto il livido
collo da cigno, sfregiato da solchi di artigli.
Lee sentì le gambe tremare, mentre si premeva la
mano sulla bocca, ipnotizzato da quello che aveva davanti agli occhi.
La sua pelle – la
stessa che si arrossava nei momenti di passione, era dello stesso colore
del lenzuolo. Gli occhi chiusi, senza nessuna traccia di trucco.
I capelli erano bagnati e tirati indietro, lasciando
il volto scoperto. Le labbra – delineate dal rossetto che rimaneva sul
bordo del bicchiere, avevano assunto un colore azzurrognolo.
E poi il collo, così deturpato.
“Avevamo appuntamento per questa sera. Dovevo fornirle
documenti falsi per scappare all’estero” spiegò la donna. “Ma non si è
presentata. Il suo cellulare era spento, ma sono riuscita a rintracciare il
segnale.” La voce di Nina stentava a restare ferma. “L’ho trovata sulla riva
del fiume, avvolta in un cellophan.” Deglutì con fatica. “Aveva ancora il
cellulare con sé. È stato fatto apposta per farla ritrovare” Nina alzò un lembo
del tessuto, facendo scivolare una mano della sorella fuori. La alzò,
mostrandola a Lee. Le unghie erano spezzate e un dito sembrava storto. “Si è
difesa” spiegò Nina. “Nonostante sapesse che contro Kazuya
non ci sarebbe stato nulla da fare, Anna si è difesa.”
Anna che rideva sguaiatamente.
Anna che si leccava le labbra, facendole schioccare
bramosa.
Anna che sorrideva ammiccante.
Anna che faceva grandi progetti per i suoi viaggi.
Anna nei suoi abiti firmati ed eccentrici,
provocanti.
Anna che scivolava tra le sue braccia, lo avvolgeva
e lo baciava come se lui potesse donarle linfa vitale.
Anna che urlava il suo nome e lo graffiava.
Anna che sorrideva beata, appoggiando la testa sul
suo petto ansante.
Anna che dormiva, l’espressione sfinita ed
abbandonata.
Anna che si ritoccava il trucco nervosamente.
Anna con gli occhi lucidi che ricordava di quando l’aveva
sorpreso con la sua segretaria.
Anna che si guardava allo specchio, non
completamente soddisfatta del suo aspetto.
Anna e le sue tre sottili cicatrici sul polso destro.
E la sua risposta vaga quando le aveva domandato come se le fosse procurata.
Anna e la sua inquietudine. Quando aveva ammesso,
aprendo uno spiraglio su di sé, di non ricordare l’ultima volta che si era sentita
serena.
Anna piena di rabbia repressa, di frustrazione e di
amarezza. Che agiva guidata dall’istinto di vendetta, dall’impulso irrazionale
di rivalsa. Per cercare una vittoria che sentiva di meritare.
Anna che aveva combattuto fino alla morte, sino a
spezzarsi le dita, per sopravvivere.
Per tornare da lui.
Ed infine, a ribadire il concetto di quanto la vita
fosse amara e crudele, Anna stesa sul tavolo di quell’obitorio improvvisato.
Nina varcò stancamente la soglia del locale, notando che l’uomo era già seduto al bancone, due bicchieri pieni davanti a sé. Riuscì solo a provare un po’ di sorpresa nel vederlo, ma nessun’altra sensazione, né di gioia né di fastidio.
Si sedette sullo sgabello a suo fianco senza guardarlo, senza dire nulla. Lui fece scivolare uno dei bicchieri sul bancone verso di lei, che lo prese distrattamente tra le dita. Guardò il liquido chiaro tra i ghiaccioli, li fece tentennare. “Sai già quello che è successo?”
Con la coda dell’occhio lo vide annuire e bere un sorso. Si era voltato appena verso di lei, forse per studiarne le reazioni.
“Lo immaginavo. Non scappa nulla a voi russi.” Giocherellò ancora con il bicchiere, sospirando. “Hai fratelli o sorelle?”
Questa volta l’uomo scosse la testa.
“Io l’ho odiata per tutta la vita. O, almeno, credo di averlo fatto. Ora non lo so più.” Si gettò il contenuto del bicchiere in bocca, con il risultato che gli occhi le pizzicarono non appena la gola percepì il bruciore del liquore. Si appoggiò il bicchiere alla testa, come se dovessere rinfrescarsi le idee, strizzando gli occhi. “Non so cosa provare nè cosa pensare.” Appoggiò il bicchiere al bancone, alzandosi. “Offri tu?” domandò, aggiustandosi la giacca, facendo per uscire dalla porta.
Sentì le dita dell’uomo chiudersi sul suo polso, decise ma non strette. Finì anche lui il suo bicchiere, gettò un paio di banconote sul tavolo e poi si alzò, guardandola.
“Vuoi venire con me?” domandò la donna con uno accenno di sarcasmo nella voce. “Non so se sarò di grande compagnia questa notte, Sergei.”
Lui alzò una spalla, quasi noncurante. Fece scivolare la mano dal polso alle sue spalle, ed uscirono insieme dal locale.
Per
il tuo ultimo viaggio ti abbiamo vestito con il qipao
rosso che adoravi.
Ti
donava incredibilmente anche in quel momento, sembravi la Bella Addormentata, mentre
ti dicevamo addio, mentre ti baciavo per l’ultima volta, quasi sperando che
sbattessi le ciglia e ti svegliassi.
La
rabbia che provavo mentre chiudevano il coperchio della bara non è
descrivibile.
Io
e Nina abbiamo pensato che avresti preferito essere cremata. Una sola vampata –rossa,
il tuo colore preferito – per poterti poi librare nell’aria.
No,
non avresti sopportato essere mangiata dai vermi.
Ma
ora sei sul mare, sei nel vento. Potrai viaggiare liberamente, visitare tutti i
luoghi esotici che ti mancavano all’appello. Un po’ ti invidio sai?
Quante
poche cose sapevo di te, che sorpresa trovare tra la tua roba tanti piccoli
cimeli dell’Irlanda. Ne è rimasta impressionata anche Nina. Non avremmo mai
pensato facessi la collezione di gadgets che
raffiguravano trifogli.
Ho
lasciato che la rabbia sorda mi consumasse per giorni, affogando i sensi di
colpa e la tua mancanza nel vino rosso che amavi così tanto.
Poi
ho chiamato Lars. E gli ho chiesto un favore.
Non
sono abbastanza forte da poter sconfiggere un demone da solo, ma che io sia
dannato se non accadrà, il colpo di grazia a Kazuya
lo darò io stesso.
Bene,
tutti a tagliarsi le vene, presto!!!!!
Era
da un po’ di tempo che volevo scrivere una Ff con il
BAD ENDING. Il mio sadismo esigeva questo piccolo tributo.
Ok,
ok. Lungi dall’essere un capolavoro, pazienza.
Grazie
intanto a Miss Trent (sono tutt’ora schockata dalla scoperta di tu-sai-cosa)
AngelTexasRanger, (troppo buona nei miei confronti.),
LiliRochefort (mi inchino profondamente commossa
dalle tue parole) e Nefari (che ora mi detesterà per
aver fatto fuori Anna, ma tant’è)
PS:
la canzone in apertura è Wish you
were Here dei Pink Floyd.
Grazie,
Grazie, Grazie, Grazie, Grazie!!!!!
EC