I’ll find you, anywhere you are
Lost in the darkness, try to find your way
home
I want to embrace you and never let you go
Almost hope you're in heaven so no one can
hurt your soul
Living in agony 'cause I just do not know
Where you are
I'll find you somewhere
I'll keep on trying until my dying day
I just need to know whatever's happened,
The truth will free my soul
Wherever you are, I won't stop searching
Whatever it takes me to go
(Within Temptation – Somewhere)
Prologo
L’attesa
sembrava interminabile, e l’ansia era divorante.
Era
ormai da ore che mi trovavo in quella maledettissima sala d’attesa di quel
fottuto ospedale, e ancora non avevo avuto notizie riguardo la salute di
Andrea, il mio ragazzo. Non appena Giovanna, sua madre, mi aveva telefonato e,
tra le lacrime, mi aveva detto che era stato vittima di un incidente, mi ero
precipitata in ospedale, sperando con tutta me stessa che non gli fosse
successo nulla di grave.
Stando
a quello che mi aveva riferito la madre, Andrea stava guidando tranquillamente
su una strada di campagna, quando un idiota ubriaco fradicio aveva tentato di
sorpassarlo, ma nell’eseguire la manovra lo aveva urtato, facendolo finire
fuori strada, giù per una riva. Grazie al cielo un uomo che stava guidando
sull’altra corsia, e che per poco non urtava anch’egli la macchina
dell’ubriaco, si era fermato, aveva preso nota della targa di quest’ultima e
infine aveva chiamato un’ambulanza, vedendo che Andrea giaceva incosciente con
la testa poggiata sul volante della propria auto. Una volta arrivati i
soccorsi, era stato trasportato d’urgenza in ospedale e subito messo sotto i
ferri, dove ancora si trovava.
Sospirai,
asciugandomi le lacrime con la manica della felpa che indossavo. Più passava il
tempo, più disperavo. Nella mia mente si stava formando la peggiore delle
ipotesi: e se fosse…?
No,
non dovevo nemmeno pensarci. Dovevo avere fiducia nei medici che lo stavano
operando, dovevo continuare a sperare che tutto andasse per il meglio. Dovevo
essere forte, smettere di piangere ed essere razionale, mentre attendevo
l’esito dell’operazione.
Forse
una bella dose di caffeina mi avrebbe aiutato.
-
Vuole un caffè? – chiesi a Giovanna, mentre mi alzavo dalla scomoda poltroncina
della sala d’attesa.
-
No, grazie. – mi rispose la donna, sorridendo debolmente. Il suo viso era
logorato da una stanchezza e da un dolore che potevo solo lentamente
immaginare. Io ero a pezzi, ma Giovanna era in frantumi, a confronto.
Presi
degli spiccioli dalla borsa e mi avviai alla macchinetta del caffè, dove presi
un espresso amaro. Reggendo il bicchierino di carta con entrambe le mani,
mentre ci soffiavo sopra per raffreddarlo, tornai in sala d’attesa e mi sedetti
di nuovo accanto a Giovanna. Senza dire una parola, presi a sorseggiare il mio
caffè, lo sguardo perso nel vuoto. Non ne avevo bevuto nemmeno la metà, quando
un dottore venne verso me e Giovanna.
Ci siamo,
finalmente,
pensai mentre mi alzavo in piedi.
Ho
solo un vago ricordo di quelle che furono le parole del dottore. So solo che,
non appena le udii, il bicchierino di carta contenente il caffè mi cadde dalla
mani, finendo a terra.
Ebbi
un capogiro, dopodiché mi si annebbiò la vista e finii anch’io a terra,
svenuta.
Andrea
era in coma.