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Autore: Gem    22/12/2009    7 recensioni
Era un semplice insegnante di yoga, ma aveva lanciato un portapenne al capo e s'era giocato il posto di lavoro.
S'era fatto ingannare dalla promessa di un'aria più pulita e respirabile di quella di Chicago, ma a quanto pare...
[Ispirata al film "La donna perfetta". Dissacrante parodia nata come una semplice commedia ed evolutasi come una summa di tutte le mie esperienze nei fandom esteri di SS]
Genere: Commedia, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Leo Aiolia, Virgo Shaka
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L’uke perfetto

 

QUATTRO

… urli così sono da premio Oscar.

 

Shaka aveva dormito per ben undici ore quella notte, dalla mezzanotte sino alla tarda mattinata del giorno successivo.  Quando si svegliò, ignaro della terribile verità sull’orario, scambiò un cuscino per Aiolia e si alzò serenamente, aprendo le finestre per lasciar cambiare l’aria. Strano, c’era un sacco di luce quella mattina… forse Mu il vegano aveva istallato dei riflettori in giardino?

La sveglia era caduta per terra, così lentamente Shaka si chinò per raccoglierla e la pose sul comodino. Mh… 80.11… doveva essersi rotta, peccato. Era una bella sveglia, con la sua melodia disarmonica gettava Aiolia giù dal letto in preda alla paura. O forse…

Osservò prudentemente l’oggetto. E se anziché essersi rotto, fosse solo… capovolto? No, no, insomma… le 11.08! Quando mai Shaka si era alzato a quell’ora così oscena?

 

Alle 11.20 Shaka si era già vestito, lavato, aveva sistemato il letto, gli abiti del giorno precedente, alcuni fogli sul comodino di Aiolia e aperto tutte le finestre del primo piano. Che onta essere preceduto nel risveglio da quel caotico, pigro, egocentrico scrittore, dannazione! Non era affatto normale una tale situazione, no.

Cos’era che aveva turbato Shaka sino al punto di ridurlo stremato e farlo dormire per undici ore?! Neanche un neonato avrebbe dormito così tante ore di seguito…

Raccolse due libri da terra e li poggiò su una vetrinetta prima di scendere al pianterreno per cercare Aiolia. Forse aveva fatto saltare in aria la TV. Forse si era addormentato sulla lavastoviglie. Forse stava addomesticando le tarme del cibo.

Ma quando arrivò in soggiorno e diede un’occhiata in giro, non vide altri che Camus leggere un libro sul suo divano, sereno come non mai. Si fermò davanti a lui per ricevere spiegazioni, e puntualmente Camus parlò, senza alzare gli occhi dalla pagina: «Milo e Aiolia sono andati alle poste per controllare che la ricezione ai nostri indirizzi sia valida. Prima di uscire, Aiolia mi ha chiesto di studiare qui da voi affinché potessi assisterti, dato che secondo lui non sei in perfetta forma. Sul tavolo della cucina puoi trovare un termometro, delle compresse per il mal di testa e una pomata contro le irritazioni cutanee, anche se ha detto che visitandoti non ha notato niente di insolito.»

Shaka alzò un sopracciglio.

«In caso avessi bisogno di andare al pronto soccorso, avvolgiti in una coperta calda e fatti portare in auto dal sottoscritto.» continuò a blaterare Camus, leggendo. «Testuali parole di Aiolia.»

Shaka non si mosse. Sarebbe stato intenerito da tante cure, dopotutto, se ne avesse avuto effettivamente bisogno. Ma svegliarsi così tardi non era segno di un malanno fisico, e specialmente non un pretesto perché Aiolia lo “visitasse” (s’appuntò mentalmente di dirgliene quattro, una volta tornato): era tutta colpa di Aiolos, che storcendo il collo ad Aphrodite – quel crick! – gli aveva sconvolto il sonno.

Si ricordò che con Aiolia aveva evitato di parlarne per via del coinvolgimento del fratello. Tuttavia, prima di addormentarsi, aveva formulato tre ipotesi intriganti:

-         Aphrodite era un robot proveniente dal futuro;

-         Aphrodite era un robot del presente;

-         Aphrodite era un robot proveniente da un’altra dimensione.

… ma l’aveva pensato solo perché Aiolia gli aveva detto che Kasha Juta avrebbe avuto a sua disposizione un robot capace di viaggiare nel tempo.

«Dimenticavo: sulla TV puoi trovare del tofu, Aiolia esige che tu lo mangi. L’ha assaggiato e ha detto che stranamente è buono.» aggiunse Camus, alzando finalmente gli occhi. Li sgranò, e Shaka fece altrettanto. Che diamine aveva visto Camus di così sconcertante da cambiare la sua solita maschera di impassibilità…?

«Hai…» il rosso s’indicò la guancia, tornando a nascondere il viso dietro al libro. Sorrideva. «La piega del cuscino.»

Portarsi la mano alla guancia, per Shaka, equivalse ad uno schiaffo. E se fosse stato d’indole più melodrammatica – come Aiolia – si sarebbe portato al muro per sbattere, ribattere e sbattere ancora la testa e darsi dell’emerito incapace. Certa gente (cfr. Shaina) avrebbe pagato milioni per vederlo in disordine almeno una volta nella vita (ma adesso era Camus a ridere, sebbene segretamente).

«Sulla TV non c’è del tofu.» mormorò solo Shaka. «È terriccio e concime biologico… lo stavo testando.»

Camus alzò appena un angolo delle labbra, ma non replicò.

«Ma Aiolia mangia anche di peggio.» concluse il buddista, e si sedette disorientato sul divano. Non fece neanche in tempo a riprendersi da cotanti shock, che il campanello prese a suonare ad intervalli regolari ricordandogli vagamente La Cavalcata delle Valchirie. Drin drin drriiiiin drin driiin. Senza dubbio arrivava qualche rappresentante della porzione sgradevole d’umanità.

Drin drin drriiiiin drin driiin.

Quando andò ad aprire, davanti a lui non c’era nessuno.

Drin drin drriiiiin drin driiin.

Alla sua destra, però, Kanon – riconoscibilissimo grazie un’orrida maglietta verde a righe arancioni e rosa – esaminava il campanello continuando a premerlo ancora, ancora, ancora…

Drin drin drriiiiin drin driiin.

«Il mio campanello riproduce La Cavalcata delle Valchirie.» annunciò il fratello del fidanzato del fratello del fidanzato di Shaka. «È più bello.»

Drin drin drriiiiin drin driiin.

«Posso fare qualcosa per lei?!» sibilò Shaka allontanando con un ottimo manrovescio la mano di Kanon. Questi parve esitare qualche attimo, poi uscì dalla tasca una busta.

«Da parte di Rhadamantys per lo scrittore.» rispose altezzosamente Kanon, ancora infastidito da Aiolia al punto di non chiamarlo nemmeno per nome. «Ha letto il suo manoscritto.»

Shaka si sporse verso la busta, ma Kanon portò indietro la propria mano.

«Al momento non è in casa.» disse cauto Shaka. «Può lasciarla a me.»

«No.» replicò Kanon. «Informazioni riservate.»

D’accordo Shaka, oggi evidentemente non è una giornata adatta per i rapporti interpersonali…

«Non leggerò a-»

«ARF ARF!»

No, non era Kanon ad abbaiare (anche se Rhadamantys poteva giurare di averglielo visto fare), ma un alano colossale che correva dal giardino di Mu e Aldebaran sino… sino…

Sino alla porta di casa di Shaka.

«Fuffi, bel cagnolino!» esclamò Kanon tentando di fermare la sua folla corsa. Non solo col suo vano tentativo fu gettato per terra, ma lasciò il cane libero di entrare dalla porta da cui, giustappunto, Shaka si era spostato per non essere investito in pieno.

«ARF AAARF!»

Un cane in salotto.

Un cane in cucina.

Un cane in casa!

Shaka si precipitò dentro per salvare almeno il piano superiore, ponendosi davanti alle scale a mo’ di ostacolo, ma l’alano anziché tornare indietro virò verso il soggiorno e un boom terrificante giunse sia alle orecchie del padrone di casa, sia a quelle di Kanon che vagava per il corridoio senza autorizzazione.

«Il libro NO!» si udì ancora. «A cuccia!»

Quando Shaka e Kanon s’affacciarono alla porta del soggiorno, non si aspettavano di vedere Camus disteso a terra, prono, mentre tentava di salvare il proprio libro dalle fauci del cane, che gli sbavava indecorosamente sulla faccia e lo sovrastava.

“Milo, un cane mi ha molestato.”

“… dimmi chi e lo faccio fuori.”

“Un danese.”

“… quei monarchici del c–!”

Fu allora che Kanon compì un gesto eroico, allungando la busta di Rhadamantys verso il cane, e invitandolo: «Vieni qui, micio micio micio!»

Troppo faticoso anche solo replicare che era un cane, per il povero Shaka: vide l’alano scagliarsi sulla mano dell’uomo e mangiarsi – lacerando, sbavando, mordendo, e poi sbavando ancora – la lettera che il Lord aveva scritto per Aiolia. Kanon ne approfittò per afferrare il guinzaglio rotto del cane e tenerlo a bada, mentre Camus si tirò in piedi come avrebbe fatto un gatto stizzito e si strinse il libro al petto, sconcertato.

«Di chi è…?» soffiò, e se avesse potuto avrebbe gonfiato il pelo.

«Questo è Fuffi, il cane di Mu.» rispose Kanon abbassandosi ad abbracciare l’alano, che subito gli leccò il viso. «Non pensavo che l’avesse riportato in città. Sapete, è stato in campagna alcuni giorni per…»

«Fuffi. Un. Corno.» soffiò ancora Camus, lasciando il libro su un tavolo. Afferrò il laccio rotto dalle mani di Kanon e tirò – prudentemente – il cane, aggiungendo: «Mu è passibile di denuncia. Denuncia.»

Camus sarebbe stato un gatto perfetto. Shaka notò che ogni volta che il cane si avvicinava troppo, Camus si scostava e alzava il labbro per mostrare il canino. E Kanon continuava a carezzare la testa di Fuffi cercando di tranquillizzarlo, ricevendo in cambio una leccata maestosa alla mano.

… in cucina Shaka s’attardò a prendere una compressa per l’emicrania.

Seguì i due controvoglia, mentre Camus sibilava incollerito: «L’alano è una razza pericolosa. Se avesse ferito qualcuno…»

«Ha solo rotto il guinzaglio.» notò Kanon.

«Ininfluente.» Camus bussò due volte alla porta di Mu, ma questa era aperta e si dischiuse. «Negligenza del padrone.»

L’alano si dimenò e Camus fu costretto a lasciarlo andare, sparendo per chissà quale stanza della casa. Ma l’irritato non era per nulla disposto a rimaner indifferente alla questione, giacché chissà quante altre persone avrebbero potuto patire dolori come i suoi per colpa di quella bestia!

«C’è nessuno?» soffiò Camus avanzando all’interno. Al diamine la proprietà privata! Era stato aggredito da un danese!

Shaka sbirciò nella sala da pranzo. Era vuota.

«Forse Mu è di sopra.» ipotizzò Kanon, avvicinandosi alle scale. Pose il piede sul primo gradino, aggiungendo cauto: «Vado io, voi perlustrate il pianterreno. Avvertitemi con un fischio se vedete il nemico!»

Shaka impallidì. Perché ogni disgrazia possibile capitava a lui e non ad Aiolia, per esempio? Aiolia era uno scrittore, no? Gli scrittori subiscono le angherie di tutti, ma perché Aiolia faceva eccezione? Perché il suo computer contenente gli scritti non veniva mai colpito da un missile terra-terra? Perché la sua mente non esplodeva – anzi implodeva, era più scenografico – cancellando ogni pensiero?! Perché?!

Camus arcuò le labbra.

«No, salgo io.» decise. Stava per affiancare Kanon sulle scale, quando un urlo – “ aaaaah”, non di dolore, no, ma quelli vogliosi, lussuriosi, sconci che tutti e tre i pellegrini conoscevano – ruppe il silenzio della casa.

Camus scattò in avanti, puntellando i piedi per terra (le sue pupille verticali si sono ridotte a due fessure perché lui è Catman! Aiolia so dire le stupidaggini!); Kanon aprì la mascella talché dire che arrivava al pavimento non fosse più un’iperbole; Shaka…

Beh, Shaka pensava.

Pensava a quant’era bella la vita, perché un uomo nasce ingenuo, vive imparando e muore istruito, e in tutto questo tempo ama, odia, si ferisce, sorride, piange facendo tesoro delle sue esperienze. Forse era lui “sbagliato”, perché cercava di non mostrare agli altri le sue emozioni, o forse era semplicemente troppo distaccato per permettere un’analisi più dettagliata del suo carattere.

Pensava e pensava e pensava, e i suoi occhi diventavano così vuoti da apparire sotto ipnosi.

Pensava e pensava e pensava, e qualcuno urlò di nuovo.

Kanon si portò entrambi le mani alla bocca, rosso il viso: trattenere le risatine fu difficilmente inutile. Persino Camus parve vagamente imbarazzato, sebbene il viso fosse indifferente come sempre e l’unico dettaglio fuori posto fosse il respiro più accelerato.

Shaka, piamente, congiunse le mani.

«Faremmo bene ad allontanarci.» osservò. «Subito.»

AAAAHHHH.

AAAAHHHH.

«È Mu.» bisbigliò Kanon, indietreggiando. Distratto, sbatté contro un mobile e fece cadere due telecomandi, così il televisore della stanza si accese all’improvviso. «Quattro urli così sono da premio Oscar. Io… Aldebaran è prestante, sì, ma io non…»

“… capisco che diavolo sta facendo a Mu per farlo urlare come un agnellino.” il pensiero era intuibile.

«Neanche io.» concordò freddamente Camus.

Shaka non si lasciò trasportare dal discorso. Ripeté: «Andiamo via.»

Aveva ancora la bocca semiaperta quando il grido più intenso di tutti, d’una limpidezza troppo esagerata per appartenere ad una voce umana, d’una lunghezza esorbitante da infrangere ogni guinness mai registrato, sorprese il gruppo.

Cinque. Dieci. Quindici Secondi. E non solo: venti, trenta. Un minuto.

Kanon rimase a bocca aperta. Per aspera ad astra sarebbe divenuto da allora il suo motto, ah… per arrivare alle stelle occorrono molte difficoltà! I Romani lo sapevano già, che gran simpaticoni! E dai Romani di Kanon si passa all’Hector di Camus, che poteva passare per poema o melodramma (Questa è la storia di un uomo omofobo / ignaro di Mu e delle sue grida, strano / imparar dovrà per divenir probo / che ognuno è come il bifronte Giano), o semplicemente come pensiero sconnesso e sconclusionato.

Shaka fu il primo a riprendersi. Raccolse i telecomandi da terra e iniziò a premere i tasti per spegnere la TV e scappare da quella casa di perdizione.

Gli altri due furono invasi dallo stesso sentimento: gli si accalcarono vicino e schiacciarono più pulsanti che poterono, bisbigliandosi solide frasi di unione quali “maledetto cane danese”, “muori televisore, muori”, “vi proibisco di metter piede in casa mia da oggi”.

«Perché non si spegne?!» esclamò Kanon, visibilmente agitato.

«Mi andresti a prendere dell’acqua, Mu?» la voce proveniva dal piano di sopra.

«Certamente.» rispose quello.

Mentre i tre smanettavano ancora sui telecomandi (Camus era arrivato a sbatterne uno sul petto di Kanon), Mu iniziò a scendere le scale. Ancora qualche passo e li avrebbe visti, se non…

Se non si fosse immobilizzato.

«Questo telecomando dev’essere del videoregistratore!» osservò Kanon, premendo play.

… e Mu tornò a scendere le scale.

«Fa lo stesso.» sibilò Camus, e schiacciò caparbiamente il tasto rewind.

… e Mu camminò all’indietro.

«Questo non funziona, sciocchi!» s’intromise Shaka, togliendo il telecomando sbagliato dalle loro mani. Nell’azione, premette più tasti contemporaneamente: si udì un frastuono provenire dalle scale, perché Mu era rotolato per terra.

Fuggire dalla finestra divenne un’amorevole abitudine.

 

Aiolia sgattaiolò ad una riunione speciale del club dei seme verso le nove di sera. Dopo aver accertato che Shaka fosse in perfetta salute (a parte una forte emicrania che secondo lui era solo una scusa, tsk!), aveva deciso di accettare l’invito del fratello.

“Sì… buona idea! Oh, d’accordo… non fa nulla, fratellone! Che bello, vengo subito!” trillava tutto felice al telefono, mentre Shaka lo inceneriva con lo sguardo. “Davvero parlerete anche del mio libro? Che bello!”

Così si ritrovò seduto tutto gongolante su un divano accanto a Rhadamantys, che sorseggiava una tazza di tè nonostante l’orario e annuiva composto alle parole degli altri presenti. Poco dopo avrebbe parlato proprio lui in merito al racconto inedito di Aiolia, che era stato letto in apertura di assemblea dal fratello Aiolos.

«… mi ha toccato profondamente. Complimenti Aiolia!» sorrise Aldebaran, applaudendo, e con lui gli altri presenti. Solo un uomo non applaudì, ostinato, perseverando a giocare con il cellulare: Kanon. Rhadamantys, che lo aveva di fronte, gli diede un colpetto sul piede per smuoverlo, ma fu inutile.

Quel giorno Kanon aveva esagerato. Fiduciosamente, il critico l’aveva mandato a casa di Aiolia per recapitare UNA lettera, sperando che sarebbe tornato in breve tempo sano e salvo. E invece gli si era ripresentato sporco di terriccio e bava, con una scusa che lasciava molto a desiderare: “Rhada, hai presente quella lettera, sì… quella che dovevo dare allo scrittore scemo? Purtroppo sono stato rapito dagli alieni, che mi hanno denudato e ripetutamente stuprato sulla loro astronave! Io però non volevo, credimi, ti sono stato fedele fino all’ultimo! Ecco, ricapitolando… in questo tafferuglio la lettera è caduta sotto il freno a mano della loro astronave e non ho potuto consegnarla.”

Really?” aveva chiesto Rhadamantys, chiudendo biecamente un libro.

“Sì.” il bello era che il viso di Kanon appariva sincero. Roba da matti. “Erano alieni di razza grigia.”

«Prego, Lord Rhadamantys.» disse allora Aiolos, dandogli l’opportunità di parlare.

Il critico posò elegantemente la tazzina sul tavolino, alzandosi in piedi e approfittandone per togliere dalle mani di Kanon il cellulare. Ignorò i suoi lamenti contrariati.

«Grazie. Ho avuto modo di leggere questo racconto con più attenzione e il mio primo pensiero ha riguardato la notevole scorrevolezza dello stile dell’autore. Fa uso di accorgimenti ed espedienti con grande abilità.» commentò subito, le orecchie di Aiolia tese e interessate – nonché tronfie. «Complimenti.»

Aiolos applaudì, orgoglioso.

«Splendido anche l’inserimento di citazioni poetiche.»

L’applauso aumentò, Aiolia abbassò lo sguardo mentre avvampava di un rosso fiammante.

«Il riferimento a Baudelaire era sublime.»

Nel rumore generale rimbombò uno strano “buuuu”. Rhadamantys sgranò gli occhi.

«A me non è piaciuto, l’ho trovato fuori luogo.» replicò Kanon, risoluto. Al contrario di quanto si aspettava il critico, il commento del fidanzato non sembrava dettato dalla stupidità. Aiolia sobbalzò.

«Parla pure, Kanon.» fece Aiolos, gettando un’occhiata perplessa al Lord e al fratello.

«Non ho capito perché ha inserito quel riferimento.» Kanon accavallò le gambe, alzando il mento. «In questo modo ha enfatizzato un concetto già troppo evidente e l’ha reso quasi fastidioso, mentre nel resto del racconto è pressoché assente.»

… perché Kanon era come una spugna: ogni cosa che ascoltava finiva nella sua cultura.

E il mestiere di Rhadamantys non faceva eccezione.

«Questo è ciò che penso, perdonate la franchezza.» concluse. Rhadamantys rimase immobile a fissarlo, incerto se elogiarlo per il commento o trucidarlo per averlo fatto apparire ingenuo; ad Aiolia si spezzò il cuoricino, già abbastanza provato, e persino Aiolos tentennò sul da farsi.

Fu un gruppo di uomini in silenzio ciò che due occhi azzurri scorsero dalla finestra, saettando rapidi sui presenti. C’erano tutti, sì… Kanon, Aiolos, Aiolia, Milo, Rhadamantys, Death Mask, Shura, qualcuno che non conosceva… mancava Doko: evidentemente lui e Sion erano già tornati nella loro città. Molto bene.

Il misterioso scrutatore si allontanò dalla finestra del pianterreno e s’aggrappò al sostegno su cui si abbarbicava una bella pianta di edera: sembrava abbastanza forte per sorreggere 68 chilogrammi di persona.

Shaka si compativa.

Introdursi in case altrui per far luce sulla vicenda di Aphrodite era qualcosa che non avrebbe mai immaginato. Mai. Mai mai mai. Quando viveva a Chicago era più sereno, cielo, mille volte più sereno nonostante il fardello dei bambini urlanti. Riusciva persino ad essere orgoglioso e a volte superbo, mpf, i vecchi tempi!

Si spostò su un cornicione. Era abbastanza largo per camminarvi sopra e il suo amore per lo yoga gli permetteva di essere sia agile sia cauto mentre lo percorreva affidandosi al suo provvidenziale equilibrio. Aveva adocchiato una finestra semiaperta: la schiuse ancora, infilò una gamba e si lasciò cadere dentro.

Il suo piano prevedeva tre importanti parti. Primo, origliare la riunione dei seme e carpire informazioni utili. Secondo, controllare nello studio di Aiolos se vi fossero attestati di primo soccorso o specializzazioni in robotica (che diamine aveva fatto ad Aphrodite, insomma?). Terzo, cercare varie ed eventuali.

Il tutto senza farsi scoprire né dai seme, né da Saga, che probabilmente era al piano superiore.

Così, quando Shaka entrò nella stanza, reputò un ottimo segno il fatto che quello dormisse beatamente davanti a lui. Con passi felpati, costeggiò il letto e s’avviò alla porta.

«Los, mh… mi fai i grattini?»

Shaka sobbalzò dalla testa ai piedi. Si fermò all’improvviso e il suo cuore perse un battito quando Saga, voltandosi di scatto, bloccò la mano che teneva più vicina al letto.

«I grattini…»

Saga si tirò la mano di Shaka sul collo e sospirò contento non appena avvertì la pressione delicata delle unghie. Il buddista benedì l’oscurità totale… e maledisse la propria mano, costretta ad assecondare le voglie di Saga. Lentamente rarefece i grattini (non li faccio neppure ad Aiolia, maledizione!)… con l’altra mano rimboccò le coperte (che… che…)… zompò – letteralmente – alla porta.

Lasciata la stanza da letto con un sospiro di commozione, avanzò lungo il corridoio con le spalle alle pareti. Non vedeva assolutamente nulla. Solo un debole bagliore proveniva dalle scale, ma non poteva fare passi azzardati in quella casa – la casa del sindaco, tra l’altro.

E poi, tutto s’eclissò in un mondo di luce: le lampade del corridoio erano state accese. Shaka si voltò e saltò per tornare nella camera in cui dormiva Saga, ma una mano lo bloccò al polso. Per lui era finita. Sarebbe morto in prigione. Avrebbe passato il resto dei suoi giorni maledicendo Yaoi City.

«Che ci fai qui?» esclamò una voce molto conosciuta. «Se ti scoprono si arrabbiano, sai?»

Per una volta, la presenza di Kanon non indicava sciagura. Shaka ne fu quasi felice!

«devo sapere delle cose.» bisbigliò. «Non osare dire di me agli altri.»

Kanon alzò le spalle. «Non vedo perché dovrei, sto andando al bagno. Piuttosto… Aiolia e Milo stavano tornando a casa. Aiolia dev’essersi dispiaciuto per il mio commento…»

Shaka sgranò gli occhi. A casa?! Dove si sarebbe dovuto trovare? Se Aiolia non l’avesse visto nel letto avrebbe… avrebbe… avvertito la polizia era poco.

«Torna di sotto e bloccali!» soffiò spingendo Kanon verso le scale. Il povero gemello scivolò per un paio di gradini prima di voltarsi per spiegazioni, ma quando poté farlo non vide altro che una porta socchiudersi. Certa gente! Invece di ascoltarlo, andò in bagno.

In camera Saga volle di nuovo i grattini, ma Shaka ignorò vistosamente le suppliche dell’uomo. Uscì dalla finestra, si gettò sull’albero vicino (temeva che sui sostegni potesse esser visto) facendo ricorso a tutta la sua agilità e si calò a terra da un ramo. Solo allora si rese conto che aveva rischiato la vita.

Mentre correva svelto oltre il giardino della casa, notò che Aiolia e Milo si stavano avvicinando all’auto di quest’ultimo. Calcolò col cuore in gola quale velocità dovesse tenere per precederli: 100 chilometri orari.

Buddha, perché?!

Scavalcò una recinzione e finì sui nani da giardino di qualcuno. Che usanza barbara! Il ginocchio pulsò di dolore… il primo livido era dovuto ai nani, non alla scalata di una casa o al salto su un albero! Ridicolo!

Continuò a correre, era sudato come un pulcino. Urtò i panni stesi in un altro giardino, e mentre si districava da mutande e canottiere vide con la coda dell’occhio la macchina di Aiolia e Milo superarlo. No! No! Non poteva succedere!

C’era solo un modo per bloccarli. Lo attuò con un sangue freddo impareggiabile.

Non appena l’auto rallentò per un incrocio, Shaka vi corse dietro e aprì il portabagagli, rotolando subito dopo sul marciapiede opposto. Rotolando, sì, gettandosi a terra e lasciandosi trasportare dalle curve del terreno, cercando di non farsi scorgere dai due perplessi uomini che erano scesi dall’auto.

Si rialzò, i capelli ingarbugliati, la maglietta infradiciata – era finito anche in una pozza d’acqua; riprese a correre, ormai vicino a Manga Street, saltò un’altra staccionata: eccolo nel suo giardino.

Entrò a casa dal retro quando ormai l’auto si fermava all’ingresso principale, lasciando scendere Aiolia, e salì i gradini sentendo la porta di casa chiudersi.

Non c’era tempo per darsi una pulita, non c’era tempo per infilarsi una parvenza di pigiama! Al buio si sfilò la maglietta, la lanciò nel bagno, scalciò le scarpe di ginnastica sporche dietro una porta – Aiolia faceva tap, tap, tap sulle scale.

Chiuse la porta della camera e si gettò sul letto. Troppo tardi… Aiolia entrò.

Un po’ abbattuto per l’osservazione di Kanon, ma ciò nonostante grato per la critica, scorse la figura di Shaka in ginocchio sul letto, illuminata dalla luce della Luna piena. Pensava che fosse già addormentato, e invece era stato così premuroso da aspettarlo. Accese la luce.

La spense.

La riaccese.

Shaka aveva i capelli completamente spettinati, era a torso nudo e indossava un paio di jeans aperti. Cosa più importante, stava per spiccare un balzo dal letto.

Prima di essere aggredito da un voglioso Shaka (che in realtà si stava solo salvando la pelle), ebbe il tempo di dire: «Sono andato via un po’ prima…»

Poi, la bestia che era in lui ruggì. Povero Shaka.

 

Kanon tornò al pianterreno dopo esser stato in bagno e aver infastidito Saga nel sonno. Voleva i grattini, il bell’addormentato: per tutta risposta il gemello gli aveva puntato la sveglia alle tre di notte. Dimostrazione di affetto.

Ma, aprendo la porta del soggiorno in cui prima tutti si trovavano, non vide più nessuno. Il tè che Rhadamantys stava bevendo era ancora sul tavolo, il racconto di Aiolia sparpagliato sulle sedie… si spostò nei corridoi del pianterreno, chiedendosi se tutti se ne fossero andati via senza avvertirlo. Sbirciò fuori dalla finestra: le macchine tuttavia erano ancora lì, Mercedes di Rhadamantys compresa.

Notò che le luci dell’atrio erano accese. Percorse l’intero corridoio sospettoso, immaginando che da un momento all’altro i presenti sarebbero potuti sbucare fuori per spaventarlo: tsk, che stupidi, Kanon non era tipo da gridare terrorizzato per una sorpresa.

Nell’atrio c’era solo Rhadamantys, ma gli dava le spalle. Guardandosi intorno, Kanon lo raggiunse e gli pose una mano sulla spalla.

«Dove sono andati gli altri?» chiese.

Rhadamantys non rispose. Teneva il capo chino.

«Rhada?» lo chiamò. «Tutto bene?»

«Kanon, fratellino. Cosa ci facevi nella mia camera?»

Kanon sobbalzò e si voltò. Sul corridoio era comparso Saga, a braccia conserte ed espressione indecifrabile. Non gli sembrò neppure di riconoscerlo, tant’era strano il sorriso che gli percorreva il viso.

«Uno scherzo, no?» rise spavaldo Kanon, tentando di alleggerire la situazione. La casa era terribilmente silenziosa e Rhadamantys, dandogli le spalle, non faceva che accrescere la sua inquietudine.

«In effetti tu, Kanon, sei sempre stato propenso per un comportamento più sfacciato e arrogante rispetto a Saga.» la voce di Aiolos arrivò da un altro corridoio, diametralmente opposto a quello dov’era l’altro gemello. «Per nulla adatto ad un uke.»

Kanon si accorse di essere stato accerchiato. Sulla porta d’ingresso s’erano disposti Aldebaran e gli altri che poco prima si trovavano alla riunione, mentre Aiolos e Saga bloccavano il passaggio ai corridoi. E, purtroppo, alle spalle aveva una parete.

«Cos’è, una vendetta? D’accordo, sono stato maleducato.» ammise avvicinandosi a Rhadamantys. «Rhada, non c’era bisogno di organizzare tutta questa farsa…»

Aiolos si avvicinò velocemente a Kanon, fronteggiandolo. I suoi occhi solitamente limpidi apparivano minacciosi.

«Allontanati.» sibilò Kanon, afferrando il braccio del fidanzato. «Noi ce ne andiamo.»

«Mi dispiace, fratellino… non puoi ancora andartene.» sogghignò Saga, appoggiandosi allo stipite della porta. «Tra qualche minuto, forse sì.»

Kanon stava per voltare a forza Rhadamantys, quando una mano di Aiolos si portò rapidissima sulla sua nuca. Fu un istante, fu solo una lieve pressione: la vista gli si appannò e le gambe cedettero. Se fosse stato cosciente, si sarebbe accorto che Rhadamantys lo aveva afferrato prima che rovinasse a terra, con un’espressione al limite tra il rammaricato e l’impassibile.

 

Shaka si passò un dito sul braccio latteo. All’altezza dell’incavo del gomito c’era l’impronta di un morso in rosa più scuro, e ce n’era un altro un po’ più su… e un altro ancora sul polso. Tutto ciò indicava con vivida precisione cos’era successo quella notte per terra, sul letto, sul muro.

E poi di nuovo sul letto.

Andare a casa di Aiolos era stata una pessima idea. Non aveva avuto il tempo di scoprire alcunché e, purtroppo, era stata la causa di quella notte ai confini della follia.

Un cuscino si era sbrindellato e pulire la stanza da tutte le piume era stata un’impresa titanica. Per non parlare di un comodino, che si era rovesciato, e di un quadro che era caduto per terra, col vetro infranto sul tappeto pregiato.

Così s’era rifugiato sotto il suo gazebo, infilando il naso in un libro che non sapeva neppure di possedere e sorseggiando dell’infuso in evidente stato di shock. Poco dopo, Camus s’era avvicinato dal proprio giardino e silenziosamente aveva preso posto accanto a lui, con i soliti libri per studiare.

E la fatidica domanda: «Shaka, ti sei fatto male al braccio?»

«Una reazione allergica.» rispose abbassando il dito. «Una nuova qualità di pomodori.»

«Capisco.» replicò Camus, poco convinto.

Tornarono ognuno ai propri libri. Milo, intanto, aveva preso delle cesoie e stava rifinendo alcuni cespugli nel proprio giardino, mentre di Aiolia non si avevano tracce – dormiva.

«Volete pranzare da noi?» domandò ancora Camus.

«Volentieri.» Shaka sfogliò il libro. «Se Aiolia si svegliasse, accetterei volentieri.»

«Buongiorno, Aiolia è in casa?»

Camus alzò per primo lo sguardo. Sul vialetto, un uomo biondo e vestito elegantemente attendeva una risposta con compostezza e pazienza. Anche Shaka lo guardò, riconoscendo nella figura raffinata… nientemeno che l’uomo a cui aveva fatto i grattini. Prese un respiro.

«Signor Saga, temo che Aiolia sia ancora addormentato.» lo informò, lasciando il proprio libro sulla sedia e raggiungendolo. «Posso esserle utile?»

Il gemello sistemò il colletto della camicia, che s’era inavvertitamente piegato durante la camminata, e scosse la testa.

«No, non sono Saga.» sorrise. «Riconoscermi è così difficile, miei cari amici uke?»

E sia Shaka sia Camus sgranarono gli occhi.

«Io sono Kanon.» specificò.

La sua voce era priva dell’accento provinciale che l’aveva sempre contraddistinta. I suoi abiti erano eleganti e belli a vedersi. E infine…

«Chiedo venia, forse arrivo in un momento inopportuno. Passo più tardi, scusatemi ancora.» salutò allontanandosi.

… il suo atteggiamento era mostruosamente cortese.

Il libro che Camus reggeva cadde a terra.

 

 

 

 

Aiolos ha la fissa del collo. Ops.

Zamina. Ecco perché mi serviva il nome di un cane, ricordi? XD Fuffi! Mamma posso portare anche Fuffi? Fuffiiii! *cade*

Sakura2480. Ciao! Eh sì povero Shaka… e dire che le disgrazie per lui non sono ancora finite! XD

Cry_chan. Aphrodite è sconcertante, sì, ma mai quanto Kanon composto come un Lord. Shaka ha visto cose tremende nella sua vita. XD

Regina di Picche. Dhdjsjajbwsjawbj ejjwb sjjwb hai visto come Kanon tratta Aiolia, eh? Lui sì che è bravo edieheownei ejuebejowb!!! <3

Ricklee. Grazie mille cara! Continua a seguire, non te ne pentirai XD

Fra76. Shura? Eh eh… chi lo sa… ma presto tornerà con un ruolo importante! ;)

Sagitta72. Grazie! Camus è così adorabile <3 non è affatto freddo, gh. È tanto buono e polpettoso (?)

Spero di aver scritto qualcosa di comprensibile, qua sopra. Ma è difficile.

A presto,

Gem!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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