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Autore: Silice    22/12/2009    3 recensioni
Una gita, una missione. I loro destini si incrociano. Un’avventura per entrambi, lei trascinata in un mondo misterioso e sconosciuto, lui nell’universo degli adolescenti. Riusciranno a uscire indenni da questa avventura? Ma soprattutto, i loro destini rimarranno legati? La guardò negli occhi. “Ti odierò per sempre” Silenzio. “Anch’io"
Genere: Romantico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eccomi di nuovo qua, con un capitolo non molto lungo, ma mi auto perdono per questo, dal momento che l’ho scritto in un giorno… il titolo (tratto da una celeberrima canzone dei Muse) mi è stato dedicato da G., al quale io invece dedico il capitolo, interamente ispirato da lui e dalle sue perle di saggezza. Grazie.

UNNATURAL SELECTION

Elinor stava congelando. Milla, accanto a lei, camminava più in fretta che poteva, facendo attenzione a non scivolare. Lily non sapeva con precisione dove fossero. Molto probabilmente sul tetto, ma riusciva a intravvedere solo la sfocata sagoma di Giova fra l’oscurità e la pioggia. Voleva urlare, scappare, tornare indietro, ma aveva paura. L’aveva vista. Aveva visto quella pistola, quell’arma, sotto la giacca dell’uomo gigantesco. Se anche avesse voluto, non sarebbe riuscita a fuggire. E in quel momento non riusciva neanche più a pensare: le sue gambe, intorpidite, si muovevano da sole fra gli schizzi delle pozzanghere, e non sentiva più il resto del corpo, sconvolta dal turbinio di emozioni e da quel fragore assordante… “Fragore?” si chiese, formulando il primo pensiero compiuto da quando avevano lasciato la camera. Alzò lo sguardo da terra, e solo allora si rese conto che erano di fronte a qualcosa di grande, luminoso e che emetteva un rumore assordante.
“Elicottero” disse, anche se nessuno poteva sentirla.
Quando si avvicinarono ulteriormente, si rese conto dello sbaglio. Quella “cosa” assomigliava molto di più a un aereo, solo più piccolo. Prima che se ne accorgesse, si ritrovò sul pavimento ghiacciato dell’aereo, senza sapere bene come c’era arrivata. Tutto le sembrava così sfocato e confuso… avvertiva accanto a lei la presenza degli altri, atterriti e muti quanto lei.
Ci stanno portando via” realizzò. Si alzò in piedi di scatto, e avanzò verso il portellone ancora aperto, ma non ci arrivò. Una mano le afferrò la spalla, e la sbattè violentemente indietro, continuando a trattenerla. Lei provò a dimenarsi, ma senza successo: chiunque la stesse bloccando, probabilmente l’uomo, era dotato di una forza molto superiore alla sua.
Il portellone si chiuse, e Elinor capì che stavano decollando. Questo le tolse ogni forza, e si accasciò inerme addosso a una parete. Cosa diamine stava succedendo? Dove li stavano portando? Perché?
Fu soltanto dopo qualche minuto che sia accorse che Ari, raggomitolata di fianco a lei, stava singhiozzando. Elinor posò una mano su quella dell’amica, che però sembrò non accorgersene. Si guardò attorno. L’ambiente, che salendo aveva creduto grigio, freddo e angusto, era invece ampio e dotato di tre file di poltroncine beige e di altrettanti tavolini. Sembrava più un aereo di lusso che un mezzo di rapitori. I sette ragazzi, soli, si trovavano nella parte anteriore, davanti al corridoio, vicino alla cabina del pilota, ed erano illuminati dalle fioche luci del soffitto, che creavano un’atmosfera calda e accogliente, in contrasto con l’intera situazione. Elinor guardò l’amica, che aveva smesso di singhiozzare, e fissava la parete con gli occhi sbarrati. Lily fece un cenno a Giova, che capì, e senza dire una parola l’aiutò a far sedere la ragazza su una delle poltroncine. Pian piano tutti quanti si sedettero, e dall’ammutolimento causato dallo spavento, passarono a una fase di smarrimento e pianto. Solo Giova e Elinor sembravano presi da una muta disperazione: la ragazza, osservando dal finestrino, sperava di scorgere qualche segnale che potesse svelare la loro direzione, ma non riusciva a vedere nient’altro che buio.
“Qualcuno ha il cellulare?” bisbigliò. Tutti fecero di no con il capo, tranne Luca, che si mise a frugare nelle sue tasche. Finalmente lo trovò, e stava per passarlo a Elinor quando la porta della cabina si aprì. Il gelo e il silenzio più assoluto scesero fra i ragazzi. L’uomo alto, vestito di nero, afferrò il cellulare dalle mani di Liuc, e senza dire una parola tornò nella cabina e chiuse la porta dietro di sé. Sissi non si trattenne oltre. Si alzò e, con tutta la forza che una sedicenne alta un metro e sessanta poteva avere, si mise a picchiare la porta della cabina.
“Bastardi! Lasciateci andare!” iniziò a tirare anche calci “Vi prenderanno! La polizia, vi prenderà, e allora ve la faranno pagare! Lasciateci subito!”
Elinor sapeva che ciò non sarebbe servito a nulla, ma Sissi non accennò a calmarsi, anzi, continuò, fra insulti e minacce, a picchiare la porta con sempre più violenza. Proprio quando Elinor avrebbe detto che stava per cedere, la porta si aprì. Ne uscì l’omone, e Sissi, di fronte a tanta imponenza, ammutolì.
“Non vogliamo farvi del male.” Cominciò l’uomo, anche se l’aspetto diceva il contrario. “Non fate domande e non cercate di fuggire. In questo modo uscirete da questa situazione molto presto”. Le sue parole, in italiano, suonavano molto meno fluide di quelle del ragazzo, e l’accento, secondo Elinor, era sicuramente anglosassone.
“Ma che sta succedendo? Cosa volete da noi?”
Il gigante guardò Sissi che si era inconsciamente messa a parlare. “Non chiedete nulla.” disse con voce ferma, e si voltò per andarsene.
“La prego.”
L’uomo si fermò inspiegabilmente, e si voltò lento, posando lo sguardo su Ari, che, pallida come un cencio, si era alzata appoggiandosi a un tavolino.
“La scongiuro. Non fateci del male.” La voce della ragazza, flebile, fu rotta dal pianto. Fu in quel momento che Arianna levò lo sguardo verso l’uomo: Elinor pensò che nessuno sarebbe potuto rimanere indifferente a tanta bellezza e fragilità.
“Nessuno vi farà del male.” Elinor avrebbe giurato di aver scorto un’ombra di pietà negli occhi del gigante, che infatti continuò: “Non abbiate paura. Arriveremo presto.”
Mentre aiutava Ari a sedersi, la mente di Elinor lavorava frenetica: dove stavano andando? E cosa voleva dire presto? Erano in viaggio da un’ora, ne era quasi certa. La destinazione poteva essere una qualsiasi…
Proprio mentre stava ragionando, la porta si aprì di nuovo: ne uscì l’uomo, che portava con sé un vassoio, cosa che sbalordì ulteriormente Elinor. Posò con cura delle tazze fumanti davanti a ognuno di loro, poi posò il vassoio e si diresse verso un armadietto, dal quale tirò fuori alcune coperte, che posò su un sedile vuoto.
“Bevete. È tè.” Elinor non era l’unica a essere rimasta senza parole per il comportamento tanto gentile del gigante, tanto che nessuno osò allungare una la mano per prendere una tazza.
“Forza. Vi farà bene.” Continuò lui, addolcendo ulteriormente i modi. “E’ caldo” aggiunse, prendendo in mano una tazza. “E non c’è veleno.” E, a mo’ di conferma, ne bevve un sorso.
In quello stesso istante si aprì per la quarta volta  la porta, ma questa volta ne uscì il ragazzo. Si era cambiato: non indossava più la camicia, ma un maglione blu e dei jeans, e il suo viso non sembrava né sconvolto né spaventato, ma concentrato e freddo.
“Ma si può sapere cosa…” iniziò in inglese, ma si bloccò subito, quasi stupito dal suo stesso palese errore. Il suo sguardo incrociò quello di Elinor. Era evidente che si stava chiedendo se la ragazza aveva notato il repentino cambiamento di lingua, ma Lily spostò subito lo sguardo sui suoi piedi, facendo finta di nulla. Il ragazzo si concentrò dunque sulle tazze fumanti e sulle coperte, gettando poi all’uomo un’occhiata interrogativa.
“La prego signore.” sussurrò Arianna “La prego, lasciateci andare.” Al che emise un debole gemito e si accasciò sulla poltrona, piangendo. Senza dire una parola, Elinor si avvicinò all’amica, le avvolse una coperta attorno al corpo e le avvicinò alle labbra una tazza fumante, scostandole una ciocca dalla fronte. Vedere Ari così dolorante era un colpo al cuore per Elinor, che non poteva smettere di pensare che era tutta colpa sua. Era lei che aveva messo i suoi amici in pericolo, diretti chi sa dove, facendo preoccupare tutti quelli rimasti a terra. Era tutta colpa sua. Aveva offerto aiuto e dato fiducia a un ragazzo che li aveva rapiti e che ora li stava fissando gelido, senza dire una parola. Ma perché, perché si era fidata? E ora Ari, la sua migliore amica, la bellissima, altera Arianna stava piangendo, e tutto per colpa sua.
Sollevò gli occhi, e incontrò quelli del loro rapitore, che stranamente stava fissando lei, invece di guardare Ari.
Elinor non tentò nemmeno di nascondere nel suo sguardo tutto l’odio che provava per lui.
  
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