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Autore: _ayachan_    25/12/2009    15 recensioni
A cinque anni dalle vicende de "Il Peggior Ninja del Villaggio della Foglia", che ne è stato delle promesse, dei desideri e delle recriminazioni dei giovani protagonisti?
Non si sono spenti con l'aumentare dell'età. Sono rimasti sotto la cenere, al caldo, a riposare fino al giorno più opportuno. E quando la minaccia è che la guida scompaia, quando tutt'a un tratto le scelte sono solo loro, quando le indicazioni spariscono e resta soltanto il bivio, è allora che viene fuori il carattere di ognuno.
Qualunque esso sia.
Versione riveduta e corretta. Gennaio 2016
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'eroe della profezia'
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Penne 33
04/05/2016

Capitolo trentatreesimo

La Volpe e l'Eremita
(seconda parte)




Lo sapevo, lo sapevo, l'ho sempre saputo...
Hitoshi attraversò di corsa un cespuglio pieno di spine, e sentì una miriade di taglietti aprirsi lungo le braccia. Aveva il fiato corto, il cuore che batteva veloce, lo stomaco che si contraeva per la vergogna.
Come ci era riuscito, di nuovo? Come era riuscito a deludere per l'ennesima volta suo padre, dopo tutta l'aspettativa che aveva creato? Ma quale sharingan, quale pedigree, quale conquista... Era il fallito di sempre, e in più rischiava di mandare all'aria tutta la missione.
Le voci nella foresta risuonavano come un coro dissonante, così che era impossibile capire da dove provenissero. Hitoshi tentò di attivare lo sharingan per stanare i seguaci di Iida in fuga, ma ottenne solo una stilettata di dolore e la sensazione delle lacrime sugli zigomi. Si passò una mano sul viso per asciugarle; non vide la striscia di sangue che gli disegnarono sulle guance.
«Sharingan, eh?» esclamò Fugaku, balzando al suo fianco con occhi rossi e furiosi. «Hai voluto fare lo spaccone, e adesso per colpa tua li abbiamo lasciati fuggire. Mi fai pena! Anzi, no: mi fai schifo.»
«Tu dovevi restare con gli Anbu!» esclamò Hitoshi, sentendo la vergogna attanagliargli le viscere.
«Li ho portati qui. Perché con loro e il mio sharingan forse potremo combinare qualcosa...»
Uno shuriken sibilò accanto all'orecchio di Hitoshi, facendogli perdere la presa sul ramo. Cadde nei cespugli sottostanti, riempendosi la bocca di foglie e insetti, e alla fine sbatté malamente contro il terreno. Il polso gli rimandò segnali di sofferenza. Il suo primo istinto fu quello di rannicchiarsi per proteggersi.
«Non avresti dovuto tirartela tanto» disse Fugaku, atterrando accanto a lui. Voltò la testa, in attesa, e Hitoshi vide avanzare uno degli uomini mascherati di Iida. Fugaku tornò a guardare il fratello, senza muoversi per allontanare il nemico. Si chinò, gli tamburellò sulla fronte, come aveva sempre fatto mamma. «Dirò a papà che hai fatto del tuo meglio, ma non era proprio un avversario alla tua portata...»
Il ragazzino si scostò di poco, permettendo all'uomo mascherato di avvicinarsi. Hitoshi cercò di rialzarsi, ma aveva tutte le membra intorpidite. Fissò l'uomo, la maschera senza espressione, le mani e le armi. Un attimo prima che calassero su di lui, serrò le palpebre.
Non accadde nulla.
Hitoshi rimase immobile per alcuni secondi, in attesa. Quando il silenzio gli sembrò troppo strano riaprì un occhio e scoprì di essere solo, rannicchiato su un grande ramo. Tra le mani stringeva i lembi di un'ampia rete, alle cui estremità sapeva che c'erano Jiraya e Sasuke.
La missione, ricordò. Gli uomini della Radice. Ma certo, stavano per uscire dal passaggio... Doveva solo attivare lo sharingan e cogliere il momento opportuno.
Eccoli; con il suo nuovo potere li vide accalcarsi in un punto ben preciso nell'oscurità del sottobosco. Strinse convulsamente la rete tra le mani, e facendolo avvertì una scarica di dolore al centro della testa. Chiuse gli occhi, scosse il capo. Cercò di riattivare lo sharingan, ma ad ogni tentativo seguiva solo dolore, un dolore tremendo, e la cecità più completa. A un tratto sentì la rete che veniva strattonata e gli sfuggiva di mano, calando verso il basso.
Gli uomini che erano con Iida gridarono, ma erano già usciti, alcuni erano già tra i cespugli. Avevano sbagliato il tempismo; lui aveva sbagliato il tempismo.
Disperato, si tuffò verso il basso per cercare di fermare almeno qualcuno, ma l'oscurità gli sembrava sempre più fitta. Sentì lo sconforto emergere dalla disperazione, poi l'orrore, la delusione, la paura.
Lo sapevo, lo sapevo, l'ho sempre saputo..., si disse per la milionesima volta, intrappolato nel loop creato dalla sua stessa illusione.
E tutto ricominciò, sempre uguale.
Sempre fallimentare.

Kyuubi rimase ad osservare il ciclo alcune volte, nascosta tra le fronde di un albero. L'illusione di Hitoshi era acerba, imprecisa: le foglie erano soltanto abbozzate, le voci indistinte, il realismo assolutamente scadente; doveva essere molto sconvolto o molto inesperto per restare intrappolato in una costruzione così grossolana.
Comunque fosse, Naruto voleva che il ragazzo si svegliasse – anche se Kyuubi non ne vedeva l'utilità – e lei aveva acconsentito a provarci, a condizione di farlo da sola.
A Naruto aveva detto che era una precauzione per scongiurare il rischio che lui restasse intrappolato nell'illusione di Hitoshi, ma la verità era che doveva prendere alcune necessarie misure: il rin'negan era l'unica cosa che avesse potere su di lei, oltre al sigillo di Naruto; voleva capire fino a che punto il ragazzo degli Uchiha lo padroneggiasse, in che modo fosse legato all'Eremita delle Sei Vie e, infine, quanto fosse pericoloso per lei. Perché Naruto si era rivelato un buon compagno, certo, ma gli uomini non erano mai stati affidabili. Mai, in centinaia di anni.
Per fortuna sembrava che il rin'negan di Hitoshi fosse poco più di una farsa... anzi, non era nemmeno un vero rin'negan. Era più un abbozzo, un embrione di rin'negan misto allo sharingan. Praticamente un giocattolo.
Sorrise da sola, facendo guizzare la punta delle code.
Il ragazzino deve imparare subito qual è il suo posto.

Uno shuriken sibilò accanto all'orecchio di Hitoshi, facendogli perdere la presa sul ramo. Cadde nei cespugli sottostanti, riempendosi la bocca di foglie e insetti, e alla fine sbatté malamente contro il terreno. Il polso gli rimandò segnali di sofferenza. Il suo primo istinto fu quello di rannicchiarsi per proteggersi, ma appena prima che lo mettesse in pratica un'esplosione di luce lo costrinse a rotolare per difendere la vista dall'abbagliamento.
Tu dunque, essere miserabile, sei l'erede dell'Eremita delle Sei Vie?
Hitoshi boccheggiò, stordito, ma non riuscì ad aprire gli occhi.
«Chi sei?» ansimò, correndo con le mani alla ricerca dei kunai, inesistenti.
Io sono la tua salvezza.
La foresta scomparve con il rumore di un risucchio sibilante, avviluppando Fugaku, Iida, gli uomini della Radice, tutto quanto.
Hitoshi si ritrovò carponi su una superficie liscia, né fredda né calda. La luce accecante si ridusse a un bagliore, permettendogli di riaprire gli occhi.
Davanti a lui stava una figura, forse un gatto, o un procione... no, una volpe. Era enorme, alta almeno sei metri, avvolta da una calda luminosità aranciata. Con un attimo di ritardo Hitoshi si accorse che aveva più di una coda: ne aveva nove.
Una colata di freddo terrore gli piombò sulle spalle e corse lungo la schiena, paralizzandolo.
Aveva conosciuto la storia di Kyuubi quando aveva visto Naruto usare il suo chakra, durante gli scontri dei suoi dodici anni. All'inizio era stato difficile capire quale strana abilità possedesse il maestro, poi, aprendo gli archivi segreti della Polizia di Konoha, tutto era diventato chiaro.
Ora i ricordi di Naruto che combatteva, avvolto dal chakra di Kyuubi, si riversarono nella sua testa, confondendosi in un'unica macchia scarlatta.
Perché si trovava di fronte la Volpe? Cosa era successo? Dov'era Naruto?
Fai bene a temermi, disse Kyuubi con voce bassa e compiaciuta, leggendo la sua espressione. Se la scelta fosse stata mia, ti avrei lasciato nella tua illusione finché avessi cessato di respirare.
«Quale illusione?»
Kyuubi ruggì, esasperata da tanta stupidità. Hitoshi trasalì e si guardò intorno, scoprendo di essere immerso nel nulla per trecentosessanta gradi, circondato da oscurità. Allora capì. E, capendo, il terrore divenne vergogna.
«Come l'hai fermata?» chiese con un filo di voce.
Sei debole, inesperto. Una volta penetrata la tua mente, è stato facile guidarti.
«Che cosa è successo? Chi è l'Eremita... L'Eremita delle...?»
L'Eremita delle Sei Vie.
Kyuubi fece una pausa. Chi era l'Eremita? Il suo creatore, il suo mentore, suo padre... Era molto più di quanto desiderasse condividere con un ragazzino qualunque, per di più così indegno erede.
Studia, ignorante.
Hitoshi incassò la testa tra le spalle, in soggezione. Avrebbe voluto rispondere malamente, ma per la prima volta in vita sua non trovava il coraggio.
Kyuubi fece un mormorio basso, a metà tra un ringhio e delle fusa, e agitò le code nel vuoto.
Quando riaprirai gli occhi, cerca il vecchio sennin Jiraya. Lui ti condurrà alle risposte che puoi avere.
«Ma perché tu sei qui?»
Non chiedere più di quanto ti è concesso! Dalle code di Kyuubi si levò una fiammata di luce. I suoi occhi, scarlatti, erano una delle cose più spaventose che Hitoshi avesse mai visto. Hai un debito nei miei confronti, Hitoshi Uchiha. Ricordalo per sempre, lo ammonì.
Dopodiché, anche lei scomparve nell'oscurità.
Hitoshi rimase solo, scoprendosi piccolo e spaventato. Era come quando aveva paura del buio, da bambino. La stessa sensazione di freddo strisciante.
Attese che qualcosa gli segnalasse il risveglio, ma non accadde nulla. Nonostante l'intervento di Kyuubi non sembrava uscire dalla dimensione in cui era intrappolato.
Si guardò intorno, senza vedere niente. Dal suo corpo aveva origine una tenue luminosità che gli permetteva di vedere sé stesso, ma non c'era nient'altro da guardare.
Poi, la sua mano produsse il fantasma di una mano, che si staccò da lui come una foglia. L'altro braccio fece la stessa cosa, seguito dal tronco, le gambe, il capo. Una figura evanescente gli si parò davanti, la sua stessa sagoma priva di lineamenti.
Due linee si disegnarono dove sarebbero dovute essere le palpebre, una terza in mezzo alla fronte, e la figura aprì gli occhi; ma non erano occhi normali. Al posto dell'iride vi erano cerchi concentrici che ricoprivano l'intera cornea, di un grigio lattiginoso e vuoto. Hitoshi non conosceva quel segno, ma sapeva che non era sharingan né byakugan.
«E' bello conoscerti» disse il fantasma senza bocca, e la sua voce sembrò riecheggiare ovunque.
Hitoshi non disse niente, perché le risposte di Kyuubi erano ancora fresche nella sua memoria e aveva paura di sbagliare di nuovo.
«Io sono la memoria dell'Eremita delle Sei Vie» continuò allora l'ombra. «Dimoravo nel rin'negan che hai risvegliato. Ero in attesa del mio erede.»
«Io?» chiese Hitoshi cautamente.
«Tu.»
«Non vorrei suonare presuntuoso, ma... Come ho fatto?»
«Non hai fatto niente» gli occhi della Memoria dell'Eremita si assottigliarono come se sorridesse. «Era destino che le cose andassero così. Tutto è già stato scritto. Anche tu sei parte della profezia di Naruto.»
«La profezia di Naruto?»
«Quando ti sveglierai, chiedi al vecchio sennin Jiraya di farti leggere il suo libro. Allora capirai.»
Un altro che gli diceva di cercare Jiraya. Sembrava che il vecchio porco non fosse solo un vecchio porco, dopotutto.
«Perché non sono ancora sveglio?»
«Perché dovevo incontrarti, per metterti in guardia.»
Hitoshi drizzò le orecchie.
«Non fidarti di Kyuubi» continuò la Memoria dell'Eremita. «Non è malvagia come potrebbe essere un uomo, ma persegue sempre i suoi obiettivi. Per quanto io la ami, devo guardarla per quello che è.»
«Per quanto tu... lei... voi...» iniziò Hitoshi, ma si impappinò.
«Non è lei che ti ha risvegliato dall'illusione» lo interruppe la Memoria dell'Eremita, impedendogli di chiedere in che rapporti fosse con Kyuubi. «Avvicinandosi a te ha permesso a me di emergere. Non hai nessun debito nei suoi confronti. Quando verrà il momento, agisci con libertà.»
«Quale momento?»
«Non angustiarti adesso... Ci penserai a tempo debito.»
La Memoria dell'Eremita tese una mano verso il viso di Hitoshi, posando le dita sulle sue palpebre.
Hitoshi avvertì il suo tocco freddo, l'odore come di polvere e ghiaccio, poi l'aria che si insinuava nei suoi polmoni, espandendoli.
Prese un respiro profondo, e si svegliò.


Chiharu aprì gli occhi lentamente, sentendo nelle orecchie il bip-bip del cuore monitorato da una macchina.
Subito non capì dove fosse. Pensò di essere di nuovo a Suna, ma l'aria era troppo fresca. Allora pensò di essere a casa, ma il soffitto era troppo alto e la luce troppo intensa. Finalmente si decise a sollevarsi su un gomito per guardarsi intorno, e a quel punto, con una certa fatica, riconobbe l'ambiente ormai familiare dell'ospedale.
«Ciao. Come ti senti?» chiese una voce.
Chiharu voltò la testa, procurandosi un capogiro con i fiocchi. Chiuse e riaprì gli occhi, e al secondo tentativo davanti a lei comparve la faccia sconosciuta di una giovane donna.
«Mi viene da vomitare» rispose, la bocca impastata e amara. «Voglio dell'acqua.»
«Va bene. Fai piano, se ti sembra che torni su fermati subito...» la donna le porse un bicchiere, aiutandola a sollevare il braccio.
Chiharu si accorse con sgomento che quel semplice movimento le portava via buona parte delle energie. Il bicchiere sembrava pesantissimo, la stanza iniziò a vorticare quasi subito. Bevve un paio di sorsi, poi scosse la testa e si rimise coricata. Era sfinita.
«Vado a chiamare il medico» disse allora la donna, e quando si allontanò dal letto Chiharu vide che indossava l'uniforme delle infermiere.
«Devi vomitare?»
Chiharu girò di nuovo la testa. Questa volta la stanza vorticò meno velocemente, e subito si stabilizzò sulla faccia di Shikaku Nara, suo nonno, che la fissava preoccupato sporgendosi verso il letto.
«No» rispose lei. Allora, improvvisamente, ricordò che aveva proibito ai medici di informare delle sue condizioni la famiglia. «Perché sei qui?» scattò di colpo, il cuore a mille.
«Perché sei mia nipote?»
«No, cioè... Cosa ti hanno detto?»
«Nulla. Prognosi riservata.»
Chiharu si rilassò, richiudendo gli occhi per un istante. Niente panico. Le cose andavano meno peggio del previsto. «E papà?»
«Tuo padre ormai sarà arrivato a Suna. Non te l'hanno detto?»
«Per quella cosa di mamma?»
«A me ha spiegato vagamente che era una missione riguardo al coordinamento Sabbia-Fuoco... Ma non faccio fatica a credere che tua madre c'entri qualcosa» sogghignò Shikaku. Poi tornò serio. «Tu invece cos'hai combinato per arrivare a Konoha in questo stato?»
Prima che Chiharu potesse accampare qualche scusa la porta della camera si riaprì ed entrarono l'infermiera di prima e un medico di mezza età, completamente privo di capelli. Salutarono Shikaku stringendo un po' di mani, ma nel giro di un minuto gli chiesero di accomodarsi fuori per parlare da soli con Chiharu. Shikaku, nonostante la perplessità, tenne per sé le domande e uscì.
«Allora, come ti senti?» iniziò subito il medico.
«Mi gira la testa e mi viene da vomitare. Ma sono lucida e orientata e voglio che le notizie sulla mia salute restino solo tra me e voi.»
Medico e infermiera si scambiarono un'occhiata.
«Va bene» annuì lui. «Dovrai firmare alcune carte, per questo. Ma prima di farlo vorrei esporti la situazione completa, potresti cambiare idea.»
Chiharu serrò le labbra e non ribatté.
«Non credo che tu mi conosca» proseguì allora il medico, aprendo una cartellina che aveva portato con sé. «Il mio nome è Honmaru Senju, sono tra i collaboratori stretti di Sakura Uchiha. Ho avuto occasione di parlare con lei riguardo all'esito dei tuoi esami, e francamente il quadro è sconfortante.»
«Perché?» Chiharu si irrigidì.
«Non c'è un parametro che sia in ordine. Mi sono fatto mandare la cartella che ti hanno fatto a Suna, ma la situazione è anche peggiorata da allora. Quello che ci è stato riferito è che hai tentato un'evocazione troppo azzardata e il tuo fisico non ha retto. Confermi?»
Chiharu annuì, incerta. I suoi ricordi al riguardo erano molto confusi.
«A quanto ho capito» riprese il medico, «hai cercato di tamponare il tuo errore di valutazione recuperando chakra dall'evocazione... Ma mi dispiace informarti che non è stata un'idea brillante; il tuo sistema del chakra fa acqua da tutte le parti, usarlo per bilanciare la fisiologia è un azzardo enorme. Per fortuna era presente un ninja medico che è intervenuto in maniera corretta, ma questo non significa che non ci siano stati danni.»
«Gravi?»
«Temo di sì.»
Chiharu strinse il lenzuolo tra le dita per fermarne il tremore. L'unica cosa che ricordava bene di quella disgraziata evocazione era la voce dell'uccello nella sua testa e il dolore lancinante che l'aveva seguita.
«Anche l'ultima volta avevano detto una cosa del genere» tentò, scoprendo che la sua voce era roca e incerta.
«L'ultima volta eri in crescita. Adesso non hai più assi da giocarti» troncò il medico bruscamente. «Se vuoi arrivare ai vent'anni, devi chiudere con il mestiere di ninja.»
Chiharu spalancò la bocca, senza fiato.
Era la prima volta che glielo dicevano senza mezzi termini. Fino a quel momento le avevano sempre suggerito di non fare cose azzardate, di non esagerare, di riguardarsi... Non le avevano mai detto di smettere e basta.
Le fece male, molto più di quanto si aspettasse.
«Sicuramente ci sarà qualche medicina... Qualche nuovo trattamento... Se la cosa fosse stata così grave non sarei qui a parlarne!» annaspò, la testa ronzante per lo choc.
«Ringrazia il medico che ti ha soccorsa, per questo. Senza il suo intervento non saresti arrivata nemmeno in ospedale.»
Chiharu richiuse la bocca, raggelata. «Voglio parlare con Sakura Uchiha» disse dopo un momento, quasi a fatica.
«Non è disponibile. Attualmente è completamente assorbita da un altro incarico, io sono il medico che ti è stato assegnato.»
«Beh, non mi piaci!» ringhiò Chiharu di scatto.
Il medico fece un respiro profondo, passando la cartella clinica sotto il braccio. «Mi dispiace sentirtelo dire, perché con la crisi in corso sono l'unico medico a disposizione. Sono stato spostato al tuo caso invece di aiutare i miei colleghi perché sono quello che più di tutti se ne intende di chakra e cuore. Se ti dico che non ci sono alternative, non ce ne sono.»
Chiharu deglutì a vuoto un paio di volte. Meccanicamente si tirò su, tese la mano e prese il bicchiere mezzo pieno sul comodino, portandoselo alle labbra tremanti. Buttò giù un sorso, poi dovette abbassare il braccio.
«Voglio firmare le carte per tenere la cosa riservata» disse in tono metallico. «E voglio una copia della mia cartella e un altro consulto.»
Il medico si strinse nelle spalle. «Come vuoi. Ti farò avere tutto in giornata. Nel frattempo inizierai a seguire una terapia...»
Chiharu smise di ascoltare, concentrandosi sul battito del cuore nelle sue orecchie. Sembrava così placido, così innocuo, eppure minacciava di ucciderla ad ogni piccolo sforzo.
Aveva il sospetto che i Chakravakam avessero un ruolo non marginale nell'intera faccenda.
Si riscosse dalla sua trance quando sentì la porta richiudersi. Vide suo nonno riprendere posto sulla sedia accanto al letto, e solo allora capì che medico e infermiera se ne erano andati.
«Gente molto seria» commentò Shikaku, grattandosi la barba ingrigita. «Cosa ti hanno detto?»
«Stanno ancora aspettando il risultato di alcuni esami» mentì Chiharu automaticamente. «Per ora non si sbilanciano.»
Shikaku la scrutò a fondo, come avrebbe scrutato un avversario di shogi. Vide le nocche delle mani sbiancate nello sforzo di stringere le lenzuola, vide il pallore del viso, gli occhi sfuggenti, e fece due più due.
«Non hai intenzione di informare i tuoi genitori, a Suna?» chiese piano. Chiharu serrò le labbra. «Sei maggiorenne, puoi farlo. Ma un genitore ha il diritto di preoccuparsi per il figlio...»
«La preoccupazione di un nonno è già troppa» borbottò lei in risposta, passandosi una mano sulla fronte. «Sono molto stanca... Ti spiace se mi rimetto giù?»
«Fai pure, aspetto che ti addormenti.»
Chiharu scivolò meglio sotto le coperte e chiuse gli occhi, cercando di dare al suo respiro un ritmo lento e regolare. Mentre lo faceva ripercorse con la mente il momento in cui aveva evocato il Chakravakam, per capire dove aveva sbagliato, cosa era successo...
Pensava che Kakashi le avesse dato il via libera, a partire dalla missione di Loria. Pensava che questo significasse che era all'altezza, che non c'erano rischi... Si era sbagliata? O semplicemente aveva esagerato evocandolo mentre era già stanca?
Non lo sapeva. Non sapeva niente, né cosa era successo prima, né cosa sarebbe accaduto poi. Non voleva avvisare sua madre e suo padre perché non avrebbe saputo cosa dire: ho fallito? Sono una stupida? Tanto non avevo voglia di essere ninja? Non preoccupatevi, farò la studiosa...
Serrò le palpebre, rannicchiandosi con le ginocchia contro il petto. Sentì le lacrime premere per uscire, calde e bagnate, ma concentrò tutti i suoi sforzi nell'impedirsi di singhiozzare. Non voleva che suo nonno capisse.
Se vuoi arrivare ai vent'anni, devi chiudere con il mestiere di ninja.


La prima cosa che vide Hitoshi aprendo gli occhi fu la faccia enorme di Naruto, praticamente a dieci centimetri dalla sua.
«Checcaz...» iniziò, riuscendo ad articolare ben poche consonanti.
«E' sveglio!» esclamò Naruto facendosi indietro. «Ci siamo riusciti!»
«Sono un genio» commentò Jiraya, annuendo seriosamente. «Naruto, vai a cercare Sakura. Io e Sasuke restiamo con lui.»
«Ma io voglio chiedergli cosa è successo con Kyuubi!» piagnucolò Naruto.
Non ti dirà proprio niente, commentò lei dalla sua gabbia.
«Stupido cretino! Dopo potrai chiedergli quello che vuoi, ora vai a dare la buona notizia a sua madre» rispose Jiraya bellicosamente.
Hitoshi cercò di capire chi parlava e di cosa, ma aveva la testa troppo confusa per distinguere le voci. Cercò di sollevarsi sui gomiti, e non appena lo fece la stanza si capovolse, togliendogli il fiato. Naruto non c'era più.
«Resta giù. Come ti senti?»
Quella voce l'avrebbe riconosciuta tra mille. Suo padre.
«Come se fossi caduto dalla Rupe degli Hokage...» rispose a fatica.
«Bevi qualcosa, che non capiamo quel che dici» intervenne Jiraya, aiutandolo a bere un sorso d'acqua.
«Qual è l'ultima cosa che ricordi?» riprese Sasuke quasi subito.
Hitoshi chiuse gli occhi e si sforzò di trovare le immagini nella sua mente. Per un momento fu tutto scuro, poi vide flash confusi, pieni di ombre, e alla fine due volti: Kyuubi e l'Eremita delle Sei Vie.
Trova Jiraya, gli avevano detto.
«Devo aver fatto un sogno molto strano» mormorò, sfregandosi gli occhi.
«Non era un sogno» gli disse Jiraya bonariamente. «Cioè, se ti riferisci alla Volpe a nove code non era un sogno. Se invece parli di dodici vergini senza vestiti sì, probabilmente lo era.»
Sasuke e Hitoshi fissarono Jiraya, che sbuffò borbottando qualcosa sul senso dell'umorismo.
«Mi ha detto di parlare con lei» disse Hitoshi. «Ha detto che lei avrebbe avuto le risposte.»
«Dubito di avere qualche risposta, ma ho un paio di buone domande» commentò Jiraya in tono riflessivo. «La Volpe non ti ha spiegato niente?»
«Ha parlato di un Eremita...»
Sasuke passò lo sguardo dal figlio al sennin, senza capire. Jiraya lo vide e batté le mani, troncando improvvisamente la discussione.
«Parleremo dopo che Sakura ti avrà fatto un check up completo» annunciò. «Prima voglio essere sicuro che tu non abbia un'emorragia cerebrale in atto» Hitoshi portò una mano alla fronte, Sasuke lo scrutò preoccupato. «Si fa per dire...»
«La missione!» ricordò Hitoshi all'improvviso. «La Radice, il tunnel... Li avete presi?»
«Non agitarti. Li abbiamo presi tutti» confermò Sasuke.
Hitoshi si lasciò ricadere sul letto, chiudendo gli occhi. Allora i ricordi di Iida che fuggiva e Fugaku che lo lasciava in balia dei nemici erano solo incubi... Era ancora troppo stordito per distinguere sogno e realtà: la luce gli dava fastidio, le voci gli davano fastidio; era ipersensibile a tutto.
Accanto al letto Sasuke esitò, combattuto tra il chiedergli del rin'negan e domandargli se stava bene. Vedendolo sveglio il sollievo aveva prevalso sulla curiosità, ma ora stava perdendo terreno. Almeno il senso di colpa era scemato fino a scomparire.
Sakura ci mise quasi un quarto d'ora ad arrivare, perché Naruto aveva dovuto cercarla a casa. Quando spalancò la porta della stanza tutti trasalirono, incluso Hitoshi che aveva ricominciato a sonnecchiare, e poi furono travolti da un turbine di singhiozzi, esclamazioni e rimproveri mescolati alle lacrime. Sakura si gettò al collo di Hitoshi, ignorando tutti gli altri, e gli accarezzò la testa ringraziando il cielo.
«Mamma, sto be...» iniziò lui, ma arrivato all'ultima parola Sakura gli piantò una pila degli occhi e prese a visitarlo, tirando su con il naso.
«Non lo sai se stai bene» ribatté. «Prima dobbiamo controllare. Sei rimasto in coma per dei giorni...»
«Ma io mi sento bene» tentò di dire Hitoshi, completamente inascoltato.
«Adesso posso chiedergli quella cosa?» sussurrò Naruto a Jiraya, che sospirò.
«No, non puoi. Dopo.»
«Dopo quando?»
«Naruto» lo chiamò Sakura. Lui sobbalzò. «Come lo avete svegliato?»
«Ci ha pensato...» iniziò il Jonin biondo, ma Jiraya lo fermò subito.
«Possiamo parlarne più tardi?» si intromise. «Devo prima verificare alcune teorie con Hitoshi.»
Il ragazzo annuì senza protestare. Sasuke e Sakura si accigliarono, ma non trovarono nulla con cui ribattere. Alla fine Sakura prese la mano di Hitoshi e gli sorrise, asciugandosi le ultime lacrime.
«Faremo tutti i controlli per essere sicuri che tu stia bene... Ma intanto sono così felice di vederti sveglio.»
Jiraya tirò una gomitata a Naruto, facendogli segno di uscire. Lui esitò, poi cedette. Prima di andarsene scambiò uno sguardo con Sasuke e gli sillabò una frase muta: stagli vicino o lo faccio io.
Sasuke strinse le labbra e fece istintivamente un passo verso il letto. Naruto sorrise, e uscì.
Era stato divertente competere con Sasuke per l'affetto di Hitoshi... Ma adesso sarebbe stata una partita persa.
«Sono stato bravo?» chiese, quando lui e Jiraya furono fuori dalla porta.
«Sei stato bravissimo» gli concesse lui con un sospiro.
«Scusate» li interruppe una voce. «Mi hanno riferito che Hitoshi Uchiha si è svegliato... Sakura è qui?»
«Honmaru!» esclamò Jiraya, riconoscendo il medico che li aveva avvicinati. Accanto a lui stava un altro uomo senza camice, che non salutò. «Sì, Sakura è qui... Sono mesi che non ti vedo. Come stai?»
«Bene, grazie. Ma ho fretta, dovremo rimandare i convenevoli alla prossima volta. Scusate.»
Senza salutare i due uomini bussarono alla stanza di Hitoshi ed entrarono, lasciando Naruto e Jiraya.
«Chi era quel simpaticone?» domandò Naruto.
«Un lontano parente di Tsunade... Non è mai stato l'anima della festa.»
«Perché aveva la cartella clinica di Chiharu sotto braccio?»
«L'hai notata anche tu? Dovresti controllare se si è svegliata: Shikamaru e Temari devono sapere come sta, non può continuare con il capriccio sulla privacy.»
Naruto non rispose, ma fece una smorfia. «Dopo, quando avremo sistemato la faccenda di Hitoshi... Lasciami affrontare un problema alla volta.»
«Come vuoi» rispose Jiraya, facendo spallucce. «Solo una cosa: perché c'era un membro degli Anbu con Honmaru?»
Ma Naruto aveva già smesso di ascoltare. Non appena aveva detto a Jiraya che prima voleva sistemare la questione di Hitoshi, si era concentrato per trovare Kyuubi dentro di sé e interrogarla. Eppure, per quanto ci provasse, l'accesso alla sua gabbia era inequivocabilmente sbarrato...

Nell'oscurità la Volpe ricordava.
C'era stato un periodo lontanissimo in cui lei e gli altri Bijuu erano una famiglia.
Ancora prima, c'era stato un momento in cui erano stati una cosa sola.
All'epoca tutti i Bijuu erano un'unica bestia dotata di dieci code, e l'Eremita delle Sei Vie li aveva combattuti come mai nessuno prima aveva ardito fare. Come una divinità, quasi.
Kyuubi non aveva un ricordo preciso di quei tempi, perché non esisteva ancora nella forma attuale: l'Eremita aveva creato lei e gli altri Bijuu quando già era diventato il jinchuuriki della Decacoda. Eppure i suoi primi ricordi erano chiari, caldi, ammantati di nostalgia: lei e i suoi fratelli, insieme a Hagoromo. Uniti.
Spesso rimpiangeva quei giorni.
Ora era sigillata nel corpo di Naruto, i suoi fratelli e sorelle erano dispersi nel mondo alla mercé dei riti per la creazione di Jinchuuriki, e tutti, nessuno escluso, venivano usati per combattere le guerre degli uomini. Anche lei.
Rimpiangeva davvero i giorni felici dell'Eremita, i giorni della libertà... Ma una domanda la tormentava, insinuando il tarlo del dubbio e della delusione.
Padre, perché ci hai mandato per il mondo se il nostro destino era una gabbia?
Davvero non lo avevi visto, con il rin'negan nei tuoi occhi?






* * *

Buongiorno a tutti!
Sono spiacente di informarvi che ho cambiato lavoro.
Questo significa il quadruplo dell'impegno rispetto a prima,
e molto meno tempo e meno forze per scrivere.
Ripeto: mi impegnerò per non lasciarvi a secco,
ma siate un poco pazienti, almeno i primi tempi...
In compenso, se non sapete cosa fare della vostra vita
vi suggerisco di prendere una laurea in fisioterapia.
A casa ci restate molto poco.

Ciò detto, ho tirato in ballo l'Eremita.
Ebbene sì.
Si vede che ci stiamo avvicinando a cose importanti, vero?
Ma questo paventato rin'negan, che tutti pensavano fosse un super jolly,
è probabilmente meno figo di quel che sembra...
per ora.
Vi informo che mi sono studiata tutta Narutopedia per farlo funzionare,
quindi abbiate fede!

Ho anche iniziato a dare a Chiharu le bastonate che si merita.
Vediamo un po' cosa ne esce.

Prima che scocchi la mezzanotte vi saluto e vi do appuntamento
alla prossima settimana!

Grazie a tutti per aver letto!

PS per DARKSHIN: non mi è possibile rispondere alla tua recensione,
probabilmente perché postata prima che inserissero l'opzione risposta...
Mi dispiace! :(





  
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