Mi sveglio di colpo con un dolore lancinante alla testa. Sento il sapore del mio sangue sulle labbra, i muscoli delle spalle indolenziti e contratti.
Socchiudo leggermente le palpebre, solo per serrarle subito dopo: ho gli occhi a pezzi. La fioca luce della stanza è sufficiente a ferirli, mi bruciano e non riesco a mettere a fuoco nulla. Merda, indosso ancora le lenti a contatto. Perché non le ho tolte prima?
Provo a portare una mano al volto, ma il braccio si solleva di pochissimo: sono legato al letto. Cazzo, Sam…
Do un paio di strattoni sperimentali, guadagnandomi soltanto dei sicuri lividi intorno al polso. Non credo abbia usato delle corde, ma cinghie di cuoio: più difficili da sciogliere e meno abrasive.
-“Figlio di puttana” mormoro.
-“Non è l’offesa migliore da farmi, credimi.”
Mi volto di scatto in direzione della sua voce. È sempre stato qui? Che diavolo vuole da me?
-“Oh, non c’è problema: ho un vocabolario molto fornito cui attingere, credimi” ribatto con astio.
-“Ne ho un’esperienza di prima mano” dice, un sorriso evidente nella sua voce.
Dà luce alla stanza.
-“Cazzo, spegnila!” grido, nascondendo il viso nel cuscino.
Si precipita al mio fianco: -“Cos’hai che non va?” chiede, preoccupato.
-“Vuoi che cominci con la lista?” rispondo, rabbioso. “Sono le fottute lenti a contatto. Ovviamente, non hai pensato di togliermele, dopo avermi spaccato la faccia e incatenato al tavolo delle torture.”
-“È un letto e non ho alcuna intenzione di torturarti. Sta fermo, lascia che ti aiuti.”
Si inginocchia al mio fianco e le estrae con estrema delicatezza.
-“Sono secchi e arrossati, serve del collirio?”
Scuoto la testa: -“Lacrime artificiali. Ne avevo un flaconcino nella giacca di pelle.”
Annuisce: -“Ok, aspetta qui.”
-“E dove vuoi che vada?!”
Ritorna in un attimo. Si china su di me e versa alcune gocce per occhio. Li batto un paio di volte, sentendomi immediatamente meglio.
Si siede sul letto, mantenendo però una certa distanza.
-“Serve altro?”
-“Vuoi slegarmi?” domando, blando.
-“Non posso.”
Prendo un lungo respiro, imponendomi di mantenere la calma: -“Ascolta, Sam, hai buone intenzioni, l’ho capito, ma non ho bisogno del tuo aiuto. Lasciami andare.”
È come parlare ad un muro: -“No, hai visto cos’è successo prima: non posso lasciarti solo.”
-“Quello che ho visto prima sono i danni che hai fatto al mio appartamento, per il resto non mi sei stato di molto aiuto…”
Assottiglia le labbra in una smorfia di rabbia e impotenza. Mi riserva uno sguardo combattuto, ma si rialza.
-“Ehi, dove cazzo vai? Non puoi tenermi qui” urlo, cercando di mettermi seduto.
-“Ti farai soltanto del male, Dean.”
-“Non chiamarmi così, pezzo di merda! Chi cazzo ti credi di essere?!”
-“Sono tuo fratello.”
Non c’è traccia di dubbio nel suo tono. Ne è sicuro, assolutamente certo. In che razza di casino mi sono cacciato?
-“Oh, il momento dell’agnizione… I nostri ti avevano dato via perché completamente pazzo?”
-“Non mi credi e va bene, lo accetto. Ma noi siamo fratelli e tu devi…”
-“Io devo pisciare” dico, interrompendolo.
Questa volta è lui a restare senza parole: -“Co-cosa?” incomincia, balbettando.
-“Devo pisciare, slegami. O vuoi tenermelo, mentre prendo la mira in un barattolo? Sarebbe sconveniente per due fratelli…”
Scuote la testa: -“Mi dispiace, dovrai trattenerla.”
-“Di cosa hai paura, amico? Sarà già un miracolo se arriverò al bagno… Farò il bravo, promesso” confermo con un sorriso.
Allenta le cinghie, poco convinto: -“Non fare scherzi, ti farò del male se costretto.”
-“Me ne sono accorto” ribatto, massaggiandomi i polsi.
Mi rimetto in piedi e la stanza oscilla per qualche secondo. Mi afferra per il gomito, sostenendo gran parte del mio peso: -“Non. Mi. Toccare” scandisco lentamente, non appena passa la nausea.
Lascia scivolare via la mano: -“Hai cinque minuti” mi ricorda, mentre chiudo la porta alle mie spalle.
Sospiro, poggiandomi contro il legno mezzo marcio. Ovviamente, niente finestre: da qui non si esce. Una zaffata di urina e umido mi invade le narici. Separo i lembi di una vecchia tenda mezzo ammuffita, dando un’occhiata nella doccia. Non c’è nulla. Sarà psicopatico, ma almeno non mi ha portato al Bates Motel. È solo uno dei tanti alberghetti ad ore frequentati da prostitute e commessi viaggiatori. Chi mi troverà mai in questo posto dimenticato da Dio?
Faccio scorrere l’acqua nel lavandino, bagnandomi mani e viso. Devo riflettere, pensare: ci dev’essere un modo per uscire da questa situazione. Sam crede che siamo fratelli, non si spingerebbe troppo in là; io d’altra parte…
“Guarda, James…”
Porto le mani alla testa, invasa da una serie di immagini e flash.
“Porta fuori tuo fratello più in fretta che puoi e non guardarti indietro. Ora, Dean, vai!”
Chi è quest’uomo? E il bambino? Comincio a correre, inseguito dalle fiamme che si chiudono intorno a noi…
“Dean, quando torna papà? È via da giorni…”
“Ha una consegna da fare, lo sai. Non ti stai divertendo col tuo fratellone?”
Fratellone? No, non è possibile…
Annuisce, ma mi punta addosso due occhioni colmi di lacrime, stringendomi il petto in una morsa dolorosa.
“Vieni qui, Sammy. Che ne dici di guardare di nuovo i Robot
Spaziali stasera? Oppure le Tartarughe Ninja, così vediamo come prendono
a calci Shredder…”
“Ok, ma voglio guardare Thundercats!”
“Thundercats” ripeto, con una smorfia. “E gatti
combattenti siano, piccolo.”
-“Ti prego, basta, basta!” grido,
disperato.
“Devi sapere quello che
ti ha fatto tuo fratello…”
riprende,
suadente.
La porta si spalanca e il mio salvatore
accorre in soccorso: -“Dean! Dean, che diavolo succede?” chiede,
sollevandomi da terra.
-“Tu!” sibilo a pochi centimetri dalla sua faccia.
“Come hai potuto…”
Lascio la frase in sospeso, decidendo che trovo decisamente più
soddisfacente prendere a cazzotti quella sua brutta faccia da culo. Non si
aspettava una reazione simile, basta un pugno a mandarlo al tappeto.
Prova immediatamente a rialzarsi, ma non gliene do l’occasione:
calo una scarpa sul suo viso, schiacciandolo contro le mattonelle sporche.
-“Dean, aspetta…” prova debolmente.
La sua voce alimenta soltanto la mia rabbia:
-“Sta. Zitto.
Figlio. Di. Puttana” dico, puntualizzando ogni parola
con un calcio. Non credo sia mai arrivato alla fine della frase: giace
incosciente ai miei piedi; un rivolo di sangue gli gocciola dalle labbra
parzialmente dischiuse, il volto un arcobaleno di viola e blu. L’afferro
per la camicia e comincio a trascinarlo nell’altra stanza. Lo sposto sul
letto, stringendogli i polsi nelle cinghie che aveva usato per me. Il karma
è una puttana, vero, Sammy?
-“Svegliati presto, fratellino” sussurro,
spostandogli una ciocca di capelli dalla fronte. “Hai tante cose da
spiegarmi…”
Note: Di giorno Ammaniti, di notte fanwriter, Brokendream XD
Grazie mille per lo splendido complimento, bella! <3 Ringrazio anche
France e Jo per il tentato incoraggiamento, ma qui la situazione è
drammatica: una mia amica mi ha passato un sito folle per farmi passare il
blocco e io ho scritto di Lucifero che guarda soap argentine… si va di
male in peggio O_O
Scusate l’attesa: fra i regali, le feste e la febbre alta mi si
sono bruciati i neuroni e ho dimenticato di aggiornare!
Spero abbiate trascorso uno splendido Natale, intanto vi auguro un bell’anno
nuovo! <3
A giorni vi posto anche l’ultimo
capitolo! Un bacione ^^