AMARE IL PASSATO O IL PRESENTE?
Improvvisamente
aprì gli occhi ancora tanto pesanti e irrimediabilmente umidi, cercando di
abituarsi a quel nero denso e oscuro che la notte con il suo tocco silenzioso
le aveva donato.
Donato…si
perché lei amava il buio, amava le ore notturne in cui tutto il mondo si
fermava e in cui poteva finalmente soffrire senza esser scorta…senza
pregiudizi, senza opinioni…sola.
Alcune
lacrime calde le scesero su di una guancia e si fermarono proprio sul margine
più estremo del labbro quasi desiderose di divenire un elemento decorativo in
quel quadro di sofferenza, destandola definitivamente.
Alcuni
oggetti ora, mantenendo il loro colore grigio-nero, stavano prendendo forma.
Era
tutto così familiare…il gigantesco armadio che dominava inconsapevole la stanza
con la sua mole, la poltrona di pelle nera ormai rassegnatasi al ruolo di
appendi abiti, il piccolo canestro appeso alla parete arrabbiato per l’utilizzo
ultimamente così ridotto, il grande stereo sollevato per almeno qualche ora dal
suo assiduo lavoro e…il corpo di un giovane addormentato accanto a lei con una
maglietta di topolino scolorita e stropicciata sotto il peso del corpo caldo
contro il materasso.
Non
si mosse, rimase semplicemente in ascolto…attese speranzosa il cadenzato e regolare
respiro generato dalla quella figura che
così immobile sembrava aver deciso di appartenere ad un altro mondo.
La
disdetta dell’ultimo micidiale pensiero accorse trionfante alla ragazza: un
soffio delicato e inconfondibile portò un accenno minimo di sorriso sulle
lebbra ancora umide e particolarmente salate di lei.
Lui
era lì.
Accanto
a lei dopo tanto tempo.
E
ci sarebbe sicuramente rimasto a meno che…
Silvia,
questo era il suo nome, decise impassibile di allontanare l’insignificante
pensiero che malvagiamente aveva tentato di fare capolino nella sua mente.
Non
era giusto.
Non
lo era per entrambi.
O
almeno fu ciò che lei tentò di imporsi.
Lui
l’aveva fatta sorridere, l’aveva fatta sentire sicura e protetta, l’aveva
amata.
Lo
ricordava bene…LEI.
Come
non riusciva assolutamente a dimenticare l’immagine di quegli occhi chiari che
dopo mesi di coma l’avevano guardata inconsapevoli e spaventati e come ancora,
quella frase detta a bassa voce con un’incredibile sforzo, riusciva a
distruggerla, disintegrarla:
< Tu chi sei? Ci conosciamo?>
Un
sibilo impercettibile, ma presente e continuo: questo erano divenute per lei
quelle parole.
Lui
non si ricordava nulla, assolutamente nulla.
Neppure
lo sconvolgente incidente che gli permise di intravedere, come ospite privilegiato,
la morte.
I
suoi ricordi si limitavano tristemente all’infanzia: alla palla nera e rossa
che incombeva come un gigante sulle gardenie appena piantate, agli enormi e
dolci biscotti della nonna riempiti ad oltranza
con
gocce di cioccolato, al trenino su rotaie che mai cominciò il suo viaggio.
La
memoria si fermava inesorabile a quel punto, senza lasciare la benché minima
speranza a lei…alla loro storia insieme.
Possibile
che non ci fosse un piccolo spazio per il loro primo appuntamento?
Per
quell’afoso pomeriggio d’agosto sorpreso da un temporale estivo in piena
regola?
Loro era seduti sull’erba dell’ampio parco
sottostante il palazzo dove la giovane abitava,stavano chiacchierando del più e
del meno cercando senza successo di non divenire banali o sembrare impacciati,
agitati…le prime gocce li avvisarono di correre via ma entrambi, troppo presi
dagli occhi che l’altro riversava nei propri, non ci badarono sottostando poi
ad una adeguata e simpatica punizione: una doccia rinfrescante e…all’aria aperta.
Perché
anche il loro primo bacio (atteso, sospirato, sognato, bramato ed infine
ottenuto) non compariva nelle reminiscenze del ragazzo?
Come
era possibile che le lunghe chiacchierate sotto il cielo addobbato unicamente
per loro da infinite stelle, le lunghe corse sulla battigia, i momenti
romantici e quelli più desolanti non riuscivano a scalciare via il buio dei
suoi ricordi?
Troppi
erano i perché e troppo poche erano le risposte ancora sensate, credibili…
Mossa
da un impeto di nostalgia, di sentita commozione Silvia accarezzò il braccio
liscio del giovane che fermo nella stessa posizione continuava a dormire
tranquillo, sicuro che il giorno seguente, quella bella ragazza che aveva
conosciuto al suo risveglio sarebbe stata lì, pronta ad aiutarlo.
Lo
sfiorò con delicatezza, salì con le lunghe e affusolate dita fino a raggiungere
la spalla, poi su fino al collo per fermarsi infine al viso.
Aspettò.
Niente.
Non
provò niente.
Il
brivido che mentalmente si era ricreata speranzosa di ottenerlo, non si presentò.
Il
ritmo regolare del cuore non si decise a velocizzarsi: perché i battiti non
danzavano a ritmo di quella strana canzone che più volte, in passato, aveva
riproposto al solo intravederlo da lontano?
Attese
ancora un po’.
Si
avvicinò ulteriormente a lui permettendo al suo corpo un contatto con quello
dell’altro.
Ancora
non ottenne i risultati sperati.
Involontariamente
spostò sulle labbra del giovane la mano che si era, dopo il vago errare,
adagiata sul petto e con un movimento inconsapevole prese a disegnarne il
contorno.
Lo
fece una volta, e poi una seconda, una terza e poi…
Stop.
No.
No.
Che
stava facendo?
Era
forse impazzita?
Quel
gesto…
Quel
preciso e brutalmente dolce gesto.
<Non temere lui si sveglierà e sarà tutto come
prima >
Quella
voce, quella maledetta voce.
< Piangi piccolina, piangi…io
sono qui con te, sfogati pure >
Perché
non si decideva ad andarsene una volta per tutte?
Ancora?
E ora
perché ridi? Ti divertono forse le disgrazie altrui? >
Basta…basta.
Doveva
cancellare, dimenticarsi di lui…dell’altro.
L’altro.
Il
suo sorriso sempre stampato in faccia come in uno dei quei cartelloni
pubblicitari a volte tanto irritanti, si ripeteva di fronte a lei.
Le
sue parole.
Dette
dolcemente.
< Vai da lui, ha bisogno di te
>
Dette
con tono malinconico…quasi riuscite ad uscire incolumi prima di uno sfogo, un
pianto…
Ma
lei di chi aveva bisogno?
Chi
poteva farla ridere ora?
Chi?
Nessuno
forse? Entrambi? Oppure uno solo dei due? Si ma quale?
Colui
che tendeva, nella sua mente, a sopranominare l’altro era un giovane
fantastico.
Lo
aveva conosciuto per caso…un giorno come tanti altri, un giorno divenuto
speciale.
Erano
due persone completamente diverse ma una il completamento esatto dell’altra.
Grazie
a lui, lei era rinata in un momento buio, e ora proprio per lui si ritrovava
nuovamente nell’oscurità.
Avrebbe
dovuto dimenticare…ma come si può farlo?
La
sua voce roca, i suoi occhi nero catrame, le lunghe e possenti braccia, le sue
mani…quelle dita che spesso si divertivano a disegnarle il contorno della bocca
con i polpastrelli.
Chiuse
improvvisamente gli occhi, quasi a rinnegare tutto.
Nell’accecante
nero che da sola si era ricreata cercò a tastoni la mano del corpo che era
ancora accanto a lei…la strinse.
Voleva
certezze…
Ma
quali stupide certezze?
Riaprì gli occhi.
Si
sedette sul letto, poggiando la schiena contro il muro freddo.
Sul
comodino di fianco a lei lampeggiava silenziosamente un cellulare.
La
stava cercando.
Non
ragionò.
Gli
rispose.
Parlò
piano stringendo i modo anomalo il ricevitore.
Non
doveva andarsene, lo voleva trattenere lì.
Quando
la conversazione terminò il suo cuore batteva…ma al ritmo di una nuova canzone.
Strinse
più forte la mano del suo ragazzo.
Ancora
nulla di preciso, di definito.
Solo
dolore.
Un
dolore intenso, acuto.
Un
bruciore che persistente aveva dominato per tutta la serata e che solo per un
breve momento, era stato alleviato.
Quel
breve momento.
Il
suo cuore diceva di correre via da quella stanza, da quella camera, da quel
ragazzo ora sconosciuto.
Le
diceva di raggiungere l’altro, di abbracciarlo…di non lasciarselo sfuggire.
Ma
la ragione…
No
lei non era d’accordo…
Se
il suo ragazzo avesse ricordato improvvisamente ogni cosa?
Se
fosse tornato tutto come un tempo? Quando erano veramente felici…
Se
tutto ciò fosse realmente successo lei che avrebbe fatto?
Lei
amava quel giovane venuto dal nulla che silenziosamente l’aveva rapita…ma amava
pure
quel
ragazzo pieno di vita che per primo le aveva rubato ogni cosa…
O
meglio…amava il ricordo di quest’ultimo.
Non
un ricordo morto, seppellito ma ancora scalpitante, intenso.
Che
doveva fare ora?
Era
forse più giusto amare un passato che l’aveva fatta sognare e che
miracolosamente sarebbe potuto tornare?
Ma
sarebbe poi realmente mai tornato come prima?
Questa
era l’unica certezza….
No.
Non
sarebbe tornato uguale, non poteva…adesso.
Ora
era tutto cambiato…ora c’era l’altro…la ragione che ancora riusciva a tenerla
viva.
Allora?
La
conclusione qual’era?
Amare
il presente? Quel presente che la agitava dolcemente e di tanto in tanto la
disorientava con una parola in più, detta a bassa voce?
Si.
Si.
Lei
lo sapeva che fare.
Passato
o presente nel suo futuro?
Sorrise.
Ne
era certa e non avrebbe cambiato idea…non ora.
Si
vive una volta sola e bisogna farlo bene…nel tempo più giusto.