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Autore: fiammy_    30/06/2005    2 recensioni
E' la mia prima ff e spero che commenterete numerosi e che siate gentili con me... comunque questa storia non è nata come una ff, ma come una semplice storia, narra la vita, un po' particolare di una ragazza di quindici anni che vive ad Argo, in Grecia, intorno agli anni in cui ad Atene governava Pericle (V secolo a.C.) e scopre di essere bravissima a dipingere, ma... lo saprete solo le leggerete la mia storia! tra tutti gli argomenti trattati c'è anche l'amore per un ragazzo. sappiate anche che tutti gli elementi riguardanti la vita quotidiana ecc, sono frutto di una ricerca abbastanza accurata! siate gentili, ma se non vi piace, scrivete lo stesso... ho bisogno di sapere com'è!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
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Grazie mille a tutti per le vostre recensioni, mi fanno molto piacere… la storia l’ho già finita, devo solo pubblicarla, solo che sono per molto tempo fuori casa, vedrò di fare il prima possibile. “Bambini, invece di correre per la casa, visto che si sta facendo sera, perché non venite qui vicino al camino che vi racconto una bella storia?” disse la mamma dopo qualche ora di pensieri. Pensava, sì, pensava, al marito solo e lontano, ai figli che dovevano crescere, al percorso che li aspettava per arrivare dalla sua beneamata figliola che aspettava un figlio. Sarebbe divenuta nonna, non avrebbe mai creduto di poter assistere alla nascita di un nipote, era troppo per lei, cominciava a sentirsi vecchia anche se non era affatto vero, ma l’idea di avere un nipote era al contempo bellissima, e piena di malinconia. C’erano fatti tristi e felici nella vita, anche se quelli tristi predominavano, se ne era accorta con il passare degli anni. Poi ripensò a quando suo padre la fece sedere su uno sgabello e le diede una notizia che le cambiò radicalmente la vita. Era giovane, aveva circa dodici o tredici anni. Aveva solo un fratello maggiore perché sua madre era morta di parto, mettendola alla luce. Suo padre faceva l’artigiano, costruiva e decorava colonne per i templi. Suo padre la fece sedere su uno sgabello e le disse con parole solenni “Figlia mia, Ismene. Ho trovato una donna, vedova, senza figli alle dipendenze, e ho deciso di risposarmi. Tu ormai sei una ragazza, ti ho insegnato a leggere e a scrivere ed era quello il mio intento di padre. Ti ho insegnato l’educazione! E quello che potevo fare per te, l’ho ormai concluso. Ti ho trovato un marito degno di te. È un semplice contadino, ha diciotto anni. Lo so, è più grande di te. Ho qui la dote. Andrai a vivere da lui tra tre giorni esatti. Che ne pensi?” la fanciulla lo guardò dal basso dello sgabello con degli occhi veramente molto malinconici. “Padre, accetto tutto quello che vuoi per me. Ma tornerai a trovarmi vero?” disse con la voce strozzata da un singhiozzo, tradì il suo carattere, sempre coraggioso e forte . E le lacrime le rigarono il volto di giovane fanciulla. “Ma certo figlia mia. Però ricordati di controllare le emozioni quando parli. Rischierai di apparire debole, cosa che non sei. Non è vero?” “Mamma, che storia ci racconti? Ci racconti quando Paride doveva scegliere la più bella?” disse Philippides alzando la voce per farsi sentire meglio da tutti “Tanto io lo so, che un giorno quando sarò grande come Sophia verrà una dea a chiedermi quale è secondo me la più bella di loro. Io sceglierò Afrodite che mi darà in sposa la più bella del mondo.” “Fai come vuoi, mi auguro che ti succederà, ma non che ci sia una guerra per te. Comunque... Paride era un giovane pastorello... ...” dopo un po’ i ragazzini si erano addormentati nei loro giacigli. La madre aveva fatto tutto questo per poter parlare meglio con suo fratello e per non far patire troppo la fame che incombeva su di loro. “Kritolaos, ora possiamo parlare tranquillamente.” “Non ho niente da dirti Ismene. La decisione è presa. Ormai è quasi il tramonto, resteremo qui fino a domattina. Poi ripartiremo alla volta di Megara e poi finalmente, ad Atene, la nostra tappa definitiva. Non credo che riusciremo ad arrivarci domani, però stai tranquilla.” “e come la metti per il cibo. Il pane è finito. E siamo tutti affamati.” “a questa domanda non posso risponderti, donna. Ci siamo portati delle scorte poco sostanziose. E questo non è merito mio. È solo colpa tua, e lo sai meglio di me, nella vita si compiono molti errori, questo è un piccolissimo, direi, microscopico errore, solo tuo, però” la donna non rispose, si guardò silenziosamente i piedi con aria sottomessa. La sera passò tranquilla, i ragazzini si erano appena svegliati e reclamavano cibo “Mamma, è un sacco di tempo che non mangiamo niente. Abbiamo fame. Dobbiamo crescere. facci questo favore!” “Che favore posso farvi, figli miei. L’unica cosa che posso dirvi è di aspettare ancora qualche giorno finché arriviamo da vostra sorella Antinea. Lì troverete del pane e del formaggio fresco, ve lo assicuro. Dovremo aspettare. Anch’io ho fame sapete? Moltissima!” Eirene, la bambina più piccola singhiozzò, la fame stava attanagliando tutta la famiglia. Sophia era silenziosa, aveva finito il suo disegno, così decise di mostrarlo allo zio. “complimenti, è splendido. Per essere il tuo primo disegno è sorprendente. Domani ripartiremo, ma appena arriviamo da tua sorella, stai sicura che ti darò altri pezzi di carbone e fogli di papiro. Voglio che tu mi disegni qualcos’altro. Sei veramente portata per ritrarre.” “Grazie zio. Non pensavo di essere così brava. Non avevo mai creduto che avresti gradito il mio disegno. Non sapevo cosa raffigurare così ho pensato alla nascita di Atena dalla testa di Zeus e poi ho disegnato Era che da una parte assiste di nascosto alla scena. Mi sembrava originale l’idea.” “Hai ragione... ma non senti questo rumore... sono dei cavalli... ragazzi, Ismene, raggruppatevi tutti in fondo alla stanza in un giaciglio... non abbiate paura, ci sono qua io per proteggervi” Sophia scappò da sua madre e dai suoi fratelli, si prese in collo i due gemellini e si coprì con la sua coperta di lana. La mamma teneva le bambine accanto a se. Erano tutti molto impauriti, quando... sentirono delle voci... prima lontane che si avvicinavano sempre di più finché non le sentirono molto vicine. “Padre, guardate. Una casa abbandonata, ecco c’è un cartello. Krios, alt” disse prima rivolto al padre, poi al cavallo “possiamo entrare e usarla solo se siamo viaggiatori. Noi lo siamo padre. Guardate abbiamo trovato un rifugio.” “Figlio mio, Alexandros, non accettare doni degli dei così espliciti, finirai male.” Disse un uomo anziano dalla voce cavernosa “la tua povera madre non avrebbe mai gradito un dono simile dagli dei. O almeno non l’avrebbe usato, ed è proprio così che noi faremo. Lo sai, e anche meglio di me, che i doni degli dei a volte portano sventure per chi li utilizza.” “Basta padre. Se volete dormire fuori, al freddo e al pericolo costante dei lupi, fate pure. Io entro. Non voglio morire giovane sbranato dalle belve” il giovane andò verso la porta e fece per aprirla quando si accorse che era chiusa dall’interno. “Per Zeus, questa casa non la potremo mai usare. È chiusa da dentro. Forse avevate ragione padre.” Il padre lo guardò con aria di sfida e disse con parole profonde “Figlio mio, devi imparare a sottostare agli anziani. Sei giovane, hai solo diciassette anni, e hai poca esperienza. Ringrazia gli dei che ti abbia portato con me per questi miei viaggi ad Atene, non tutti i ragazzi fanno viaggi molto lunghi alla tua età, figliolo, e devo dire che ti serviranno per la crescita e l’apprendimento.” Detto questo scese dal cavallo che montava e si diresse verso la porta. lesse il cartello dentro di se e bussò alla porta di legno consumato. Lo zio dall’interno disse “Chi è che bussa a questa porta?” “Sono un povero viaggiatore accompagnato da mio figlio. Il mio nome è Karas, vengo da Argo e sono in viaggio per Atene. Aprite prima che i lupi ci sbranino.” Lo zio andò avanti con passo incerto e aprì uno spiraglio della porta. “Io sono Kritolaos e vengo anch’io da Argo, anche se dalla campagna , decoro vasi e sono qui con mia sorella Ismene e i cinque miei nipoti. Siamo in viaggio per Atene diretti a trovare una nostra parente. E voi chi siete e cosa fate qui? È mio dovere essere informato rispetto ai miei futuri ospiti, circolano strane persone, di notte, poi, è sempre lecito informarsi” “Lieto di essere qui in vostra compagnia. Useremo insieme questa casa dono degli dei. Che ne pensate? Noi siamo solo due. Io e mio figlio Alexandros. Sono un mercante di viaggio per Atene, semplici ragioni di affari. Purtroppo ho perduto mia moglie così devo trascinarmi dietro mio figlio. Forza, figliolo, stringi la mano al gentile Kritolaos.” “Buonasera mastro Kritolaos. Ho sentito il vostro nome in un negozio molto rinomato di vasi. Siete un artista di fama ad Argo e anche in Atene.” “Grazie mille figliolo. Adesso entrate, c’è posto per tutti e due.” Ismene si alzò dal giaciglio, scostando le bambine che le stavano addosso e si diresse verso i nuovi ospiti “Piacere, io sono Ismene, la sorella di Kritolaos, e questi sono i miei figli. Due gemelli di cinque anni, una bambina di otto, una di dieci e una di sedici anni. Eccoli lì nei loro giacigli.” Sophia cercò di nascondersi sotto la coperta prima che Philippides venisse a scoprirla chiedendole di prenderlo in collo. La donna continuò a parlare dando vita alla sua passione per le conversazione “Mi dispiace annunciarvi che abbiamo finito le scorte di pane da ormai due giorni, quindi non abbiamo cibo e niente da offrirvi a parte la nostra ospitalità degna di lodi.” “Signora Ismene, siamo lieti di essere ospitati e ho con me della farina di grano che ho utilizzato per degli scambi con alcuni contadini. Immagino che sappiate fare il pane! Lì c’è un forno. Che ne pensate di fare del buon pane. Intanto sono sicuro che domani all’alba io e vostro fratello andremo a caccia così porteremo della carne e faremo un bel pranzo.” “Che Era sia lodata. Grazie mille. So fare benissimo il pane. Lo preparerò questa notte prima dell’alba, cosi che quando tornerete dalla caccia avremo pane in abbondanza.” L’uomo fece un cenno ad Ismene e poi disse al figlio “Porta i cavalli dentro questa stanza. Non voglio venire derubato e quando hai fatto, preparami il giaciglio con la mia coperta e la mia paglia. Voglio dormire una notte splendida ora che siamo ospitati da della gente così gentile. Poi domani dovrò svegliarmi presto per andare a caccia. Quindi prepara tutto con cura.” Così detto si sedette su di un panchetto e cominciò a parlare con lo zio di caccia, agricoltura, politica... Sophia intanto assisteva assente alla scena. Suo fratello voleva che gli raccontasse una storia, ma lei non volle accontentarlo. Adesso voleva solo finire il suo schizzo. Però, visto che non era possibile, perché suo zio chiacchierava animatamente, si avvicinò al fuoco e raggruppò intorno a se tutti i suoi fratelli e le sorelle e prese a raccontare come aveva sentito fare da sua nonna chissà quante volte. “Allora cosa volete che vi racconti?” disse entusiasta all’idea per una volta di avere il ruolo di raccontare e non di ascoltare. Come aveva sempre fatto. “dello scontro tra Achille ed Ettore!” “certo che volete sempre le stesse storie eh, ragazzini? Comunque posso acconsentire... Allora, durante la guerra di Troia...” si stava addormentando prima degli altri bambini, però, giustamente dopo un po’ li spostò e li fece andare nei propri giacigli a dormire perché la notte era appena cominciata. Lei, invece, non aveva più voglia di dormire così andò a sedersi su uno sgabello cercando a tastoni il suo schizzo, ma era inutile, era tutto buio non avrebbe potuto neppure disegnare. Cercò con lo sguardo il giovane che era arrivato con il vecchio Karas, inutilmente, poi guardò i suoi familiari. Dormivano tutti, sua madre con in grembo Philippides e una sorellina e suo zio che dormiva da solo, poi in un angolo vide gli altri fratellini che dormivano. Sentì russare dalla parte a destra della porta, era Karas, probabilmente molto stanco per il viaggio. Continuava a cercare quel ragazzo misterioso di cui si ricordava solo dei capelli chiari, della voce intensa e dalla gentilezza inconfondibile. Si alzò diretta verso i cavalli, si mise ad accarezzare il muso di uno quando si sentì afferrare la mano “Ehi, lascia stare il mio cavallo. Krios, dalle un morso, svelto.” Sophia ritirò la mano stizzita “Che cosa vuoi? Non posso nemmeno toccare il tuo cavallo che mi vuoi fare fuori? Sei pazzo per caso? Ah, forse è per questo che tuo padre ti porta con se, ti porta dietro perché non sei autosufficiente. Non puoi svegliarti, lavarti, vestirti, e fare le cose che devi fare da solo. Poverino. Se è così, meglio andare a dormire.” “Ehi ragazzina, non mi hai nemmeno detto come ti chiami e già mi insulti? Ma chi ti credi di essere? Sei solo una donna. Una stupida donna, e per giunta, in miniatura, che sa solo tessere e cucinare e lavare.” “se è per questo nemmeno tu ti sei presentato e poi non insultare le donne. Gli uomini come te sono spregevoli. Sanno solo offendere le donne e comandare su tutti. E poi tu che ne sai se io so tessere e cucinare? Posso anche non saperlo fare. Infatti io non so fare niente di tutto questo perché sono giovane e non in età da marito. E comunque io sono Sophia. Piacere, anzi dispiacere di averti conosciuto.” “Senti nessuno può permettersi di odiare Alexandros, figlio del grande mercante Karas, capito? Nessuno, soprattutto una donna può provarsi ad offenderlo. Comunque mi chiamo Alexandros, sono figlio di Karas e vivo ad Argo, in una casa ricca al centro della città. Ma scusa l’insolenza, se tu nella vita non tessi ne cucini, che cosa fai, giochi?” “precisamente... con le mie sorelle, giochiamo sulla piazzola davanti alla nostra casa. Poi sono molto brava a disegnare.” “Ah ah, a che cosa ti serve disegnare? Non farai molta strada te lo assicuro, ad una donna è proibito cimentarsi nelle arti!” “Ah sì, eh? E chi lo dice, il giovane Alexandros, figlio del mercante Karas, un ragazzo davvero molto intelligente?” “Senti, ragazzina.” Disse prendendola per i polsi “non provarti ad insultarmi altrimenti non so cosa ti faccio. Io so leggere e scrivere. E sono qui solo per accompagnare mio padre, che è diventato anziano e proteggerlo dai briganti e dalle belve feroci!” “Ah sì, non dovrebbe essere lui a proteggere te?” non riuscì a finire la frase che le arrivò un sonoro schiaffo sulla guancia. “Ti avevo detto di non insultarmi sennò sarebbero stati guai. E così è stato, Sophia. E pensare che hai un nome bellissimo, saggezza, è proprio la cosa più bella che ci sia al mondo, come te. E adesso non piangere, altrimenti i tuoi genitori si chiederanno cosa hai fatto e cosa ha provocato lo schiaffo alla loro figliola.” Detto questo accarezzò una guancia della ragazza e le sfiorò la guancia con le labbra, silenzioso, la fanciulla lo guardò con aria stranita.
  
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