Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: aki_penn    03/01/2010    5 recensioni
Si è sempre parlato di gente "sfigata" che vuole diventare bella ricca e famosa, ma a nessuno è mai interessato se qualcuno sta bene nel suo bozzolo da nerd con una catenella da gabinetto attaccata alla porta? Beh, mio fratello stava bene così. E finchè se ne è stato nel suo piccolo paradiso di 20 metri quadrati nessuno ha mai avuto da ridire (a parte mia madre ovviamente), ma poi è arrivata quella tipa , ed è cambiato tutto, a partire dalla catenella del wc,e a finire col cercare di farlo diventare una specie di latin lover! E io sapevo che avrebbe portato guai, io lo sapevo, ma figurati se qualcuno mi ascolta mai in questa famiglia!
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'I miei venti metri quadrati' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

I miei venti metri quadrati

Capitolo Ventesimo

Per chi non sa

 

James Augustine Aloysius Joyce era nato a Rathgar ,un elegante sobborgo di Dublino, il 2 febbraio 1882 e divenne poeta e scrittore. L’avevo letto su Wikipedia.

Joyce Judd Cumoli era nato a Gallway, in Irlanda, il 13 marzo 1990, e non era né un poeta , né uno scrittore. Sicuramente.

Joyce era sempre stato un tipo allegro. Forse era per quello che riusciva a trovarsi delle ragazze, nonostante il suo abbigliamento improbabile.

Forse era per quello che quella mattina era nel bagno delle ragazze a scambiarsi effusioni con una tizia del terzo anno. Io non avrei saputo nemmeno dire come si chiamasse, Joyce non l’aveva scoperto, quel nome, certo più di due giorni prima. E in quel momento la stava baciando a occhi chiusi. Forse per far finta che si trattasse di qualcun altro.

Appoggiati al termosifone, ad arrostirsi il sedere.

 

Nikka fece un ingresso plateale, del tutto ignorato dai due, troppo impegnati a baciarsi per badare a una persona qualunque che entrasse nel bagno per rifarsi il trucco. Ma Nikka non era famosa per essere una persona alla quale piacesse l’epiteto qualunque.

“Ma allora non sei gay!” esclamò indicandolo. A quel punto entrambi i ragazzi furono costretti, loro malgrado, a dare attenzione alla nuova venuta.

Joyce alzò le sopracciglia “E’ una cosa che hai detto tu, mica io” commentò senza togliere le mani dai fianchi della ragazza castana che stava baciando fino a un secondo prima.

“Sai che cercavo proprio te, volevo parlarti” disse poi la ragazza piantando gli occhi color nocciola, in quelli scuri di lui.

La ragazza avvinghiata a Joyce si indicò col pollice. “No, cara, cercavo Joyce” spiegò Nikka con fare fintamente mieloso. Joyce schioccò la lingua scocciato con aria di attesa.

“In privato” puntualizzò, poi si voltò verso la ragazza castana “niente di personale, te lo rubo solo un minuto” continuò sorridente. La ragazza annuì poco convinta ed entrambi la guardarono uscire in silenzio. Appena la porta si chiuse Joyce si sedette sul termosifone facendo forza sulle braccia.

“Te le scegli sempre tonte? Così le puoi lasciare in fretta?” domandò.

Joyce alzò le spalle “Mi annoio velocemente… e comunque non mi sembrava tonta” commentò lui.

“Sicuramente dopo quel discorso così approfondito lo saprai meglio di me” lo canzonò Nikka. Joyce non parve turbato e piegò la testa da una parte arrivando subito al dunque “Di che volevi parlarmi?”

Nikka rimase zitta un secondo masticandosi l’interno delle guance. Sembrava indecisa. Joyce attese in religioso silenzio. Sapeva che se avesse parlato per farle fretta il suo discorso sarebbe stato distorto, e Nikka non avrebbe detto quello che realmente avrebbe voluto dire. Quindi aspettò.

“Mi sento un’idiota a chiederlo a te” sbottò infine guardandolo come se fosse colpa sua. Di Joyce.

“Allora non chiedermelo” rispose lui alzando le spalle. “Grazie” ribatté lei scocciata accennando ad andarsene.

“Aspetta” disse afferrandola per il maglioncino “stavo scherzando”. Nikka si voltò nuovamente a guardarlo con aria imbronciata e le braccia incrociate sul seno.

“E’ che non so a chi altro chiederlo… se no non lo chiederei certo a te” ricominciò.

“Sono lusingato” ribatté lui.

“Mei parla mai di me?” chiese infine con lo sguardo lucido e supplichevole. Si stava vergognando come una ladra, e Joyce sembrava sul punto di mettersi a ridere così tanto da cadere dal termosifone.

“Boh…” Joyce alzò le spalle “Ogni tanto… ma non so Mei, non è un chiacchierone” continuò con aria un po’ maliziosa, sapeva che Nikka si sarebbe indispettita.

“Sai credo di star diventando pazza…” sospirò appoggiandosi ad un lavandino.

Joyce alzò le sopracciglia in cerca di spiegazioni. “Insomma, è stupido che passi il mio tempo a pensare a uno come Mei… dato che potrei avere chiunque…” disse a testa bassa. Joyce stava per complimentarsi per la modestia, ma Nikka continuò a parlare imperterrita, come se avesse avuto un’idea geniale.

“Forse dovrei ricominciare a uscire con dei ragazzi…ultimamente non esco con nessuno!” esclamò.

“E Cesar?” domandò Joyce.

“E che c’entra Cesar adesso scusa?” sbottò infastidita, come se Joyce avesse interrotto lo scorrere delle idee geniali parlando di Cesar.

“Oppure potrei baciare qualcuno… potrei baciare te, ad esempio”  disse come se la risposta fosse stata sotto il suo naso fino a quel momento. Joyce s’incupì, non aveva alcuna intenzione di farsi malamente coinvolgere in quella storia.

“Ma potresti anche non farlo!” ribatté lui. Nikka alzò le spalle “Ma tanto sei gay, cosa te ne frega?”chiese.

“Non avevi appena decretato di no?” ribadì Joyce.

Nikka sbuffò “Basta lamentarsi!” sbottò dimostrando che la decisione era stata presa.

“Questi cavolo di esperimenti li vai a fare a casa tu…”, ma Nikka fu più veloce di lui e gli piantò le labbra addosso.

Per un secondo si guardarono negli occhi, da vicino. Entrambi con le sopracciglia aggrottate, un po’ scocciati da quella situazione. Fu durante quel nano secondo, che la porta si aprì nuovamente rivelando una alquanto stupita Rachele, che li guardava a braccia incrociate, e con la testa piegata un poco da una parte.

“Oh, Rachele …” disse Joyce fioco, con gli occhi sgranati. Nikka si riappoggiò al lavandino pensierosa.

“Buon giorno” fece lei in tono strano. Fece un sorrisetto e uscì dicendo “Scusate, non volevo interrompere nulla”. Joyce non perse tempo a cacciare un’occhiataccia a Nikka, e si mise a rincorrere Rachele che a passo veloce si dirigeva verso il bar della scuola.

“Rachele?” sospirò senza fiato. Rachele lo guardò con un sorriso “Sì, Joyce?” fece lei.

“Senti, io…, lei…, noi… ehm…” balbettò incerto, gesticolando.

Rachele gli appoggiò una mano sul petto e sorrise “Scusami, devo andare dalle oche blu… ci si vede ok?” e con discreta e pacata eleganza si avviò verso il tavolo dove se ne stavano due ragazze dai capelli turchini e una castana. Joyce neanche le guardò, non notò nemmeno Sofia che lo salutava.

Deglutì senza fiato, rimanendo a guardare Rachele che gli dava la schiena.

 

 

Più tardi quel pomeriggio Nikka se ne stava davanti allo schermo luminoso del computer che Mei aveva aggiustato quando si erano visti la prima volta.

La schermata era aperta sulla chat, e lei continuava a fissare insistentemente l’immobile account di Mei. Sperando che decidesse di aprire quella finestrella arancione per parlare con lei. Ma Mei non faceva nulla, rimaneva lì immobile. Fece una smorfia. Si era truccata al meglio per stare lì a guardare il suo nome. Era stupido. Mei non la poteva vedere attraverso il pc, ma si era sistemata lo stesso. Non l’aveva fatto coscientemente.

Si fregò gli occhi con le mani, e poi si ritrovò a studiare i tasti. La parola Invio, su uno di questi era quasi scomparsa. Ma si riconosceva lo stesso, per la sua particolare forma a L rovesciata. Si era sempre chiesta perché avesse quella forma.

Sospirò e si decise a cliccare due volte sull’account di Mei. Poi trattenne il fiato.

 

Nikka scrive : Ciao

 

Deglutì e chiuse gli occhi “Ti prego, ti prego ti prego” disse tra sé intrecciando le dita.

Quando li riaprì una finestrella si era illuminata di arancione. Trattenne il respiro e guardò meglio.

 

Cesar scrive : Allora? Il tuo cervellone si è fatto sentire?

 

Nikka sbatté il pugno sul piano della scrivania “Cesar, che cavolo!” sbottò.

 

Nikka scrive : Che cavolo Cesar! Fatti i fatti tuoi! E vai a lavorare invece di rubare lo stipendio chattando con me! E poi cosa direbbe mia madre se sapessi che passi le tue giornate in chat?

 

Cesar scrive : Direi niente, dato che ci siamo conosciuti così…

 

Nikka si accigliò. Chattare con un trentenne dall’alto dei cinquant’anni di sua madre la faceva sembrare tanto una vecchia disperata. E lei nemmeno sapeva che sua madre sapesse accendere il computer. Figurati destreggiarsi in una chat.

 

Cesar scrive : Devo andare, mi hanno ordinato un cappuccino. Vai fuori a compare il latte che è finito!

 

Nikka tamburellò le dita sul tavolo e sbuffando si alzò per andarsi a preparare una camomilla, dato che con l’attuale umore ne aveva decisamente bisogno.

Quando tornò rimase sulla soglia con la tazza in mano a guardare circospetta lo schermo. C’era una finestrella arancione. Rimase a fissarla da lontano. Non voleva scoprire di nuovo Cesar dietro allo schermo. Si mordicchiò l’interno delle guance per un po’ , poi finalmente si decise a cliccare sulla finestrella dimenticando in un angolo la camomilla.

 

Mini_Mei scrive : Ciao Nikka

 

Nikka sorrise tra sé. Almeno aveva risposto.

 

Cesar scrive : Mi raccomando il latte!

 

Nikka scrive : Basta Cesar!

 

Mini_Mei scrive : Sono Mei, non Cesar…

 

Nikka scrive : Oh, scusa, devo aver sbagliato finestra!

 

Nikka chiuse la conversazione con Cesar in un impeto di rabbia. Stupido cubano! Ci mancava solo che Mei se la prendesse perché l’aveva chiamato Cesar. Si tirò una sberla in fronte per la stizza.

Mei dall’altra parte del video si morsicò il labbro.

E così Joyce aveva capito bene… c’era un certo Cesar… probabilmente il suo nuovo ragazzo. Sicuramente quello che aveva visto farla salire in auto. Sospirò abbacchiato, lui neanche ce l’aveva la patente. E poi con gli struzzi!

Come si poteva essere così idioti da mettersi a parlare di struzzi?

Si domandò cosa volesse a quel punto Nikka… forse aiuto per i compiti di matematica? Come la prima volta con Pallotti.

Si era illuso per qualche nano secondo che a Nikka potesse interessare qualche cosa di lui. Ma sicuramente non era così, lo chiamava anche col nome sbagliato…

 

Nikka scrive : Come stai?

 

Mini_Mei scrive : Bene, grazie… e tu?

 

Non sapeva che altro scrivere, a parte un bene e tu?... aveva paura di straparlare ancora di struzzi e hotel, e la sua reputazione non poteva sopportare ancora oltre una cosa del genere.

 

Nikka scrive : Non c’è male grazie…

 

Nikka rimase a fissare lo schermo senza sapere cosa scrivere. Cosa poteva dirgli? Lei che di solito sapeva sempre come intrattenere le persone, si trovava senza parole. Le veniva solo in mente che quella mattina per amore della scienza aveva dato un bacio a Joyce, ma non era la discussione migliore da intraprendere in quel momento. Anche perché l’esperimento aveva fallito miseramente.

Forse era colpa di Joyce, che vestiva decisamente ambiguo e… no, non era colpa di Joyce…

Sospirò.

 

 Cesar scrive : Allora sei ancora lì? Vai a prendere il latte, se no cosa                    beviamo domani mattina per colazione?

 

Nikka sbuffò.

 

Mini_Mei scrive : Allora tu e Cesar avete attaccato il quadro ieri sera?

 

Nikka scrive : Oh, sì, Cesar ci ha rimesso un dito ma ce l’abbiamo fatta. Anche se ha dovuto intervenire mia madre.

 

Mei fece un sospiro. Questo Cesar lo conosceva anche sua madre. Fantastico! Allora era proprio ufficiale. Neanche Alberto era stato presentato. Si domandò per un secondo se Marianna lo approvasse.

Si sicuramente lo approvava. L’aveva visto. Sembrava educato, pulito… ed era decisamente di bell’aspetto, aveva dovuto ammettere. Appoggiò la fronte sulla tastiera.

 

Mini_Mei scrive : tyyyyyyyyf

 

Nikka scrive: eh?

 

Mini_Mei scrive : Niente… ho appoggiato la testa sulla tastiera.

 

Mei si mise le mani nei capelli e arrossì nella solitudine della sua stanza. Come se non sembrasse abbastanza strambo senza fare queste cavolate.

Nikka del canto suo aggrottò le sopracciglia chiedendosi quando sarebbero finite la stranezze di quel ragazzo.

 

Nikka scrive : Senti Mei… ti sembrerò un po’ scontata

 

Mei lesse aspettando che finisse la frase, sul fondo della finestrella troneggiava la scritta Nikka sta scrivendo un messaggio.

 

Nikka scrive : Mi chiedevo se volessi venire a una festa domani sera… ci andiamo io Vanessa e Millie... se vuoi puoi portare qualcuno… non so… Joyce

 

Nikka prese coraggio e aggiunse

 

Nikka scrive : se vuoi anche tua sorella, se ti fa piacere…

 

Se per avere Mei si sarebbe dovuta sorbire l’indisponente Rachele l’avrebbe fatto.

In quel momento le orecchie di Mei furono rapite dalla voce di sua madre che veniva dalla cucina “Mei, tesoro? Hai visto tua sorella? Non è ancora tornata da scuola… sai se è successo qualche cosa?”

“No, non so niente… sarà con Joyce! Come al solito!” urlò di rimando, tornando subito a dare attenzione allo schermo.

 

Mini_Mei scrive : Va bene… non credo che ci sarà bisogno di chiamare mia sorella comunque… posso portare il mio portatile?

 

Nikka scrive : Come preferisci

 

Mini_Mei scrive : Allora a domani sera… ma dove devo andare?

 

Nikka scrive: Al giardino di Venere… è una festa chic…

 

Mini_Mei scrive : Va bene… ci vediamo

 

Nikka chiuse la conversazione con un sorriso che le andava da un orecchio all’altro. Quando riabbassò lo sguardo sullo schermo c’era di nuovo una finestrella arancione.

 

Cesar scrive : Sul serio! C’è bisogno del latte Nicoletta! Come faccio io domani se no?

 

Nikka scrive : MA LAVORI IN UN BAR! La colazione non dovrebbe essere un problema! Comunque adesso esco.

 

Fu così che Nikka uscì, si comprò un vestito nuovo , scordandosi di acquistare il latte per il povero Cesar.

 

Più o meno mentre Mei e Nikka scambiavano chiacchiere imbarazzate tramite il web, Rachele se ne stava seduta per terra appoggiata agli armadietti della palestra, con gli occhi fissi nel vuoto. Non si accorse neanche di un ragazzo coi capelli per aria che le si avvicinava, strisciando di schiena contro gli scaffali.

Lo notò solo quando il ginocchio si appoggiò alla sua spalla. Fu allora che lei alzò la testa a guardarlo in faccia.

Era il ragazzo che il giorno del suo compleanno stava chiacchierando con Joyce, e per l’occasione indossava ancora l’indecente cravatta leopardata che aveva quella volta. L’afferrò, allungando il braccio e costringendolo a sedersi accanto a lei.

Lui sbatté il deretano sul pavimento perplesso, poi si voltò a guardarla sorridente.

Lei lo teneva ancora stretto per la cravatta e lo guardava fisso negli occhi, con un’espressione che avrebbe intimorito chiunque.

“Dici che Joyce mi voglia bene?” chiese poi. Il ragazzo leopardato fece un sorrisetto e allungò la mano per accarezzarle il viso.

“Joyce non lo so, ma io te ne vorrei se…” non fece in tempo a finire la frase perché lei lo stava guardando come si guarda un indemoniato, e aveva lasciato andare la cravatta.

“Evapora” decretò, il ragazzo incravattato non se lo fece ripetere due volte e fuggì a gambe levate.

Rachele sospirò e appoggiò rumorosamente la testa all’armadietto di metallo.

“Uffa”

 

La mattina dopo Joyce si svegliò infreddolito, per poi scoprire che era in mutande sopra al materasso. Niente pigiama, niente lenzuola, niente trapunta, in gennaio. Si  mise a sedere  e appoggiò i piedi per terra, perplesso.

Era sicuro che al momento di andare a letto ci fosse tutto. Aggrottò le sopracciglia e decretò che prima di riflettere ancora era meglio andare in bagno a lavarsi la faccia. Dopo essersi risciacquati si ragiona sempre molto meglio.

Andò in bagno, e si lavò la faccia, per una volta non c’era ressa, solitamente c’era da fare a botte, tra lui, Emily, Jane e loro padre.

Mentre si asciugava sentì dei rumori provenire dalla serratura, si allungò a cercare di aprire la porta, che rimase irrimediabilmente chiusa. La sforzò un po’, strattonando il pomello in qua e in là.

Andò avanti per un po’ a litigarci, per poi arrendersi all’evidenza, era irrimediabilmente chiusa.

 Sbuffò e occhieggiò di malavoglia la finestra. Non era la prima volta che passava sui cornicioni o si arrampicava su per le grondaie, ma di solito non era in mutande in pieno gennaio.

Ma a quanto pareva nessuno al di fuori della toilette gli stava dando udienza, per cui rimaneva l’unica scelta possibile quella di uscire dalla finestra. Salì sul davanzale e passò sul cornicione, faceva un freddo bestiale, e in qua e in là c’era ancora un po’ di neve.

Arrivato davanti alla finestra della cucina, qualche metro più in là, bussò e una Jane perplessa venne ad aprirgli.

“Che ci fai sul cornicione?” domandò con una padella in mano.

“Sono rimasto chiuso in bagno, e mi sono sparite le lenzuola… sta mattina c’è qualche cosa di strano…” disse guardingo entrando in casa.

Jane alzò le spalle “E’ passata Rachele prima, l’hai vista? Ti stava stirando una maglietta…” Joyce la guardò perplessa, per poi passare lo sguardo al piano da stiro, dove c’era una sua maglietta arancione, una delle sue preferite tra l’altro, con il ferro appoggiato sopra.

Rimase a fissarlo per qualche secondo con un terribile presentimento. Lo alzò rivelando un buco a forma di ferro. Sbatté le palpebre e lo spense mettendolo al suo posto.

Andò in dispensa, per poi scoprire che i suoi biscotti preferiti erano spariti. Guardò Jane sapendo già la risposta alla domanda che le stava per porle “Li hai mangiati tu?”

Lei scosse la testa “No, Rachele ha detto che aveva fame…”

Poi aggiunse “Hai visto il mio pellicciotto arancione?”

Jane scosse la testa. E lui si catapultò fuori correndo all’impazzata verso la scuola. E infatti, come aveva supposto quando non aveva trovato il pellicciotto, la trovò nel giardino della scuola, a chinino con il suddetto pellicciotto in mano, intenta a cercare di far funzionare un accendino mezzo scarico.

“Rachele!” strillò rischiando di non riuscire a frenare in tempo e finirle addosso.

Lei alzò la testa contrariata.

“Vuoi dare fuoco al mio pellicciotto?” sbraitò. Rachele glielo lanciò addosso con disprezzo. “No, l’accendino non funziona…”

Joyce in maglietta e jeans lo afferrò con lo sguardo lucido.

“Rachele” piagnucolò.

“Lasciami stare!” sbottò lei andandosene. Joyce la rincorse prendendola per il polso.

“Rachele per piacere…” cercò di dire.

“Mollami o ti mordo, e sai che lo faccio!” proruppe perentoria. Joyce la lasciò andare.

Si ritrovò a pestare i piedi “Cavolo!” sbraitò senza sapere cosa fare.

Era tutta colpa di Nikka. Tutta colpa di quella stupida esaltata che si divertiva a giocare con Mei e D’annunzio, e probabilmente non gliene fregava nulla di rovinare la vita anche a lui!

 

 

Quel pomeriggio Joyce era a casa Pavesi. In realtà non sapeva che fare con Rachele, ma era tanta l’abitudine a stare in quell’appartamento, che gli sarebbe sembrato strano non andarci. Così si era ritrovato in camera, con Mei, che trafficava con il PC.

Joyce sospirò. “E così Nikka ti ha baciato…”disse il ragazzo, che sembrava non dargli udienza, ma in realtà era attentissimo.

“Sì, ma senti, non è colpa mia, io non la volevo baciare e…” continuò imbarazzato. Mei alzò le spalle.

“Immagino, credo che Nikka si diverta a dispensare baci. Non ce l’ho con te…”.

Joyce si morse il labbro, forse Mei non era la persona più giusta per parlare di quella faccenda, ma ormai che era lì …

“Il problema a questo punto, mi pare di capire che sia mia sorella…” continuò cliccando qualche cosa sullo schermo, mentre le sue dita passavano veloci sulla tastiera.

“Già” ammise Joyce abbattuto appoggiando la testa allo stipite della porta.

“E se permetti, io non ho ancora capito che razza di rapporto avete tu e Rachele, che cavolo! Come se non sapesse che hai avuto anche delle altre ragazze!” disse.

Joyce alzò le spalle. “Tua sorella non è così sicura come sembra… e Nikka la manda in crisi. La odia credo… non saprei dirti perché…comunque non gli interessa cosa faccio con le altre ragazze. Il problema è che se avessi una storia con Nikka passerei dall’altra parte…”

A quel punto Mei si voltò a guardarlo “Permettimi di chiederti una cosa: cosa cavolo siete tu e Rachele?” disse accigliato.

“Amici?” azzardò Joyce con poca convinzione.

“Gli amici NON si sbaciucchiano!” decretò Mei senza dare alito a eventuali repliche. Joyce alzò le spalle.

 

Nikka rimase un poco a guardare il display del cellulare. Poi prese coraggio, digitò il numero e avvicinò il cellulare all’orecchio.

Dopo due squilli mise giù senza aspettare che qualcuno rispondesse. E nascose il cellulare in tasca. Respirò profondamente con le labbra serrate e lo sguardo fisso sulla porta chiusa della sua camera.

Si appoggiò stancamente al muro dietro di lei. E sbuffò.

Insomma, probabilmente aveva detto un sacco di cose più imbarazzanti, nella sua vita, quale doveva essere il problema di dire a Mei, che, le piaciucchiava?

Sì, doveva vederlo quella sera, ma aveva pensato che dirlo al telefono sarebbe stato meno imbarazzante, poteva anche aspettare che lui capisse, ma temeva che di quel passo, aspettando che Mei intuisse e che addirittura prendesse l’iniziativa si sarebbero arrivati tranquillamente alla prossima era glaciale.

Fece l’ennesimo sospiro ed estrasse il cellulare dalla tasca dove l’aveva riposto, digitò il numero e lo appoggiò all’orecchio.

Uno, due, tre squilli a vuoto, Nikka dovette fare violenza su sé stessa per non riattaccare, quando dall’altra parte venne un Pronto un po’ distorto dalla linea.

“Pronto? Ciao Mei… no, non dire niente, sono Nikka…senti, volevo dirti che mi dispiace tanto per tutto quello che è successo. Per Pallotti, per il bagno nei ghiaccioli, e tutto il resto. Mi spiace averti spinto a provarci con una e poi essermi arrabbiata quando ti ho visto con Alsazia, che razza di nome poi, ti prego non dire che è geografico, perché è solo ridicolo! E mi dispiace per essere così fissata con i vestiti, e aver cercato di trasformarti nella mia opera d’arte, dato che di certo mio non puoi essere, tu sei tu, e i vestiti li fa tua madre… e l’altro giorno, quando sei venuto a parlarmi di struzzi e hotel nello spazio forse avrei dovuto ascoltarti, probabilmente preferivo ascoltarti piuttosto che attaccare il quadro con Cesar… sicuramente preferivo ascoltarti… e lo so che sono strana, ma tutto questo casino credo di averlo fatto perché mi piaci…” poi ripeté in un sussurro come per essere sicura di averlo detto “mi piaci Mei…”

Deglutì senza fiato, un po’ per quello che aveva detto, un po’ perché non aveva respirato neanche un attimo. Per un secondo pensò che Mei avesse riattaccato, ma poi parlò, a bassa voce.

“Ehm, Nikka… sono Joyce, Mei è andato in bagno…” disse guardingo.

Nikka rimase per qualche secondo con la bocca spalancata e il desiderio di urlare che andava su e giù per la gola.

“JOYCE!” riuscì infine.

“Devo dire a Mei che hai detto che gli piaci?” domandò lui un po’ spaesato.

“N-no! diamine Joyce! Non ti azzardare a dirgli nulla!” urlò in preda alla collera e interrompendo la conversazione buttò il cellulare per terra, e poi si fece cadere sul letto.

Fatta sfortuna. Si era dichiarata a Joyce…

In quel momento in un’altra casa Mei uscì dal bagno.

“Chi ha chiamato?” chiese tranquillo chiudendo la porta e occhieggiando Joyce che col suo telefono in mano aveva l’aria di uno che è appena uscito dalla lavatrice.

Per un secondo Joyce pensò a dirgli di Nikka, ma alla fine giunse alla conclusione che meno si metteva in mezzo, meglio era… già c’erano dei problemi con Rachele , non voleva averne anche con Mei e Nikka.

“Un tizio che vendeva aspirapolvere” mentì alla fine. Mei annuì un po’ perplesso, ma non fece domande ulteriori sulla faccenda, invece continuò su un altro binario “Allora con Rachele? Come hai intenzione di fare? Sta sera c’è una festa… probabilmente ci andrà…”

Joyce alzò le spalle.

“Sinceramente non ne ho idea…”

“Io ci andrò, secondo me dovresti venirci anche tu…” sussurrò con un sorriso.

 

Più tardi, quando Joyce era tornato a casa sua e Rachele era tornata all’ovile, Mei si preparava per uscire, andando in giro per casa allacciandosi la camicia bianca.

“Tesoro, mettiti questo!” trillò allegra lanciandogli un foulard.

Rachele guardava la scena seduta sul ciglio del divano intenta a fumare con aria scocciata e vagamente depressa.

“Ma tu guarda, io sto in casa e il mio fratellino nerd va a una festa chic…”biascicò triste. La signora Pavesi che stava preparando la torta di riso non le badò , e Mei era già sulla porta che si infilava la giacca, con la custodia del PC trattenuta tra le ginocchia, il cellulare in bocca, mentre raddrizzava il coletto.

“Ci vai col portatile alla festa?” chiese con voce strascicata prendendo una boccata di fumo.

Mei annuì e si mise il cellulare in tasca uscendo.

Rachele sospirò tenendo la sigaretta ferma tra le dita, e guardando sua madre che col grembiule addosso canticchiava serena una canzone idiota su una lavandaia.

Sbuffò, e prese il telefonino, non poteva stare a casa il sabato sera.

Il telefono suonò a vuoto per qualche secondo, poi dall’altra parte risposero.

“Ciao Pallotti… sono Rachele, no, non mettere giù…” si accigliò “no, non voglio farti attaccare al cancello da Joyce sta volta…no… ho solo bisogno di qualcuno con cui andare alla festa che c’è a Il Giardino di venere… no, non ti bacio, scordatelo, al massimo posso decidere di darti la mano” poi precisò “se mi ubriaco…”

 

 

Il sole stava tramontando quando Mei e Joyce arrivarono al giardino di Venere, Joyce non era neanche messo la giacca, era ovvio che non gli interessasse entrare. Se ne stava fermo a guardare la fila di chi aspettava che fosse il suo turno per accedere alla festa, con le mani in tasca, e gli occhi alla ricerca di Rachele. Mei sorrideva amabile con le dita strette alla tracolla del porta PC.

“E’ lì… con Pallotti” disse in un sussurro Joyce mordendosi il labbro inferiore. Mei annuì “Già…allora cosa aspetti ad andarci?”

Lui alzò le spalle incerto “Non so…tu cosa stai aspettando?”

“Che ti decidi a fare qualche cosa, così posso cercare Nikka…” spiegò Mei tranquillo.

“Quindi ti sto rovinando la serata?” concluse.

“Non ancora, è presto…” poi gli diede una spintarella “Sbrigati, tra poco cominceranno a  entrare e ti assicuro che con quella pelliccia addosso non ci penseranno due volte a lasciarti fuori”  disse allegro.

“Mi sembri Nikka, lo sai?” Mei rise, mentre Joyce si avviava verso la ragazza blu.

Pallotti gli dava le spalle, e Rachele lo stava guardando con l’espressione più annoiata del suo repertorio, espressione che cambiò un poco quando vide Joyce avvicinarsi a loro. Pallotti non capì subito il cambiamento di Rachele, finché non si decise a girarsi scorgendo l’irlandese.

Joyce gli lanciò un’occhiataccia e minacciò “Se non sparisci immediatamente ti crocifiggo al cancello!”. Il ragazzo biondo se la diede a gambe.

Joyce in un altro momento si sarebbe complimentato per il terrore che riusciva a incutere in una mente semplice come quella di Pallotti, ma in quel momento era più il terrore che Rachele incuteva in lui.

“Rachele” azzardò.

“Che cavolo vuoi?” sbottò arrabbiata. Joyce sentì la rabbia schiantarglisi in faccia. Chiuse gli occhi per un secondo, e quando li riaprì lei era ancora lì che mostrava i denti guardandolo dal basso.

“Che cosa devo fare..?” chiese.

Rachele aveva l’aria di uno che stava per esplodere “Che cosa devi fare? Che cosa devi fare?” ripeté con la voce che saliva al cielo sempre più acuta.

Lui non ebbe realmente il tempo di registrare cosa stava facendo, perché non si accorse di star avvicinando vertiginosamente Rachele a sé e di stampargli un bacio sulle labbra.

Si accorse invece subito del dolore che gli procurò il cozzare del suo zigomo con il palmo della mano di lei.

“IDIOTA!” sputò lei , per poi girare i tacchi e correre via. Joyce si lanciò immediatamente al suo inseguimento.

Fu allora che Mei decise di aver guardato abbastanza e che forse era già in ritardo per la festa.

Quando entrò si stupì. Era abituato al Luxury e a tutti gli inutili fronzoli pacchiani che riservava alle sue feste.

Il posto dove Nikka l’aveva portato quella sera era davvero chic. Era tutto di un rosa chiaro, con tanti tavolini tondi, posate brillanti, lampadari che traboccavano gocce di cristallo. Sbatté le palpebre compiacendosi che non ci fosse ressa, e che nessuno stesse ballando in modo sguaiato. Intercettò in fretta Nikka, con le sue inseparabili amiche.

Fissò per un secondo il vestito di seta grigia che avvolgeva Nikka. E il contrasto coi lustrini di Millie e della loro amica equina. Si disse che probabilmente lei aveva avuto qualche cosa da dire. Gli venne quasi da ridere.

Nikka sorrise nel vederlo e non disse nulla. Ovviamente la pace ovattata non durò molto, perché le due pailettate gli piombarono addosso immediatamente abbracciandolo civettuole.

Nikka sorrise anche allora.

Mei si disse che era strano, le ragazze ballarono un poco lasciandolo al tavolo col suo rassicurante pc. Lo strascinarono il pista dopo un po’, e lui riuscì a scappare. E Nikka commentò il vestito della Gandolfi che così stellato, la faceva sembrare un cioccolatino.

Non era esattamente come stare con Joyce, o con Rachele o con sua madre, ma si disse che non era male, che non gliene fregava nulla del vestito della Gandolfi, che non era obbligato a baciare nessuno, che poteva rifiutare lo spumante se non voleva. Era una specie di calma chic. Gli veniva da sorridere. Forse aveva sbagliato a prendere Nikka. Forse avrebbero potuto essere amici. Si disse che si, così poteva andare, e probabilmente ora che si era messa con Cesar le cose sarebbero migliorate anche per lui.

 

Quando Mei tornò a casa sorrideva come un idiota. Sul momento non vi badai. Anche io sorridevo come un’idiota.

Anche se ero stravaccata sul divano, con Joyce che mi dormiva sulla pancia non mi ero nemmeno tolta le scarpe.

“Che hai da ridacchiare tu?” dissi a bassa voce per non svegliare Joyce. Mei mi lanciò un altro sorriso e se ne andò in camera sua.

Sospirai e appoggiai la testa al bracciolo del divano. “Buona notte Rachele” dissi tra me.

 

E così siamo arrivati al ventesimo e penultimo capitolo. Lo dico adesso così nel prossimo non ci sarà la sorpresina!

Come al solito il capitolo non mi convince granché, ma da un po’ a questa parte mi succede sempre, e non so come sistemarlo, quindi ho deciso di postarlo così…ç__ç

 

Ovviamente ringrazio moltissimo tutti quelli che leggono, in particolare TheDuck,(Grazie!!^.^) Lucy Light (quella è la candela che c’è di solito sulle mie torte di compleanno!!XD comunque Joyce va in giro conciato così per dare modo agli altri personaggi di insultarlo malamente!!)e DarkViolet92 (Ma più che gli auguri Rachele non sopporta la maggior parte dei rapporti umani soprattutto se sono “di massa”…XD )

 

Ancora grazie a tutti e Buon 2010!

 

 

 

 

 

 

 

   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: aki_penn